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Sennuccio, bevuto il caffè, usciva a passeggiare tutte le mattine lung'Arno. Un
mattino dell'anno della Sibilla Etrusca 9853 (da calcoli astronomici trovo
ch'era di marzo, giorno di lunedì) Sennuccio mise le due gambe in due stivali
della foggia recata in Italia dal Generale Suvaroff
Sul ponte della Carraia, verso la porta del dottore Vannini, locandiere e medico,
il vento levò il cappello a Sennuccio, il quale perch'era nella Toscana pianse
amaramente nel cuore i trentasei paoli in balìa del vento e dimentico ch'era in
camicia, lasciò andare il tabarro per correre più spedito dietro al cappello. Ho
pietà del rossore di chi legge; ma io non posso tradire la verità. — E
chi può far forza agli elementi ? La contessa A** —
la marchesa F** sua madre — la bruna R** — la bionda G** dan le gonne per aria
tre volte al dì, un giorno per l'altro, della notte non parlo ch'io non le vedo
— e sebbene queste quattro patrizie vadano in carrozza, non si può
senza giudizio temerario accusarne altri che il vento. Mostrava dunque Sennuccio
tutto il suo, correndo dietro al cappello, che caduto nell'Arno navigò a Pisa e
si fermò, come a Dio piacque, fra le mani di una lavandaia che stava
risciacquando le mutande delle monache. — Accidente da nulla; ma se è
vero quello che il giornale dice, il professore Tito Manzi tenne sul cappello
trovato fra le mutande un discorso sentimentale che durò tre ore e tre quarti e
fece piangere le dame pisane che lo ascoltavano.
Ragazzi e chierici che andavano a scuola presero a sassate Sennuccio — le donne rideano, le fanciulle guardavano — Sennuccio disse addio al cappello, e correva sempre per fuggire i ciottoli e le baie. Salì sopra una montagnuola che si specchia nell'Arno, sulla quale si seppelliscono i nostri fratelli asini, muli o cavalli crepati — si cacciò fra gli alberi, vide una caverna e si rifugiò.
I. La Germania tutta dividesi da' Galli, Reti e Pannoni pel Reno e Danubio fiumi, da' Sarmati e Daci per lo mutuo rispetto, o pe' monti. L'Oceano cinge il resto, ampi golfi abbracciando ed isole immense, ove genti e regi ne scoperse dianzi la guerra. Il Reno nato nell'inaccessibile e precipite vetta dell'Alpi Rezie, torcendo a ponente, si mesce all'Oceano. Il Danubio diffondendosi dall'agevole clivo del monte Abnoba visita assai popoli e sbocca con sei foci nel Mare Pontico; le paludi bevonsi la settima.
II. Indigeni credo i Germani, nè per colonie od ospizi ad altre genti commisti,
poichè i peregrinanti a nuove sedi non per terra ma navigando cercavanle, e rade
navi del mondo nostro tentano quell'immenso e sto per dire a noi avverso Oceano.
E chi, taccio i rischi d'ignoto e di orrido mare, abbandonerebbe o l'Asia, o
l'Affrica, o l'Italia, per la Germania, suolo informe, crudo clima, ingrato
d'aspetto e cultura a chi non è patria? Con versi antichi, unico modo per essi
di tradizioni e di annali, celebrano Tuiscone Dio terrigeno, ed il figliolo di
lui Manno principio e fondatore della nazione. A Manno assegnano tre figliuoli,
da' quali trassero nomi gl'Ingevoni presso.al mare, gli Ermioni nel centro e
gl'Istevoni. Anzi per licenza d'antichità taluni affermano
Ercole pure memorano stato fra loro, e vanno a battaglia lui cantando
principe e primo de' fortissimi.
XXV. Nè agli altri servi assegnano, come noi, i servigi della famiglia. Ciascun ha casa, e governa i propri penati. Paga quasi colono un tanto in grano, bestiame e vesti al padrone; nè ad altro obbedisce. La moglie e i figli spediscono le faccende domestiche. Servo battuto, incatenato, forzato a' lavori è raro. L'uccidono non per disciplina e crudeltà, bensì per impeto e collera quale inimico, sebbene impunemente. Nè liberto è molto di più de' servi: di rado prevale in casa, non mai nella città tranne che sotto a' re; quivi gli ingenui soverchia ed i nobili. Appo gli altri la sommissione de' liberti è indizio di libertà.
XXVI (fine). Però nè l'anno dividono in tante stagioni: intendono e nominano verno, primavera, state: ma d'autunno nè parlano nè godono.
XXVII. Niuna ambizione d'esequie, se non che i cadaveri degli illustri s'ardono con legne distinte nè di vesti colmano il rogo nè di fragranze; ma a ciascuno ardono le sue armi, a taluno il cavallo. Una gleba è sepolcro. L'arduo ed oneroso onore de' monumenti, quasi grave a' defunti, disprezzano. Breve il compianto e le lagrime; lungo il lutto e il dolore. Alle donne s'addice il piangere, agli uomini la rimembranza.
Finchè stetti oltre il Po e tu nel Piceno, io ti sospirava un po' meno; ma ben più ora che io sono in Roma e tu nel Piceno: sia che i luoghi ove io soleva convivere teco mi parlino più al cuore, sia che la vicinanza attizzi il desiderio degli assenti, e quanto più la speranza t'alletta, tanto più l'impazienza ti strugge. Comunque sia toglimi di questo martirio. Vieni, o io me ne tornerò là donde mi sono sconsigliatamente affrettato a partirmi; non foss'altro per isperimentare se tu,quando ti vedrai a Roma senza di me, mi scriverai una lettera simile a questa. Addio.