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Ritornato io Alvise Sagredo cavaliere dall'ambasciata ordinaria di Francia, successivamente da me sostenuta all'estraordinaria di Savoja, sono a soddisfare con la presente umilissima relazione al debito che mi viene imposto dalle leggi di questa serenissima patria.
Ma perchè non conviene con superfluo tedio ripetere alla pubblica sapienza i periodi e le forme, co' quali quel gran regno al giorno d'oggi si trova costituito nell'apice della maggior grandezza, nè sarebbe possibile in poche carte descrivere l'immensità delle cose toccanti monarchia sì potente, comincierò dalla narrativa del suo stato dopo la pace stabilita con la Spagna e la mutazione del governo, proseguendo con la varietà dei molti accidenti occorsi dopo la morte del fu cardinale Mazarini.
Punti stimati di mia particolare incombenza per esser la più gran parte dei successi predetti seguita nel tempo della mia residenza, o per aversene nel progresso meglio scoperta la verità delli fini; per indi passare con più certo fondamento alle altre parti che secondo il mio debole intendimento sono necessarie a sapersi, sempre con mira d'immorar solamente in quello che alla direzione e servigio dell'Eccellenze Vostre possa apportar profitto.
Stabilita adunque la pace ai Pirenei l'anno 1659, celebrati in ordine ad essa i regii sponsati il susseguente1660, rimossa poco prima colla demolizione del forte castello di Oranges ogni speranza agli Ugonotti di asilo nelle viscere del proprio regno, e tolto colla cittadella piantata in Marsiglia esemplarmente l'ardire ai regii vassalli che s'immaginassero di contendere l'ubbidienza al loro sovrano, volle il signor Cardinale coronare il glorioso ministero suo con due nobilissime azioni, l'una che anco felicemente gli riuscì, fu di acquetare i torbidi nel Settentrione, declinando molto dalla dichiarata parzialità colla Svezia per non lasciar soccombere la Danimarca: sopra che non ostante la cessione degli Stati nella Skania, e di ogni libertà e prerogativa nel passo del Sund ai legni svedesi, stimò segnalato l'assunto, come quello che gli facilitò il far ereditario lo scettro nei discendenti del Danese secondo il trattato di Oliva.
L'altra, che per i peccati del mondo ebbe improspero l'esito, fu la determinata volontà di liberare la serenissima Repubblica dalle vessazioni del Turco: azione nella quale ebbe la parte principale e ch'è nota, l'eccellentissimo signor Procurator Nani con la sua ammirabile virtù, e che per aver avuto fine infelice col disperdimento infruttuoso di quelle genti, ha anco, non vorrei dire, dissipate le speranze di conseguirne per l'avvenire, come a luogo più proprio si andrà discorrendo.
Con questo sigillò la vita e il ministero il signor Cardinale nel principio dell'anno 1661.
Allora Sua Maestà mostrando gratitudine verso i servigii di Sua Eminenza, eseguì bene le sue ordinazioni testamentarie e prese dai suoi dettami le regole del governo, con assumere alla direzione degli affari di Stato tre soggetti da lui ricordati, cioè il signor di Colbert di fede incorrotta e capace al maneggio economico; il signor di Tellier consumato nell'esperienza delle militari occorrenze, ed il signor di Lionne abile e versato a negoziare cogli stranieri.
Deposto adunque subito Fouquet dalla sopraintendenza delle finanze colla prigionia seguita in Brettagna nel viaggio intrapreso colà dal re sotto altro colore, ma a questo solo oggetto disposto come Vostra Serenità fu informata; continuatosi poi il processo e seguita in mio tempo condanna dello stesso, dopo lo spoglio di tutt'i suoi beni; ed avendo voluto il re che in cambio dell'esilio decretatogli fosse ristretto nella cittadella anzi nella torre della medesima di Pinerolo, ove al presente si ritrova, e la di cui varia fortuna sarà sempre memorabile in Francia, anco per esser seguita dopo la sua condanna l'espulsione e relegazione di tutti i parenti: occupò la di lui piazza se non nel nome, certo nel maneggio intiero delle rendite regie, il predetto Colbert.
Continuò nella carica di segretario di guerra Tellier colla sopravivenza nel marchese di Louvois suo primogenito.
E nel principio del mio arrivo a Parigi levata al vecchio conte di Brienne per gli errori del figlio la segretaria di Stato, vi s'introdusse anche con molto vantaggio, d'ordine regio, Lionne che si era guadagnato gran credito nella gloriosa riparazione ottenuta dagli Spagnuoli per il fatto di Batteville in Londra, e che si rendeva necessario per differenze già insorte con Roma nelle quali a dire il vero ebbe egli forse tutta la parte.
Ora cominciò il re con questo dipendente triumvirato a dar saggio dei suoi singolari talenti nello amministrare gl'interessi importanti non solo che infimi del suo regno facendo potentemente constare che la stessa abilità possedeva anco nella privanza di Mazarino se avesse voluto servirsene.
Fu da principio eguale la confidenza di questi ministri, ancorchè l'uno per avvantaggiarsi dall'altro facesse le sue prove, cioè Colbert nel persuadere al re l'acquisto di grandi ricchezze: Tellier col solito merito della sua assiduità, e Lionne col rendersi sempre più necessario per gl'impegni stranieri.
Ma finalmente aumentandosi il credito di Colbert per l'importanza delle finanze, accrescendo la ricchezza del re collo spoglio dei partitanti, tesorieri ed altri che si avevano meschiato colla corona, incontrò così bene nel genio che il fine ha dimostrato esser di tanto Colbert rimasto superiore nella grazia, confidenza e stima reale, che agli ultimi tempi miei si erano anzi uniti Tellier e Lionne per fargli contra punto, non ostante gli antichi rancori tra essi, molto noti, nella passata guerra civile, mentre vedono l'emulo sempre all'orecchio del padrone e che a lui che si trattiene solo anche più volte il giorno col re, tutto indifferentemente venga comunicato, ed a loro ristretta la confidenza in quello solamente che appartiene alle loro cariche ed ufficii.
Da questa nuova forma di governo, tutta dipendente da Sua Maestà, si sono prodotti molti fatti cospicui, la sommaria relazione dei quali non solo alla curiosità ma alla più fondata cognizione del temperamento della reggenza medesima può conferire.
Ed in primo luogo registrerò l'acquisto di Dunkerque, jure emptitio, dagl'Inglesi, coll'escludere così pericolosa nazione dal continente, separandoli coll'ampio confine dell'Oceano e togliendo ogni gelosia che giammai potesse esser concepita nel fratello duca d'Orleans o nei principi del sangue, commossi sovente da qualche particolare disgusto; privando di tal ritirata i mal contenti che sono le perpetue pietre di scandalo nel regno di Francia.
Considerabile fu l'erezione della Camera di giustizia, introduzione antica ma assai mitemente praticata da Enrico quarto, e poi con più dolcezza disciolta da Lodovico tredicesimo; la qual camera che obbliga tutti a render conto delle azioni loro civili innappellabilmente, durò per tutto il corso della mia ambasciata con imprigionare i partitanti più ricchi, i tesorieri dell'epargne e tanti altri opulenti signori a segno che per le tasse, per gli accordi pattuiti e finalmente per le condanne seguite, levando le più vive sostanze a sì gran numero di vassalli che per qual si sia causa, nella minorità, si erano interessati colla corona, tra beni ed oro si calcola dalla fama che oltre cento cinquanta milioni siano pervenuti e restino da consegnarsi al pubblico erario.
Di sommo riflesso furono le assistenze indirettamente date e continuate per tutto questo tempo a Braganza contro la Spagna, mentre oltre il pregiudizio di un re tanto congiunto, fa rimarcabile assai l'unione in ciò coll'Inghilterra, per andar indebolendo la corona cattolica che ha sofferto una quasi aperta contravvenzione alla pace per non aprir adito a mali più grandi.
Grave osservazione merita anche il promosso e quasi direi affettato disgusto con Alessandro VII, per l'accaduto a Crèqui, come successo che riuscirà incredibile forse nelle istorie dei posteri, quando rifletteranno esser venuto a contesa il padre ed il figliuolo primogenito della chiesa in tempo che il gran turco con formidabile esercito meditava distruggerla.
Dalla parte di Francia si ricevè impulso dagli antichi rancori colla corte di Roma con oggetto in quel punto di metter gelosia negli Spagnuoli per divertirli dagli attacchi del Portogallo, e con principal fine di rendere il cristianissimo arbitro dell'Italia con la protezione delle cause di Modena e di Parma.
Perchè il pontefice poi non sapesse prendere a tempo nè le timide, nè le generose risoluzioni, ma si lasciasse portare ai precipizii dal caso senza pensar molto agl'interessi della Cristianità, non tocca a me il riferirlo dovendo particolarmente terminare in poche righe ciò che meriterebbe una intiera relazione distinta.
È considerabile l'alleanza col re di Danimarca, gli accordi col quale sebbene non pubbticati vuole la fama però che contenessero la concessione dei vascelli, vendita di cannoni, la franca libertà del passo nel Sund ai legni francesi, l'assistenza per gli affari di Polonia, la separazione di quel principe dal partito austriaco in quanto fosse possibile, con impedire le leve ed i soccorsi sperati da quella parte in favore di Spagna, come la permissione libera all'incontro al cristianissimo di far gente in quel regno.
E tutto ciò in concambio di vino, lino, sale ed altro di che è doviziosa la Francia, aggiuntevi le poche pensioni appresso e gli esborsi che furono da me distintamente avvisati.
Succedè l'occupazione assoluta della Lorena colla resa di Marsal (mentre i due deboli castelli che soli restarono al duca Carlo non sono di momento, nè per il sito nè per la difesa) alla comparsa dell'armata e persona regia che ben potè far conoscere il maggior fasto della propria grandezza in quell'espedizione, in riguardo a quattromille volontarii che a proprie spese la seguirono; onde stante i capitoli secreti accordati in quell'emergente, e cresciuto sempre più l'odio scandaloso di esso duca verso la casa e sua legittima successione; e con essersi posteriormente levata dalla Francia al principe Carlo nipote ed ora più prossimo erede dello Stato, la sposa madamigella di Nemours, accasata nel duca di Savoja e nel cui primo contratto si era obbligato il cristianissimo.
Si sospetta che i principi di Lorena mancato il vecchio mai più sieno per succedere in sovranità libera in quegl'importanti Stati ne' confini dell'Alsazia, potendosene raccogliere una quasi certa congettura per quello che promessa dal re la demolizione della stessa piazza di Marsal nel termine di un anno e rimozione del presidio, ciò mai sia stato eseguito.
Deve cadere sotto rimarco quello che ha il signor di Colbert con tanto studio procurato con eguale applicazione di Sua Maestà per accrescere gli utili al regno, così riguardo alle due istituite compagnie regie orientale ed occidentale, come per l'introduzione in esso di qual si sia più esquisita fabbrica e manifattura di Europa per aumentare col vantaggio ed occupazione dei sudditi, le ricchezze ed entrate alla corona e dilatare il commercio, per il che non si risparmiò di contrattare coi Portoghesi la comprita dell'isola di Madera, colla religione di Malta l'acquisto dell'isola di san Cristoforo nelle Indie per franchi cinquecento mille, perve nella religione stessa per eredità lasciata in testamento dal cavaliere di Poincy, il quale benchè suddito del re fu premiato con essa dal cardinale Mazarini che non apprezzava le fortune regie oltre la linea, tenendo tutto per perduto, ed ora resta proindivisa cogli Inglesi, sospesone però l'esborso sino al pacifico possesso.
Come pure non si è risparmiato di andar allettando da ogni parte ed anco da questo Dominio, varietà di operai a portare quelle arti che prima non vi erano o che egualmente nella Francia non eccellevano.
Aggiungerò a questo passo come necessaria e degna notizia Dell'eccellentissimo Senato il gran pensiero ed applicazione del re per unire con due tagli per la Borgogna l'uno e per la Linguadocca l'altro la comunicazione ed il commercio del Mediterraneo all'Oceano.
Nella Linguadocca si pretende ch'entrando a Narbona le barche nel fiume Aude che passa per Carcassona ed Arles, ed è assai pieno di acque, ivi si dovesse escavare un gran canale di sei leghe, sino a ritrovare le acque del fiume Ariège che passando per Foix va a sboccare nella gran Garonna e conseguentemente per Bordeaux nell'Oceano.
La spesa di quest'opera è calcolata a quattro milioni di lire, ma forse con miglior fondamento vi è chi dubita non solo che sormontino a molto più, ma che dovendosi trapassare per montagne o rocce di pietra durissima sarebbe anche impossibile condurla a fine come forse dubitò anche il fu cardinale di Richelieu ch'ebbe simil disegno.
Miglior riuscita promette il primo progetto per la Borgogna che sarebbe di unire i due gran fiumi della Somma e della Loira, mentre nel mezzo appunto di essi vi è un gran stagno che produce due fiumicelli, i quali diramandosi in due opposte parti, l'uno va a ritrovar la Loira, l'altro va a sboccare nella Somma, onde pare che la natura abbia dimostrato tra essi il cammino e la strada per terminare questa grande intrapresa.
Al che si richiederebbe l'allargare e profondare i predetti due canali rendendoli capaci di portare barche grosse.
Fu proposta già questa unione a Francesco I, che col suo grande animo la intraprese e sino al giorno di oggi restano i vestigi delle escavazioni sino da allora principiate.
Ne fu poi risvegliata la pratica sotto Enrico IV, ma restò interrotta con ogni altro suo generoso pensiero dall'esecrando successo della sua morte.
Ora il presente re pretende perfezionare l'opera; Colbert n'è applicatissimo e della buona riuscita sua, ma non può giudicare se non il tempo e la prova.
Meritano principal luogo tra le azioni cospicue di Sua Maestà le due espedizioni intraprese l'anno 1664 nell'Africa ed in Ungheria sebbene abbiano conseguito fine assai diverso l'una dall'altra.
La prima fu consigliata dal soto Colbert coll'oggetto di raffrenare l'audacia dei corsari Barbareschi tanto infesti alla Francia, stante l'acquisto proposto e sperato di un sicuro porto nell'Africa e la confidenza di accrescere con quel mezzo il commercio e le ricchezze del regno.
Ma trovatasi resistenza ad approdare ove prima si era progettato, si occupò quell'armata nell'ignobile posto di Gigeri, ove tra mille difficoltà e difetti, assalite le genti regie da numeroso stuolo di Barbari furono sforzate dopo cento giusti giorni, abbandonare l'impresa, ritirandosi precipitosamente con la morte di oltre tre mille cinquecento uomini, la perdita di trentasei pezzi di cannone, l'abbandono di molti ammalati e di qualche bagaglio, col consumo di sopra tre milioni di contanti ed il discapito a dir il vero di riputazione; considerandosi l'impresa mal condotta, come anco fosse risoluta con disapprovazione universale.
E parve inoltre o fu giudicato portento che restasse sigillata con la perdita anco di un poderoso vascello ritornato d'Africa, ed apertosi in piena bonaccia stando sopra l'ancora avanti il porto dell'isola di Hyeres nel quale miseramente perirono settecento soldati scielti.
Anzi il signor di Ghilottier loro comandante, veduto l'irreparabile caso, per non esser spettatore dell'infelice morte di tanti benemeriti commilitoni, copertosi col proprio mantello, dopo salutatili, si lanciò tra' primi nel mare.
L'altra impresa nell'Ungheria fu il soccorso di seimille bravi soldati spediti all'imperatore dopo le istanze del conte Strozzi inviato a Parigi a richiederlo, e che fu deliberato anche per sentimento generoso del signor di Lionne.
Fu quel corpo di armata comandato dal signor di Colignj, e sebbene passasse in Alemagna col titolo di milizie della Lega del Reno, nella quale come Langravio di Alsazia è compreso il cristianissimo, onde ha obbligo di contribuire alla difesa dell'impero, in ogni modo considerate le circostanze di quella grande espedizione, ed il concorso di un grande numero di qualificati volontarii, assentiti non solo ma eccitati dal re, deve grandemente spiccare il suo merito in questa generosa azione, tanto più che ne conseguì il glorioso evento di cui risuonerà sempre la fama nella battaglia di Raab, e nella quale pretesero i Francesi avere la principal parte.
Nel qual successo sebbene non sia di mia incombenza il penetrare, non devo però ommettere di riferire ciò che a me replicatamente disse il signor di Coligny, che mentre unito egli col grosso ed incorporato nelle milizie del Reno, stava nel corpo della battaglia presso Montecuccoli, ed il conte della Fogliada con mille cinquecento Francesi era comandato al posto di san Gottardo vicino la riva del fiume, con solo ordine di difenderlo: attaccati i Turchi trionfanti ch'erano di qua dal Raab, dalla presenza e comparsa dei cristiani, e vinti da un panico terrore +per colpo divino, presero vilmente la fuga, onde attaccati nel momento stesso dalle armi regie, si rovesciarono anche le prime file dei Barbari che facevano testa, precipitandosi nel fiume, ove incontrandosi con quelli che per rinforzarli faceva partire dall'opposta riva il Visir, tutti avviticchiati insieme senza scampo si affogavano, anche con stupore di chi sopra le rive assistendo considerava questo disordine con chiaro documento che come le vittorie tutte vengono da Dio, così in quella occasione volle potentemente estendere la mano per rendere visibile la protezione verso la sua santa causa.
Ma non si può terminare il discorso dell'impresa dei Francesi nell'Ungheria senza far menzione dell'assistenza che nei momenti medesimi si prestò all'Elettore di Magonza per ridurre alla sua obbedienza Herford; come anco dopo lo spavento della comparsa delle armi regie riescì al signor di Pradet di saggiamente conseguire per composizione maneggiata da lui e conclusa, onde entrò nella piazza cedendo tutto alla fortuna francese.
Fu però questa l'azione della Francia più esposta ne' discorsi ed alla censura del mondo, poichè per una parte si pretese che giustamente insospettitosi l'imperatore di tante armi francesi nell'Alemagna, e dell'arbitrio che pareva volesse prendere il re negli affari dell'impero fosse stato necessitato alla precipitosa pace fatta col Turco dopo il dono fattogli da Dio di vittoria così insigne, e che doveva animarlo a più gloriosi progressi; e per l'altra non si è saputo conoseere con qual buona ragione il cristianissimo per sostenere il partito di un principe ecclesiastico vecchio ed elettivo si sia concitato lo sdegno dei protestanti di Alemagna contro la più stabile massima dei re suoi progenitori che con profusione immensa di oro e con continuate pensioni hanno procurato sempre conservare quel partito unito e dipendente da loro.
Accrebbe meraviglia l'attentato sopra Colmar, città principale tra le dieci franche dell'Alsazia che si pretese pure redere obbediente, e che sola ardì di opporsi all'armi e minaccie francesi, con che è certo che il governo presente si sia in quei tempi pregiudicato nel credito e nell'affetto appresso il medesimo partito protestante, sebbene poi conseguitasi in ogni parte la quiete, non pare che questi deboli accidenti possano far ombra alla grandezza della corona per tutto quello gli occorresse nuovamente muovere o trattare nell'Alemagna.
Per ultima delle azioni che tocca a me riferire del nuovo governo, registrerò la lega rinnovata l'anno 1664 coi Cantoni svizzeri durante la vita del re, quella del Delfino ed anche otto anni dappoi, con la garanzia o difesa dell'Alsazia contro ognuno, soddisfatto che si avesse dal cristianissimo alle capitolazioni di Munster per gli esborsi pattuiti dall'arciduca d'Innspruck, a che si è intieramente compito.
Come pure a Parigi si condussero quaranta ambasciatori delli cantoni e confederati a giurare la lega e che furono ricevuti con tutta la cortesia ed onore, praticato già da Enrico IV, come scrissi.
Fu osservato che nel trattato ed istrumenti seguiti, il re si assunse il titolo di duca di Milano, conte di Asti e signore di Genova; ma essendo questa forma stillata da Francesco I, Enrico III, e poi da Enrico IV, non vi si deve altro riflesso, consistendo il tutto nell'adempimento degli esborsi e promesse accordate, poichè a questo solo si riferisce la sostanza di tal negoziazione.
Soddisfattosi così da me alla dovuta informazione verso l'eccellentissimo Senato delle più rimarcabili azioni e risoluzioni intraprese dal re dopo la morte del cardinale Mazarini, e che possono considerarsi come per i fondamenti della sua reggenza, dovrebbe da ciò dedursi la congettura e la considerazione dell'inclinazione dell'animo di Sua Maestà e della sua disposizione o ad accrescere con la guerra od a conservare con la pace il grande stato e dominio che Dio gli ha concesso.
Ma perchè questi riflessi superano la mia debolezza, io mi contenterò andar riferendo l'osservazioni da me fatte nel corso del mio umile servizio rimettendone poi il giudizio all'alta prudenza dell'Eccellenze Vostre.
È dunque certo che prima della morte del re cattolico non solo la corte di Francia ma il mondo tutto giudicava anche con l'apparenza di molte disposizioni verso la frontiera di Fiandra che il re dovesse subito spirato il suocero, sfoderare i diritti di legittima successione per la moglie regina, spettantigli sopra il ducato di Brabante e contea d'Hainalt, ancorchè avesse voluto tenere nel suo petto le vaste pretensioni per la dote non soddisfatta e per la nullità in conseguenza pretesa della rinunzia fatta dalla medesima regina al padre nel contratto matrimoniale, e dato pure che avesse voluto allora moderare e sopprimere quelle speranze alle quali poteva aprirgli l'adito la fluttuante minorità del bambino cattolico.
In materia così grave e così vicina sono noti i sospetti degli Spagnuoli e le comuni apprensioni del principi.
In ogni modo l'effetto è stato tutto diverso, ed il re non ha dato nemmeno con una parola testimonio di sentimento, lontano dall'alterare quella quiete in che al presente continua con la Spagna.
Altrettanto fece nelle rivoluzioni di Polonia, sebbene si sia spedito colà ambasciatore Beziers; in ogni modo è certo che il re non ha voluto impegno per l'elezione del successore a quella corona, contentatosi di assistere alla regina colla presenza del suo ministro, ma lontano dalle dichiarazioni.
Inoltre è principalmente a riflettersi la premura che ha avuto il re per riattaccare l'interrotta corrispondenza con la Porta Ottomana: braccio che ha servito già a moderare i vasti disegni di casa d'Austria, conforme le antiche massime di Francesco I; come pure niente soddisfacendo che a quella Porta si avanzasse il credito e la confidenza coll'Inghilterra a svantaggio degli Olandesi.
Osservai che sotto l'onesto titolo di sostenere il commercio si fecero due espedizioni a ostantinopoli; si scrisse al Visir dal signor di Lionne, giustificando le mosse seguite nell'Ungheria per l'obbligo della lega del Reno, ed in Africa per frenare la pirateria dei Barbareschi.
E stabilita poi alla Porta la nuova ammissione di ministro francese, se ne dimostrò alla corte molto aggradimento, come è noto a Vostra Serenità, e come lo ha comprovato l'espedizione precipitosa fattasi colà del signor di Vantellet coll'assistenza del signor di Ghitry ed Hotrine; pretesosi che la persona di Vantellet prima oltraggiata poi ammessa e bene accolta, valesse a risarcire e redimere la riputazione della Francia, restando in certo modo costretti i Turchi per atto di soddisfazione a ricevere ed onorare quel medesimo soggetto che prima fu da loro maltrattato.
Da tutte queste disposizioni e risoluzioni del re pare si possa abbondantemente raccogliere l'inclinazione del suo animo alla pace e che non sarà per intraprendere di sua volontà la guerra.
Il che soggiungo, mentre vedendosi egli imbarazzato al presente nella rottura coll'Inghilterra, e ch'è la più considerabile nella quale potesse invogliersi per la potenza di quella nazione facile a portare le offese in qualunque luogo come la più forte sul mare e sicura all'incontro di non poter essere attaccata dentro i proprii regni, separati da ogni altro, fa di mestieri considerare come la Francia sia stata condotta alla intimazione della guerra che poco avanti ha l'eccellentissimo Senato intesa.
Principiando adunque un poco lontano, è certo che i Francesi conservassero un acerbissimo sentimento contro l'Olanda per la pace conclusa da quei Stati colla Spagna, senza assenso o partecipazione del re e senza considerazione al merito che coll'oro ed ajuto della Francia si erano principalmente costituiti nella libertà che al presente godono, onde fu comunemente creduto che dovesse il Cristianissimo, se non concorrere, almeno non curare che i medesimi Stati risentissero in qualche modo gli effetti della perduta assistenza della Francia.
Che per ciò molestati dalla Religione di Malta e da altri principi per pretese reintegrazioni o restituzioni di beni o Stati, non ha la Francia fatta dichiarazione alcuna, nè ha procurato rimuovere il disturbo che loro soprastava.
In questi termini ed in questo stato quasi di diffidenza si sentì con istupore di molti ultimamente l'anno 1662stabilita tra la Francia e l'Olanda lega offensiva e difensiva, con la garanzia per l'articolo principale della pesca tra il Cristianissimo e quella Repubblica.
Porse gran soggetto di meraviglia non solo la conclusione della lega ma l'articolo della garanzia per la pesca.
La lega in primo luogo, perchè supponendosi da ognuno che l'oggetto primo dei pensieri del re non mirasse che ad allargare i confini dalla parte della Fiandra come troppo ristretti a proporzione dell'estesa del suo regno, oltre l'essere non separato da fiumi o monti in settentrione, ed in conseguenza intersecati cogli Stati sempre o nemici o sospetti de' Spagnuoli, è certo che nessun principe maggiormente gli avrebbe contrastato il disegno quanto l'Olanda per non tirarsi vicino un monarca di così formidabile potenza.
Altrettanto fece stupore l'articolo della garanzia per la pesca, non intendendosi perchè il Cristianissimo per sostenere un interesse mercantile degli Olandesi volesse esporsi a rischio di romper coll'Inghitterra, principe tanto potente sopra il mare, quanto lo hanno dimostrato le passate e le presenti prove.
Io però, se mi è lecito addurre il mio sentimento, crederci che da questa azione del re potesse anche dedursi la propensione sua alla pace perchè mentre egli non aspirava ad acquistare la Fiandra, ha voluto concludere l'alleanza coi detti Stati per fortificare e rendere rispettato il suo partito.
E non potendo in altro modo concluderla ha assentito anche alla garanzia per la pesca, e si può supporre che coll'unione di Olanda o di Danimarca, e coll'altre aderenze dei Francesi nel Settentrione o nell'impero, stimasse il re di rendersi sicuro dagli attentati di qualsivoglia altro principe maggiore, tra i quali senza dubbio si sarà considerata l'Inghilterra per il vantaggio nella navigazione, e sempre emula e sempre infesta alla Francia.
Ha poi portato la vicissitudine delle cose che l'Inghilterra, o per il danno ricevuto dagli Olandesi nelle Indie nel commercio, o con diverso oggetto ma col pretesto di quelli, abbia rotto coll'Olanda.
Corsero le ostilità già note nel principio delle quali parve che non si riscaldasse il Cristianissimo quanto sarebbe stato necessario per evitare la rottura o per procurarne l'aggiustamento, e forse si suppose che mancasse agli Inglesi il denaro per sostenere la guerra, che le Camere del Parlamento disapprovassero un tanto impegno, e che il re Carlo non si stimasse così saldamente stabilito nel nuovo suo trono che stante particolarmente i mali umori pullulanti nella Scozia e l'emozione dei settarii così pericolosa, come tante esperienze hanno comprovato nel regno, potesse con quiete del suo animo farsi inimica la Francia.
Con tali vane confidenze si sono forse blanditi i Francesi e gli Stati medesimi, i quali giudicando troppo disonore il comporsi coll'esborso di molto oro, come forse avrebbero potuto conseguire, si armarono certo fortemente, onde nella campagna dell'anno 1664si sono veduti a fronte i due forse più potenti armati che abbiano solcato l'Oceano dopo molti secoli.
I successi delle medesime furono noti a Vostre Eccellenze, e come la fortuna, aggiunta al valore arrise molto all'Inghilterra, onde in più incontri gli Stati ebbero a restare soccombenti, e con nuovo travaglio concitato dagl'Inglesi contro loro, fra' molti principi pretesisi pregiudicati in Alemagna, il vescovo di Munster assalì potentemente la Frisia, ed il re finalmente obbligato a soccorrere gli Stati suoi confederati che sempre esclamavano, e dubitando non soccombessero, prese per espediente di far passare in loro aiuto un corpo di sei mille soldati, fra i quali con esempio insolito si numerarono mille cavalli delle stesse sue guardie.
Continuava però la tolleranza e la dissimulazione verso l'Inghilterra cogli ufficii cospicui per il mezzo di tre ambasciatori estraordinarii già spediti a Londra per procurare l'aggiustamento cogli Olandesi.
E sebbene l'interposizione non fosse gradita, e gli ambasciatori fossero trattati con termine assai corto, e principiassero i legni francesi ad esser molestati sopra il mare, mentre quella sovranità ch'esercitava prima il re Carlo nel medesimo con qualche rispetto verso i vascelli di Francia venne allora senza riserva imaginabile ad essere assolutamente praticata.
In ogni modo il Cristianissimo non desistè dalle più fisse applicazioni per conservare la pace essendo comune parere che l'abbia procurata anche coll'impiego di grandi somme di oro.
Ma inasprendosi sempre più gli animi, i vassalli della corona anglicana di naturale altiero ed emulo della Francia hanno si può dire violentato il re Carlo ad impugnare le armi contro la medesima, onde seguite più rappresaglie dei legni francesi, levatisene anche alcuni sotto il cannone di Dunkerque e sino tentato di sbarcare in alcuna parte della Normandia, il Cristianissimo ha creduto essere di sua riputazione e di necessità l'intimar la guerra prevenendo gl'Inglesi, giusta l'obbligo coi suoi alleati, come Vostre Eccellenze hanno inteso dalli dispacci dell'eccellentissimo Giustiniano.
Ma essendo questo un affare che ora comincia di gravi conseguenze ed accompagnato da considerazioni diverse dal presente proposito, resterà ad altri il soggetto di assumere e meglio distinguere il tutto, ed io sempre pregherò Iddio che disponga le cose al pubblico bene ed al sollievo della Serenità Vostra.
Discenderò adunque a riferire del denaro e delle milizie, che vuol dire delle forze e potenza di quel gran regno, per indi passare a discorrere sopra l'inclinazione dei popoli, lasciando per ultimo il parlare del re, casa regia e ministri, e della disposizione di quella corona verso i principi e la Serenità Vostra.
La più importante certo ma forse la più fallace materia che io possa trattare sarà quella delle rendite regie che sempre si nominano con titolo di Finanze: esponendomi dunque a così azzardoso discorso per gl'incontri che tengo dirò che l'entrate, per il calcolo che se ne può fare, oggidì trapassano ottanta milioni annui di franchi che rilevano oltre trentadue milioni di questi nostri ducati correnti di Venezia, benchè la volgare opinione è che di molto sormontino.
Le spese all'incontro ed obbligazioni tutte rilevano quaranta milioni, ragguagliandosi di questa somma la metà per la guerra cioè per pagare le armate, mantenere presidii ordinarii, per la marina, artiglieria e pensioni ai forestieri, e l'altra metà per la casa regia tutta, per le spese inalterabili del governo che abbracciano molto, e poi il resto che comprende ambascerie, fabbriche, mobili, viaggi e simili occorrenze.
Dieci milioni sono impiegati annualmente a disimpegnare le Domene del re che sono i capitali e rendite preziose della corona, vendute od assegnate nei tempi travagliosi di guerra a diversi creditori e partitanti.
Il risparmio dunque certo si calcola ogni anno che montò a più di venti milioni, mentre per non far il conto tanto ristretto se ne lasciano altri dieci di vantaggio non disposti o per li diffalchi incerti delle rendite stesse o per l'accrescimento sempre comune che potesse succedere delle uscite.
Nel tempo del fu cardinale di Richelieu ha la Francia cavato particolarmente del 1638,1639, 1640, 1641 sino a milioni centoventicinque, e centotrenta ancora di entrata così ordinaria che straordinaria per anno; la nazione essendo pronta, che con quella facilità e felicità che si spendeva e disperdeva il denaro, si raccoglieva e rientrava parimente.
Ora sarà difficile che il regio erario possa continuare qualche anno, cioè pochissimo tempo nell'avanzo accennato, se è vero che si pongano da parte i sopra detti venti milioni, perchè continuandosi a restringere il commercio del contante, ognuno prevede che in breve progresso, altrettanto si diminuiranno le regie Finanze a proporzione di quello che si va rinserrando e nascondendo nei scrigni, tanto più che ad esempio regio i privati di già hanno cominciato a fare lo stesso, ristretti nelle pompe, nel lusso e forse alcuni considerabilmente nei comodi ancora.
Tutto ciò distesamente apparisce dai fogli che ho stimato d'inserire nella presente relazione, quando alcuna delle Eccellenze Vostre avesse curiosità di vedere più a minuto delineata simil materia che è la più precisa e quella che maggiormente accorda col concetto comune.
Quanto ai tesori che universalmente viene creduto esser rinchiusi nei scrigni del re, potrebbesi prender errore come succede ordinariamente negli umani giudizii ed in quello del denaro altrui in particolare.
Però conviene far riflesso alle spese eccessive fatte per il pomposo trionfo in occasione delle nozze di Sua Maestà.
Molto denaro fu impiegato per la comprita di Dunkerque, per le due doti a Fiorenza e Savoja delle due sorelle principesse del sangue.
Per i duecento mille scudi al pontefice del legato Mazarini contro il Turco; per i soccorsi pecuniarii abbondanti trasmessi in Portogallo; per missione di contanti in Germania cioè all'arciduca d'Inspruck per l'Alsazia, ai Cantoni Svizzeri, ai principi del Reno, in Olanda, Danimarca e Svezia.
Per le paghe e tappe dell'espedizioni fatte in Italia al tempo delle differenze con Roma; poi in Ungheria per trattener l'esercito regio, e finalmente per l'espedizione in Provenza, in Africa, armamenti marittimi ed altrove.
E questo bastò quanto all'erario del re perchè se si volesse discorrere delle ricchezze in universale del regno, ancorchè certo immense, dilatandosi sempre più il commercio, come si potrebbe dimostrare per la nuova istituzione accennata di sopra delle Compagnie delle Indie, nelle quali oltre il concorso del contante dei particolari mercanti, il re per farle sussistere e procurare il loro stabilimento ha contribuito oltre molti privilegii ed assistenze anche somma considerabile di denaro. In ogni modo vi sarebbero da riferire molti particolari che farebbero credere che l'oro e l'argento non fossero attualmente in tale abbondanza nella Francia come il mondo si persuade.
È certo che per le esecuzioni rigorose fatte dalla Camera di giustizia, e che hanno involto in lagrime in ogni parte del regno una infinità di famiglie, molti hanno trasmesso il loro contante fuori del medesimo, molti più lo tengono rinchiuso: ognuno affetta di parer povero onde si restringe il commercio ed effettivamente si riconosce nella Francia al giorno d'oggi scarsezza di contante.
Potrebbesi anche aggiungere che la medesima sia accresciuta dal grande consumo fattosi d'oro e d'argento nei vestiti, nei lavori e domestici impieghi praticati fin qui con molto lusso.
Gran curiosità eccitò il testamento del fu cardinale Mazarino che fu creduto avesse lasciati raccolti tesori considerabili in Sedan ed in qualche altra fortezza: tuttavia il testamento non si è giammai veduto, nè del denaro ritrovatosi altro si è inteso.
L'amministrazione delle sue facoltà passa per mano del signor di Colbert suo esecutore testamentario, ed il re con gran dimostrazione della propria bontà non lascia di rendere in tutti gl'incontri onore alla memoria di così benemerito ministro e servitore.
Non posso uscire dal proposito del maneggio del denaro regio senza dire che il primo anno dopo la morte del Cardinale tutto fu impiegato per riscuotere e disimpegnare le entrate più necessarie della corona, e così, dirò confusamente, si continuò sino alla prigionia di Fouquet, successa la quale si ristrinse la mano a soddisfare i debiti trovati e rimasti dalla sua amministrazione e così si continua; di che molti si dolgono, ma nessuno ardisce però di produrre le sue istanze.
Il maneggio però assoluto del signor di Colbert, la regola nelle spese ed il risparmio si può calcolare cominciasse nel fine dell' anno1662.
È grandemente rimarcabile che il re abbia tenuto sino da allora, come continuano, soppresse le cariche principali di primo ministro, gran contestabile, di colonnello generale dell'infanteria, di sopraintendente delle finanze, di generale delle galere, di tesoriere de l'epargne e di tante altre dipendenti da queste supreme, come per diverse riforme che avvisai di cariche subordinate, onde fu creduto che in una sola volta fosse levato l'alimento a più centinaia di case in Parigi.
Così in molti comandi militari il re si tiene capitano e colonnello, come del reggimento della marina, dei grandi e piccoli moschettieri, di genti d'armi, della compagnia del Delfino e di molti reggimenti che portano il titolo di reali e simili, onde cessa per conseguenza l'obbligo di corrispondere il dovuto assegnamento ad altri.
Ma il più importante di tutti è che come si sono moderate e diminuite in universale le pensioni che pagava il re ai particolari, così si sono levate molte delle principali che si corrispondevano ai principi esterni, il che quanto strepito ed osservazioni abbia causato nel mondo, e quanti giudizii sopra ciò si siano fatti, meglio lo può distinguere la virtù di Vostre Eccellenze che ne hanno avuto la notizia da più parti.
Applicato dunque totalmente il re a diminuire le spese e ad una rigorosa economia, vuole che tutto passi per la sua mano, onde non si può disporre nemmeno d'una partita di cento scudi senza sua notizia.
Il che quanto avanzo porti all'erario regio, facilmente si può comprendere.
Se poi sia giovevole al bene più sostanziale del regno, e se conferisca alla grandezza della corona, non è di mia incombenza, nè della mia pochezza il considerarlo: l'esperienza ed il tempo lo diranno, e la Serenità Vostra con l'atto della sua prudenza potrà meglio giudicarlo.
Passando poi alle milizie che sono il nervo più forte della sicurezza e riputazione del regno, col quale negli antichi e moderni tempi si è reso formidabile al mondo, dirò in compendio che Sua Maestà, quando a quella corte avevo io l'onore di servire a Vostre Eccellenze teneva gl'infrascritti soldati, non dovendo entrare in quelli che per le nuove emergenze si fossero ammassati poi.
I primi che si chiamano la casa del re, istituiti e pagati per guardia e servizio espresso della persona e famiglia reale, mentre marciano e stanno appresso la sua persona, sebbene sovente accade che in tempo di pace molte compagnie di essi col titolo stesso di guardie regie passano nei presidii ed in guerra, impiegate dove le chiama il bisogno, come successe nella espedizione marittima sino a Gigeri di sei compagnie, ascendono dico tutte dette milizie delle guardie tra cavalleria e fanteria al numero di nove mille soldati tra Francesi e Svizzeri.
La qual somma non solo si rende sempre compita ma molti gentiluomini cadetti, e alcun cavaliere ricco e principale della casa per militare nei moschettieri grandi, nelle guardie a piedi e nella compagnia del Delfino si fanno arrolare sopranumerarii e senza tirar paga; non pretendendo essi altro se non che il re sappia la prontezza loro, ed alle volte li miri in quell'ufficio coll'occhio proprio. Ma qui non istà l'essenza delle guardie suddette composte tutte di nobiltà, di ufficiali riformati e di gente veterana, poichè in marcia ed in servizio all'occasioni si contano per oltre dodici mille soldati effettivi almeno, mentre le camerate, i parziali, i servitori riempiscono d'avvantaggio tal numero.
Le altre soldatesche del regno che s'impiegano in tanti presidii, nell'armata di mare, nelle Indie e Colonie più remote, trattenute dal re con bassa paga e niente meno ambiziose di servire per il genio naturale e coll'uso di Francia che niuno per grande che sia viene stimato se non si avanza per le vie militari, saranno dico in tutto quarantadue mille trecento, conforme alla distinzione rappresentata nel foglio qui ingiunto.
E chi vorrà considerare che il re ha cento e sette piazze principali da presidiare e che la guardia di queste sole in tempo di pace ricerca cinquantaotto mille uomini almeno di presidio, troverà che il detto numero è di gran lunga inferiore anche al decoro e sicurezza interna del regno.
Con gran vantaggio però mantiene il re le milizie predette per molti privilegii che vengono acconsentiti alle soldatesche dalle leggi e dall'uso, in modo che un fante ha di paga colà soldi cinque al giorno che sono soldi dodici e mezzo di Venezia; un cavallo soldi quindici il giorno che sono trentasette e mezzo, e gli ufficiali si calcolano in proporzione come altrove.
Tutti li predetti corpi che ascendono di ordinario a cinquantamilla, avvertendo però che io ho calcolate le compagnie d'infanteria a ragione di cinquanta soldati l'una che in tempo di pace vengono consentite di soli quaranta, costano al re dodici milioni di franchi all'anno.
Oltre queste vi è la spesa di tanti militari istrumenti, armi, munizioni, magazzini, vascelli, galere ed in fine artiglieria che ascende a molto; governatori di piazze, commissarii per rassegnare e sopravedere, controlli, tesorieri, ufficiali maggiori come generali, luogotenenti ed altri subordinati, ufficiali riformati e trattenuti con pensioni che possono ascendere ad otto milioni annualmente.
In tempo di guerra può il regno somministrare numero immenso e quasi prodigioso di gente, come se ne sono veduti gli esempii, e crederei che se nascessero torbidi al primo batter di cassa, molti comparirebbero, sebbene ogni vecchio ufficiale dice e sostiene che il re tra le genti licenziate, le morte, le disperse e scontentate nelle due espedizioni massime suddette, non avrà quella facilità in avvenire che si presume nel rimettere i suoi vecchi corpi.
Ma questi discorsi devono stimarsi come sfoghi di passioni di alcuno mal soddisfatto, mentre per il resto essendo il regno tutto obbediente al re, distesisi ed allargati i suoi confini non si può apprendere che abbiano a mancargli milizie.
Dopo le forze e rendite della Francia necessario è rappresentare a Vostre Eccellenze ciò che conviene sapersi della persona del re, principi della casa e ministri che sarà pure trascorso da me con quella brevità che se non alla grandezza delle materie almeno alle gravi occupazioni dell'eccellentissimo Senato, aggiustato si rende.
Essendo nato Luigi XIV, ora felicemente regnante ai cinque di settembre 1638 va scorrendo adesso la Maestà Sua l'anno vigesimo ottavo.
Circa le doti personali che consistono in un'eroica presenza, riguardevole statura e maestoso portamento, con grazia e proporzione nelle altre parti tutte rare, viene da ognuno confessato che quando il Signore Iddio non gli avesse dati regii natali sarebbe il più venusto tra gli uomini del suo regno.
L'ossatura grossa poi ed il temperamento caldo ed umido sono fondamento di lunga vita, ma predominando assai la malinconia succede che applicato estraordinariamente al negozio con sentimenti vivissimi, profondamente apprendendo di ogni successo e particolarmente di ciò che possa ripugnare alla gloria del suo nome, affaticato lo spirito, talora soccombe a dolori acuti di testa, perde più sovente il bel colore della faccia, ed unendovisi o causandosi qualche debolezza di stomaco è sottoposto a vapori, vertigini, e non gode quella intiera e perfetta salute che sarebbe desiderabile, a segno che in così fresca e vigorosa età si è ricorso a purghe e bagni, a replicate emissioni di sangue, onde non mancano argomenti di giudicar quel principe nel fior degli anni suoi, assai più maturo di quello ch'è.
E se la gioventù non resistesse a tanta applicazione, avessimo anco effetti più evidenti del peso che sopporta, mentre oggidì poco si diletta della caccia: gli esercizii della danza, scherma, del montar a cavallo sono rimossi affatto.
Se alcuna volta giuoca alla pallacorda lo fa molto raro, e finalmente il sollievo di un giorno alla settimana destinato per ricrearsi a Versailles, luogo di molta delizia e quiete, non basta a compensare le occupazioni e conseguenti pregiudizii suddetti.
Quanto alle doti dell'animo è la Maestà Sua proveduta di una prudenza naturale, di un intendimento lucidissimo; accoglie con estraordinaria benignità ognuno, mischia nelle azioni sue, così grandi come minime, e gentilezza e gravità, con una grazia sì particolare che rapisce il cuore di tutti.
Ed in effetto scostandosi il re da ciò che il mondo giudica difetto di quel clima, pazientemente ascolta, compatisce la necessità o l'occasione di chi ricorre a supplicarlo, onde non lascia dalla sua presenza allontanare alcuno sconsolato.
E credo poter aggiungere che egualmente officioso e benigno si mostra anche verso chi è lontano, mentre di ognuno parla con istima e con palesare inclinazione a favorire tutti, che perciò si concilia l'amore e la venerazione comune.
L'osservazione che si fa sopra il suo naturale e quello che dà soggetto a molti Francesi di scontento, agli esteri di mormorazione , è l'applicazione sua ad accumular denaro, l'esecuzioni rigorose praticate contro un'infinità di sudditi, il risparmio introdotto in tutto; e che il re venga in universale tassato di avarizia è già molto noto comunemente ed a Vostra Serenità.
Tralascierò qui d'inserire il concetto che già vola per la bocca di ognuno che se il re alla grandezza presente di sua fortuna, superiore ad ogni altro principe, mentre vi cospira altrettanto la quiete interna del regno quanto le distrazioni di altri principi e la potente diminuzione di potenza nella casa d'Austria, con tanta felicità unisse alle grazie che Dio gli ha concesso, una magnanima generosità e non restringesse quelle che da lui dipendono, si farebbe padrone del cuore ed arbitro delle volontà di tutti, e la sua grandezza riuscirebbe più pericolosa ad ognuno.
Faccio questo semplice cenno e sopra ciò io non posso poi se non contenermi nel rappresentare lo stesso concetto della Maestà Sua, qual è che vuol redintegrarsi nel possesso delle sue domene o rendite impegnate e malamente dissipate dai suoi ministri per poter operare da re nel consolare ed obbligare chiunque in avvenire; e sebbene alcuno ha sparse voci contrarie, io nientedimeno ho osservato che quando si tratta d'impiegar propriamente il denaro, lo ha praticato sempre con molta grandezza e nobiltà del suo spirito, bastandoci per un esempio famigliare i gran disegni delle fabbriche intraprese al Louvre che eccedono tutte quelle dei predecessori; e la pompa colla quale vuol render cospicuo il suo nome e memorabili l'azioni sue tutte.
Il che conciliandosi con le prenominate azioni ed espedizioni, indica bastantemente i nobili pensieri di quel monarca.
Due effetti sommamente ardendo sempre nel regiopetto, l'uno è la gelosia della propria grandezza, onde restano assolutamente esclusi tutt'i favoriti non meno che rimosso qualsisia adito alle intercessioni; l'altro consiste nello studio di superare cogli atti di vera magnanimità gli esemplari più belli toltisi ad imitare, e quello di Enrico IV in particolare.
Quella dote all'incontro che maggiormente risplende nel suo animo è l'umanità, lontano da ogni esecuzione rigorosa non che crudele, e della quale non mancano esempii nei precedenti governi.
Con una puntuale giustizia si osserva moderare tutti gli affari.
In ogni incontro, e pur molti ne ha avuti considerabili, ha risparmiato il sangue dei suoi vassalli.
Alle loro supplicazioni si rende dolce e pieghevole, ond'è certo che merita esser esaltato come lo è comunemente il suo nome.
E rende anco un degno testimonio della inclinazione sua in questa parte e della sua natural bontà, il vedersi inviolabilmente osservati in quella vasta reggia di Parigi i tre principali decreti tendenti alla quiete e sicurtà comune.
Cioè la proibizione assoluta dei duelli con pena eguale di morte al vincitore che d'ignominia al soccombente; il disarmo della potente turba dei paggi e di lacchè che separata e sediziosamente, oltre infinità de' mali agli effetti della giustizia stessa ardiva opporsi, e la sussistenza del grande ospitale per liberare la città dall'impura feccia dei mendicanti, mentre i poveri assediavano prima le contrade ed imperversavano con inaudite forme di barbarie contro l'umanità medesima per estorquere dalla pietà e commiserazione d'ognuno l'elemosina.
Dopo la qual breve digressione, continuerò a dire che il re rende così cospicua la sua gran religione e pietà, ed unitamente l'attenzione che tiene al culto divino, che risplendendo in tutte le sue quotidiane azioni non è necessario il riferirlo.
È applicato a conservare i diritti della chiesa gallicana come si può raccogliere da tutto ciò che è passato anche in queste ultime dispute per sostenere la facoltà della Sorbona di Parigi e l'autorità del Parlamento.
Distesamente ne ho scritto; sono cose note, come che le stampe le rendano pubbliche ad ognuno, e non convenendo allungar con esse soverchia questa relazione, basterà averne fatto questo cenno.
Ma in fine è certo che negli affari tutti del regno procede Sua Maestà con grande maturità.
Si rimarca in esso un profondo silenzio, oltre che giammai gli esca dalla bocca parola inconsiderata.
Dio gli ha donato una ben distinta memoria e della quale si serve per regolare colla norma degli esempii e casi passati le risoluzioni che deve prendere, sempre confrontandole insieme e procurando col parallelo di migliorarle.
Ciò quanto a Sua Maestà.
Il Delfino terminerà cinque anni al primo di novembre prossimo. §Sarebbe però troppo ardito ogni pronostico che si volesse fare dell'inclinazione di così tenero figliuolo, benchè tutti vogliono che imiti intieramente il padre.
Dirò bene che per l'età sua si mostra grande e proporzionato in ogni parte, e come è bello, sano e spiritoso, così riesce ottimamente disposto in ogni azione, quanto possa darsi in ogni altro più pregiato bambino.
Madama di Montausier fu governante per tre anni di questo principino; poi elevata al grado di prima dama di onore della regina regnante, fu sostituita in di lei vece la vedova marescialla della Motte Hodancourt dicono per evitare la dichiarazione di ajo del Delfino nel marchese di Montausier marito della prima governante, come cavaliere consideratosi alla corte, ma che non possede tutti quegli altri requisiti che si bramano in simile educazione, onde sin qui è ignoto sopra chi abbia a cadere così importante scelta.
La regina regnante tiene quindici giorni giustamente meno di età che il re.
In un solo detto le parti di questa principessa tutte riescono angeliche; ebbe la Maestà Sua dopo il Delfino due figliuoline che il signor Iddio in poche settimane o mesi volle con lui in Cielo.
Nell'ultimo parto che fu prematuro si trovò la regina in pericolo della vita e pare che dappoi abbia la Maestà Sua inclinato ad ingrassarsi.
Nel resto se questa degna principessa mostra in tutte le parti imitare di tanto le virtù sublimi della regina madre, che pare al volar di quella grand'anima al cielo le abbia avute come in retaggio, così posso promettere che verso gl'interessi della Serenità Vostra sarà sempre benignamente disposta, non mancandomi in qualsisia riscontro veri indizii di doverlo credere e confidare.
Monsieur nacque ai ventidue di settembre del 1640.
Tutte le condizioni sono in questo principe rimarcarcabili, benchè sia tanto dispari nella statura e nella fortuna dal re.
In ogni modo dirò ch'è esemplarissima quella di vederlo unito di affetto col regio fratello e lontano da qualsivoglia ambizione, non che affettazione di autorità particolare o credito nel regno, non curandosi dei governi ed annuendo tutto alle soddisfazioni del re, alla quiete della casa.
Pure posso credere che questo principe nell'occasione sia portato per Vostra Serenità.
Madama, moglie di monsieur, sorella del re d'Inghilterra terminerà ventidue anni ai sei di giugno prossimo, maritatasi ai 31di marzo 1661.
Ebbe una figliuolina il primo anno, ed ai 16 luglio del 1664 partorì a Fontainebleau il duca di Valois con estrema consolazione della corte e massime del re.
Di detta principessa non saprei dir altro, se non che è degna sorella di quel gran re, degnissima moglie del fratello del Cristianissimo e perchè nutre spiriti atti e generosi, sebbene con inestimabil modestia li sa anco celare, se ne ebbe però qualche confronto l'anno passato, cioè quando gli affari della Corona, di cui uscì, si elevarono tanto sopra l'Olanda, onde il re Cristianissimo, memore di qualche piccolo e geloso disgusto col marito, come accusai, a di lei contemplazione piuttosto ha di poi voluto dar accesso al fratello nel regio Consiglio, mentre senza alcun governo particolare, le precedenti dimostrazioni di stima si contenevano in sola apparenza.
Questa principessa pure io so che ha spesi concetti affettuosi, sempre che l'occasione ha portato in vantaggio dell'Eccellenze Vostre.
La vedova duchessa d'Orleans datasi intieramente alla divozione, afflitta assai per i successi della sua casa di Lorena, per i disturbi passati della primogenita maritata a Firenze, per la morte della seconda che fu accasata con Savoja, e per vedere destituita la speranza di consolazione con un matrimonio proprio della terza figliuola che gli rimane, la quale è madamigella d'Alencon, vive in tutta ritiratezza.
Madamigella di Montpensier rivocata per grazia dal suo esilio di Fontainebleau, comparve poi anche a Parigi, ma breve fu il soggiorno suo alla corte, mentre ben conosce che il re non si scorda delle cose passate e che volendo maritarsi sebbene è avanzata molto, così nella scelta del marito, che nell'asporto delle sue gran facoltà deve dipendere e sottoporsi all'assoluto arbitrio regio.
Il principe di Condè che avrà 45 anni agli otto di settembre, con poco credito ed autorità, destituito di amici, allontanato un grado nel sangue per la nascita di Valois, travagliato poi da frequenti oppressioni di podagra e costituito in pochissima salute, non gode di gran lunga quel posto ch'esso e li progenitori suoi hanno avuto per l'addietro nel regno di Francia.
E perciò della tranquillità dell'animo pare che si trovi attrettanto abbandonato.
Nessun'altra parte tiene col re che di una apparente confidenza, portandosi sempre al Louvre solo come fa il più privato cavaliere.
Conseguì dalla Spagna l'Altezza sua buone somme di denaro i due primi anni della mia ambasciata a conto dei suoi crediti e vecchie pensioni.
Poi si stancavano gli Spagnuoli come di spesa inutile.
Il re lo lasciarebbe per ultimo si crede ( nella scelta) al comando delle sue armate, e solo per quando fosse costretto a farlo; come pure non vi è speranza che ottenga governo maggiore di quello che possiede in Borgogna.
Interviene talora al Consiglio regio invitato, più per udire le opinioni di un gran capitano, che per confidenza o capitale del di lui sentimento, mentre si vide nell'affare di Africa particolarmente risolversi l'opposto di quelto che consigliava.
Il duca d'Enghien suo figliuolo nacque ai 29 di luglio 1643.
È maritato nella figlia della principessa palatina, adottiva della regina Maria di Polonia con la strepitosa dote di quei due contesi principati in Slesia, ed attendevasi la consolazione del vicino parto della moglie.
Possiede questo principe belle parti.
Ha ben studiato e con lode le lettere umane; frequenta con gran gentilezza la corte.
Sebbene possieda gli esercizii tutti cavallereschi non ha sinora praticato la guerra, nella quale però si deve supporre corrisponderà ai tanti esempii che tiene nella sua casa.
Ambi questi principi mi parlarono in ogni incontro con la dovuta venerazione della Serenissima Repubblica.
Del principe di Conti fratello di Condè mancato in queste ultime settimane in età d'anni 38 ed accasato con la Martinozzi rimangono due figli maschi e la principessa gravida, ed in questi chiudesi la successione ordinariamente del sangue reale alla corona di Francia.
Quanto ai ministri, dirò prima che il signor di Tellier, segretario di Stato per gli affari della guerra è gentile assai, ma cauto senza fine.
Riconosce tutto il suo bene dal Cardinale che fu un forestiero, ma non corrisponde, mentr'egli è in concetto comune di non amar molto i forestieri.
Pare anche dall'osservazione delle sue inclinazioni ch'egli non sarà propenso a consigliare al re a far gran passi in vantaggio degli esteri.
E dovrei dire di temerlo anche verso Vostra Serenità come ho avuto qualche occasione di scrivere.
In ogni modo essendo egli di naturale buono e coltivato dalla prudenza dell'eccellentissimo Giustiniano che di tutto è pienamente da me informato, è da sperar che si possa indurre in esso anehe in questa parte miglior disposizione.
Il marchese di Louvois suo primogenito tiene sopravivenza non solo, come ho predetto, nella carica medesima, ma da un anno in qua l'esercita ancora, onde il padre che lo ama estraordinariamente, tenendosi nel Consiglio e confidenza regia, lo va appoggiando in tutto perchè aspira di ottenere per sè l'eminente posto di guardasigilli, quando venisse a mancare il cancelliere.
È vero che alcuna volta il re ha dimostrato scandalo della soverchia ricchezza di questa casa e si stimava di vederla moderata, tanto maggiormente che nello spirito regio non bene si accomodava il detto marchese di Louvois.
Tutta via con la destrezza e con l'assiduità del servizio ha questo versato ministro saputo conservare il suo posto.
Succede a Tellier il signor di Lionne come segretario di Stato alle cose di fuori del regno, carica di miuor lucro, ma certo di stima e di considerazione molto maggiore.
Ha questo signore doti naturali bellissime oltre la nobiltà della nascita, come prontezza nei partiti, capacità non ordinaria, profonda memoria, animo a grandi imprese, e fortunato per quello che abbiamo veduto nella buona riuscita di esse ancora; facilità grande nell'esprimersi e più in carta che in voce.
Ma quello che io apprezzo sopra tutto è il conoscere in esso signore un'inclinazione verso ta Serrnità Vostra vera e costante quanto possa promettersi da un estero ministro, credendo egli in ciò il vero servigio del re.
Ed io spero che in questa massima debba conservarsi, e che non nasca occasione onde egli apprenda che sia vantaggio di Sua Maestà l'alterarla.
Tiene bella figliolanza, particolarmente di quattro maschi; procura che il primogenito marchese di Berni sottentri alle fatiche almeno dello scrivere con permissione del re, ben conoscendo che bisogna guadagnarsi a poco a poco la grazia della Maestà Sua, mentre se instasse per la sopravivenza avrebbe anzi in risposta che si applica a far decadere le altre.
Per terzo ed ultimo io nomino il signor di Colbert, come ministro di Stato, intendente delle finanze, sopra intendente di tutte le fabbriche regie, cancelliere dell'ordine, e più compartecipe di ogni altro della grazia e credito appresso Sua Maestà, onde a lui solo viene deferita la confidenza interna di qualsisia negozio ed affare del regno, essendo certo che professa egli verso il padrone una fede incontaminata, una puntualità impareggiabile con tutti; ed avendosi posto dietro alle spalle, come si suol dire, ogni riguardo per anteporre il solo servizio regio, quindi nasce ch'è al maggior segno universalmente odiato e mal veduto.
Alcuni credevano che la mal riuscita intrapresa d'Africa, come unico di lui parto e consiglio, lo ponesse in qualche discapito almeno appresso l'opinione del re, ma tutto l'opposto è anzi occorso: o sia la continuazione di quella stessa buona fortuna che lo sollevò dalla prima condizione sua di giovine ordinario, con titolo di commesso nel servizio di Tellier, al grado di tanta autorità e stima in che è costituito al giorno d'oggi: o sia il merito suo per quello che risulta al re con l'opera creduta sempre più necessaria di tal uomo nella direzione delle finanze.
Punto che tanto importa ai pensieri e fini vertenti nell'animo della Maestà Sua Colbert è di poche parole, stimato piuttosto aspro nel trattare, lontano in apparenza da ogni vanità, sebbene nell'essenziale non rilasci punto da quella che giudica convenirsi al suo grado.
È avido e studioso di far credere e sperare al re cumuli di gran tesori, in ordine a che con note distinte di rendite ed uscite mensuali, con calcoli di utili e futuri proventi, si affatica di persuadere ed imprimere nell'animo regio di poter acquistarglieli effettivamente e di saper conservarglieli non ostante qualsivoglia contrarietà di guerre, estraordinarii ed altro.
Ed in questo consiste la principal massima e si fa apparire l'unico fine del ministro suo, come un proverbio assai vulgato che quando ha fisso il chiodo Colbert, non vi è ragione o persuasione immaginabile che lo possa stogliere.
Ha tre fratelli; il primo è il vescovo di Lucon di cui si è servito ultimamente il re mandandolo in Fiandra sotto il pretesto dei bagni di Spà, forse ad esplorare alcuna cosa nella congiuntura avvisata d'allora.
Il secondo era sopra intendente in Alsazia, era prima presidente nel parlamento di Rhoan, soggetto abile e prudente assai per maneggi e negoziazioni.
L'ultimo è tenente capitano dei piccoli moschettieri, resi perciò alternativamente uguali nella stima e nel servizio colla compagnia così ragguardevole de' grandi.
Ha teneri figliuoli questo ministro e però non se ne parla.
Di esso Colbert credo poter dire con verità che sia molto più disposto verso Vostra Serenità che qualsivoglia principe, avendomene dati testimonii in più occasioni che mi obbligano così credere e riferire.
Lasciando io finalmente di discorrere di ogni altro principe o ministro regio dirò del solo maresciallo di Turena che il re ne ha fatto e ne farà sempre gran caso, e sebbene a quello si pratica oggidì in Francia di abbassar ognuno ch'è della religione (escludendosi tutto il più che si può dalla grazia e dal servizio) questo solo signore ad ogni modo sussiste nell'animo di Sua Maestà ben comprendendosi che oltre il merito della corona possiede egli il credito maggiore colle milizie ed ha una venerazione particolare appresso ogni ordine del regno ancora.
Per lo che ha l'onore di esser chiamato due volte la settimana almeno in Consiglio con molta distinzione.
Ha sempre l'orecchia regia, e non giunge avviso od estraordinaria occorrenza che non gli venga comunicata.
Non mancherebbe una mattina di presentarsi al re ed in ogni luogo segue egli indefessamente la Maestà Sua, gode vigorosa salute in età di 55 anni ma è senza posterità.
In tutte le conferenze che io ebbi con esso signor di Turena, osservai quella devotissima propensione che sempre maggiormente nutre verso la Serenissima Repubblica; ma com'egli consigliava a disimpegnarsi con onore d'Africa per spinger quelle milizie nel regno di Candia, così tolta quell'occasione che le genti erano pronte, per dire il vero il di lui animo si è di soccorrere la Serenità Vostra con assistenza di denaro non già di soldatesche.
Per ridurmi quanto più brevemente al fine di questa mia umilissima relazione, circa gl'interessi della corona di Francia e nuovi emergenti con quei principi che di sopra non m'è accaduto di nominare aggiungerò, che passa al giorno d'oggi sempre minor corrispondenza tra il papa ed il re cristianissimo, ed è noto come i principii di queste durezze derivarono dall'antipatia di Sua Santità verso il cardinale Mazarini, in odio di cui fu creduto che il pontefice facesse tutte quelle accoglienze e dimostrazioni al cardinale di Retz che nei primi anni del pontificato fecero perdere in Francia il concetto che si aveva della buona inclinazione della Santità Sua.
Da detti interessi del cardinale di Retz derivarono parimenti i termini cattolici che pretende il signor di Lionne esser stati usati seco in Roma dov'egli esercitava allora la carica di semplice ministro sebbene per altro avesse titolo di ambasciatore a principi d'Italia; ed alle cattive relazioni fatte dal medesimo nel suo ritorno, si ascrive in gran parte l'avversione che Mazarini ebbe poi sempre col papa, fomentato dai rapporti dei discorsi continui che hanno voluto dire si facessero da Sua Santità contro il Cardinale in qualsivoglia occasione.
Con tutto ciò durante la vita di Sua Eminenza fosse zelo od interesse, le cose sono sempre camminate con qualche riguardo particolare di non offender direttamente la corte di Roma, e l'odio della Francia non aveva altro oggetto che le persone particolari di casa Chigi, onde Mazarino nella precedente assemblea del clero ed in ogni altra opportunità si è mostrato molto affettuoso alla chiesa romana, divertendo che i vescovi non proponessero il punto della loro dignità in pregiudizio e diminuzione di quella del papa.
Morto il cardinale e scemata l'autorità della regina madre che ha sempre validamente difesa quella della corte di Roma, i ministri poco ben affetti hanno levato la maschera aderendo in ciò il signor di Colbert ed il signor di Tellier.
Questo a sentimenti del proprio figliuolo, l'altro a concetti di alcuni giansenisti che tengono gran credito presso di lui.
L'accidente poi di Crequi diede gran campo ai nemici di Roma di migliorare la loro causa presso del re; ma il maggior male è proceduto dall'aver come essi dicono il papa mancato al re pre- tendendo che non gli abbia tenuta parola circa molte grazie ed indulti che la Santità Sua ed il cardinal Chigi allora legato, avevano fatto positivamente sperare a Sua Maestà senza che poi abbiano voluto venire all'effettuazione.
I Giansenisti prevalendosi di queste congiunture hanno fomentato la Sorbona contro i Gesuiti ed imprudentemente avevano pubblicato il libro di Vernan nel quale si contengono cose contrarie non solamente alla libertà della chiesa Gallicana ed all'uso del regno, ma anche all'istesso sommo pontefice, avendo portato la detta Sorbona a censurar detto libro e l'altro del Guimenio riputato da tutti sommamente scandaloso.
Il che essendo stato fatto passare a Roma da' Gesuiti medesimi per un grande attentato, il papa non ha avuto difficoltà di pubblicar la bolla, della quale essendosi in Parigi avuta precedente notizia si diede prima l'arresto di giugno 1665 per impedire al nunzio tutt'i modi di pubblicarla, e poi quello del 28 luglio col quale viene proibita affatto.
Questo ultimo arresto si vede solamente manoscritto benchè io lo mandai a Vostra Serenità stampato, bastando alla corte che fosse fatto, senza curarsi della pubblicazione che non poteva servir ad altro che a provocare qualche novità per parte di Roma.
Ma essendosi fatto intendere monsignor nunzio Ruberti che era falsa la voce di tale arresto e che si sarebbero ben guardati di farne un simile, stante il partito che il papa aveva tra i vescovi, le divisioni della Sorbona e l'affetto dei cattolici, tale jattanza fu causa che l'antico vescovo di Condon, cioè antico more gallico, per aver rinunciato, fratello dell'ambasciatore straordinario in Olanda fu absentato da Parigi come sospetto d'intelligenza col nunzio; e per l'istessa causa l'arcivescovo di Tours Bouthillier si ritirò spontaneamente dalla sua diocesi.
Successivamente fu stampato l'arresto con agginuta del discorso dell'avvocato generale Talon, ma il giorno stesso che doveva pubblicarsi giunse avviso per corriero espresso della grave malattia del papa, e si prese per espediente di soprasedere la detta pubblicazione.
Dopo di che è stato posto alla Bastiglia il corriere di Lione sospettato di aver nascostamente dai ministri del re arrecati dispacci a monsignor nunzio con dichiarazione della corte di Roma contraria al suddetto arresto.
Un altro ne fu fatto nel mese di maggio prossimo passato contro lo stesso monsignor nunzio in occasione che avendo egli ricevuta dal papa la formula della sottoscrizione contro il Giansenismo, la pubblicò in quella guisa che sogliono i nunzii dove esercitano giurisdizione, il che non volendosi assolutamente che gli si ascriva in Francia si venne però al detto arresto, in cui, come anche più precisamente nel sopra detto del mese di giugno, viene asserito che il nunzio è semplice ambasciatore del papa come principe temporale.
Si aggiunge per il papa finalmente che vi sono stati e continueranno, dubito, rispettivamente i motivi di poca soddisfazione per ambe le parti, Monsignor nunzio Ruberti forse con poca considerazione si è più volte protestato che il pontefice non osserverà il concordato di Pisa.
I tumulti di Avignone arrivati nel fine del 1664 e tosto anco sopiti coll'autorità e forza regia, da chi brama portar fuoco, fu sparso che il re all'opposto li fomentasse.
L'indulto dei tre vescovati di Alemagna mandato in quel punto dal pontefice al re senza la nomina per le abbadie, la libera disposizione per le commende, non piacque, nè fu aggradito.
Le tesi problematiche poi sostenute dall'abate Tellier con l'invito di monsignor nunzio circa l'autorità del papa sopra i Concilii, del primato della chiesa, colla scomunica per bolla espressa delle censure prodotte dalla Sorbona contro l'opinione di Vernan e Guimenio; aggiuntasi la querela di monsignor Ruberti per il discorso fatto dall'avvocato generale Talon in Parlamento, potevano causare qualche grave disordine, se il re non fosse di ottima volontà ed il papa non usasse della sua prudenza.
Ma vedendosi finalmente che nelle promozioni dei cardinali, o il pontefice ha mirato, od il caso portò di non nominare alcuno aderente della Francia tenendosi tuttavia in sospetto il duca di Mercoeur che può pretendere individualmente il cappello per il di lui merito, e conoscendosi il partito Spagnuolo in Roma sempre più forte, si è risoluto di spingervi il nuovo ambasciatore duca di Sciona per bilanciare in quanto sia possibile gli affari della corona facendolo precorrere dal cardinale Antonio.
In secondo luogo io rifletto gl'interessi con casa d'Austria, obice principale de' fini del Cristianissimo.
E sebbene a dire tutto vi si richiederebbe gran tempo e maggior applicazione, oltre quello che Vostra Serenità ha inteso, aggiungerò riguardo al re cattolico che le mosse fatte per accrescer il commercio in Dunkerque, l'opposizione risoluta ai disegni del marchese di Castel Rodrigo di togliere la navigazione del fiume Lis, col render inutile ai Francesi la fortezza, cessa nella pace, di san Venant, l'inventata nuova strada per il paese di Liegi, ad oggetto di comunicarsi da Rethel coll'Olanda per distruggere i dazii dei Paesi Bassi, e tutte le mire tenute dal presente governo nell'allettare i sudditi spagnuoli alla dolcezza dei confinanti governatori Francesi, indicano che si applichi a tutte le vie di prender vantaggio sopra essa.
Ma per l'imperatore già è nota la presente forma con che si è sollecitata l'amicizia di Brandeburgo ad oggetto principalmente di sostenere i due principati di Oppelen e Ratibor in Slesia, devoluti per la dote nel duca d'Enghien, oltre quelle macchine che potessero tendersi di nuovi e grandi pensieri e negoziazioni alla Porta, attento a tutto lo spirito Gremonville inviato a Vienna.
Qui pure annetterò la ripigliata corrispondenza colla detta Porta Ottomana dal Cristianissimo.
E se nei tempi trascorsi fu questo, come ho precedentemente detto, il braccio più vigoroso al quale si appoggiasse Francesco primo per frenare i disegni di Carlo quinto, di presente si rende molto osservabile che i Turchi abbiano promesso di accondiscendere a rinnovare le antiche capitolazioni colla corona di Francia; onde se mai si è avvertito a negoziati dell'ambasciator regio colà, oggidì se ne mostra il più legittimo soggetto di attendervi.
La freddezza poi al giorno d'oggi della corona di Svezia colla Francia, si va piuttosto accrescendo che altrimenti, e ciò per più rispetti.
Il primo fu quando il re di Svezia era in guerra con Danimarca ed i Francesi che potevano come erano obbligati, avvantaggiar le fortune dei Svedesi loro antichi collegati, stettero a vedere e niente vollero contribuire nè agli acquisti nè alla pace.
Il secondo, invece di continuare nella solita puntualità di soddisfare alle pensioni promesse, si è procurato anzi diminuirle, dopo ch'erano anche state ristrette al conte di Tot, ed infine poi ricusate ed assolutamente negate ancora, onde ha tanto dispiaciuto a quella corona il titolo di esser pensionaria della Francia, che rimasta la nota e rimosso affatto l'utile, hanno goduto di secondare l'avarizia dei sopra intendenti delle finanze per allontanarsi dall'obbligo.
Il terzo fu per il secreto contratto stabilito dal Cristianissimo col Danese, onde con questa amicizia nuova, e massime con principe di maggior gelosia, confinante con la Svezia, hanno dubitato di gravi pregiudizii in ogni evento.
Il quarto fu l'affare d'Erdford, mentre si vide che il re per ambizione purissima di arbitrare in impero andò a disgustarsi tutti gli antichi suoi confederati amici; onde oggidì la Svezia che vorrebbe farsi capo dei Protestanti di Alemagna, conviene intraprendere la difesa col tornar le case in pristino o tentarne altro compenso.
E il quinto è che se una volta in Europa la casa d'Austria era quel principe che faceva più ombra degli altri, pare oggidì che a dirittura succeda in suo luogo il re di Francia, onde naturalmente non potendosi mai dipendere colla volontà da chi minaccia la prepotenza, cessa la maraviglia se chi ha animo eguale all'interesse, intraprende i motivi di sottrarsene.
Con la corona d'Inghilterra e coll'Olanda che sono fatti oggidì interessi relativi ed i più importanti che attraggono l'universo tutto, Vostra Serenità ha inteso.
Colli principi del Reno termina l'anno venturo quell'alleanza tanto considerabile che ha potuto opponersi all'autorità dell'imperatore ed al restante delle volontà nella gran repubblica d'imperio.
L'elettore di Brandeburgo entrò nella detta lega del Reno colle condizioni che accennai, l'anno 1664, riservatosegli il terzo luogo, cioè dopo la Svezia.
Ma stante l'accaduto per Erdford, i tentativi contro Colmar e quello che più importa le non pagate pensioni a chi si sia fuorchè a Magonza quaranta mille, ed a Colonia ventimila scudi, non si vede come possa quella ed altre amicizie protestanti, che tanto stimò Enrico quarto ed i precessori di Sua Maestà, lungamente durare.
La più stabile se non la più forte amicizia che abbia conservata la Francia in Alemagna fu individualmente quella col duca di Wirtemberg, poichè questo principe, senza giammai pretendere, nè tirare pensione, ha fatto sempre tutto quello che può contribuire per la corona cristianissima colle dichiarazioni, coll'assenso di leve, col mantener cavalleria e milizia propria, e con ogni altro buon effetto; e perciò non è da credere che sieno giammai i di lui interessi posposti a chiunque.
Ripassando di qua dall'Alpi s'incontra per primo nel duca di Savoja ch'è vinto dalla necessità di star unito sempre colla Francia, onde dirò che l'ottenuta investitura del Monferrato dal collegio elettorale negli ultimi travagli di Cesare con Mehemet quarto, per solo effetto della protezione del Cristianissimo e la sicurezza di dover perdere quel vano titolo assuntosi di Altezza Reale, ogni volta che si separi dagl'interessi, per non dire in tutto dall'assoluto volere regio, come l'abbiamo veduto a dipendere nei due matrimonii, e nell'ultimo particolarmente al quale fu obbligato, sebbene ne risultasse una potente offesa alla casa di Lorena, è indubitabile, secondo che la ragione persuade e la necessità consiglia, che non si staccherà giammai dalla Francia per non dire dall'arbitrio regio e dai suoi ministri.
Quanto alla Repubblica di Genova certo è che le volontà e le apprensioni sono rispettivamente gravi, ma pure anche di queste lascio di discorrere, mentre non posso cominciarne il racconto senza prolissità, non consentita dalle occupazioni pubbliche e dal mio umilissimo rispetto di soverchiamente attediarle.
Basta, che non mancano gelosie e pensieri per ambe le parti.
Circa Parma e Modena sussisterà sempre il merito di quella corona per la disincamerazione di Castro e reintegrazione delle pretese per Comacchio, finchè il re sarà nella presente fortuna.
Per Mantova dove l'imperatrice ha legittimo titolo di succedere nel Monferrato, guardi Iddio che mancasse la linea mascolina della casa, parmi vedere che applicherebbe il re Cristianissimo a prevenire con qualche trattato per Casale, se non fosse così divertito dalle premure settentrionali.
Per il gran duca di Toscana che nella neutralità sa conservarsi l'amicizia di ambe le corone, si è il re più volte dichiarato di non voler udire meno a parlare dell'ingiuste querele, non che ricever lettere dalla principessa di Orleans, congiunta in matrimonio col principe suo figliuolo; ond'è certo che passa ogni buona intelligenza.
Devo concludere questa parte col dire dell'animo ed inclinazione regia verso Vostra Serenità, in che non posso se non comprovar quello che hanno già rappresentato gli eccellentissimi miei predecessori e di che l'eccellentissimo Senato è persuaso che conserva la Maestà Sua buona disposizione verso la Repubblica serenissima, e desiderio del suo sollievo e del suo bene, e che sarebbe anco pronto a procurarlo quando potesse, senza dubbio d'impegno o di azzardo della riputazione dell'armi e del nome francese e senza dispossessarsi di gravi somme di denaro che viene grandemente amato.
Parmi ancora che ciò bastantemente possa raccogliersi dai soccorsi di milizie e vascelli, dalle assistenze di contanti, dalle leve sempre permesse, e dagli uffizii spesi ed esibiti a vantaggio della Serenità Vostra alla Porta ed altrove.
Vero è che se il re, come al presente non ha applicazione veruna agli affari d'Italia, fosse in altro tempo costretto o persuaso ad interessarvisi, si può dubitare che potesse mutar massime e chhe allora con occhio attento e geloso riguardasse Vostra Serenità per toglierle il modo di sturbare i suoi fini, ben conoscendo che nessun principe sarebbe provveduto di mezzi più vigorosi per conseguirlo.
In fine si potrebbe dire che nella diversità degli affetti con che si riguardano dalla Francia i principi maggiori, sia inseparabite l'antipatia colla Spagna; restò accresciuto al presente l'odio contro l'Inghilterra.
Che continui il sospetto nell'Alemagna, che si sia raffreddata la confidenza colla Svezia; che l'unione coll'Olanda sia effetto violento d'interesse, non di buona disposizione; e che le cose di Roma sempre si riflettano con amarezza; ma che all'incontro verso la Repubblica si dimostri sincera benevolenza ed amore.
Ma non tacerò la fortuna che ho avuto di servire nel corso della mia ambasciata per qualche mese all'illustrissimo signor Nicolò Foscarini che ha esemplarmente voluto, dagli studii, senza frapposizione passare con sì degno impiego alle peregrinazioni, per abilitar nelle prime corti di Europa con l'ocular esperienza quei talenti in vantaggio della patria che il signor Iddio gli ha donati.
Come pure l'illustrissimo signor Ambrogio Lombria si compiacque favorirmi nel mio soggiorno a Parigi, benchè per breve tempo fu di passaggio in Alemagna, per raggiunger così ragguardevole ornamento delle notizie del mondo, alle altre parti virtuose che possiede.
Devo rappresentare a Vostra Serenità che alla partenza mia dalla corte, il signor di Lionne in nome del re mi obbligò al mio ritorno pregare Vostra Serenità usar detta sua natural benignità verso Michele Sorgo rimettendolo dall'esilio in che era incorso.
Dissi doverne scrivere, ma Lionne precisamente replicò in nome regio che ne parlassi al mio ritorno.
Avvisai tutto e soggiungo al presente questo cenno per intiera soddisfazione del mio debito.
Per il segretario Marini che col merito di una impareggiabile assiduità servi la sempre venerabile memoria dell'eccellentissimo cavalier Grimani fu mio precessore per lo spazio di tre anni continui ed altrettanti giustamente ha impiegato appresso di me con un'indefessa applicazione di animo e studio, così ricercando la puntuatità di quel voluminoso impiego di scrittura e di negozio, io non posso aggiungere se non che presentandosi all'eccellentissimo Senato, il solo requisito della sua modestia e virtù lo fa degno in tutte le parti della grazia pubblica.
Con che ringraziando la bontà del Signor Iddio di aver con ciò terminate le mie fatiche, non mi resta che benedire la memoria sempre gloriosa dell'eccellentissimo signor cavaliere Grimani mio precessore, che coi suoi dettami ed esempii mi soccorse, per guadagnarsi anche con questi effetti di bontà, sommo merito verso la patria.
E mi consolerò di avere all'eccellentissimo signor Marco Antonio Giustiniano mio successore rinunziata la carica, scritture e notizie tutte, mentre la patria, dai singolari talenti dell'eccellenza sua potrà raccogliere quei frutti e vantaggio che da così degno signore si devono sicuramente attendere, posponendo i gravi interessi della sua casa ed il potente riguardo della propria salute, mentre con savio e generoso impiego s'insinuò subito ed andrà accrescendo in quella gran corte che si può dire piuttosto la prima che tra le maggiori di Europa, stima a se stesso, profitto e straordinario onore a così importante ambasciata.
Di me, serenissimo principe, non ho che dire.
Si compiacquero Vostra Serenità e l'Eccellenze Vostre togliermi da quella ritiratezza che mi avevo prefisso e nella quale mi conteneva facilmente la cognizione della pochezza mia, e comandato di servire in Savoja, poi trasportato nella gran corte di Francia, non portai meco se non il capitale di una ardentissima volontà verso il servigio della patria per incontrare il quale nelle gravissime congiunture correnti Dio benedetto, giudice dell'interno dei cuori sa che con una perpetua applicazione e fatica di mente ho distillato per così dire il poco mio spirito in sudori, ben rincrescendomi che per la fatalità dei tempi non si sia conseguito quello che giustamente è dovuto alla generosità ed al merito della Serenità Vostra.
In qualche incontro che ha avuto la mia famiglia ho procurato sostenere il decoro della rappresentanza, e sebbene il re mostrasse di risentirsi da principio delle premure mie, in ogni modo avendole nel progresso conosciute giuste e necessarie ebbe la bontà non solo di dichiararlo pubblicamente, ma anche di farlo rappresentare dal suo ministro a Vostra Serenità, facendo anco istanza perchè non mi fosse abbreviato il tempo della residenza appresso la Maestà Sua; ed in effetto si è sempre compiaciuto testimoniarmi una benignissima disposizione, e quando mando a mia casa il soccorso di cento mille scudi, destinato a Vostra Serenità, e che io con tutta circospezione e vantaggio li feci pervenire, si compiacque anche accompagnarlo con umanissime espressioni verso la mia persona.
Ed io riconosco che l'imperfezioni mie coperte dal manto della pubblica rappresentanza si sono rese molto meno sensibili.
Ha soggiaciuto colla dovuta prontezza la nostra numerosa fraterna ed aggravata casa alli noti dispendii dopo l'estraordinaria di Savoja, di quella gran corte; tutto dovendosi e vita e facoltà e spirito al servizio della Serenità Vostra, la quale essendosi compiaciuta gradire l'umilissimo ossequio del mio buon animo, non ho che a render le divote grazie ed unitamente del compatimento con che hanno accolto la mia debolezza.
Dalla grazia della Serenità Vostra poi avendomi il re donato una collana d'oro ed il proprio ritratto cinto di diamanti, ch'io presento d'innanzi con questi fogli, anch'io umilissimo imploro il rilascio di detto presente per onorarmi che in ogni parte sia da cadauna dell'Eccellenze Vostre compatito ed aggradito lo zelo del mio ossequiosissimo prestato servigio.