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Mia cara Amica – Jer sera, mentr'io m'andava ricordando che appunto in quell'ora, in quel giorno io stava con voi a San Lorenzo ad udire i buoni presagi del predicatore, e i tristi augurj delle donnette
Mia Signora ed Amica – Sono stato assai giorni fuor di Milano, correndo in posta per le fortezze, e le rive de' laghi, e le strade del Sempione dove alcuni de' nemici, passati per la Svizzera, s'erano fatti vedere; ma si sono contentati delle minacce. Così non ho potuto scriverle, nè ricevere in tempo le sue lettere; n'ebbi cinque a quest'ora, dopo quella spedita aperta; e fu, credo, sufficiente lezione a' curiosi. A quella lezione sua, n'aggiunsi una assai più diretta; bisogna tollerare, ma non fino alla viltà; e que' signori me ne fecero una, e tutta a me solo, e visibilmente contro me solo, ch'io ho dovuto calar la visiera. Le narrerò un giorno un aneddoto che le svelerà quanto in certe persone la bassezza sia diventata un dovere, e la perfidia una ragione di compiacenza: le lettere consegnate in buona fede, ed accolte con molte promesse da chi poteva per mezzi secreti spedirle a Venezia, e togliere d'angoscia mia Madre, furono aperte, e tuttochè innocentissime rimasero fideicommisse a Milano. Ma spero che d'ora in poi saranno meno curiosi, o, non foss'altro meno inesatti.–
Sino a quindici giorni addietro, io avrei scritto nel mio sigillo
Il migliore – ed io giorni addietro era giunto a questo passo della mia lettera, quando improvisamente mi vidi innanzi un ufficiale con l'ordine ch'io partissi sul fatto verso Torino a incontrare la Divisione Italiana che tornava di Spagna: ho dunque interrotta la mia dolce e tranquilla fatica di scrivere a Lei, e ho corso nuovamente le poste; ma senza arrivare sino a Torino; ed ho vanamente accarezzata la speranza di rivedere l'Abate di Caluso, e di parlare di Lei. A proposito, Signora mia, La ringrazio della cordiale e prontissima offerta alla mia richiesta; ho chiesto soccorso liberalmente, ed Ella me lo ha offerto anche più liberalmente: e la mia gratitudine è in me accresciuta dal modo; e vivrà in me finchè avrò senso e memoria: il benefattore rende più nobile il beneficio; e la riconoscenza è un peso (pur troppo!) quando è dovuta a chi non la merita: – Ella frattanto, mia Signora ed Amica, godrà del piacere d'avermi ajutato. ne' casi estremi, quand'anche io non mi giovassi del danaro che le piacque di disporre a Torino per me: non ne avrò forse bisogno; e bisognerebbe che una nuova sferzata, o una nuova baratteria della guercia Fortuna mi spogliassero del danaro che mia Madre ha trovata la via di spedirmi: quella povera donna si ingegnò di farmi capitare due cambiali per la strada d'Ancona; n'ebbi l'avviso, ma non le ho ancor ricevute: e qui la Finanza mi ha fatto una celia bizzarra; e come a me, così a tutti i poveri Veneziani. Dopo un lungo ristagno è uscito un decreto di pagamento de' frutti a' capitali privati esistenti nell'erario; ma si sono esclusi i capitalisti e i sudditi del Re de' paesi invasi o assediati; così beati i soli capitalisti di qua dall'Adige! per noi Veneziani che oggi alimentiamo del nostro 10 mila soldati in Venezia, e li paghiamo col danaro, ch'esce sto per dire dalle arterie del cuore, le casse son chiuse.
Dal diverso carattere, Ella signora Contessa, s'accorgerà che per la seconda volta ho interrotta la lettera; e la ho ripigliata appena ho potuto alzarmi da letto: sono stato male, assai male – que' viaggi notturni e precipitati in questa stagione gelata m'hanno ridata la tosse, e una flussione alla testa, e lunghissime febbri, e m'hanno quasi acciecato; gli occhi miei sostengono appena la luce delle imposte chiuse: sto molto a letto per evitare la fiamma micidiale del camminetto; escirò, quando pur potrò uscire, in carrozza: le strade sono bianche ghiacciate di nevi che fioccarono a gran falde per più giorni e più notti; e fioccano ancora; – ma chi sa quando uscirò! Vedo vedo oggimai, e lo confesso, che il mio corpo è prostrato; potesse almeno rialzarsi l'anima mia; non foss'altro come una di quelle fiammelle che si vanno rianimando nel punto che stanno per estinguersi; ma io morrò senza poter forse sentire tutta la mia dignità: morrò nè cigno nè corvo: e eccomi già: Magro, sparuto e pria che morto, spento
: – ed è un verso che mi fa sorridere per la sua esattissima verità quando mi guardo nello specchio.– Il mezzo foglio è finito; ma gli occhi miei reggono ancora, ed io continuerò a scriverle. – È tanto tempo ch'Ella aspetta mie lettere, e forse credendomi meritevole d'accusa, Ella tutta generosa e indulgente, si contenterà di compiangermi.– Non è più piaga; è ulcera antica, è tabe di insanabile consunzione quest'amore di cui sento tutti i desiderj senza speranza, di cui conosco la funesta irragionevolezza; e lo combatto, e credo d'aver vinto, e poi il delirio ritorna, ed io mi sento nuovamente in una convalescenza che deve cedere al primo ricorso della mia inconcepibile infermità. È
Ah perchè mai Ella mi ha conosciuto! – Ella non potrà più stimarmi; ma Ella, mia Signora, avrà un senso d'amicizia e di compassione per me; ed io perdendo la sua stima – è vero, non sono più uomo! – ho anche il rimorso d'affliggerla. Non sono più uomo, non sono più figlio, non sono più cittadino; non ho forza, nè costanza, nè intelletto; e maledico i miei stessi doveri che mi terrebbero in vita. Nasconderei a mia Madre il mio stato, come le ho nascosta la mia vita nuovamente servile nella Milizia, e la mia malattia per non atterrirla de' miei pericoli: eppure mia Madre non mi tratterrebbe, per quanto io immagini i suoi lunghissimi pianti, – dal proponimento di finire queste mie vilissime angosce una volta. La voce della donna ch'io amo, quella pietosa voce ch'io pure non odo, e non udrò forse mai più, ma che mi suona sempre nel cuore, mi persuade alla vita: e vivendo, forse le circostanze ed il tempo mi guarirebbero. – Ma tale è la mia infermità, e tanti i dolori, e i delirj, e l'avvilimento, ch'io, quand'anche fossi certo di risanare, anteporrei la morte per fuggire tre giorni soli di questa vita disperatissima. Ma oggi io morrei infruttuosamente per quella donna, se dovessi lasciarle una continua ed afflitta memoria di me: maledirei la mia agonia, e spirerei con un rimorso feroce; temerei con superstizione che il rimorso vivesse nelle mie ceneri a tormentarle, se la mia morte dovesse fare più misera quella donna, e macchiare il suo nome, ed agitarla funestamente fin anche nella pace violenta e disperata del suo letto domestico ed in mezzo a' suoi figli. Almeno non mi amasse! o m'amasse meno; o mi desse cagione di non amarla; o fosse almen tale ch'io perdessi questa superstiziosa e lagrimevole adorazione che sento per lei. Non la vedo; non s'attenta di scrivermi; ma ho veduto due volte i suoi figliuoletti condotti nella mia stanza secretamente da una cameriera che è più consapevole che confidente di tanti anni d'amore. La vista di quel bambino uscito quasi dal sepolcro in que' giorni ch'io m'avvicinava per l'ultime volte a sua Madre mi ha illuso di mille folli e care illusioni che sono tosto tornate nella solita disperazione del
Potessi almeno venire vicino a Lei; Ella m'ascolterebbe, ed avrebbe fors'anche il potere non di guarirmi, ma di rasserenare in parte la micidiale tristezza che addensa tenebre a tenebre sopra l'anima mia. Dal principio della mia lettera ch'io rileggo, Ella vede com'io dopo pochi giorni passo dalla consolazione al dolore – ma la consolazione è artificio della mia poca ragione; e il dolore sgorga naturale e spontaneo dalle mie viscere, e ripiove tutto sovr'esse: Ella mi perdoni, mia Signora ed Amica, se non ho saputo tacerlo a Lei; non avrei potuto scrivere se non avessi potuto sfogarmi.
Anche i pochi libri che mi sono capitati alle mani, e che mi sono fatto leggere standomi a letto, mi hanno turbata orribilmente la fantasia. Ho letto la terribile tragicomedia della rivoluzione francese ch'io divido in cinque atti; [1o] dalla convocazione degli stati generali alla dissoluzione dell'assemblea costituente; 2o dall'assemblea, costituente a tutti i delirj della o dal 10 agosto a tutto il regno della Convenzione; 4o dal o dal Consolato a' dì nostri: siamo all'ultime scene: ma non vorrei vederle; – e in che tempi son nato? e che importa a me d'avere veduti sì tremendi e straordinarj spettacoli, e d'avere imparate verità sì funeste? Ripensando a queste storie ho computato che in
Monsieur – Je vous demande mille pardons d'avoir tant differé à répondre au billet que vous m'avez fait l'honneur de m'écrire: le mauvais temps, un rhûme, ma vue de Florence que j'étois pressé de terminer m'ont empêché de courir après Mr. Bazzuoli, il est heureusement venu me voir hier, et il m'a dit qu'il avoit reçu une lettre de M.r Alari relativement à son tableau et à laquelle il a déja répondu; il est effrayé de la difficulté de traduire dignement le beau sujet que vous lui avez indiqué, et vu l'impossibilité de se procurer des modèles, je crois qu'il a bien raison. M.r Alari vous faira part de ses objections; je n'ai pas eu le courage de les combattre. Votre portrait, que j'ai terminé peu de jours après votre départ de Florence, me paroît avoir du succès: M.lle Bianca Milesi a fait, en le voyant, des exclamations, comme si elle étoit une de vos Grâces. «Mais n'est-il pas vrai que c'est un bel homme? mais n'a-t-il pas infiniment d'esprit et de finesse dans la physionomie?». Je convenois de tout en souriant, et elle s'est vite empressée de me déclarer qu'elle vous connoissoit à peine et que c'étoient
J'attendrai vos instructions sur cette note: vous pourrez en dire deux mots à M.me la Comtesse d'Albany la première fois que vous lui écrirez.
J'oubliais de vous dire que M.r Leopoldo Mydlex
me d'Albany. Tâchez de vous tirer de celle-ci tout seul – une autre fois cependant je prendrai garde à ne pas tant griffonner. J'écris moins mal quand je veux y mettre de la prétention. Je vous en demande pardon pour cette fois.
J'ai l'honneur d'être, Monsieur,
P. S. Mon frère me charge de ses compliments bien sincères et vous recommande comme médecin, de ne pas trop négliger votre santé.
Mio Signore e Maestro – Piacciale di spedire l'annessa lettera alla Signora Contessa; se mai la via di Lerici fosse incerta, o i cangiamenti, avvenuti forse in Firenze, avessero sospesa la partenza de' corrieri, piacciale di serbare la lettera per poterla recapitare a tempi più quieti: mi rincrescerebbe che si smarrisse. – S'Ella, mio Signore e Maestro, vorrà degnarsi d'una risposta, tanto che io non dubiti dell'arrivo di questa, gliene sarò tenuto come d'un onore ch'io non merito se non se per la riverenza che Le professo, e come d'un beneficio liberalmente accordatomi. Da più giorni vivo infermo, e quasi cieco, e la febbre dell'orina, credo, infiamma la febbre del sangue: sono assalito da mille pensieri, da santissime obbligazioni, che mi sforzano ora a lasciare l'Italia se mai l'esercito nostro si ritirasse, ora a starmi per ottenere se non altro il sepolcro nella terra dei padri miei: nè so ancora quel ch'io mi farò:
e di questi versi non rido io più, benchè ne ridessi altre volte: e sola mi conforta l'imminente catastrofe che in un modo o nell'altro mi sciorrà di questa mortale e vergognosa perplessità.
Ella, Signor mio, qualunque siano per essere le mie sorti, m'abbia sempre per discepolo e per servitore leale.
Signor mio – La sua lettera scritta il dì Questo di tanta speme oggi mi resta!
– Ma se pur la Fortuna mi ricondurrà in Toscana, come mi riconduce il mio cuore, la disperazione di due lunghe passioni che hanno fino ad oggi tempestata l'anima mia, le donerà forza, o le farà mormorare timidamente dentro di me. Se l'amore e la patria – illusioni pur troppo come tutte l'umane cose! – non mi avessero dettato, io non avrei mai scritto una sillaba; l'applauso mi ha sempre toccato assai poco; ma oggi la necessità di scrivere è radicata in me benchè io mi sia aperti gli occhi da me medesimo alla luce freddissima del disinganno: bisogna ch'io ad ogni modo eserciti le mie facoltà, benchè sappia d'esercitarle inutilmente: per non agonizzare di noja, bisogna morir travagliandosi; ma non da per tutto si può travagliare il proprio ingegno a suo modo; e s'io mi stessi qui in questo stato, nè Omero stesso redivivo nè Sofocle, se pur venissero ad esortarmi al lavoro e ad ispirarmi, potrebbero indurmi a pigliare la penna: bensì perirei di disperatissima noja. – E il mio desiderio di tornarmi in Firenze deriva assaissimo, Signor mio, dalla memoria affettuosa, e religiosissima ch'io serbo perpetuamente della Signora Contessa; deriva dalla stima ch'io a poco a poco ho nutrita, ed oggimai ha preso ferma radice dentro di me – dalla stima a cui Ella, mio Signore, mi ha persuaso. Io trovava seduto in quella stanza tutte le sere un dolce e perpetuo eccitamento allo studio; e una soave indulgenza, e una dilicata cordialità, e la libertà di parole, e la fiducia d'affetti ch'esercitavano il mio cuore e la mia mente senz'agitarla, e moderavano insensibilmente l'ardore delle mie passioni, ardore che spesso, e più in questi ultimi mesi invece di illuminare il mio spirito, e scaldare la mia immaginazione, li aveva quasi arsi e distrutti. Non era sentire; era impazzire quel mio; era stupidità dolorosa; era febbre e delirio – e il cielo me ne preservi; perch'io non avrei più forse nè vigore nè ragione da superarlo: e non sono ancora guarito; e le sia prova della mia debolezza e pericolosa convalescenza questo troppo parlare di me. Ma Ella, Signor Fabre, m'apparecchi frattanto il conforto di quella mite e generosa sua filosofia; avrò da Lei medicina ed esempio. L'aver Ella voluto fare il mio ritratto m'induce ad arrossire sovente: e che ho fatto io fino ad ora, e quanta costanza, e quali armi opposi alla fortuna, e alle umane passioni da meritarmi d'essere dipinto da chi ha dipinto l'Alfieri? – Quel ritratto vorrei che venisse a Milano per onor dell'artefice; vorrei che stesse sempre a Firenze; e così sarà; perchè quand'anche a lei piacesse di spedirmelo a tempi migliori, io me lo ricondurrei senza dubbio, o lo rispedirei – se mai dovessi tardare – a Firenze. La giovine di cui ella mi parla – si chiama r Alari non ho parlato, perchè sono stato ramingo per tre settimane, e non ho mai dormito due notti nel medesimo letto. Lo vedrò, ed egli scriverà al S.r Bazzoli; ma bisogna pur avere ingenito il terrore nell'anima, se si teme che Venere e Marte con quella intenzione della r Bazzoli; Alari gli risponderà; a me non resta che di ringraziare Lei, Signor mio, della cordiale sollecitudine a procacciare lavoro al Bazzoli, e ad esaudire le mie intercessioni pel desiderio del conte Alari. – Quanto a quel a Contessa scrissi per la via di Torino pregando il S.r Abate di Caluso di spedirle la mia lunga lettera. Bench'io rilegga e stimi gli antichi scrittori non so, per quanto mi studi, imitarli a carteggiar brevemente: ed Ella, Signor mio, mi perdoni questa tiritera; me la perdoni alla stima leale, ed all'affettuosissimo amore ch'io sento e sentirò finchè avrò vita per Lei. – Mio Dio! quanti uomini d'ingegno infamano l'Umanità: ho letto non so che intorno al pittore
Non posso parlarti, nè darti più un bacio, nè sentirti dire che mi ami; ti scrivo: ma come darti senza pericolo le mie lettere? ma cosa dirti che tu non sappia?che non t'agiti o non t'affligga? ho scritto una lunghissima lettera; e nel rileggerla il giorno dopo, mi sono io stesso atterrito della tempesta che potrebbe ridestare dentro di te; e non ho avuto cuore di dartela.
Tu brami pur di vedermi; ma come, in nome del cielo! – o tu, mia cara amica, t'illudi; o forse la tua passione è diversa da tutte le umane passioni d'amore, e certamente diversa assai dalla mia. La mia m'arde sempre co' suoi desiderj; ma quand'io ti vedo, nè posso liberamente guardarti, nè toccarti la mano; quand'io ti vedo, e tu devi dare ad altri le tue carezze; e i tuoi labbri, e i tuoi occhi, e il tuo seno e tutte le tue bellezze mi assediano più funeste e più belle quanto più mi sono vietate, allora tutti i miei desiderj violentati dalla simulazione, disperati nel terrore e delusi mi avviliscono e mi divorano. E ti fuggo, e vorrei poterti fuggire sotterra: – l'occasione a' giorni passati mi ha condotto spesso davanti a te; ma io, se potessi star saldo nel mio lungo proponimento, mi allontanerei per sempre dagli occhi tuoi. Bisogna pur ch'io ti perda.
E ch'io perda ogni piacere della vita con te, purch'io ti lasci alfine tranquilla. Cerco di distrarmi: non ho più occhi nè sentimento per nessuna donna; tu m'hai spenta perfino la dolce memoria di quelle che m'avevano amato altre volte: vorrei poterti essere infedele con l'immaginazione e col corpo per domare questo furore che può comunicarsi anche a te, o destarti una dolorosa ed inutile compassione. Non posso. Vedo te sola; ti bacio e t'abbraccio e spiro sopra di te; invoco dal cielo un tuo lungo bacio e la morte; sospiro gemendo al tuo nome come s'io allora esalassi l'ultimo spirito; ripeto a me stesso le tue parole; mi richiamo sul labbro i tuoi baci; guardo estatico e le svelo io medesimo le tue membra celesti; tutte le immaginazioni più voluttuose e insieme più abbandonate dalla speranza mi tengono spalancati gli occhi, e fuggo il sonno io medesimo; mi ridesto, e ti cerco e ti miro in mezzo alle tenebre; – cos'hai tu dunque? Chi sei tu dunque per me? – Vedi che non merito l'amor tuo; non mi parlare più di virtù, di amicizia, o di stima; un amore fatale, inconcepibile, e sublime nel tempo stesso ha sommersi tutti gli altri sentimenti; la mia sciagura è forsennata, ma è pur sciagura e la sento: merito almeno la tua pietà; io che ne ho tanta di te sino ad essere crudele con me medesimo. E se ti ricorderai delle mie lettere quand'io t'era lontano, e delle mie ripetute promesse, e di tanti anni di amore rispettoso e secreto, mi perdonerai ne son certo.
Ricordati anche di quella domenica ch'io sono stato liberamente a lungo con te, l'unico giorno da che sono tornato, l'unico giorno felice per me, e che non tornerà forse più – ricordati del mio contegno d'allora, e vedrai che non la ragione, ma la tua sola presenza, ma l'amore che m'ispiravi, ma la fiducia che avevi di me mi rendevano contro i miei desiderj protettore della tua virtù.
Mentr'io morrei ignominiosamente purchè potessi abbracciarti, io se potessi vederti, credo che un tuo solo sorriso rasserenerebbe l'anima mia; ti rispetterei vedendoti ignuda; ti adorerei con estasi religiosa, e proverei l'estremo della voluttà nel solo alito de' tuoi labbri. – In quel giorno un tuo sorriso rasserenò l'anima mia; ma la rassegnazione violenta, e l'esilio, a cui mi condannasti riardono in me tutti i delirj della passione.
E non che vederti, io non posso nemmeno sapere lo stato dell'anima tua; temo d'offenderti palesandoti la mia passione; d'affliggerti se la dissimulo; di essere disleale se non ti dico tutto quello ch'io sento; temo di affliggerti, di comprometterti, temo pur troppo che tu mi dimentichi a poco a poco; e non ho nemmeno un tuo biglietto che mi liberi da' sì dolorosi miei dubbj. Rileggo le tue lettere, e le interpreto, e mi pajono sempre nuove; ma non mi bastano; paragono il mio stato d'allora quando tu me le scrivevi al presente; ritesso la storia dal giorno della nostra prima conoscenza; la facilità ch'io aveva di vederti sola; e gli ostacoli insormontabili d'oggi che mi contendono fin di guardarti; mi pento della mia discretezza e del mio lungo silenzio; conosco una mano funesta sovrumana invisibile che mi condusse per sì lungo laberinto a svelarti il mio amore e a perdermi dopo tanti feroci (?) combattimenti, appunto quand'era più necessario il tacere; e con questi pensieri gli occhi miei stanno su quelle lettere, finchè scoppiano in amarissimo pianto, o si fissano sovr'esse con lungo e muto stupore.–
Jer sera nel tuo palco io leggeva sul tuo volto tutta l'affettuosa tenerezza che sostiene ancor la mia vita: l'infermo mio cuore ne dubitava talvolta; ma la consolazione che m'hai data, e che mi davi poc'anzi con tanta pietà, mi fa sempre tremare de' tuoi pericoli.
Tu brami ognor di vedermi; – ma vedendomi senza ch'io possa parlarti, nè darti più un bacio, nè sentirti dire che ti amo, e dover dissimulare e temere, non ti senti più sempre delusa nelle tue speranze e più ardente e più afflitta? Per quanto io studj il tuo cuore, non posso concepire come mai la tua passione sia diversa da tutte le umane passioni d'amore; nè posso supporre tanta diferenza ne'nostri caratteri, che tu pure non senta almeno in parte l'ardore che in presenza tua mi consuma. Quand'io ti vedo, i tuoi labbri, i tuoi occhi, la tua mano che non posso stringere, il tuo seno, tutte le tue bellezze e i tuoi vezzi mi assediano più incantatrici e più funeste, quanto più mi sono vietate: allora tutti i miei desiderj violentati dalla simulazione, tormentati dal terrore di comprometterti, e delusi mi avviliscono e mi atterriscono. E ti fuggo; e vorrei che tu stessa, m'ordinassi tu di fuggirti; piangerei morendo, ma non tremerei almeno per te. L'occasione a' giorni passati mi ha condotto spesso a incontrarti; ma io, se potessi star saldo nel mio proponimento, mi allontanerei da te per liberarti dal pericolo d'amarmi troppo, e di tradire te stessa, e soffrire. Bisogna pur ch'io ti perda. Ogni tua occhiata attizza nell'anima nostra una passione che non si potrà mai soddisfare; che può palesarsi all'altrui vista funestamente; e quindi quant'io più t'amo tanto più penso alla nostra perpetua separazione.
Nè posso sapere lo stato dell'anima tua, nè mostrarti la mia per consigliarci scambievolmente, e sfogarci, e darci forza e conforto. Ti scrivo: ma come darti con sicurezza le lettere? e cosa dirti che non t'agiti e non t'affligga? Io aveva Sabbato scorso preparata una lunga lettera; ma nel rileggerla, mi sono sgomentato io medesimo della tempesta che potrebbe ridestare dentro di te; e non ho avuto coraggio di dartela. Temo anche d'offenderti se ti manifesto tutti i caratteri della mia passione; temo d'essere disleale se li dissimulo; temo di non esporti agl'inconvenienti che la più accorta prudenza talvolta non può riparare; temo che tu non m'ami troppo, che tu non m'ami poco, che tu non dubiti dell'amor mio, – e che mai non temo? e desidero, ma non spero, un tuo biglietto che mi mostri tutto il tuo cuore; invoco dal cielo che tu abbia l'intenzione, ma non mai la pericolosa tentazione di scrivermi; saresti forse sorpresa: e frattanto questo violento silenzio opprime di nuove tenebre l'anima mia.
E ricorro alle tue lettere come al solo Codice, ed alla sola storia preziosa e sicura dell'amor nostro. Le rileggo, e le interpreto e mi pajono. sempre nuove; paragono il mio stato d'allora, quando tu almeno potevi scrivermi, ed io me ne contentava – lo paragono all'incontentabile mio stato presente; ritesso la storia dal giorno della nostra prima conoscenza, e i miei affetti sacri e soavi, e i miei doveri ancora più sacri verso di te per otto anni, lungo spazio di vita! paragono la facilità di vederti sola, agli ostacoli che oggi appena mi concedono di guardarti; mi pento della mia discretezza d'allora; maledico il mio lungo silenzio; e guardo con una specie di superstizione una Mano invisibile che ci condusse per ignoti laberinti di sventure, di secreti, e di desiderj, e d'avvenimenti a svelarci, quando più si doveva celarla, la nostra passione; a perdere in un minuto il merito di tanti sacrificj, e di sì generosi combattimenti: a cercarci l'un l'altro quando più si dovrebbe fuggire; – e quanto più medito a questa fatalità inconcepibile, tanto più t'amo; e in questi pensieri gli occhi miei stanno immobili su le tue lettere finchè prorompono in un pianto inconsolabile; e poi tornano a fissarsi sovr'esse con lungo e muto stupore.
Vorrei scriverti, scriverti sempre; per più giorni non ho pensieri nè facoltà di poterli esprimere. – E poi! – vedi; non posso scriverti brevemente, nè con qualche tranquillità: credimi, o cara celeste giovine; quando più chiamo la mia ragione, allora sento la mia forsennata impotenza.
Certo; la mia ragione non si è mai più decisamente alzata come ora contro il mio cuore: anzi per carattere e per sistema ho lasciato agire quasi sempre liberamente il mio cuore: le passioni, se sono insanabili guariscono con la morte, se sono sanabili, guariscono da se stesse col tempo. Ma questa volta ho tentato e tento di guarirmi con la ragione; ed invano: – o questa passione è più violenta di quante io ne abbia provate mai, e superiore alle mie forze; oppure le mie forze sono esaurite e non reggono a tanto combattimento. Vinco ad ora ad ora questa mia febbre; ma mi lascia nel languore della convalescenza; tornano allora i delirj, e torneranno finchè sarò miseramente abbattuto. Ma soffrirò sino all'estremo: mi mancherà la voce da potermi dolere, ma non mai la forza di soffrire per te.
L'uomo, tutti i sensi dell'uomo combattono contro di me, ed ardono le mie vene, e seducono la mia fantasia. Cerco de' rimedj e uno sfogo a' miei sensi; vado intorno ad altre donne; le vedo e mi rimovo dal mio disegno: non ho occhi non ho parole più per nessuna: nessuna ti somiglia; vorrei esserti infedele col corpo per estinguere questa fiamma che potrebbe comunicarsi anche a te; mi accosto ad altre, e divento gelato: corro con la mia memoria a quelle che hanno potuto amarmi liberamente, mi ricordo della lor voluttà; ma l'immaginazione resta fredda e sdegnata. Vedo te sola; e ti bacio, e t'abbraccio, e spiro sopra di te; il tuo nome, e il nome della morte, e un lunghissimo gemito escono insieme fuor del mio petto mentr'io credo di star lungamente attaccato con la mia bocca alla tua, e di esalare nel tuo seno celeste l'ultimo spirito; ripeto le tue parole; guardo estatico e le svelo io medesimo le tue membra divine; le immaginazioni più voluttuose circondano tutte le tue forme, tutti gli atti, tutti i tuoi moti; i desiderj più abbandonati dalla speranza mi ridestano, e fuggo il sonno io medesimo, e ti cerco e ti miro in mezzo alle tenebre, e t'accuso di freddezza, ed accuso me stesso di poca delicatezza – cos'hai tu dunque? chi sei tu dunque per me? bramo la tua virtù insieme e i tuoi baci. Vedi vedi io non merito l'amor tuo, io che lo profano ogni giorno; merito la tua pietà; il mio ardore è colpevole, ma non è volontario; merito la tua pietà, io che ne ho tanta di te, sino ad essere crudele con me medesimo. Ricordati delle mie lettere, delle mie promesse, e di tanti anni d'amore silenzioso e dilicatissimo, e mi perdonerai ne son certo.
Ma non parlarmi più di ragione, di stima, d'amicizia come preservativi alla mia passione. Sono inutili, e non so conoscerle più; l'Amore le ha cancellate tutte, e le ha confuse nel solo suo terribile sentimento. L'amore solo può preservarti, l'amor mio solo: l'amore mi persuaderebbe a scegliere una morte ignominiosa purchè potessi prima abbracciarti; e l'amore stesso, s'io ti vedessi ignuda davanti a me, mi renderebbe rispettoso; mi farebbe contentare d'un'adorazione religiosa, e troverei l'estremo della voluttà nel solo alito de' tuoi labbri. Un solo giorno felice, e che non tornerà forse più, ebbi da due lunghi mesi ch'io sono tornato; quella domenica ch'io ti vidi liberamente: il tuo sorriso rasserenò l'anima mia, e una tua lagrima ristorò l'ardore del mio sangue. La stima, l'amicizia, e tutti gli altri sentimenti sono larve che hanno fino ad ora coperto e mascherato l'amore; le sdegno come ipocriti, ed impotenti, e meschini. Io t'amo; e tu devi aspettarti in me tutti i desiderj e i vaneggiamenti dell'amore, e insieme tutti i più generosi e più nobili sacrificj. So che i tuoi doveri ti vietano di vedermi solo; so che ti mancherebbero i mezzi; ma io invoco sempre quel giorno; non ne profitterei; t'amerei di più, se fosse possibile; ti stimerei di più; e solo il timore del tuo pericolo, e lo scrupolo d'offenderti, e d'abbandonarti a rimorsi m'ispirerebbero quel contegno che ho sempre tenuto con te.
Oh dammi un altro tuo bacio, e non oserò chiederlo più; non esaudirmi, amabile giovine, non esaudirmi: solo pensa ad evitare i pericoli, ed io nella tua sicurezza e nella tua pace, avrò il maggiore de' premii. Se l'anima tua dolce ed ingenua si pasce d'un amore dilicatissimo e sacro, alimentalo; io ti perderò, forse; ma tu non mi perderai mai; resterà il mio ardore nelle mie ceneri. Ma io non sarò mai sì crudele da darti il dolore del mio suicidio; serberò il mio cuore e i miei giorni finchè ti potranno essere necessarj. Addio.
Ho spedita più giorni addietro scritta in più volte una lunga lettera all'e darà agli Alleati: se le speranze di pace o di vittoria svanissero o indugiassero, l'esercito del Vice Re di 60 m[ila] schioppi, valido e intatto terrà le fortezze, e le Alpi marittime temporeggiando – Di me non so; benchè tutti veggano e sappiano ch'io sono infermo davvero, s'ascriverebbe – non a timidità, spero – ma certamente a slealtà; tanto più che – non so se più malignamente o più scioccamente, – taluno mi crede partigiano e consapevole de' secreti del re di Napoli, e vi fu chi m'accusò sordamente ch'io l'aveva veduto per mezzo del March[ese] Lucchesini in Firenze: – non mi sono scolpato; basterà la mia condotta – persisto nondimeno nel disegno d'essere fedele ed al principe che governa, ed alla mia patria; seguirò l'esercito; combatterò cadendo forse più di malattia che di ferite sul campo, ma sarò seppellito in Italia. – Al S.r Fabre i miei affettuosi saluti; gli ho scritto; ne cerchi alla posta. – Per amor del cielo, Ella mia Signora, faccia di riscuotere la mia lettera inviata all'Abate: Le parla d'assai cose; ed anche della mia riconoscenza al di Lei prontissimo beneficio di cui forse non mi servirò: le cambiali di cui le ho scritto mi sono giunte; ma, pur troppo, sono sul tesoro; mi promettono ad ogni modo che vedranno di non lasciarmi partire senza danaro e cieco quasi, senz'essere nè Omero, nè Ossian, nè Milton, bensì vagabondo e indigente com'essi: or che posso vedere alquanto meglio la luce, e avere alcuni giorni di permanenza tranquilla, le scriverò assai più spesso –
J'ai va, mon cher Ugo, par la lettre que vous avez écrit à M.r Fabre que vous m'avez écrit par Turin. Je ne l'ai jamais reçue au lieu que celle que vous avez écrit le 25 est arrivée en peu de jours. Je ne conçois pas qui s'amuse à arrêter notre correspondance qui ne peut intéresser personne. Je vois par votre dernière que vous êtes plus heureux, je m'y attendais; malgré cela vous ne pourriez pas rester ici dans ce moment.
Nous avons depuis hier les Napolitains, et la G.D. est partie. Le restes des authorités sont toujours ici, ainsi que la garnison. On n'y entend rien. Dieu veuille nous donner la paix bient t, on en a bien besoin. Pour vous je vous conseille de mettre de l'eau dans votre vin, non pas phisiquement car vous n'en buvez pas, mais moralement. Il est inutile de se tourmenter pour les autres! peu de gens méritent qu'on leur fasse le plus petit sacrifice et surtout la multitude, et tout le monde est peuple. Il faut au milieu des gens corrompus se distinguer par la sévérité de ses moeurs et les productions de son esprit. Si vous voulez vous donner uniquement aux lettres, vous aurez plus de gloire qu'a
Voilà une filantroque bien déplacée à un compagnon de Mars, et dans le moment qu'il entend ronfler le canon. J'espère que vous serez des réformés et que vous retournerez aux pieds de Minerve. Dieu veuille nous donner la paix.
Votre Belle a perdu tous ses adorateurs: le plus ancien l'a quittée pour sa conduite passée. Le Major est allé guerroyer, ainsi en revenant vous trouverez maison nette, et vous pourrez récommencer à nouveau fraix. On s'est très-occupé de ses actions depuis votre départ, et elle a été quasi toujours malade.
J'espère que votre amie est moins malheurese je m'y intéresse sans la connaître.
Je mène ma vie ordinaire malgré tout le
Tâchez de vous bien porter, servez vous de la fontaine que je vous au conseillée ici, elle est excellente pour rafraîcher les yeux échauffés, et fatigués par le travail. Conservez-moi votre amitié, et comptez sur la mienne pour la vie. A vous revoir. Je fais mettre cette lettre à la poste à Gênes. Je crois cependant que c'est à Milan qu'on arrêtre notre correspondance.
Celle de Turin le prouve.
Da più dì, Signor mio, mi sono attentato di scriverle, pregandola di spedire una mia lunga lettera alla Contessa: e vivo pur molto sollecito d'essa lettera; eccone un'altra ch'io scrivo come posso standomi a letto febbricitante e con un occhio bendato. Non le rincresca, Signor mio, e ne la scongiuro per l'amore ossequioso ch'io le porto, e per la nobile amicizia che la stringeva al
Or, Signor mio, mi perdoni e mi esaudisca; e viva lieto e pacifico nella sua gloria: così non io, bensì a' mesi addietro, quand'io la vedeva poteva paragonarmi a Lei, almeno in questo, e chiamarmi:
Mia cara Amica – Non ho potuto scrivervi prima d'oggi, malato come pur sono d'occhi e di freddo, e di flussioni alla testa – senz'altre cose alle quali la mia ragione è insufficiente rimedio; e la rassegnazione m'ajuta appena a soffrirle. – Vi darò del
Ciò che mi dite del
E voi pure, mia cara Amica, sareste rimborsata a quest'ora, se tutte le più avverse combinazioni non mi fossero venute addosso: tra l'altre, tutti noi capitalisti poveri o ricchi degli stati occupati dal nemico non possiamo riscuotere dal Tesoro il frutto de' capitali; frutto che peraltro riscuotono tutti gli altri; frutto di capitali che stanno qui nel Monte Napoleone: – così quandunque siano per riescire gli eventi, Venezia dovrà essere ad ogni modo sommersa! – ed è pur molto ch'io non so nulla di casa mia; che non so come scrivere al Zante, nè ricevere, nè far girare danaro: – e vivo come posso; – qui le imposte straordinarie, ricorrenti, istantissime dissanguano i poveri, atterriscono i ricchi, e la incertezza dell'avvenire rende egoisti anche i più liberali; nè si trova danaro; nè io vorrei trovarne; voglio e devo bensì trovarmi pronto a lasciare (senza obbligo d'indugiar qui per debiti) questa città fatale che non ho amata mai, e dove gemerei se dovessi esserci seppellito.
Mia cara Amica, un certo signor Pizzamano di Cefalonia, studente d'architettura a Roma lasciò in casa mia certo baule e parecchi libri; fu consegnata ogni cosa al S.r Andrea, con ordine di ridarla al Pizzamano ch'ei conosceva; e questi passò, sono cinque o sei settimane per Milano, ed ebbe da me una lettera per Andrea, e. l'ordine espresso di consegnare le cose lasciate: se venisse da voi, lo potrete riconoscere a quella lettera. – Quel disgraziato di
Or addio, cara amica; scrivetemi ve ne supplico; ogni vostro verso m'è di consolazione; rimproveratemi, ma scrivetemi; mandate le lettere. – se mai vi dicessero che la strada diretta è impedita – mandatele per la via di Torino. Or addio; penerete a leggere, ma vi scrivo con gli occhi debolissimi, a letto, e con mano quasi tremante. Addio.
Grassi carissimo – Pregovi
Egregio mio Signore. – Solo oggi dopo mezzo giorno mi giunse il suo foglio dei 23 gennaio coll'acchiusa lettera per la Signora Contessa d'Albany, e sommamente mi dispiace cotanto ritardo, di cui non so pensar cagion probabile, e che tanto più può essere di conseguenza, quanto v'è più luogo ora di temere che la posta venga interrotta, la qual finora con Firenze ha proseguito all'ordinario, e ieri ancora ne ho avuta una lettera della mentovata Signora dei 28. Ond'anche credo dover io continovare a corrisponderle al solito, come sono per fare questa sera medesima, e le acchiuderò la sua, non parendomi di non doverla arrischiare sotto il solito indirizzo di mano mia, che ogni settimana le vien rimesso, probabilmente già cognito all'Uffizio della posta, e pertanto non sospetto.
Del rimanente la Signora Contessa. più volte mi ha scritto di Lei e che forse lo avrei qui veduto, s'ella trovavasi nel caso di dover lasciare Milano, prevenendomi che a Lei scriveva che in tal caso, se le abbisognassero denari, venisse da me, e le avrei per parte della medesima contati 1200 franchi. Sicchè io sono stato in questa lusinga, benchè così dubbiosa, della quale però nel suo foglio non veggo cenno, ma soltanto ch'ella è molto perplesso nella aspettazione di ciò che va accadendo, e che pur troppo può dar fastidio. Benchè non sono al fatto delle di lei circostanze abbastanza, per venire ad alcun suggerimento; ma solo posso accertare che vi piglio interesse di cuore, e avrò gran piacere se mi occorrerà di servirla in qualunque modo e particolarmente se verrà qui. Però intanto Ella si abbia cura e stia di buon animo, che le nuvole passano, e di nuovo il sole rischiarerassi. Io, ammiratore del suo genio, mi pregerò di esserle buon servitore.
Signora mia – Se le mie lettere non le piovono in casa l'una dopo l'altra, la colpa non è mia; bensì mio tutto il danno, perchè non ho il conforto d'essere almeno ascoltato e compianto da Lei – benchè le lettere mie sono tali da darle più noja che compiacenza leggendole: ma scrivo come posso; e mi giovo de' giorni di E tutto il mondo abbraccio, e nulla stringo
». – Tuttavia mi pare che l'anima mia torni a dolersi un po' meno di sè medesima: però se le avessi scritto cose che la turbassero per compassione di me, o che manifestassero la mia debolezza, lo ascriva a una febbre ricorrente che m'arde la mente; ma poi declina, e passerà affatto, o passerò io: – ad ogni modo bisogna pure
Sono intorno le r Fabre. – Egli non avrà più occhi leggendo con lei questo foglio; ed io non ho più testa nè polso. –
[P. S.] A proposito della
Egregio mio Signore – Le risposi immediatamente ier l'altro significandole il ritardo del suo foglio dei 23 gennaio, del quale aggiungerolle che non credo di poterne accagionare la negligenza di alcuno qui, avendovi osservato il marchio della posta (2) che significa essere giunta la lettera nel mese di febbraio, e lo stesso marchio l'ha la sua seconda dei 4 del corrente venutami senza dilazione alcuna. Ho spedita, come le scrissi, alla signora contessa D'Albany la prima, e domattina partirà la seconda ch'Ella mi raccomanda per una persona per cui la mia premura non può crescere per alcuna raccomandazione. Ma la prego di esser certa che per chiunque Ella m'avesse richiesto, l'avrei servita con non minor puntualità, e con molto piacere, come farò in appresso, sia per simili, sia per altre cose che siano in mia facoltà. Veggo con sensibile rincrescimento nella sua lettera che ai disturbi, alle inquietudini che nelle presenti vicende possono darle travaglio, s'aggiunge la molestia d'una febbre da cui credevo che già dovesse esser libero, mentre nella prima sua avendo letto che da più giorni ella n'era infermo, io pensai che il male fosse passato e soltanto non finito intieramente. E mi rincresce pur molto dell'occhio, del quale spero ch'ella non ritarderà a guarire perfettamente. E così d'ogni altra cosa inclino a credere che volgerassi per lei a miglior esito ch'ella non ispera, non ostante che pur troppo […] sieno […] di presente. Però facciasi buon animo, e mi comandi senza più farmi il torto di pensare che possanle bisognare calde espressioni a impegnarmi a servirla, e in cose piccolissime, quando potendolo in grandi e difficili mi basterebbe saperlo, e non mancherei d'adoperarmi per lei con vero piacere, mentre mi pregio d'esser suo buon servitore e affezionatissimo condiscepolo nella scuola delle Muse, benchè in essa decrepito e smemorato.
Signor mio – Mi sono sentito riavere appena lette le due sue giuntemi insieme jer sera; così almeno spero che la Sig.a Contessa non m'avrà per ingrato nè smemorato; e vorrei pur essere
non posso; anzi quanto più perdo ogni allettamento di gloria e di patria – e si può essere scienziati ed artefici senza patria, non già letterati – tanto più l'animo mio rifugge presso gli amici e i parenti e le persone care e discrete: e ne ho di sì care che mi sarebbe delitto il morire: e le cose che non si possono dire, nè si devono, perchè ad altri parrebbero meschine e ridicole, son quelle appunto che più rodono il cuore di secreta e lunghissima consunzione – ma sia così; se non posso rivedere quelli ch'io amo e se devo pur abbandonarli (chi sa per quanto!) almeno sappiano che io vivo col desiderio di morire vicino a loro: e la Contessa è una delle persone ch'io sospirerò sempre: del danaro di cui essa vorrebbe ajutarmi, non avrò forse bisogno, e fors'anche non passerò per Torino; a mezzo dicembre pareva che il Vice Re in caso di ritirata avrebbe pigliato quel cammino; ora forse s'avvierebbe verso le montagne della Liguria. Allora feci motto della mia peregrinazione e del mio bisogno alla signora Contessa; e la sua pronta liberalità mi obbliga e mi obbligherà a lei finchè avrò cuore e memoria, e come se avessi goduto del beneficio; e caso che tutti i miei provedimenti fossero scompigliati dalla guercia Fortuna, scriverò a Lei, Signor mio, ed Ella mi farà capitare il danaro – ma Iddio volesse che tutti i miei guai dipendessero dal danaro! – e i guai da cui le ricchezze dell'universo non potrebbero riscattarmi, mi furono pronosticati dalla Contessa e dal pittore elegante che mi lesse in volto ogni mio pensiero mentre mi faceva il ritratto: ma, benchè io li prevedessi, poteva io restar immobile e freddo quando l'Italia era tutta sommossa, e un editto richiamava alle insegne tutti gli uomini militari, ed io viaggiava pure con una licenza del Ministero e godeva d'una ra Contessa fra questi – che sanno com'io tornai alla milizia in tempo che nè l'ambizione, nè l'utile, nè la speranza di morir per la patria ci avevano parte, mi compiangeranno come invasato del farnetico del cavalier Don-Chisciotte. Con moltissimi non farei apologia; e chi ha l'animo liberale e signorile, appena udite le mie ragioni, m'assolverebbe. Perchè io fui svelatamente avverso non solo a partigiani Francesi e Tedeschi, ma ben anche alle fazioni politiche; ed unica mia cura fu dì e notte l'Italia; e quando vidi questo Regno di quasi sei milioni d'abitanti industri, agricoltori, ed atti alla guerra, mi lusingai della speranza di vederlo un dì indipendente, e che attraesse con la sua forza e preponderanza o l'unione o la federazione degli altri stati d'Italia: e vagheggiai questi figliuoletti del Vice-Re come nati italiani; ed aspettai anche dalle improvvise e terribili vicissitudini della Fortuna, di cui vediamo oggi un esempio, che la Francia ritornasse alla moderazione da cui dipende la vera forza secreta e la stabilità degl'imperii. Così aspettando, non volli già nè adulare scrivendo, nè combattere per un governo che secondo me abusava dell'armi; oggi le cose sono mutate; e temo assai che la vittoria non alletti alla prepotenza e alla incontentabilità que' medesimi che si professano propugnatori dell'equità, e dell'equilibrio. La Fortuna sollecitata dalle umane passioni accomoderà queste liti un dì o l'altro; dell'Italia non so far vaticinj; di me (benchè infermo, e destituto d'ogni illusione che mi faccia tollerabili le fatiche, e gemendo nell'abbandonare la Madre e i nepoti, l'una assai vecchia, gli altri pupilli) ho nondimeno decretato invariabilmente l'esilio unitamente agli avanzi di questa patria, finchè le sorti delle nazioni non siano stabilite dal trattato di pace. Altro è il non combattere per un governo che abusa dell'armi, e l'irritarlo con la verità e con le vostre opinioni a rischio che si ripigli ciò che vi ha dato in premio, ed altro è l'abbandonarlo quand'è rotto, fuggiasco, e non può oggi mai darvi nulla. Certo ch'io vagabondo e malato porterò un'inutile spada; ma il mio riposo, s'io senza forte cagione restassi qui in tempo che l'inimico venisse con l'armi, e senza un trattato di pace, il mio riposo mi parrebbe infame; e questo basterebbe a farmi amara e vergognosa la vita. Sono bensì immutabilmente deliberato di non ripassare più le Alpi, e di morire in qualunque modo, e in qualunque ora, dove si parla italiano; e le cose mi pajono avviate sì in furia, che i guerreggianti s'indurranno l'un l'altro alla pace innanzi che le porte di Mantova, d'Alessandria, e di Genova siano aperte a' confederati: e pare che lasciando le nostre fanterie nelle fortezze, e gran parte della cavalleria, noi pochi dello Stato Maggiore Italiano e la Guardia reale ci ridurremo nel Genovesato: al che ci condurrà forse la nuova alleanza del Re di Napoli co' nemici – oscurissima faccenda, incerta ancora e perplessa nell'esito, benchè le ostilità contro noi sieno palesi; nè io la giudicherò; bensì non la credo vantaggiosa all'Italia, e il modo ancor mi offende
– E non è certo che il Vice Re, tutto che abbia lasciata la
Eccole assai, e assai troppo di me e delle cose d'Italia; e lasciai correre la penna, sì perchè non dico cosa che non possa essere veduta da ogn'uomo, sì perch'Ella mi accerta che le lettere le giungono pronte ed inviolate. La posta francese è più discreta; non così la nostra; anzi è indiscretissima meco, e pratica del mio carattere; e mi credono mo grado sotto lo zero. E questo mio tanto scrivere è rimedio per la convalescenza; Ella, signor mio, me lo perdoni; Ella s'è offerta con affettuosa generosità a sovvenirmi ne' miei bisogni: or il mio bisogno maggiore è questo di parlare a chi possa intendermi, e di sfogarmi quanto più posso: solo mi rincresce che alla noja della lunga lettera s'aggiunga in Lei la fatica d'indovinare queste mie ciffre; e mi rincrescerebbe assai più s'Ella per gentilezza si pigliasse la noja di rispondermi: a me basta s'Ella si degnerà di ricevere le mie lettere, e di reputarmi sempre per suo servidore leale, e ammiratore, e discepolo.
Mia Signora – Il S.r di Caluso mi ha finalmente risposto, perchè mo grado, è cessato, io esco a passeggiare a' raggi del Sole che pur mi consola, benchè mi scaldi assai poco. Ma l'altra mia
L'alleanza di Napoli con le armi confederate, ha indotto il Vice-Re a lasciare l'Adige, ed accamparsi sul Mincio per far fronte anche dal o il congresso s'è aperto a
Stefano mio – Ricevo la tua lettera oggi o ma da più e più giorni vivo col pensiero amarissimo del tuo stato, e dell'abbandono in cui sei pur troppo col povero amico Atanasio; – non passa ora ch'io non mi strugga per te, e ch'io non cerchi con tutti i mezzi, e non implori dal cielo il modo d'ajutarti: mio Dio! il cielo è sordo; e gli uomini non possono, s'anche volessero, darmi soccorso tanto qui tutti sono stretti ed afflitti e spaventati a morte dalle circostanze, e dalla sciagura imminente; e chi spera ne' cangiamenti diventa persecutore ed odiatore di noi. Di me, caro Stefano, non so altro se non che sono malato di reuma e di febbre, e sprovveduto d'ogni danaro e d'ogni speranza, e sarò fra non molto necessitato ad andare in esilio vagando di paese in paese, e chi sa dove! – Ho fatto di tutto, ed io lo doveva, perchè tu vivessi agiato per il mese di Gennaro; – ora non potrò far altro (e pur troppo non farò ciò che dovrei, ma ciò che più posso in queste estremità!) non potrò altro che spedirti quello ch'io avrò affinchè Atanasio che ti soccorse non perisca con te: – o passato, e mi dice che Naranzi senza lasciar ordini per Lei, abbandonò Venezia; e la mia disgraziata famiglia corre pericolo e di perire di miseria! – Non posso più. – Scrivetemi subito subito; accertatemi se m'aspetterete fino ch'io torni a ricongiungermi a voi; scrivetemi; non ho altro rifugio che di venire quando potrò a stare e a consolarmi, e a dividere il pane con voi. – Lunedì o Martedì vi spedirò danaro; quel che potrò. Addio addio –
J'ai reçu par Turin, mon cher Ugo, dans l'espace de deux ou trois jours vos lettres du 8 Janvier et 5 Février. Je crois qu'on les oublie sur votre table – enfin je les ai reçues et les ai déchifrées avec peine infinie. Je vois clairement que vous êtes dominé par votre imagination. Je vous plains de tout mon coeur. Malheureusement il n'y a pas de remède. Les poètes sont tous de même! – Il est triste et malheureux de ne pouvoir jouir de la societé de la femme que vous aimez. Vous ne pouvez pas cependant oublier qu'elle appartient à un autre qui ne veut pas de vous chez lui. Il faut donc vous résigner, et vous contenter de l'aimer comme une amie. Vous devez vous rappeller que dans ce pays vous lui avez fait une infinités d'infidélités. Si vous aviez été dominé d'une grande passion vous n'auriez pas été si avide de conquêtes, et quelles conquêtes! Les sens seuls y avoient part, car ces Dames ont bien démontré depuis qu'elles ne vouloient que des hommes – Vos passions sont malheureuses, car la belle à la couronne Torreale a n'est pas digne non plus de vos soupirs. Je crois cependant que pour celle ici vous avez un rival au moins pour la moitié de sa personne la plus belle partie, je doute que cela lui réussisse – Pour vous je vous répète ce que je vous ai dit dans ma lettre du trois, que vous devez uniquement vous occuper des lettres – Je n'avois pas lu l'article de la gazette dans laquelle vous parlez de la
Ayez soin de votre santé, armez vous de courage, nous nous retrouverons encore à bavarder disputer et rire des follies des hommes. Vous n'êtes pas encore arrivé à l'âge où le monde n'est plus qu'une lanterne magique a plus gaie ou plus sombre selon les sujets.
Comptez à jamais sur mon amitié, et mon tendre intérêt. M.r F. vous exorte à devenir raisonnable, je le gronde aussi quelque fois. Aimez-moi toujours, et donnez-moi de vos nouvelles si vous pouvez –
Mia Signora, – Ricevo oggi la sua de' 2 febbrajo per la strada di Genova; ed era pur gran tempo ch'io sospirava un suo foglio, e n'aveva oramai disperato. Al signor di Caluso ho già inviate tre lettere; questa è la quarta: faccia Dio che non corrano tutte raminghe; ad ogni modo antepongo la via più lunga alla più diritta, perchè so che da Parma nè da Mantova i corrieri nostri non passano.
De' tanti consigli ch'ella affettuosamente mi scrive, io n'aveva dati alcuni a me stesso; ma le passioni sono pur malattie che non si domano co' rimedj, se non quando hanno percorso lo stadio dell'infiammazione; così almeno sento in me stesso: oppure la natura ha temprato tali caratteri che di necessità non possono fare altrimenti; il che non vale forse a scolparmi, bensì a farmi condannare con men severa giustizia, e con più indulgente equità. – Ma come le sono grato delle cure ch'Ella con tanta degnazione si piglia di me e della poco fortunata mia sorte, e ricevo senza alterigia, bensì con riconoscenza, le lodi ch'Ella mi dà, e mi duole di non potermele ben meritare; così non ho potuto vedere senza dolore ch'Ella mi creda ambizioso
J'ai reçu, mon cher Ugo, hier votre lettre du 10 par l'abbé, et c'est par lui que je vous. réponds, ce sera la troisième vous ne m'en accusez aucune. Je n'ai pas eu celle par le diplomatique. Il l'aura gardée pour lui ou sera resté à Boulogne avec son patron, qui étonne tout le monde. – On vit dans l'obscurité et j'espère la paix pour nous rendre la lumière. – Dieu veuille nous la donner prompte et durable. Il me paroit que les victoires en Champagne n'ont pas été durables, d'après leurs gazettes.
Je suis charmée que votre santé est mieux soignez-la quand il fait froid, nous ne l'avons jamais senti tout l'hiver comme depuis deux jours –
Je voudrais que la glace puisse influer sur le volcan de votre imagination, qui me paroit avoir une irruption nouvelle depuis que vous avez quitté la table ronde. Vous auriez besoin d'une personne raisonnable qui vous remît dans le chemin du bon sens et vous fît voir les choses pour ce qu'elles sont, et non pas poétiquement.
Je vous crois très attaché à votre amie mais vôtre conduite ici, m'a prouvé que vous n'aviez plus d'amour pour elle. Quand on est amoureux toutes les femmes sont égales, excepté celle qu'on aime. Il est vrai que les hommes ont une manière différente d'aimer de nous autres – Votre imagination a besoin de s'occuper, et n'importe de quel objet! Vous ferez bien aussi de renoncer à cette autre Dame, croyez-moi celle là ne mérite rien,
Pour moi je mène ma vie ordinaire je suis à la fenêtre à voir passer la lanterne magique, elle est drôle.
Ayez soin de votre santé, revenez quand vous pourrez, sain de corps et d'esprit, et disposé à. étudier, travailler pour la gloire et pour passer votre tems agréable. Si vous faites de bons ouvrages on vous connoîtra davantage que si vous aviez conquis le monde.
Conservez-moi votre amitié et comptez sur la mienne. M.r Fabre vous salue. Il est
Je voudrois que vous fassiez un jour de même de la Poésie, ce sont deux Muses qui se donnent la main –
Egregio Signor mio – Spedii senza ritardo alla signora Contessa la sua terza lettera giuntami acchiusa nel suo foglio dei 9, ma ho differito a darne a lei riscontro sperando di poter nel tempo stesso ben presto darle delle nuove di quella Signora, ed accertarla che le lettere facean libero il corso loro. Secondo il solito io n'aspettava una ier l'altro, e non venne, ma è giunta oggi insieme con una più recente appunto di due giorni, nella quale, che è dei 13 v'era acchiusa quella che le trasmetto. Onde ho il piacere di darle la soddisfazione più compita. Del rimanente ho letto con vivo interesse quanto ella mi scrive considerando le difficili circostanze fra le quali ella si è dovuta risolvere. E certamente il temporale era brutto assai, nè tuttora ne siamo in salvo. Ma dabit Deus his quoque finem
, e forse meno grave che si pensa. Ella è giovine, e d'un merito non solo singolare, ma conosciuto. Ora la sanità va meglio, e se questa non gli manca, parmi che non le bisogni far altro che darsi un po' di pazienza, ed aspettar la pace, per veder allora qual partito ell'abbia a prendere; e non credo che possa non trovarne un convenevole. Le cose da lei scritte possono aver dispiaciuto a chi pensa altrimenti. Ma primieramente credo ch'ella potrà scegliere quel soggiorno che più piaceralle. Poi ella ben vede che anche i monarchi alle persone celebri per ingegno e stile hanno gran riguardo; e con mediocre prudenza ella potrà essere tranquillo sotto qualunque governo. Sicchè stia pur di buon animo, ed abbia cura della sua sanità, e compiacciasi a voler piuttosto figurarsi che liete e belle venture verran con aureo piede al suo soggiorno. Io di cuore gliele desidero ed auguro. Credo che la settimana ventura mi giungerà altra lettera per lei. Intanto a suoi comandi mi rinnuovo suo affezionatissimo servitore, e vecchio riformato condiscepolo
Je profite, mon cher Ugo, de toutes les occasions pour vous écrire sans avoir la consolation que vous m'accusiez d'avoir reçu aucune de mes lettres. J'ai chargé, il y a un mois, un Français qui partoit, d'en mettre une à la poste à Gênes. J'ignore si elle vous est parvenue. J'ai écrit par Turin, et l'Abbé m'a mandé de vous les avoir envoyées – En voici encore une par M.me Millesi avec votre Roman traduit en allemand que je vous renvois. – Tâchez de vous rappeller, si vous pouvez, au travers du bruit des armes, de me dire si vous l'avez reçu. Il me paroit que vous êtes devenn très-étourdi! Toutes vos malheureuses passions vous tournent la tête. Il serait tems de vous calmer et de remplir votre coeur uniquement d'amitié pour votre amie, – dont vous ne pouvez pas être autre chose que ami – Quant à la Dame du Mausdí
Vous devez à la personne que vous aimez d'affermir son âme contre une passion qui la rend malheureuse, et qui ne peut que faire son malheur, puisque son mari la désaprouve si ouvertement. On ne peut pas moralement lutter contre le droit d'un mari! C'étoit à vous de le tromper si vous pouviez vous ne l'avez pas sçu, il faut en subir la peine. Vous avez bien sçu ici vous gêner pour un
La Princesse reste chez elle jusqu'à présent, on dit que le beau-frère la laissera jusqu'à la paix, d'autres disent qu'on veut la faite partir. Sa résidence contrarie ma voisine de Santa Trinita a cause de sa fille qui est disgraciée de Son Altesse, comme vous savez depuis longtems. Les […] de Como, qui étoient payés, regrettent les, eaux, car vous savez que l'argent est le Dieu des Florentins.
Comme vous vous intéressez à tout ce qui regarde l'ami que je regrette, et que nous admirons. Il a pris la fantaisie à un libraire de réimprimer ses tragédies, et il a trouvé je ne sais comment une copie de la
Carissimi Stefano ed Atanasio – Da che siete partiti non ebbi sino a jer l'altro mezz'ora di serenità agli occhi tanto da potervi scrivere: col cangiarsi della stagione, mi sento assai migliorato, e comincio ad uscire: ho ricevuta la lettera vostra, e m'assicuro con mio dolore di ciò ch'io prevedeva, pur troppo, che voi sareste assai scarsi di danaro,
.... Leggo e sempre leggo, e così aspetto aprile, tanto ch'io possa avere un po' di foco nel corpo, nell'anima e nell'ingegno: e aspetto insieme, e quanto voi, impazientissimo l'ora di potervi essere ospite e passarmela in santa pace con voi; tanto più che comincio a invecchiare, e i vecchi hanno bisogno d'una famiglia che li raccolga. Or addio, miei cari. L'Angiolo sta bene, e tu, finchè la fortuna mi conceda di starti vicino, madre mia cara, manda a me e a' tuoi figli la tua benedizione. – Addio, addio.
Signor mio – Da più mesi non passa giorno ch'io non abbia in pensiero di scriverle, – come da più anni, poichè conobbi la famiglia Giovio, io fui tutto suo, e più che mai nelle sue sventure e ne' suoi pericoli; e il sapere ch'Ella, signor Conte, non godeva più della sua prima salute m'afflisse secretamente e m'affligge: ma di che prò potrebb'essere mai una lettera al mio rincrescimento, ed al suo stato? una lettera mia oggi ch'io non saprei nè come incominciare nè come finire? tanto il mio cuore è pieno pieno, e la mia mente destituta dalle speranze e dalle illusioni s'è aperta più che mai alla luce funerea del disinganno. – Ella non creda, Signor mio, che le cose politiche mi tocchino, come una volta: – r Conte, lo stato della mia vita che corre oggimai verso l'anno trentesimo sesto; Ella lo contrapponga al suo e vedrà forse che i mali della mia fantasia sono peggiori de' mali della sua infermità; e che io r Conte, Ella si faccia coraggio ora che
Carissimo – Mi bisognerebbe per mezz'oretta uno de' penultimi fascicoli del giornale
T'ho promesso, mia cara Lucietta, che non intenderai più le querele, e non vedrai più le lagrime del tuo povero amico; e ti sarò fedele anche in questo. Resta ch'io ti dica che non mi vedrai più d'ora innanzi: – rassicurati; non posso nè devo morire; bensì l'ultimo giorno della [vita] di mia madre, sarà l'ultimo della mia vita. So che tu m'hai amato, e mi deve bastare; son ormai certo che tu non m'ami; e come l'amore non si....
Io ti scongiurava di non ritormi il tuo amore, perchè era il mio solo conforto; quest....
Com'io t'abbia amato nessuno neppure tu stessa puoi immaginarlo; io solo sento quello che provo; e in questo sentimento provo anche un orrore su' giorni avvenire se la ragione ed il tempo non placheranno la mia funesta passione: ma la mia passione non deve annojarti, come forse avverrebbe s'io continuassi a mostrartela davvicino; non deve inquietarti, come, è avvenuto jeri mattina. Tu non m'ami; ne sono sicuro; da due mesi in qua ti vai raffreddando ogni giorno; non te n'avvedi forse, ma io io non posso dissimularlo a me stesso; non voglio dissimulartelo a te. Io perdo tutto perdendo l'amor tuo; nè la tua pietà, nè la tua amicizia, nulla insomma mi può bastare; – ma tu non perderai in me il tuo più leale e più tenero amico; e finchè vivrò ed in qualunque luogo sarò i miei occhi si volgeranno al.... il mio cuore mi parlerà di te sempre, ma, non mai per accusarti. Ascrivo i motivi della tua fredezza alla tua virtù; la colpa di questo amore è tutta mia; e mi rassegno a soffrire la pena come un'espiazione dovuta....
T'ho promesso, mia cara amica, che non intenderai più le mie querele, nè vedrai più le mie lagrime: e ti sarò fedele anche in questo. Resta ora ch'io ti dica che non mi vedrai più; e così tutto sarà consumato: tu non devi avere rimorsi; e non temere, perch'io non devo per ora morire: aspetto bensì con non so qual amaro piacere l'ultimo giorno di mia Madre e sarà il penultimo della mia vita. È vero che l'amor mio per te, mi fa innorridire su' miei giorni avvenire se mai la ragione ed il tempo non lo placassero: da quanto ho sofferto conosco tutto quello che soffrirò; nessuno al mondo può immaginarlo, nessuno potrà mai rimediarvi, perchè nessuno, nemmeno tu stessa, può immaginar come io t'amo: ma l'amor mio non deve nojarti, come forse avverrebbe se continuassi a mostrartelo davvicino: e non deve inquietarti, come è succeduto oggi ne' primi primi momenti a che dopo tanti giorni a stento ho potuto vederti sola.
T'ho promesso, mia cara amica, che non udrai le mie querele, nè vedrai più le mie lagrime: e ti sarò fedele anche in questo. Resta solo ch'io ti dica che non mi vedrai più i e così tutto sarà consumato.
S'io mi fossi appigliato a questo fatale partito sette mesi addietro, io non t'avrei certamente tanto inquietata, avrei forse lagrimato meno amaramente; e tu fors'anche oggi m'ameresti come una volta: la colpa di quanto soffro è dunque mia tutta.
Ora non mi ami, tu tenti forse, amabile giovine, di dissimulare la tua freddezza non solo a me, ma ben anche a te stessa: t'inganni; non mi ami più: da due mesi in qua ti vai raffreddando; ascrivo la mia sciagura alla tua virtù, ed a' nobili sentimenti del tuo bel cuore; e però non posso accusarti: ma il tuo contegno d'oggi deve bastarmi.
Bensì accuserei acerbamente e senza difesa me stesso, se permettessi che la tua dolce ed affettuosa pietà, e la nostra antica e dilicata amicizia, e le rimembranze di tanti anni di benevolenza e di fede fra noi, assumessero oggi le sembianze e i diritti dell'Amore. Io perdo tutto perdendo l'amor tuo; nè la pietà nè l'amicizia potranno più compensarmi: ma perdendo l'amor tuo sono certo almeno che non me lo sono demeritato: bensì me lo demeriterei se m'avvilissi sino ad annojarti, e ad inquietarti. Io sarò sforzato perpetuamente ad amarti; ed io voglio sforzarti a. stimarmi.
Ma tu non devi avere rimorsi; torno a ripeterlo: la colpa è mia tutta.
Non temere per la mia vita; non devo per ora morire: bensì aspetto con non so qual amaro piacere l'ultimo giorno di mia Madre, e sarà il penultimo della mia vita. Ma se quel giorno tardasse, l'amor mio mi fa innorridire su l'età che mi resta: da quanto ho sofferto conosco tutto quello che soffrirò; perchè nessuno, neppure tu stessa, puoi immaginar com'io t'amo: e non potresti oramai rimediarvi neppure tu stessa.
T'ho scritto quanto più pacatamente ho potuto, perchè la mia lettera non ti sembri dettata da un cuore esacerbato, o da una immaginazione esaltata. Addio donna funesta e divina per me: – non t'affliggere della mia sorte; – e non fu forse una mano sovr'umana che mi condusse per sì lungo labirinto di passioni ad amarti? – e come amarti! – mi rassegno dunque a pagare questa espiazione al mio destino.
Addio: io perdo tutto perdendoti; ma tu, non ti dimenticare, te ne scongiuro, ch'io non esigendo più amore da te, vivrò senza lagnarmi de' miei inevitabili patimenti, e morrò nominandoti – Addio per sempre –
È tempo che l'amico tuo ti nasconda i delirj dell'amore, e ti mostri i teneri affetti della sua religiosa amicizia. Scòrdati dell'amante, o amabile giovine, e più amabile per la tua virtù, e ricordati sempre del tuo amico. Ah! s'io perdessi anche la stima e la fede che tu mi hai conceduta, maledirei l'amor mio. – In quest'anno, ed è presto un anno, di funesta passione, ah quante volte agitando io l'anima tua, e sforzandoti al pentimento e alle lagrime, ah quante volte ho corso pericolo di demeritare anche la tua stima! oh come fors'anche ti sarai pentita di avermi detto d'amarmi! Una specie di febbre che m'assale e poi cade per riassalirmi più fieramente m'accecava (?) malgrado tutte le difese della mia ragione e della forza di cui sono capace; malgrado anche la religione che m'ispirava la tua virtù, e la pietà ch'io doveva avere di te. Ma tu donna celeste hai conosciuto, che la colpa non era del mio cuore, ma della mia terribile malattia; tu invece di abbandonarmi hai voluto sempre compiangermi, e perdonarmi, ed amarmi: – e s'anche m'hai creduto non solo misero, ma ben anche colpevole, la dolcezza e la nobiltà del tuo cuore hanno sempre perorato per me. – E lo merito, sì lo merito perch'io t'amo, e t'adoro in modo che un tuo sguardo, una tua parola, e il tuo stesso silenzio bastano a […] in un momento l'anima mia, a farmi piangere di rimorsi e ad adorare la tua virtù. –
È vero ch'io in questi ultimi mesi mi sono sentito riardere più l'amore, vedendoti raffreddata; io non esigieva altro favor da te, fuorchè l'unico di farmi talvolta credere che il tuo cuore non s'era dimenticato di me. Non dimandava tanto il tuo amore, quanto la tua pietà; – e mi è sembrato che mi negherai anche la tua pietà! Ma, non credere no, ch'io fossi sì dimentico di te di me stesso e delle mie promesse, da volerti indurre ad amarmi più che i tuoi doveri non te lo permettano: – la poca frequenza delle mie visite appunto quando tu eri più libera, te ne sono di prova; e […] del mio carattere ti sono di prova ch'io non sarei stato mai nè sì vilmente crudele da voler profittare della sventura che tiene lontano tuo marito per rapirgli la fedeltà d'una donna che gli sarà d'ora in poi la sola e la più dolce consolazione della sua vita. La mia funesta passione assale e assalirà sovrana i miei nobili sentimenti; ma non li distruggerà mai; la natura li ha messi dentro l'anima mia, e tu, l'amor tuo, la tua virtù, la tua sola memoria basterà a farmeli conservare. Io amo tuo marito, e più di lui amo la tua possibile felicità; e se tu fossi mia ed infelice con me, ti darei io stesso nelle braccia dell'uomo che potrebbe farti men misera. –
Or addio, cara amica; non pentirti d'avermi amato, e vivi sicura ch'io t'amerò fino che avrò senso di vita dentro il mio cuore; i miei sospiri saranno tuoi da qualunque parte; saranno tuoi i sospiri della mia […]. – La mia mente sarà diretta dalla mia forza, e dalla potenza delle mie passioni; ma tutte le ore, tutte le azioni della mia vita sono condotte da te e dal ricordo d'averti amato. Mi saranno men dolorose le infermità, e le angosce dell'anima mia, se dovrò soffrirle per te; e se mai cessassero, in modo ch'io possa aver calma da […] il mio ingegno, io l'occuperò, (?) o mia Lucietta, per mostrarmi più degno di te; – il mondo non saprà certo che tu […] ma tu lo saprai, e s'io meriterò la stima del mondo, il tuo cuore ne sarà […] di dolcissima compiacenza. –
Addio; eccoti un libretto ch'io ti prego di conservare; è un libro che serbo da quando io aveva dodici anni; il primo libro di poesia e d'amore ch'io lessi; l'ho sempre portato meco, e non ho voluto prestarlo mai ad anima nata; l'ho lasciato per pochi giorni alla Lenina, e e me lo son fatto restituire […] – posso quasi dire che in quel libro ho
Ti ringrazio d'avermi fatta vedere la tua famiglia; la tua accoglienza in quel giorno mi parve sì fredda! – L'attribuisco alla gioja tranquilla che allora godevi: – ma i miei rimorsi d'avertela turbata, e la disperazione di possederti rinnovarono le lagrime e l'amarezza dell'anima mia.
Ho veduto quel ragazzo per cui avrei a costo del mio sangue aspirato ad esercitare gli affetti e i doveri di padre; mi avrebbe fatto più caro al tuo cuore, e mi avrebbe consolato della tua perdita; gli avrei dati i miei sentimenti, il mio nome e le mie poche sostanze, e tutta la mia tenerezza per te: avrei almeno avuta una dolce e forte obbligazione di vivere: – ma io sono condannato a vivere e a morire nella solitudine! – E pareva che quel ragazzo sentisse che il mio cuore era suo.
Gli altri nelle loro passioni hanno almeno le speranze, o se non altro i timori e i calcoli dell'avvenire: io nell'amor mio onnipotente non vedo che il freddo orrore del nulla: – [e ne sono atterrito].
Tutte le mie facoltà sono sovvertite; la mia ragione sì sdegnosa e forte una volta, corre pericolo di smarrirsi; le mie passioni di gloria e di patria; i miei affetti figliali, sono tutti annientati e [sommersi nell'amor mio] : spesso in tutte le ventiquattr'ore di un giorno non v'è minuto ch'io non abbia innanzi a me la tua immagine, la mia passione, e questo orribile nulla! temodi perdere la mia ragione! – allora il vivere sarebbe delitto per me; perch'io allora […] Tal altra volta medito senza frutto più su la mia passione che sopra di te; e allora ti dimentico e sorrido desiderando di morire, e sapendo che posso morire: – ma posso morire finchè tu m'ami?
Misero me se frattanto io perdessi la mia ragione; allora diventerei oggetto di pietà e di riso; allora ti tradirei! – Vedi dunque, o amica mia, che se la mia forsennatezza crescesse, il vivere sarebbe delitto per me. – Ma
Presto forse ci divideremo – forse per sempre! – il Vice-Re deve pensare alla ritirata; e la principessa andrà verso Nizza in Provenza: tu la seguirai: non so s'io seguirò tuo marito; aspetterò i suoi ordini: – fors'anche non potrò più vederti.
Cara Mamma – Oggi finalmente s'aprono le poste; e appena ho tempo di scriverti. Stiamo benissimo, l'Angiolo ed io; nè ora più la vostra vita, nè la nostra salute correranno pericoli. L'Angiolo era a Monza; e lo aspetto da oggi a domani; so che sta ottimamente, e mi scrive spesso. Spero che il signor Naranzi vi avrà pagato o fatto pagare puntualmente le solite pensioni; io ho adempito fedelmente a' miei patti con lui, e credo che non vi avrà lasciate nella miseria in sì durissime circostanze. Sabbato prossimo gli scriverò; per ora, addio in fretta, addio – e tu, madre mia, benedici i tuoi figliuoli che vivranno sempre per te.
Cara Mamma – Ricevo in questo punto la vostra de' 30 aprile, e v'accludo una lettera di Giulio che è qui meco, e ci starà forse finchè siano decise le sorti d'Italia, e lo stato nostro incertissimo. Ma qualunque sia per essere la fortuna, –il cuore nostro resterà conforme a' nostri doveri, e noi due faremo a gara per soccorrere la nostra famiglia. Frattanto io continuerò a farvi pagare li 18 napoleoni al mese, e l'affitto: il signor Naranzi, ch'io ringrazio affettuosamente delle sue cure per voi in così critiche circostanze, vi pagherà il mese di maggio, e ventiquattro napoleoni d'argento per l'affitto scaduto in febbraio: altro per ora non posso fare. – Ma per l'avvenire combineremo; frattanto spero che il vivere sarà divenuto più a buon mercato a Venezia; – Giulio mi promette che appena riscosse le sue paghe vi manderà 20 napoleoni; ed è uno sforzo ch'egli fa; poichè i debiti da lui fatti in sì disastrosa campagna militare, le paghe scemate, e la poca speranza di avvanzamento gli lasciano pochi mezzi ad adempiere le sue buone e figliali intenzioni: però potrà far poco d'ora innanzi; ma il necessario, miei cari, non vi mancherà per ora finchè avrò vita. Speriamo sempre nel Cielo; e la tua benedizione, mia cara Madre, che ha liberati i tuoi figliuoli da tanti disastri, continuerà a soccorrerli. – Mostrate questa lettera al signor Naranzi perchè vi paghi. – Addio.
Mia cara Amica – Ricevo oggi una tua lettera – perdonami, ma io voglio darti sempre del tu – una tua lettera che ha per data – r Giulio, come se il mio danaro fosse un tristo amuleto di cattivo augurio, o un indizio di congiura, mi mosse non so quante difficoltà; le cose politiche lo resero taciturno ed ombroso come un delinquente, ed avventato spesso come un idrofobo: finalmente, dopo molti o il conto preciso del mio debito verso di te; 2o di dire al S.r Montelatici, a cui scrivo oggi, che non gli devo pel casimiro pigliato dal sarto Andreini se non se, come trovo ne' miei appunti, lire fiorentine 102. 6. 0. – Vero è che sono appunti datimi da Stefanino fatti (Dio sa come!) ma poichè in fine del conto si tratta di undici braccia in circa di casimira, a lire 9, e parte a lire 10 al braccio, il computo è facile a farsi: quanto al saldo, fatevi comunicare la lettera che gli scrivo, e regolatevi. – 3o Al S.r Forini speziale, appena ricevuti i miei danari, pagate, mia cara, cinque monote e mezza, e fatevi fare un saldo. – 4o Fate la carità d'informarvi se alla madre di Pietro furono date da Gigi della Contessa due monete ogni mese; tanto ch'io sappia come sdebitarmene: – queste cose tutte, massime l'ultima, fatele, ve ne prego, secretamente. – Unite alle
Amico – Senza saper dove tu sia, diriggo costì questa mia lettera, pregando il Cielo a voler proteggerla, e fartela pervenire con la possibile sollecitudine.
Amabile Ugo! come ti ritrovi di salute? che ne dici di questa strepitosa catastrofe? ne sei tu sbalordito al pari di me? io ne rinvengo a fatica, ed in verità che una maggior riflessione mi farebbe affatto impazzire; e perciò basti così. Dimmi quando conti di venir ad abbracciar la tua Mamma, ed a riveder i tuoi Amici: affrettati, te ne prego, giacchè non vorrei che di bel nuovo v'insorgessero delle difficoltà, e rimanermene per la seconda volta delusa nella mia aspettazione, poichè fatalmente furono ben sfortunati li tuoi proggetti dello scorso Natale.
Fui sempre qui, nulla soffersi nel blocco, e la mia salute è buona; desidero aver di te eguali notizie, e se il Cielo arrise a' miei voti non ho nulla a dubitare; affrettati di assicurarmene, ed accogli le proteste cordiali, che partono dall'ingenuo cuore della tua Amica.
Amico mio – Indarno ho aspettato che mi giungessero vostre lettere; nulla so di voi dall'11 febbraio, giorno che ricevei l'ultima vostra in data del 4. Non so se più sia il desiderio di vostre nuove o il timore che dandomele mi confermiate ciò che ho sentito dire di un certo disastro accadutovi per voler difendere Prina dal furore del popolo, sempre ubriaco e violento quando è padrone di sè – ma qualunque siino le circostanze che vi abbino disturbato, vi prego di dirmele; dirmi lo stato vostro passato, quello presente, e come state di salute; voi sapete quanto mi sono grate le lettere che di voi ricevo, pensate che sono tre mesi che ne sono priva, e che ciò mi fa dispiacere sommo; perciò non mi tenete più in pena.
Sarete già istrutto del nostro ritorno agli antichi sistemi: le leggi e gl'impiegati del '90 ritornano in vigore; pochi giorni sono bastati per demolire quel grand'edifizio che aveva costato venti anni di fatiche e di sangue. Che rovesci!!
Addio, Ugo, sono con vera amicizia
Si è parlato assai di Voi; ed io ho creduto del caso di farvi dare una missione, che vi verrà comunicata dal Ministero della Guerra.
J'ai reçu hier, mon cher Ugo, votre lettre du 2 février. Il s'est passé bien des événements depuis ce tems. Avouez que N. a verifié ce que je disais toujours qu'il ne sauroit pas mourir.
Je ne conçois pas comment il peut vivre méprisé et haï de tout le monde – Que fera-t-il dans son Isle? le passé le présent et le futur doit lui être à charge –
Dîtes-moi s'il est vrai que vous avez manqué de faire le saut périlleux en vous meslant des désordres du peuple. Je cónçois que vous l'avez fait; mais en général il faut n'avoir à faire avec personne. Vous me direz que c'est un égoisme imperdonable je le sais; mais
J'espère que je vous reverrai bientôt et que nous causerons à fond; que de siècles ce sont passés depuis que vous nous avez laissés.
J'ai payé à la mère de votre domestique tous le mois un sequin. Si vous pensez à revenir ici, pensez au moins à revenir avec des dispositions économes – et à être raisonnable. Parlez-moi de votre santé, de vos yeux, de vos sentiments.
Avez-vous réfléchiqu'il faut renoncer à la femme d'un autre? Donnez-vous entiérement aux lettres à l'étude ne perdez plus votre tems, et comptez toujours sur ma tendre amitié, et mon indulgence pour vos égarements d'imagination.
Ne m'oubliez pas vous auriez déjà du me donner de vos nouvelles depuis le tems que les lettres passent.
M.r Fabre est enchanté de la libération de son pays; il vous fait ses complimens. Une de vos belles est allée à Rome et a Naples avec M.me Bellfort; ainsi vous devinez de qui je veux parler. Les autres sont dans l'espérance d'un meilleur sort. Adieu à vous revoir. La Santini et ses filles sont allées saluer le Pape à Rome.
Carlo Porta Fratello, e voi Vincenzina Sorella, e voi Violantina, ed Annetta, e Peppino figliuoli miei;·e voi esemplarissime serve matronali di Casa Porta Madri mie dilettissime in Cristo; io Meneghino Fenestra
Signora mia – Invece di scriverle da Milano, veniva io medesimo a Firenze a sapere alcuna cosa certa di Lei, e da Lei; ed a dirle ch'io vivo e vivrò sempre suo. Ma qui, appena giunto, mi veggo tolta per ora la compiacenza di farle una improvvisata, e bisogna pur ch'io le scriva. Ed avrei pure e vorrei scriverle di molte cose: basta per intanto ch'Ella ne sappia una sola, ed è: che in Milano chiunque non è del partito di una o di un'altra nazione, corre pericoli, non tanto dagli stranieri, quanto dalla stolta malignità de' nostri cari concittadini che non sanno ciò che si vogliano, ma che pur riescono a fare del male a chi amò sempre sinceramente la patria, e a chi non potendo preservarla vorrebbe almeno che non cadesse vilmente e degna di riso. – Per fuggire sì fatti pericoli, veniva in Firenze; e per adonestare la mia partenza mi feci addossare una commissione militare tanto da poter anche tentare che si riducano a casa que' pochi nostri disgraziati che militavano di presidio nell'Isola dell'Elba, e che non essendo stati pagati, sbarcheranno forse a Livorno o a Piombino dandosi a rubare a masnade. Or qui, il generale che comanda gli Austriaci non crede di potermi dare licenza da passar l'Apennino; – potrei venirci anche senza licenza; – ma mi si dice che il generale r Fabre; ed ella frattanto mi abbia sempre per amico ossequioso, e servidore leale finchè avrò cuore e memoria –
P. S. Rucellai Le avrà recati i miei saluti; partì da Milano poche ore prima di me; ed io per capitarle innanzi improvviso non gli dissi che sarei partito il dì appresso anch'io. –
Eccellenza – Dal S.r Capo Battaglione Deassarta V. E. rileverà lo stato delle cose relativamente al Battaglione Coloniale di là dall'Apennino; – di qua, ne ha cura il S.r Maggiore Ferri, ma le sue cure si riducono ad aspettare: quanto a me, giunto in Bologna r generale Staremberg comandante la Toscana; – ma siccome non ho ordini da V. E., e d'altra parte il S.r Deassarta informerà particolarmente V. E., o così starò in Bologna aspettando gli ordini di V. E., o quelli che il Generale austriaco attende qui su gli ufficiali italiani dal maresciallo di Bellegarde. –
Piaccia frattanto all'Ec. V., di considerarmi
Mia Signora – Le scrissi jer l'altro notte; la posta, secondo me, era mal fida e tarda, e consegnai la lettera ad un Fiorentino che s'affretterà di farla ricapitare. Trattasi, e però la prego di rispondermi, se potrei senza mio pericolo venire almeno per pochi giorni a Firenze senz'essere molestato nè indurre in sospetti chi governa ora il paese: qui mi si fanno ostacoli a darmi il passaporto; ed aspettano risposta da Milano; eppur da Milano io era venuto con carte a Lucchesini, alquanto afflitta. – I miei complimenti al S.r Fabbre. –
Cara Amica – Da che ti scrissi da Milano, ho dovuto improvvisamente venire a Bologna; ci sono da tre giorni, oggi; – ma oggi solo parte il corriere: m'apparecchiava a venire alla sfuggita sino a Firenze, se gli ostacoli che mi si fanno da chi tiene questo paese non mi obbligassero ad aspettare i miei passaporti dalle lettere di Milano al Generale comandante a Bologna, e dalle informazioni che chiesi alla Contessa su la sicurezza individuale di chi ora venisse a Firenze: tutta l'Italia è ora piena di commozioni, e di sospetti. Aspetto dunque risposte da Milano, e dalla Contessa; tu non dirne parola nè far motto ch'io t'abbia scritto. Quanto al pagamento di cui t'avvertiva, ho lasciato ordine che si mandi a te una cambiale da Milano di lire cinquecento cinquanta incirca; e ti verrà spero inviata da un dì o l'altro. Tu frattanto scrivimi subito a Bologna; la tua lettera, se mi hai risposto sarà a Milano; onde ti prego di farmi motto specialmente sui nostri conti – Addio addio il tuo
Cara Madre – Vi ho scritto sabbato 7 corrente da Milano; – da lunedì mattina sono a Bologna, e ve ne avverto per vostra quiete; Naranzi vi avrà, spero, pagate anche dell'affitto. – Io sto bene; – l'Angiolo gira anch'egli col suo Generale. – Scrivetemi subito a Bologna; addio, Madre mia e Rubina e Pippi. – La tua benedizione a' tuoi figli, Madre mia cara. Addio in fretta.
A una lettera tua carissima del 15 Giugno 1813 rispondo quasi un anno dopo, poichè essa arrivò a Venezia dopo la mia partenza, e lasciai divieto che le mie lettere fossero innoltrate in Francia, onde se v'erano cose a me care non andassero perdute, se v'erano noie non mi frastornassero. Certo del senso che doveva produrmi ogni prova della tua memoria verso di me, ti giuro che la lettura ieri fatta de' tuoi versi e della tua prosa mi fu farmaco nella serie de' guai che mi opprimono, parte de' quali ho meco portati in cuore ritornando a Venezia. Non è possibile legger più lettera, libro, giornale, sentir più voce, veder più persona che non corra a rammentar disgrazie, che non risvegli timori, che non distrugga speranze: la sola tua lettera che mi parve scritta dall'altro mondo mi ha fatto un estremo piacere, e quell'animale di Giornalista, vestito così della pelle di Camaleonte, come mi hai pennelleggiato nella prima pagina, mi ha divertito infinitamente.
Il tuo amore poi mi ha fatto una sensazione la più matta che dir si possa, e veggo che l'anima è esposta a trovarsi alle volte in tale stato da giudicarsi febbre ogni sua sensazione, e delirio ogni azione. Crederesti che io ho sentito amore per questa donna che non ho potuto capir chi sia, a e che pensando a lei sento caldo, e non [la?] vedrei con indifferenza, così che tu hai in me un poco efficace rivale, ma pur sempre un rivale! Ridine, ma la cosa è così, e io non posso far che non sia. Oh qui sì che il proverbio Ama chi t'ama è fatto antico
! Quando verrà Lucia vedremo, se perspicace ella più di me come Donna, indovina l'oggetto del nostro amore e della nostra rivalità. Leggerà la Canzone e si vedrà come il novello Cervantes abbia pennelleggiato lo stile, i modi, i tempi della bella Dulcinea.
Tu mi hai ricordate tutte le nostre pratiche fiorentine, dove io pur sarei felicissimo di poter rendermi, e di poter riassumerle in pace sotto quel bel cielo, in quel per me incantato e felice soggiorno. Ma!!!!
Ma senti se io sono bruttamente infelice, piangi con me, e la compassion dell'amico mi sarà cara quanto altro sollievo esser mai possa.
Fui in Francia dopo pubblicato in calamitosi tempi il primo messale della mia Storia. Sarà buono o cattivo il libro, a me costò sudori, vigilie, e danari immensi. Passando per Milano il Principe ne ebbe un esemplare di dedica, e vide che bisognava darmi coraggio: così che senza chiedergli nulla, egli mi diede un decreto per 30 m. franchi, ma pagabili in 5 anni. – Questo già evaporò col Regno d'Italia.
Giungo a Parigi, presento il mio lavoro alla Biblioteca dell'Imperatore e all'Instituto. – Se ne fanno estratti da Ginguené, da Quatremaire, si stampano, si publicano, e mi si associa persino al sinedrio di que' dottori: l'Imperatore che sa tutto, legge tutto, ordina un rapporto in cui gli si proponga modo d'incoraggiamento e di premio. – Parte il rapporto dei Ministri, e alla battaglia di Lipsia io perdo esemplari di dedica, perdo ogni lusinga, e torno in Italia colle pive nel sacco, pieno di fuoco, senz'un osso da rosicare.
Spero di rimettermi dalle mie piaghe, e per mia sventura la guerra sul mio con stazione di corpi d'armata in casa, mi riduce all'eccidio, perdo tutti i generi, ma mi lusingo di salvar la terra quando un cane di Generale Rembour taglia gli argini del Tartaro, dove meriterebbe d'esser egli affogato, e perdo ogni terra, cosicchè mi trovo mentre ti scrivo con 8 piedi d'acqua su tutto il mio per colpa d'una pretesa operazione militare, che mi ha ruinato per anni ed anni.
Così ridotto mi chiudo in casa povero e gramo come un Lazzaro, sperando di poter studiare, quando un accesso violento di gotta mi attacca piedi, e stomaco, e sto fra dolori e l'imbecillità per una quarantina di giorni.
Risorgo da questo male, e mi accade un disastro di famiglia de' più crudeli. La figlia di mia moglie, la Bentivoglio, in casa di cui ho passato tutto l'inverno per non poter arrivare a Venezia, ha perduta la ragione a causa di un fiero esaltamento religioso, ed ecco due famiglie in lagrime più che per la total perdita d'un esser sì caro.
Mi manca di sepellirmi nella merda come il Giusto dell'Evangelio, e poi ho avuto il bisogno e posso correre la mia carriera con Giobbe. Sono qui a Venezia ove il figlio mi raggiunse ieri e appena arrivato fu colpito da una gran febbre. – Sarà cosa accidentale, ma è però vero che anche questa goccia aumenta la piena dei dispiaceri.
Tu cosa sei nella carriera di Marte? Mi fece specie questa tua voltata di bordo improvvisa: poichè mi par prevalere il Montalcino, il panforte, le starne e le beccaccie senesi al formaggio e al latte lombardo. – Null'ostante anche il latte ha preso questa volta il suo piccante.
Dammi ora nuove di te. Scrivimi qualche cosa. – Ho bisogno di consolazioni, e ti ho ben mostrato in qual situazione io mi trovi. Non pottei viaggiar che peregrinando a piedi mal calzati.
Gradirei di veder il tuo busto per la madre tua, che potresti mandare a Venezia e riceverei come Presidente se vuoi – siccome avrei gradito il tuo Sterne se fossemi giunto – ma nol vidi mai.
Addio caro caro amico – Lucia è ancora a Ferrara molto combattuta su ciò che la consiglieranno di fare le affezioni del suo cuore esulceratissimo. – Ed io sto qui difendendo la mia povera casa, acciò non sia occupata, e malconcia dalle spade, essendo piena di oggetti d'arti e di studio. Addio ancora. Abbraccia ed ama il tuo affezionatissimo amico
Je vous ai écrit, mon cher Ugo, le 7 à Milan et je viens dans ce moment de recevoir votre lettre du 9. J'ai d'abord été consulter un ami commun, qui a la première place et demeure ici in Pinti, il m'a dit de vous conseiller de ne venir ici qu'avec un passeport du r de Staremberg pour lui en demander la permission, mais écrivez qu'on puisse vous lire. Vous direz que ayant habité Florence long tems vous y avez des affaires.
Je sais toute votre histoire: c'est une follie de se mesler des affaires
M.r Fabre vous fait ses compliments. Portez-vous bien, et soyez raisonnable – et économe. A vous revoir.
J'ai reçu hier, mon cher Ugo, vos lettres du 9 et du 11 après le départ de la poste; j'y ai malgré cela répondu d'abord, et j'envois celle ci à notre ami le Préfet au cas que quelque estaffette parte pour Boulogne. Il est inutile de me recomander l'exactitude quand il s'agit de vous être utile. Je ne conçois pas pour quoi en ôtant votre uniforme, et redevenant un simple particulier, vous ne pourriez pas obtenir un passeport pour passer les Apennins. Je sais que les A. sont minutieux, malgré cela il me paroit impossible que vous ne puissiez pas venir à Florence – Je sais toute votre histoire, et tout ce que vous avez fait depuis le mois de Novembre, et je n'ai
Au cas que vous n'eussiez pas reçu ma lettre de hier. Il faut avoir un passeport de Sommariva qui vous serve de
Vous pouvez dire que vous avez des affaires à Florence après l'avoir habité si long tems; c'est assez naturel. Adieu portez-vous bien et comptez à jamais sur mon tendre intérêt –
Je vous écrirai encore demain par la poste. Qui sait si avec
Adieu à vous revoir. Stiozzi est Préfet il a été nommé par les Napolitains et fait très bien la place – Mandez-moi par quel hazard vous avez vu la L. – Toute cette famille fronde l'opinion publique, et se fait détester. Elle croit faire des merveilles!
Stefanino mio e Atanasio carissimi – Ricevo oggi la vostra di Pavia degli otto corrente. – Le cose che si sono dette di me furono esagerate ad arte; e s'inventavano e propalavano persecuzioni che non mi si erano fatte, affinchè chi non mi conosceva pigliasse motivo di farmele. – Quanto al venir vostro in Toscana, se Atanasio s'impegna di accompagnarti, o Stefanino, io non dico di no; ma in questo caso bisognerebbe che voi faceste prestissimo, tanto ch'io mi trovo da queste parti. L'avere scritto a Naranzi, io non lo condanno; devo bensì dolermi di voi che l'avete fatto senza confidarmelo e dubitando della mia amicizia. Del resto Naranzi non può nè darvi, nè togliervi il permesso. – Gli obblighi furono contratti da me verso la vostra famiglia, e verso vostro fratello, e verso di voi, mio caro Stefanino e la vostra gioventù, e finalmente verso me medesimo e l'onor mio: nè in questi tempi e alla vostra età posso abbandonarvi a voi stesso e non mancare insieme a tanti obblighi sacri; tanto più che ultime lettere dal Zante tornano a impormeli, ed a scongiurarmi di serbarli ancora per tutto quest'anno: ed io non voglio che sia mia colpa se non li serberò; bensì colpa d'altri se mi torranno i mezzi di adempierli. Or quanto a te, Stefanino mio, prescindendo anche da' tuoi doveri verso di tuo fratello e di me come tuo compagno, tu hai un altro dovere più sacro di non fare, per questi giorni almeno, a tuo modo, e di non abbandonarmi: e questo è dovere d'amicizia verso un uomo che correndo pericoli nè avendo terra che forse possa in Italia raccoglierlo, tu quanto più t'allontanerai da lui, tanto più gli renderai difficile anche il rifuggio ch'egli potrebbe avere da te e con te. – Dopo di ciò, io torno a dirti che se Atanasio può venir subito subito venga pur teco; ma teco; nè tu dovrai moverti senza lui: venendo subito subito ci vedremo qui, e forse anche a Firenze. Ma se invece Atanasio, com'io credo, aspetta il compimento dell'anno scolastico che ha termine col finire del mese io, caro amico, credo migliore partito per voi, e più onesto verso di me, e più saggio per tutti noi che aspettiate fino a tutto Giugno: allora io sarò senza dubbio tornato a Milano; allora le cose pubbliche saranno distenebrate; e potremo fare il viaggio insieme, e metterci in pace una volta in Firenze fino al ritorno di Dionisio, e fino a che le circostanze ci consiglino di pigliare alcuna decisiva deliberazione. –
Meditate tutti e due, miei cari, quanto vi ho scritto; rispondetemi subito su quel che farete; torno ad insistere che o venghiate senza indugio, o aspettiate la fine delle scuole; e sono anzi del parere che aspettiate sino al mio ritorno che non tarderà ad effettuarsi. – Scrivetemi ad ogni modo prontissimamente e sempre a Bologna –
Eccellenza, – Continuo ad attendere gli ordini di V. E., e le cose stanno com'ebbi già l'onore di scriverle; alle mie lettere s'aggiunsero le notizie recate dal S.r Caposquadrone Dessarta, e quelle partecipatele dal maggiore Ferri che sta ancora in Bologna: anche al sig. Mombelli, che torna a Milano dalla prigionia militare, commisi con caldissime raccomandazioni di manifestare verbalmente a V. E. lo stato nostro. Il maggior Ferri crede opportuno ch'io vada in Toscana; me ne fece l'invito in iscritto; il Generale D'Eckardt, comandante il territorio e le milizie austriache mi rilasciò a questo effetto una specie di passaporto: ma io non mi movo senza gli ordini di V. E. poichè la commissione datami m'assegnò per confine della mia corsa, Bologna. Frattanto la dimora di due ufficiali superiori in questa Città potrebbe adombrare, ed ha forse adombrato; essendo altrui mente ch'io vada a cercare il battaglione coloniale e i suoi arnesi militari in Toscana, ed avendone una specie d'ordine nel passaporto rilasciatomi, io mi sto qui come tollerato, ed in procinto di giorno in giorno d'essere rimandato a Milano, o spedito a Livorno. Ma io non vorrei dover fare cosa al mondo senza gli ordini di V. E. – però li imploro quanto più caldamente ed ossequiosamente io posso da Lei – Piacciale frattanto di accogliere le proteste della stima ossequiosa, e della subordinazione devota con cui ho l'onore di dirmi dell'Eccellenza Vostra Dev.mo servidore e subordinato obbl.mo
Voici, mon cher Ugo, la troisième lettre que je vous écris depuis que j'ai reçu les deux vôtres du 9 ed du 11. Je vous répète toujours la même chose il vous faut un passeport de r Litta ou autre vouloit venir en Toscane ils ne trouveroient aucune difficulté. Mais si vous voulez venir armé
Nous sommes très-tranquilles les Toscans attendent Ferdinand, et pourvu qu'ils ne soient pas obligés à guerroyer, et puisse r Fabre vous salue, probablement vous vous disputerez quelquefois.
Caro Ugo – Voi siete a Bologna ed io vi aveva scritto a Milano per saper nuove di voi, che già erano quattro mesi che ne stavo desiderando. Ho ricevuto ancor un'altra vostra e non mi dite niente di ciò che vi è accaduto a Milano: perchè questo segreto cogli amici? – ma se venite da noi vi perdonerò il silenzio e vi ascolterò con pena e piacere. Io credo che non vi sia alcuna difficoltà per venire a Firenze, vi sono molti forestieri che non sono disturbati da alcuno, e perchè dovrebbero disturbar voi che sete conosciuto da tutta Firenze?
Se volete i conti pendenti eccoli:
Ma non vi appenate per pagare, che queste sono bagattelle, e anche le lire cinquecento delle quali me ne lasciaste una cambiale potevi fare tutto il vostro comodo, non avendo bisogno di quel denaro per ora. Pagherò il Forini come mi ordinate, e in quanto al Montelatici io ve ne aveva scritto a lungo in una lettera dell'inverno passato, che chi sa qual sorte avrà avuto; vi dico però che non volle esser pagato avendoli detto che facilmente sareste venuto a Firenze nella primavera. E siccome spero che verrete non torno a farle parola.
La mamma di Pietro, mi disse Lorenzo ch'era stata pagata pontualmente. Or addio, l'idea di rivedervi presto mi empie l'anima di gioia perchè io vi sono e vi sarò amica eternamente. A proposito, il seccatorissimo Rosellini stette da me da cinque ore; mi aveva veramente fatta venire la rabbia. Si parlò di voi e fra le altre mi disse che facevi all'amore con la signora marchesa Maddalena Corsi oltre alla Nencini la quale veniva segretamente da voi, ecc. ecc.
Addio Addio.
Le soussigné a l'honneur de renvoyer cy-joint a Son Excellence Monsieur le Général Baron Dekhardt, en consequence de ses ordres, l'autorisation de voyager en Toscane; et dont il ne s'est point servi, en attendant les reponses du Ministre de la Guerre relativement à l'objet de sa Mission. Le soussigné attend les lettres de Milan qui vont arriver, pour venir les communiquer a Son Excellences et prendre ses ordres definitifs.
Cara Amica – Ricevo la vostra di Sabbato – Non sarei venuto sino a Bologna se non avessi aspirato a toccare Firenze; – ma gli ostacoli crescono, a quanto mi pare; certo è che tarderò a sormontarli. S'è dovuto scrivere a Milano perchè la mia venuta qui e la mia partenza per Toscana sieno giustificate: ho scritto anch'io; non vedo risposta. Frattanto parmi di r Montelatici ed al Forini, tostochè ti sarà rimesso da Milano il danaro accennato. – Bensì non potrò mai, mai ricambiarti della fede e della generosità d'animo, e della dilicata amicizia con cui m'hai trattato, e mi tratti: e mentre scrivo, sento che le parole non bastano alla mia gratitudine dolce e profonda verso di te. – Seguitate frattanto a scrivermi sempre a Bologna; domani forse mi tornerà la tua spedita a Milano; e s'io fra pochi giorni non sarò qui, resterà persona che me la farà rimandare dove anderò. – Dio Signore , e la Gigia
Salutatemi assai assai e carissimamente la bambina grifagna, e la Gigia, e l'Argo, alla cui vigilanza sdegnosa raccomando la porta quando tornerà il Rosellini. Della Topina vi mando i saluti; è a Milano, e vi narrerò una sua storiella che le fa poco onore; ma non ne ha colpa; fu la povera zitella rufianescamente sedotta, e ingravidò, e ne portò la pena vedendosi innanzi due arcibrutti figliuoli – Addio addio.
Mia Signora – Delle tre lettere sue che mi accenna, l'una – che fu l'ultima da lei scritta –mi fu data dalla posta jeri mattina; l'altra l'ebbi verso sera dalla Sig.a Elena Conti; e quella spedita a Milano mi tornerà forse dentr'oggi. E la ringrazio quanto il mio cuore può ringraziarla; e benchè nelle sue lettere e ne' suoi consigli io vegga anzi crescere gli inciampi alla mia venuta a Firenze, pure m'è grande conforto il vedere che nè il silenzio, nè il tempo, nè i cangiamenti delle universali fortune che irritano le passioni e le opinioni di tutti, hanno potuto raffreddare in Lei la nobile benevolenza di cui mi onora. – Or quanto al mio viaggio, pare a Lei forse ch'io ambisca di andar per le strade armato di tutte armi in divisa? V'andai dalla Marchesa Lucchesini perchè in quell'ora stessa usciva io d'una visita al Generale Deckhardt comandante in Bologna, ed a cui ho dovuto pur presentarmi militarmente. Nè potrei far altrimenti col Generale che comanda in Firenze. Uscii di Milano senza passaporti; bensì sotto colore d'una missione militare, perch'io non volli dipendere dalla nuova Polizia Lombarda creata e composta da persone che architettarono l'infame e sanguinoso e codardo tumulto del
Mia Signora – Delle tre sue lettere delle quali mi scrive, non ho ricevuta se non se l'ultima datata Sabbato; – e la attendeva con impazienza; ma che mai non aspetto io oggi con impazienza? – sebbene tenti d'accomodarmi a una tacita e trista rassegnazione. – Conosco pur troppo i miei cari concittadini; li conosco tutti e da per tutto, e potrei anatomicamente descriverli; e li odierei se non sentissi dentro di me che gente di tal fatta merita solo il disprezzo, – e un disprezzo sdegnoso e freddissimo: – ed ella mi creda, Signora Contessa, io non ho più chimere per la testa; non le ho oggimai da gran tempo; ma rincresce il piegarsi, e non è onesto il disdirsi. Però unico partito è il ritrarsi, e il silenzio: e così vorrei fare, se non mi fosse negato; perchè il mio silenzio è malignamente interpretato; nè so dove ritirarmi con sicura tranquillità: – quanto al mio abito militare, io posso bensì dimetterlo come forestiero, ma non devo abbandonarlo finchè non abbia regolarmente ottenuta la mia licenza dalla milizia; e s'io l'abbia chiesta, e con quali ragioni, e con quanta dignità, Ella mia Signora, lo saprà un giorno, e lo sapranno gl'Italiani che vorranno leggere le mie giustificazioni; perchè tanti furono i sospetti, e tante le accuse patrizie contro di me, ch'io sono obbligato verso me stesso a giustificarmi: ma non oggi; la vera ed utile ed onesta fermezza di carattere dev'essere guidata dalla prudenza, e non bisogna ch'io faccia parlare di me e de' miei amici, o de' pochi saggi e forti miei concittadini iniquamente perseguitati, se non se a tempi quieti, e quando le passioni sopite, e le leggi posate, e il ravvedimento lascino ascoltare la verità, ed equamente giudicare le ragioni di tutti – Per ora frattanto le armi austriache giovano alla tranquillità della Lombardia; ed è pur un gran dono sì fatta, benchè sforzata, tranquillità, quando può riparare le città nostre da maggiori infamie e da più triste sciagure. Il tumulto di Milano architettato da pochi occulti patrizi, pagato col danaro, ed eseguito con codarda ferocia dalla plebaglia che aspirava a rapine ed a carnificine maggiori delle avvenute, mi ha aperti gli occhi per sempre, e mi ha messo in nuovi pericoli. Mio grave delitto per que'
Fra quattro giorni sarò a Milano; dunque non vi movete. – Naranzi mi scrisse; – bisogna che gli rispondiamo di concerto, affinchè queste faccende sieno definitivamente terminate. Andate sempre alla posta; vi scriverò quando dovrete venire a Milano; ci sarò prima che spiri la settimana. – Addio carissimo, addio Atanasio.
Dunque – continuando la lettera interrotta jeri dalla chiamata istantanea ed istante del Generale Austriaco – dunque, Signora Contessa, io non poteva prudentemente chiedere passaporti alla nuova autorità politica che avrebbe voluto sapere e ridire ed interpretare il come, il quando, il dove, il perchè; ed era meglio il continuare sino a cose quiete a dipendere dall'autorità militare la quale per lo più è meno sofistica. Mi sono ingannato; e ne pago la pena. V'era all'Isola d'Elba un battaglione nostro ed uno all'Isola di Corsica (perchè ora ch'io le scrivo vi sarebbero da 35 in 40 mila soldati Italiani fra i dispersi e i disertanti se si potessero radunare e impedire che disertassero). Aveva il Ministro della Guerra mandato un ufficiale all'Elba, ed un altro in Corsica a ricondurre que' battaglioni; questi ufficiali andavano chiedendo un ufficiale che li raccogliesse tutti a Livorno e fu mandato. Tanti ufficiali insospettirono – ma io non sapeva nulla di questi sospetti. Chiesi dunque un permesso, come io l'aveva ottenuto per tanti anni passati, di tornarmene in Firenze, e di attendere agli studj di pace, ora che non abbiamo più guerra: e per agevolarmi questo favore presso il nuovo Ministero della Guerra – poichè Fontanelli è anch'egli scomunicato – promisi di attendere anche se facesse bisogno alle necessità de' nostri soldati e ufficiali in Toscana. – Or Ella mi dirà perchè mai io non abbia rinunziato alla Milizia, e chiesta la mia perpetua licenza? – La ho chiesta il dì 23 Aprile, e s'io l'abbia chiesta con opportunità e con dignità, Ella e gl'Italiani che leggeranno quelle storie misere ma necessarie, lo sapranno da' documenti ch'io v'unirò. La ho chiesta dunque, e non mi fu conceduta; ed avendo io un fratello giovine militare, ed alcuni interessi, nè potendo fatalmente costituirmi esule da una città ov'abita persona che mi è cara più della vita, nè sapendo in tanta inquietudine e incertezza di cose in quale città e sotto qual governo rifuggiarmi in Italia, divenendo da per tutto straniero, non ho creduto bene d'insistere, o di arrogarmi da me medesimo la licenza che m'era negata da chi governava un paese ov'io, volere e non volere, sono pur cittadino. Ebbi, dopo due giorni, il permesso di stare come altre volte in Firenze, e nel permesso v'era il grado e la missione con le formule militari. Mi presentai a Bologna al Generale Austriaco, che prima in parte da me, e poi, come riseppi, da molti altri volle essere informato de' fatti miei. M'accolse sempre più gentilmente, ma sempre più mi parve adombrato del mio stare a Bologna; il mio permesso, secondo lui, non valeva perchè non aveva il r Fabre col quale non voglio assolutamente disputare. – Domani a quest'ora sarò forse a Milano, se pure il Generale che vedrò fra mezz'ora non mi parrà alquanto rasserenato. – Ella non legge la fine delle lettere; dunque non finisco –
Eccellenza – Non vedendo risposta alle mie lettere subordinate replicatamente a V. E., risposta che avrei voluto poter mostrare a S. E. il S.rGenerale D'Ekhardt, tanto da giustificare la mia missione – ed essendo nella lettera ministeriale diretta al Magg.re Ferri dichiarato r Generale, e partendo scrivo la presente a V. E. la quale sarà innoltrata dal S.r Generale medesimo, affinchè non si creda ch'io, trasgredendo gli ordini ministeriali, che m'ingiungevano d'aspettare, io sia partito di mio proprio arbitrio – Supplico frattanto Vostra Eccell. di credermi –sempre Devot.mo servidore ed obbed.mo subordinato
Comme la poste, mon cher Ugo, part me L. qui m'a donné de vos nouvelles elle a aussi été étonnée de vous voir en guerrier. Quelle follie! Apprenez un peu à être conséquent; c'est ce qu'il y a de plus difficille dans ce monde –
Nous causerons de tout cela à fond j'espère; j'attends ce moment avec impatience. J'acheverai ma lettre quand je saurai si j'en ai de vous et si vous avez reçu les trois que je vous ai écrit.
La poste n'étant pas arrivée je ferme la mienne en vous assurant de mon tendre intérêt.
Si vous êtes sans uniforme vous n'avez plus besoin d'un passeport du Commandant Militaire.
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre du 16 et j'attends aujourd'hui avec impatience l'arrivée de la poste pour savoir la raison pour laquelle vous avez été appelé – Il est bien extraordinaire que vous ne puissiez pas avoir la permission de venir ici; pays que vous avez habité tant de tems – Donnez-moi exactement de vos nouvelles, ce seroit un grand plaisir pour moi de vous revoir, et de causer avec vous après toutes les vicissitudes qui vous sont arrivées. Croyez-moi le monde ni les hommes ne valent pas la peine qu'on se mesle de leurs affaires; on s'en rétire toujours avec du chagrin, et des coups. Vos chers compatriotes ne savent ce qu'ils veulent, tant ici que dans le reste de l'Italie, ils croyent que le monde entier doit travailler pour eux, et ils ne voudroient pas sacrifier un paules, ni un homme pour obtenir quel Gouvernement que ce soit; aussi sont ils et seront ils éternellement la proie de celui qui les voudra prendre avec une force majeure –
L'Egypte n'est-elle pas la même chose depuis des siècles? c'est le sort des pays corrompus et égoistes dont les habitans sont devoués au plaisir et à la fainéantise monacale, et dont l'éducation est négligée. Il faudroit des fléaux affreux pour les tirer de cette apathie, et le soleil les en préserve. Si l'Attila moderne avoit pu continuer à tyranniser l'Europe encore dix ans, peut-être l'Italie auroit-elle acquis un peu d'energie, mais à présent elle va retomber dans son apathie, et ses habitans se dévoueront de nouveau au servage de la Madonna Celeste, et des Madonne terrestri. Si j'étois souverain ou ministre des princes qui reviennent, je voudrois m'occuper de l'éducation d'une manière toute nouvelle. – J'attends l'arrivée de la poste pour fermer ma lettre en attendant comptez toujours sur mon amitié pour la vie.
La poste n'étant pas arrivée, j'envois ma lettre pour qu'elle puisse partir. Portez-vous bien et tâchez de venir nous voir. M.r Fabre vous fait ses compliments. Stiozzi est Préfet en attendant qu'on change le gouvernement. Il fait pour le mieux – Il auroit encore mieux fait de rester à planter son jardin et
Mon cher Ugo j'ai reçu votre lettre du 18 et depuis on m'a dit que vous aviez eu ordre de partir pour Milan où je vous adresse celle-ci. J'ai' été très-fâchée quand vous avez endossé 'uniforme, j'étois sûre qu'il seroit un obstacle à votre retour à Florence. On vous croit du parti qui est en horreur à tout le monde; enfin mon cher vous n'avez pas de jugement, pardonnez-moi de vous le dire. Vous vous laissez conduire par votre imagination. On ne vous refusera pas beaucoup d'esprit, ma, ma l'esprit de conduite vous ne l'avez pas. Je suis très fâchée d'être privée du plaisir de vous voir et de causer avec vous –
Je n'entends rien à la dernière phrase de votre lettre; vous m'accusez de ne pas lire la fin des vôtres. Non seulement je les lis mais je les relis pour les entendre, et même je les épèlle car elles sont bien-mal écrites. Dans une vous me dites que Rucellai (que je n'ai pas encore va ayant eu autre chose à faire que de penser à moi) étoit parti avant vous. Je ne vois pas ce que j'avois à répondre à cela. Croyez que je fais attention même aux points et virgules de vos lettres pour les deviner.
Je vous prie de me donner de vos nouvelles, car malgré toutes les adresses que je vous avois donné, vous n'en avez pas profité. Je vous avertis aussi que le premier de juillet je vais à Livourne pour un mois.
M.r Sismondi, qui peut-être passera par Milan, m'a demandé votre adresse pour allér vous voir. Je ne puis lui indiquer. C'est aussi un homme qui ne sait ce qu'il veut; il pleure tout, même l'honneur national des Français, qui a été terriblement lésé; il leur a fallu des étrangers pour les délivrer de
La Toscane est tranquille et ne désire que son Ferdinand, elle sera heureuse autant qu'on pourra l'être dans ce moment. Il vaut mille fois mieux être toscan que province de Naples. Je n'aurois pas cru que le V. R. désiroit d'être Roi, c'était trop tard!
Parlez-moi de votre santé, soignez votre corps et votre imagination, conservez-moi votre amitié, et comptez sur la mienne pour la vie. Si vous voyez le C. Brunetti e faites lui mes compliments – A vous revoir. M.r Fabre vous salue.
Je vous ai écrit hier 19 à Boulogne. C'était la 4me lettre.
Amico mio – A due lettere rispondo: non replicai a quella del 16 perchè un certo presentimento mi andava insinuando che la mia lettera non vi avrebbe trovato a Bologna, ma non mi aspettava di ricevere due soli versi oggi che hanno versato tanto amaro nell'anima mia quanto a forza ne può tenere. Dio signore! a che serve l'amicizia se ha la toga o il patriziato? a nulla, credo, seppure non serve all'altrui danno quando è guidata dall'egoismo unico retaggio dei grandi – ma i sospetti crebbero, dite voi: il vostro nome sarebbe forse sospetto e messo nella lista di proscrizione? e di che vi ponno accusare: – d'aver prese le armi? e quanti mai le hanno prese? d'aver voluto salvare un disgraziato dalle mani della plebaglia? questo non fa che onore alla bontà del vostro cuore. Qual demone dunque l'ha presa contro di voi? ma quello che deve consolarvi è che non avete bisogni per voi e che passati i primi momenti, che sono sempre i peggiori, potrete prendere quel partito che meglio possa riconfortarvi e darvi dei giorni di pace. Oh Inghilterra!
Frattanto scrivetemi lungamente di voi, e delle cose vostre; ditemi qualche cosa di vostra madre, di vostro fratello. Sacrificate un'ora per me parlandomi sempre di voi: il mio cuore ve ne sarà grato come se voi faceste un olocausto a Venere.
La Contessa vi avrà scritto amorevolmente, e lo credo, perchè Ella, e lo giurerei, sentiva per voi del pizzicore d'amore, ma non giurerei sulla lealtà della sua amicizia. Essa è più dotta nella satira che nella elegia, e non è capace di fare un passo per l'altrui bene quando teme di compromettersi.
Pagai al Montelatici le lire 102; al Forini pagherò il suo credito quando avrò ricevuto il denaro che mi annunziate; ma per carità non mi mortificate con la troppa gratitudine a delle bagattelle che'chiunque avrebbe fatto e farebbe come ho fatto e farò io, e solo vi prego di approfittarvi di me in qualunque circostanza, assicurandovi che io sento tanta amicizia per voi adesso quanto ne' tempi addietro sentiva amore; e l'amicizia mia è pura, sincera, franca, leale, vera, molta, come puro, sincero, franco, leale, vero, molto era l'amor mio. Rosellini non è più tornato, grazie al Sommo Dio; la Gigia e la Grifagna vi salutano. Vi fo un salutone della Maria Corsi, che è sposa di un Perugino col quale si è impalmata, ma tuttora è in convento nelle Mantellate, aspettando il dì 8 di Settembre giorno destinato per la dazione dell'anello.
Salutate il vostro Pietro, e accarezzate la vostra Topina puttanella – Abbiate cura di voi, della vostra salute e conservatemi la vostra amicizia. Addio.
Miei cari – Vi scrissi già da Bologna il dì ch'io ripartiva per tornare a Milano; scrivo oggi al signor Naranzi, da cui vi sarà già stata pagata la somma di lire italiane 120; ed al primo di giugno avrete da lui i soliti 18 napoleoni d'argento. Ho ringraziato l'Angiolo in nome di noi tutti del danaro mandatovi; aspettiamo da voi le calzette, e ci saranno care perchè lavorate da mani carissime. – L'Angiolo fu nominato direttore della scuola di cavalleria a Lodi, impiego decoroso, quieto, utile un giorno facendosi merito come non dubito; ma per ora di pochi emolumenti, perchè, sebbene prima fosse occupato da un colonnello, l'Angiolo, come mancante d'anzianità, non ha potuto avere avanzamento di grado, e lo coprirà come Capitano; ma sarà forse presto avanzato. Frattanto scriveteci a Milano per ora a tutti e due. Addio, carissimi e dolcissimi: tu, madre mia, mandami la tua benedizione.
Caro Stefano; – Sono a Milano; vieni subito, e se può prego Atanasio di venire insieme a te, perch'io ho da comunicarti due lettere, e parlarti di cose importanti a noi tutti e definitive. Se il signor Filos non ti ha dato il danaro, non cercarglielo; ritira, mostrandogli questa lettera, l'ordine datogli di riscuotere, se pure non ha riscosso a quest'ora: – se te lo ha dato, sta bene: – avrai spero ricevuta una mia da Bologna del dì 17 Maggio – Or addio –
Signora Contessa – Tardai fino ad oggi a scriverle, bench'io sia tornato fin dalla sera de' r Abate di Caluso non mi sono giovato; e non n'ebbi mai bisogno urgente: le mie poche facoltà e l'industria di ritrarle in parte dal mio paese in que' tempi difficili, m'hanno bastato; ed ora, secondo il mio stato, mi vedo più ricco che povero; ad ogni modo io le rendo grazie di quella somma quanto se mi fosse già stata prestata. Così devo ringraziarla del danaro ch'ella caritatevolmente fa pagare alla Madre del mio
Or vengo alle doglianze; l'una diretta interamente a Lei; l'altra in parte a Lei, ma in più gran parte al pittore elegante il quale, a quanto traspiro dalle lettere sue, serba un po' di ruggine politica contro il povero Didimo. –
Ella, Signora Contessa, mi predica l'r Lagarde, ch'io non ho potuto definitivamente accomodare le mie faccenduole in Firenze; e lasciai per poche monete di debito ad un legatore di libri al quale più e più volte in quegli ultimi due giorni io aveva fatto vanamente chiedere il conto; egli ad ogni modo ha in sua mano da vendere de' libri di mia ragione di cui non mi disse, nè mi dice ancor l'esito, perchè non risponde alle mie lettere. E per continuare in questo pettegolezzo – parleremo poscia di cose più serie – seppi a Milano da r Fabbre; a me quella pretesa non è per anche ben chiara; si tratta credo di quindici o venti paoli; comunque sia, li farò pagare, e vadano su la coscienza del librajo, a cui Dio Signore un giorno gli imputerà forse, con tanti altri de' suoi peccati. Parve anche al
Or a noi, egregio artefice; – una lettera della Signora nostra finisce così: M.r
Fabre vous salue; probablement vous vous disputerez avec lui
; e in un'altra lettera più recente, scrive: M.
. – Or io non voglio già, nè potrei, nè avrei ragioni, a quanto mi pare, di disputare con Lei; le opinioni nostre, e fors'anche le nostre passioni e quindi il nostro sistema sono conformi; e quanto al carattere, che è sorgente, per lo più, di discordia fra gl'individui, non credo che fra Lei pittore, e me poeta come Dio vuole, ci sia a ben osservarlo molta diversità: ma la somma varietà sta nelle circostanze nostre delle quali siamo servi involontarj e passivi, e ne' mezzi che volere e non volere dobbiamo pur sempre applicare alle circostanze. – M'avveggo che questa letteraccia s'allunga indiscretamente; e il foglio tutto pieno me ne avverte: continuerò tuttavia; ed ella S.r Fabre vous fait ses complimens; il est très context du bonheur de ses anciens rois; – apprenez un peu à être conséquent; c'est ce qu'il y a de plus difficile dans ce monder Francesco Saverio che ha servito d'ajutante di campo nelle frequenti battaglie che la Contessa sostiene per domare questo mio caratteraccio ostinatamente difficile, durerà anche oggi per amor mio un po' di fatica più lunga a dicifferarlo; ed Ella giudichi s'io merito taccia d'
La Filosofia, Signor mio – e lasci dire Elvezio e Compagni – non è già effetto dell'educazione, degli studi, e dell'esperienza; bensì una sistematica modificazione del carattere individuale d'ogni uomo; come appunto gl'innesti migliorano e temprano e fanno in parte variare le piante fruttifere: ma la pesca rimane pur pesca, e la pera pera; si cangiano le apparenze, e la sostanza primitiva e naturale sussiste. Così noi; e chi esaminasse le sètte filosofiche degli antichi s'accorgerebbe che il carattere individuale e l'indole de' primi fondatori d'ogni setta cooperò alle opinioni e a' principj di Pittagora, di Zenone, e d'Epicuro, più che la meditazione del vero; meditazione la quale, quand'è giunta al suo vero ed ultimo grado si riduce in fine del conto al
Ora pigliamo i due estremi partiti della filosofia; lo r Fabre, siamo diversi nell'indole e quindi nel sistema, e nelle azioni nostre: Ella pende politicamente all'
Il vero demerito consiste nella incoerenza; e di questo appunto io voglio scolparmi e prima le narrerò brevemente: Che se io avessi potuto
Ella ha creduto di non poter cooperare in nulla al bene della sua patria; e così è: – ma io ho invece stimato di mio dovere di tentare con tutte le mie forze che l'Italia potesse in qualche modo risorgere. Però abbracciai il partito delle armi da giovinetto; la libertà, o se non altro l'onore stanno sempre nell'armi; e solo mi ritirai quando vidi che la Tirannide m'avrebbe costretto a combattere in Germania e nelle Spagne e perdere forse vanamente la vita ch'io doveva serbare un dì o l'altro alla patria. Ma nel mio ritiro non evitai i pericoli generosi di cittadino; e per dire quanto allor si poteva le verità che a me parevano utili, disprezzai i favori e le dignità che allora si prodigavano; nè stampai sillaba che io non possa giustificare come diretta alla libertà dell'Italia. Legga perfino la dedica mia dell'opere del Montecuccoli (libro nel quale per l'occasione e l'intento e il paese in cui fu da me pubblicato esigevansi maggiori riguardi) e vedrà ch'io non temeva allor di parlare d'indipendenza e di Gloria Italiana, e non citai Napoleone se non come il maggiore Guerriero dell'
Ma, prescindendo anche da' miei priticipj, che poteva io fare da Novembre in qua? Starmi a Firenze; –
Signora Contessa – Riapro questa tiritera per dirle, che ricevo una sua lettera, oltre quelle venutemi da Bologna; questa ultima ha il soprascritto direttamente a Milano. –
La posta riparte a momenti, e non ho tempo di dirle se non che quando scrissi ch'Ella non legge la fine delle lettere
, io lo scrissi ricordandomi di un suo Che non usa leggere gli ultimi versi delle lettere perchè contengono inutili complimenti e proteste
: ed io alludeva a ciò solo. –
Quanto alla visita del S.r Sismondi a Milano, mi sarebbe onorata e gratissima. Piacciale dunque di fargli ricopiare in carattere cristiano il seguente indizio –
Ugo Foscolo abita fuori degli Archi di porta Nuova, a S. Bartolomeo, presso la Stamperia Reale, nella casa che fa canto con la via di Villa Bonaparte; N.o 748 primo piano.
Caro Amico mio, e più caro oggi che mai; da che la vostra disavventura, e la nobile fede con che me l'avete narrata, mi fanno vostro finchè avrò vita – Rispondo Leopoldo mio, forse tardi alla vostra degli
Sebbene io avessi poco da lodarmi del governo Napoleonico, e il governo assai poco a lodarsi di me – e in ciò le parti erano pari – e ben più verso la fine del 1813, poichè nè io volli nella
La mia arcilunghissima, scritta jer l'altro, dovrebbe darmi rimorso, ed indurmi a pentimento, il rimorso, lo sento; pentirmi, Signora Contessa, non posso, e bisogna ch'io prosiegua ad essere poco laconico, almeno anche per oggi: – e primamente le do avviso ch'io sono stato a visitare formalmente il S.r
Ma circa alla mia a L.–; nè io poteva tornare sino alla locanda a svestirmi della mia sfolgorante divisa; perchè Madama m'aveva assegnata l'ora; il Generale mi tenne a colazione; l'ora era passata; nè io voglio, come don Chisciottescamente Cavaliere, mancare agli appuntamenti; e meno con le Signore, qualunque sia l'età loro; e Signore solitarie, e piangenti! Del resto, quantunque le Signore dicano ch'io pajo più bello in divisa, io so che a me stesso pajo più brutto; e me ne vesto quanto meno posso: ma a Bologna le mie visite r Fabre rideranno leggendola; e insieme vedranno cosa dicevano a Milano di me mentr'io n'era lontano; mi giunse jeri con le lettere tornatemi d'r Fabre che deve essere stato ben castigato dalla mia leggenda di lunedì scorso; – e s'io sono costretto a nojar Lei per iscolparmi con lui, s'annoji egli per leggicchiare i miei fogli. –
A. C. – Mercoldì 25 corrente il signor Francesco Borri e C. mi pagarono per voi L. 550, che fanno francesconi 82 e ½, delle quali feci doppia quietanza. Dopo ciò vi compiego il vostro foglio con il mio saldo e il conticino di dare e avere fra noi, pregandovi a non darvi nessuna noia per rimettermi i pochi soldi che avanzo, poichè mi fareste un torto, e se vi occorre qualche cosa non risparmiate la vostra amica
Carissimo Amico – Stefano è qui; e gli feci vedere l'ultima vostra che gli consiglia di stare a Milano annunziandogli prossimo il ritorno di suo fratello in Italia: gli ho anche detto che stante le incertezze politiche su lo stato d'Italia, io per ora non posso allontanarmi da questa città, dovendo io essere sul luogo ove accadono i cangiamenti, e tenermene giornalmente informato per appigliarmi con cognizione al partito più conveniente a' miei interessi ed all'onor mio. Malgrado la vostra lettera, e il mio proponimento di star qui, e malgrado i miei consigli e scritti a lui quand'era a Pavia, e ripetuti qui a voce, egli persiste di andare assolutamente in Toscana. Fors'anche suppone che suo fratello tardi a tornare: comunque sia, avrei desiderato, e lo sperava, che la vostra risposta alla mia precedente lettera fosse più categorica, e rispondesse definitivamente alla mia richiesta che voi assumiate le cure e gli obblighi da me assunti per questo giovine. Non volendo egli arrendersi alle mie ragioni, non voglio io nè sta nella dignità del mio carattere sforzarlo mai a seguire la mia volontà; e se pur la seguisse, io non vedrei senza rincrescimento il mal umore di chi naturalmente vorrebbe e non può fare a suo modo: io sono amico e fratello di Stefano, e queste parti ho assunte con lui, e non già quelle del tiranno. Gli ho proposto per tenernelo meno lontano di mandarlo a Lodi con mio Fratello il quale ora, come direttore d'una Scuola d'equitazione, ha cavalli a sua disposizione, e maestri di cavallerizza e di scherma, ed un alloggio ampio e dilettevole; – gli ho proposto, se volesse passare piacevolmente la state, il viaggio dei Laghi di Lombardia e di Svizzera: ma non si smove, e mi risponde sempre che
Prima: il mio dovere per l'età di Stefanino, e più di tutto l'adempimento della mia promessa: ed ogni suo pericolo mi sarebbe imputato se lo lasciassi.
Seconda: il mio desiderio di stare attaccato a lui in caso che per le vicissitudini umane io in queste circostanze dovessi andare al Zante; e in questo caso bramava d'andare piuttosto con lui che con altri.
Terza: le turbolenze, che spero s'acqueteranno presto, ma che ora (finchè non sieno decisamente stabiliti i nuovi governi) vi sono in Italia, le quali rendono pericolosi i viaggi a persone forestiere.
La seconda ragione essendomi personale, non va computata, ed io anzi non la computo più: – le altre due esigono che voi mi scriviate decisamente che vi assumete almeno in ciò che potrete le cure ch'io rinunzierò – Or addio addio – Stefanino qui presente mi fa il piacere di ricopiar questa lettera, perchè il mio originale è al solito bruttamente scritto; inoltre voglio serbarmelo: ed egli, se vorrà, aggiungerà un suo poscritto.
Signore zio pregiatissimo – Rispondo tardi alla sua de'
La prego di salutare l'arcimaledettissima Contarina, se pure è ancora in vita. –
Mio caro Foscolo – Eccovi un Italiano che giunge d'Inghilterra tutto caldo d'amore per le lettere e le scienze nostre. Egli vorrebbe conoscere tutti quelli ingegni che in questi ultimi tempi hanno acquistato fama di egregi cultori delle muse. Io non saprei a chi meglio indirizzarlo che a voi. Vi prego d'accoglierlo colla gentilezza vostra, e con quell'affetto col quale ve lo presento.
Signora Contessa – È tempo ch'io sia sobrio a scrivere come sono divenuto tardo a parlare sì che oggimai tutti mi fuggono come quel tristo Bellerofonte che col suo solitario silenzio affliggeva i mortali; esso almeno visse eroicamente infelice; ed io non so nè se viva, nè come, o perchè; ma so che devo non-morire per obbligo di natura e d'amore verso due sole persone; e sostengo tacitamente la vita. Chi non ha patria, secondo me, non ha nulla sopra la terra; e la Grecia dopo Filippo, e Flaminino, e l'Italia dopo Carlo V e il nuovo Silla in galera, mi fanno chiaramente vedere che a me non resta nulla fuorchè la forza dell'anima mia; e il poter vivere le sia prova ch'io sono ancor forte. – Torno al racconto interrotto oggi a otto; e sento non so quale necessità di narrarle ogni cosa; bensì le prometto che come le due passate lunghissime, di cui mi vergogno, furono le più prolissamente ciarliere fra quante lettere scrissi, così le altre ch'io scriverò a Lei d'ora in poi saranno tutte più brevi di questa. – Mi presentai dunque al Conte di Bellegarde, narrandogli schiettamente e le voci sparse contro di me, e le ragioni per le quali s'erano sparse, e professando le mie antiche e perpetue opinioni politiche. Gli dissi bensì, che io era apparecchiato, e voglioso, e interessatissimo di dar conto delle mie azioni, le sole a cui possano attendere i tribunali e le leggi. Rispose: che gli avevano assediate le orecchie contro di me; che sapeva quali erano i miei nemici; ma ch'io aveva altresì molti amici i quali peroravano in favor mio: ch'egli del resto non aveva bisogno delle altrui testimonianze, poichè m'aveva molti anni addietro giudicato da' miei scritti; ed aggiunse: ch'io avrei potuto stare a Milano finch'egli ci stava, e che in seguito le circostanze m'avrebbero consigliato a pigliare un partito; ma ch'io aveva fatto poco prudentemente allontanandomi da Milano, e dando occasione alle ciarle de' caffè e del Teatro, ed alle accuse che la mia assenza poteva far credere vere. – Gli dissi, ch'io quanto ai rumori, credeva più onesto il disprezzarli, e l'esperienza me lo aveva insegnato; ma che per le accuse, io aveva, appena tornato, mandata una r Fabre; ed a Lei, mia Signora, le mie leali proteste di docilità a' suoi consigli, e di eterna gratitudine alla sua indulgente benevolenza –
Monsieur – Sur cette même feuille Madame la Comtesse aura la bonté d'achever ma justification; c'est quelque erreur dans la ponctuation de sa lettre qui m'a fait attribuer un jugement qui lui appartient tout entier, et malgré votre belle défense je n'oserai pas même prendre la liberté de décider qui des deux a raison. «Non nostrum inter vos tantas componere lites». Seulement, à titre d'Epicurien, je vou sfais mon compliment bien sincère del suo totale disinganno. Soit instinct soit raison il y a longtemps que je suis persuadé qu'il n'y a rien de bon à attendre ou à faire au milieu de cette gangrène générale, et d'ailleurs mon maître a dit qu'on ne sait rien de rien. – Je suis bien fâché des contrarietés, que vous avez éprovées pour votre retour en Toscane: elles. cesseront j'espère, et nous aurons le plaisir de vous revoir ici: en attendant je vous souhaite de bon coeur joie et repos, c'est encore une maxime de ma secte à laquelle à certains égards (quoique vous en disiez) je vous crois dignement initié.
Je ne me dédis pas encore, je croyais que vous connaissiez mieux les êtres avec qui vous aviez à faire. Basta je me contenterai d'attendre votre retour pour pouvoir discuter sur ce sujet d'autant plus que vous me dites que tous les yeux et les oreilles sont ouverts pour vous. En vous prêchant l'économie je n'avois d'autre idée que votre intérêt. Je me rappelois que l'économie est la mère de l'indépendance. Je n'ai jamais sçu (que depuis que vous me l'avez dit) que vous aviez laissé sols de dettes à Florence. J'ai toujours eu trop bonne opinion de vous, pour seulement vous supçonner d'être capable de faire des dettes que vous ne puissiez pas payer. Quand je vous écris je n'ai jamais d'arrière pensée. Je laisse souvent aller ma plume beaucoup trop vite, ce qui est cause que mes lettres sont la plupart très-décousues. Je me laisse aller comme dans la conversation. On peut toujours lire dans mon âme, et je ne crains pas non plus qu'on y lise. Dans ce moment si vous y lisiez vous verrez que je suis vraiement honteuse que vous me parliez d'obligation.
Vous m'accuserez d'esprit de contradiction; mais je ne puis vous accorder des idées sublimes au Souverain de l'Isle d'Elbe. Je ne lui en donne que de r Sismondi, qui se croit françois, parce qu'il écrit et parle cette langue, est un de ceux qui auroit desiré la continuation du règne du tyran pour qu'il ne fût pas chassé par les Coalisés. Cela fait pitié! On ne voit et on n'entend que des idées fausses!
Sismondi est parti par la Corniche. Je ne l'ai pas vu. Je plains le Roi de France qui est allé chercher une couronne d'épine. Les Espagnols sont de tous les peuples ceux qui ont montré un grand caractère. – Croyez-moi, tenez-vous aussi a l'epicurisme; malgré l'éducation que vous avez reçue et les sentimens liberales de M.me votre mère, le moment n'est pas favorable au stoicisme. Pourriez-vous semer du grain dans les sables de la Lybie ou sur les montagnes de glace des Cordelières? –
Voilà bien du bavardage, mais c'est pour répondre à vos deux lettres que j'ai reçu le même jour et après le départ de la poste. Nous n'en a pouvons pas recevoir de Paris depuis deux mois. J'en ignore la raison! – Nos Dames vontre venir de Rome: votre r Brunetti s'il a reçu ma réponse à sa lettre. Nous avons ici beaucoup d'Anglois. C'est une nation très-estimable en masse et peu aimable en détaille. Portez-vous bien conservez-moi votre amitié et comptez sur la mienne. Nous sommes tranquilles et contens de ravoir Ferdinand à quelques personnes près qui ont peur de ne pouvoir se livrer autant à leur vices. Je mène toujours la même vie: lire, me promener et bavarder.
Carissimo mio amico, – Siccome fui io più volte testimonio de' paterni ed ingenui consigli con cui avete cercato in tutte le maniere di smuovere Stefano dall'ostinatissima sua deliberazione, così lo foste voi, mio caro Foscolo, de' miei lunghi e vani sforzi per fargli vedere qual prezioso tesoro perderebbe in lasciarvi, ancorchè non volesse far niun conto di tutti quei altri riguardi dovuti ai contratti legami d'amicizia, alle circostanze ed alla delicatezza. Tentai, assicuratevi, tutto, non già per voi, ma per lui e per il suo paese, giacchè ho pensato sempre che Stefano avendo fortunatamente sortito dalla natura e dello spirito e delle buone inclinazioni per il bene, e ciò che rileva moltissimo, il non aver bisogno degli altri, se l'applicasse seriamente a discernere il vero dal falso, a imbeversi de' patriotici e generosi sentimenti che sempre vi hanno distinto, e vi distinguono, e che la posterità saprà apprezzare, a diventare in somma vero uomo, sarebbe stato senza dubbio un secondo Ercole ai suoi concittadini nel risvegliarli da quel lungo letargo in cui da tanto tempo giacciono, e per cui hanno avuto motivo gli stranieri di biasimarli più che tutti i rimanenti Greci. Io non voglio nulladimeno disperare della riuscita del nostro Stefano, anzi mi lusingo che passato qualche tempo, se n'accorgerà egli medesimo de' suoi falli, si metterà nella retta via, e cercherà in voi mio caro Foscolo i reali rimedi. –
Mio caro Atanasio – Voi siete stato testimonio e delle mie paterne sollecitudini mentre Stefano stava da novembre sino ad oggi in Pavia, come pure de' miei tentativi e de' consigli e delle mie vane perorazioni, perch'egli si rimovesse dal suo desiderio ostinato di scostarsi da me. Ho provato quanto l'amicizia e la fede possono suggerire, le vostre parole si sono unite alle mie: ed io credo che mi sarò fatto odiare per le verità severe che Stefano mi ha costretto di dirgli, e per la mia risoluzione di non dargli spontaneamente il permesso d'andarsene. La sua proposizione scappatagli di bocca, che se ne sarebbe
Miei cari – L'Angiolo v'avrà scritto, spero, dalla sua residenza di Lodi; s'io avessi l'opportunità andrei a fargli una visita lunga d'un mese, a stare come in villeggiatura con lui, perch'egli è piacevolmente alloggiato, e mena beatissima vita: ma in questi incertissimi cangiamenti e continui non posso movermi da Milano, dove di giorno in giorno si vanno decidendo funestamente, ma per inevitabile pubblica necessità, le sorti di molti impiegati. Oltre tutti i militari francesi, anche gl'impiegati ed ufficiali italiani che non sono nativi de' paesi che toccano all'Austria, saranno rimandati alle loro case; e se ne rimandano giornalmente. Ma come l'Angiolo ed io siamo degli Stati ex-Veneti, così spero fermamente che ci preserveremo da questo naufragio. Faccia il Cielo che la Scuola di cavalleria sia conservata a Lodi! così sarei col cuore in pace per la mia famigliuola e per l'Angiolo, ed io potrei appigliarmi a un partito decisivo. Perchè, quanto al mio grado militare, io non posso farne conto, nè fondamento; quand'anche in tante riforme io fossi conservato dovrei pigliare servizio ne' reggimenti che ora si fanno, il che mi condurrebbe chi sa dove! fors'anche di guarnigione in Ungheria e in Boemia, e perderei i miei studj e l'occasione d'uscire dal servizio troppo pesante al mio naturale carattere ed all'età mia. Solo desidero, e confido che l'avrò, la riforma con una pensione che ascenderebbe a 20 talleri al mese, e se non altro basterebbe per voi, miei cari; e intanto io penserei per me, e quando fossi solo e senza pensieri non perirei. Stiamo intanto a vedere; e il Cielo non vi abbandonerà: per ora non posso lagnarmi di nulla; ma devo bensì prevvedere tutto senza timore, e provvedere per tempo. La mia consolazione principale consiste nello stato prospero dell'Angiolo; che se continuerà, io son certo che quel giovine, pieno di cordialità, e di affetto tenerissimo, e di cuore amoroso per la sua famiglia, farà che voi pure siate partecipi della sua qualunque prosperità: inoltre è molto stimato ed amato, ed è impossibile ch'egli rimanga senza impiego: bensì lo stato di tanti e tanti d'ogni condizione caduti improvvisamente nell'indigenza, e molti anche da ragguardevoli gradi, mi stringe il cuore di compassione e mi fa gemere in una profonda tristezza: vedo amici e padri di famiglia, ed orfani che aspettano per lo[ro] compagna la tremenda e fredda miseria: – ma Dio, che protegge i disgraziati e consola gli afflitti, non vorrà abbandonarli; e questo mi reca qualche conforto per essi. Frattanto voi, miei cari, sarete abbondantemente, secondo il vostro stato, provveduti dalle solite mesate: poi vedremo ciò che sarà per accadere, e vi terrò informati di tutto. Di quanto vi dissi già per la casa nuova, è bene che non ve ne dimentichiate: state in orecchio se vi fosse qualche casa opportuna a voi ed a me, e senza impegnarvi, fatemene avvertito. Quando io verrò a Venezia, per ora non posso dirvelo di certo; ma esplorerò il punto di far questa gita, e far anche di rimanervi. Scrivetemi su la casa. – Addio, Rubina mia; addio, Pippi; conduciti bene con tua Madre e con tuo Padre, e Dio ti premierà: e tu, cara Mamma, manda a' tuoi buoni ed amorosi figliuoli la tua santa benedizione. – Addio.
Miei cari – Sabbato vi ho già scritto per compiacere a me stesso: oggi vi torno a scrivere per compiacere a voi. Dell'impiego di Angiolo nulla v'è di certo, fuorchè egli per ora lo possiede, e ne gode gli emolumenti; contentiamoci per ora di questo; e non è poco: sarà poi quel che sarà; tutto è incerto per tutti; piglieremo regola dai cangiamenti a norma che li vedremo succedere; godiamo il presente, e non affliggiamoci invano per l'avvenire: ad ogni modo ed in ogni evento non periremo: ma l'affliggervi voi sempre, ed il temere come pur fate, e l'affliggere noi pure co' vostri timori, ditemi, in nome di Dio, quale riparo, quale consolazione vi reca? L'Angiolo sta bene; è ben impiegato: so che vi ha mandato qualche cosetta: lodate il Cielo, e non amareggiate l'oggi col pensare al domani: e quando poi ci pensaste, dovete pur calcolare che l'Angiolo è giovine, sano, bello, forte, pieno d'onore, riputato nel suo mestiere, ed amato, ed istruito; se perdesse un impiego, ne troverà un altro: se resterà senza impiego, non resterà senza pane: ne ho un poco io, e ce lo mangeremo insieme; verremo, finchè s'apra una via più larga alla fortuna, a vivere insieme in onesta ed amorosissima ristrettezza nella casa materna. Sarebbe poi questo un gran male? No certo, anzi sarebbe un bene. – Ma per ora le cose stanno come stavano, anzi per la nostra economia si son migliorate. – Torno a raccomandarvi che pensiate alla casa. Quanto al giorno in cui si deve avvertire e rinunziare all'affittanza, dev'essere scritto già nella vostra carta di pigione: cosa serve l'andare dall'esattore? La carta canta: scrivetemi dunque quando è prefisso il termine. – Addio. E tu, cara Mamma, manda a' tuoi figli la tua santa benedizione.
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre du 31 qui ne sont jamais trop longues quand je ne suis pas obligée
Pour moi je mène ma vie ordinaire je ris de la folie des uns, et des autres. A présent ici nous sommes au régime des fêtes d'eglises et des Tedeum; il y en a bien à chanter pour remercier la Providence de nous avoir délivré d'un r Fabre vous salue. J'ai reçu votre dernière lettre après le départ de la poste ce qui arrive quasi toujours. Madame Millesi devoit vous remettre votre traduction allemande du roman et une vieille lettre: dites-moi si vous l'avez reçu.
La Signora Milesi mi ha fatto ricapitare una sua lettera de' 27 febb.o, e la versione tedesca dell'
Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglietc.: fu scritta dodici anni addietro, ed ella vedrà com'io sono stato letteralmente profeta delle mie sciagure e delle mie proprie sciocchezze: il che prova – prova pur troppo quel che dissi di me nel mio ritratto in rime, e che si può dire di molti figliuoli d'Adamo:
Il che fu dal Conte mirabilmente espresso in un solo verso:«Cauta in me parla la ragion; ma il core, «Ricco di vizj e di virtù, delira. –
«La mente e il cor meco in perpetua lite. –
Stefanino partì jer l'altro con un suo Mentore greco, e torna a Firenze per la strada di Genova e la cornice. Avrà l'onore di presentarle una mia lettera; le leggi di Zante, poco provvide forse, lo sciolgono d'ogni tutela a'
Ma l'ora della posta fugge; suonano le 9; Ella a quest'ora starà conversando con le gentili Fiorentine, ed io dopo che avrò spedite le lettere, mi metterò a conversare dalle mie finestre con le stelle e la luna: abito vicino alla campagna; ed è l'unica cosa che non mi dispiaccia in questa mia incertissima vita. – A proposito: mi dimenticava di dirle che ho dato per Lei una lettera a un giovine Italiano il quale milita con gl'Inglesi, e reca de' dispacci da Londra a non so che potentato in Italia: e passando per Firenze desidera di venerare la casa dell'Alfieri; – è giovine colto a quanto mi pare; e solo mi rincresce che parli un po' troppo di glorie Italiane. – glorie! – e di generosità inglesi: – mercanti, e ce ne avvedremo; tuttavia ci han liberato da quel
I miei complimenti al Sig.r Fabre, a Madama Orosco, a Mad.a Windam, e alle due Clementine – Demetrius è qui, se pure non mi sono ingannato vedendolo da lontano: – Mad.a d'Armendaris è ella ita a confermare in Ispagna
P.S. La non metta più nel soprascritto il ricapito e il numero della mia casa; bensì il mio nome schietto; – perchè qui le lettere col ricapito giacciono per 24 ore nelle mani de' portalettere tartarughe.
Rispondo in una volta a molte sue lettere e insieme a quella de' 27 Febb.o recatami dalla Sign.a Milesi con la versione Tedesca dell'
Quanto al gloriarsi della Marchesa per la sua devozione alla infelice Padrona, io non voglio difenderla, nè accusarla: bensì lasciando stare l'errore e le passioncelle che la indussero a quel raro Don-Chisciottismo, parmi che se andò a Bologna con suo pericolo, e in tempo che la sua casa e le sue sostanze, e forse la vita di suo marito erano insidiate e assalite da' nemici della Padrona, parmi che questa generosità non meriti biasimo: e in questi casi lo sbaglio della mente è adonestato dalla nobiltà del contegno: le diversità nelle opinioni politiche vanno considerate con la tolleranza necessaria alla diversità delle religioni: Dio Signore rimeriterà, almeno io ne ho sicura fiducia, tutte le anime buone, battezzate o circoncise che siano, le quali abbiano serbata una coerenza perpetua nella loro fede, ed abbiano fatti de' sacrificj: – quelle circostanze che ci fanno nascere cattolici, o protestanti, o maomettani, ci fanno anche, senza il nostro decisivo concorso, e senza darci tempo a calcoli nè a pentimenti abbracciare piuttosto l'uno che l'altro partito: spesso ne vediamo gli errori; ma è men disonesto il persistere, che il cangiarsi; e poi qual è il partito che non abbia errori, e pericoli, e che non sia degno di compassione e di scherno? Eccole un paragrafo da aggiungere per appendice alla lettera scrittale dall'Abate di Caluso, l'ottobre scorso, sopra lo stesso argomento dell'indulgenza politica. – E fors'Ella, Signora mia, stimerà nel suo cuore e fors'anche a quattr'occhi col S.r Fabre ch'io con questo tanto difendere gli altri e me stesso, cerchi di redimermi dalle mie colpe: – or Ella sappia ch'io non mi credo in ciò colpevole nè punto nè poco; e che penso, e so, e giurerei d'aver fatto bene: – avrei fatto
Rileggo le sue lettere spesso, ch'io tengo ristrette in una forma di volumetto; però succede ch'io le risponda a cose scrittemi più tempo addietro, e delle quali so di non averle fatto parola. La marchesa Lucchesini mi s'affacciò in tre suoi fogli del mese passato; e or le dirò, poich'Ella mia Signora me ne ridomanda, per quali ragioni io l'abbia visitata a Bologna. Primamente, un istinto di poco virile curiosità; non m'aspettava di trovare sì presso a Firenze la malaugurata Badessa dell'eleganti Toscane; e la credeva raminga per la Provenza a scontare l'orgoglio pedantesco con che tormentò gli amori delle minori sacerdotesse di Venere: suo fratello faceva l'incettatore di zucchero e il gazzettiere universale, bellissimi mezzi nel suo cervello plebeamente gigantesco alla monarchia dell'Europa! E la madre Badessa sorella, per imitarlo, proibiva il commercio amoroso a tutte le giovani dame – impresa più pazza della Monarchia universale; – faceva la appaltatrice
Inoltre per debito di gratitudine; sapendo con quanta eloquenza la Marchesa aveva patrocinata l'innocenza della mia povera Dama, la quale, alla barba degli accusatori fiorentini, fu meco Lucrezia e Penelope; e Dio mi sarà giudice un giorno, e perdonerà alla mia povera Dama i suoi peccati, se pure ne avesse, per compensarla così delle amarezze che ha provate, e prova, e proverà forse per tante imputazioni ciarliere di casa Santini – e qui bacio la mano alla signora Teresa Santini, madre di belle figlie,. e nonna d'eleganti nipoti, perdonandole come buon cristiano la taccia che mi diede di Visitai la Marchesa. E poi la Marchesa mi ricordava Firenze, e le conversazioni del tavolino rotondo, e per rinfrescare queste grate reminiscenze, io Visitai la Marchesa; – e la visitai per far cosa piacevole a Lei, mia Signora, che ad onta della diversità delle opinioni le si mostrava amica cortese e indulgente; così io mi credeva di fare in qualche modo una visita a Lei; e questa è una ragione seria, e la scrivo seriamente, e stimo che possa farmi perdonare i motivi di curiosità politica, e di pettegolezzo galante che mi mossero a quella visita. – La Marchesa, è vero, si gloria della sua devozione all'infelice padrona: non la accuso, nè la difendo: forse ci ha che fare la vanità; prescindendo dalle passioncelle e dallo sbaglio imprudente che la indussero al Don-Chisciottismo, parmi che l'errore, ove sia accompagnato dalla generosità, non meriti biasimo: andò a Bologna con suo pericolo, e in tempo che la sua casa, e le sue sostanze, e forse la vita di suo marito stavano a rischio, – e la devozione alla sventura della padrona adirava i nemici; in sì fatto caso lo sbaglio della mente è adonestato dalla nobiltà del contegno. Vanno condannate le opinioni, e non le persone: tale pensa tortamente; ma se opera con magnanimità e con costanza coerentemente alla sua opinione, se non si giova di mezzi bassi e mire venali, non è forse degno di stima? non applico questo alla Marchesa, la quale non è degna forse che d'amichevole tolleranza; – ma è pur bena la tolleranza delle opinioni, come appunto è necessaria la tolleranza delle religioni: l'alta, e la nobile intolleranza deve percotere inflessibilmente le azioni, e quelle azioni sopra tutto le quali non prorompono per forza d'una subitanea passione, bensì per vile abitudine d'animo tristo, e impudente, e crudele. Il Cielo, se pur ci pensa, rimeriterà tutte le anime buone battezzate o circoncise che sieno: cantino a loro voglia r Fabre ch'io con questo tanto rifriggere lo stesso argomento e difendere gli altri, cerchi di scusar le mie colpe. Sappia dunque ch'io non mi credo colpevole: anzi so e giurerei d'aver fatto bene: è vero; avrei fatto
Madre mia cara – Le cose nostre stanno ancora tali quali – Cangeranno forse presto le mie; sto vedendo e aspettando; Milano e Venezia formano due governi eguali forse, ma divisi l'uno dall'altro: però è probabile, anzi certo, ch'io venga a stabilirmi con voi: ma prima bisogna ch'io m'assicuri di quello che vogliono fare de' militari: nè io già intendo di ripigliare servizio attivo, nè forse me lo darebbero; la moltitudine degli ufficiali, limitandosi ora l'esercito, non permette che sieno tutti impiegati: la più gran parte resterà senza impiego, ed io fra questi; tuttavia speriamo che in benemerenza de' nostri lunghi servigi, e per diritto di giustizia, d'umanità e di equità quelli che rimarranno senza impiego non dovranno già rimanere senza pensione: e per questa pensione che sarebbe a vita, sto qui aspettando; presto sarà deciso: voi state attenti per la casa. Se non fosse per la Mamma, e le nostre abituali amicizie, e per San Giorgio, io la vorrei o su le Fondamenta nuove o sul Canal grande, – in qualche luogo d'aria aperta, perchè l'oscurità e il sussurro, e la malinconia delle case mi uccidono il cuore. Ma di ciò avremo tempo a pensare sino a tutto gennaro: e senza impegnarvi in nulla scrivetemi il sito, lo stato della casa, la somma dell'affitto, e se non potrò venir presto, deciderò: ma io certamente verrò dentro l'anno. – L'Angiolo sta benissimo; la sua scuola continua, e forse continuerà – tutto è incerto per ora: l'unica cosa certa si è che non bisogna turbare il bene presente con i timori dell'avvenire: la Provvidenza non abbandona mai chi non abbandona se stesso. Or addio; cara Madre, scrivimi due parole di tua mano, e manda a' tuoi figli la tua santa benedizione.
Mio caro Foscolo – Dopo lungo tempo ch'io non ebbi notizie di te mio Foscolo, le prime furono sì triste, che esulando sarei venuto a trovarti a Milano se questi benedetti passaporti non m'avessero imbarazzata la strada. Seppi ancora la tua venuta fino a Bologna, donde sicuramente. saresti sceso a Firenze, e m'addolorai che invece tu fossi ritornato a Milano; seppi la causa, e doppiamente m'addolorai. – Disgrazia che gli uomini dispensino veleno a chi gli allatta! e sarei del partito di Rousseau se avessi patria la Francia, ma ne ho una magnanima nell'ire come nelle virtù, verso cui (bench'ella poco pensi a facilitarli) saranno sempre diretti i sacri miei voti. – Tu sai cosa m'aspettava; sappi che finora ho aspettato invano, e ch'io non mi dolga di questa indolenza abbine prova la seguente ode che indirizzo a' miei compatriotti. Mi dirai il tuo parere; e se ben ti ricordi gli ammaestramenti che mi desti passeggiando per Bellosguardo avrai motivò di riguardarla più assai che mia come tua fatica. La notte fra il giorno che l'ideai e quello che la scrissi ti vidi in sogno; e sorridevi dicendomi: «Vedi tu come amor di patria fa più splendidi i versi?» – e tra le mie risposte mi rammento questa: «Ma l'intenderanno?» – Hai sospirato soggiungendo: «La manderò io a uomini che hanno più forza di core che di cervello e basta». Se puoi ti prego fa che si avveri questo mio sogno.
Addio: scrivimi qualche volta.
Caro Andrea – Sogni! Guardati dallo svegliarti: che parli tu omai e ricanti di patria d'armi e di virtù greca? La Grecia è cadavere spolpato; l'Italia da più secoli è cadavere polputo; ma pur cadavere: lasciamo in pace i morti dunque; e attendiamo a vivere in pace noi. Addio Addio –
J'ai reçu, mon cher Ugo, vos deux lettres du 11 et 15 le même jour c'est à-dire samedi passé après le départ de la poste. Vous aurez vu par celle que je vous ai écrite par M.me Millesi que j'ai tenté toutes les voies pour avoir de vos nouvelles. J'espère qu'à present il sera plus facile de nous écrire, mais tout aussi difficile de vous persuader (chose inutile) que vous vous êtes donné une
Basta ne parlons plus de tout ceci; c'est une affaire finie pour le moment, et pensez à vous remettre à l'étude et à nous donner quelque bon ouvrage, et à varier votre vie par le papillonage de la blonde à la brune. Votre ex-brune qui peutêtre est allée à Rome pour faire la conquête du S.t Père, avoit cependant auparavant assurée celle du G. Pignatelli, homme
Demétrius que vous avez très-bien vu à Milan, est ici. Il a été bien aise de changer d'air; celui de Turin est trop épais pour ceux qui ont servi le dernier Gouvernement. –
Vous devez en savoir autant que moi: l'Université a été fermée ainsi que le Licée je crois. En France on est plus indulgent. Vous avez certainement admiré la sagesse du Roi, et son indulgence. Si le François sont capables d'être heureux ils pourront le devenir. Ma ma il sont si légers.
Dites-moi, je vous prie si vous connaissez un Professeur d'anatomie de Boulogne nommé Quadri qui va chez la Martinetti. Il me paroit avoir de l'esprit. On le dit savant, [mais] les Toscans, quasi tous des ignorants, le disent un charlatan, parce qu'il a fait des p.... artificielles de la nouvelle méthode dont ils n'ont jamais entendu parler ici, car ils sont toujours très-ariérés des découvertes naturelles.
A propos de nouveautés, M.me de Staël nous a donné un nouvel ouvrage sur les Allemands, que le dernier Gouvernement avoit défendu. Il y a toujours de l'esprit et beaucoup d'idées. Votre dernière lettre me paroit plus gaie que les précedentes: êtes-vous plus tranquille? Je regrette que vous ne puissiez pas venir ici: que de disputes nous aurions ensemble, que de choses à nous dire! autour de la table ronde. En attendant ayez soin de vous donnez-moi de vos nouvelles et comptez sur mon amitié pour la vie.
M.r Fabre vous salue. Le griffonage de vos lettres l'impatiente souvent et le fait jurer.
Signora mia – Chi avrà l'onore di presentarle la mia lettera è il giovane r Fabre di lasciargli vedere i suoi lavori e i suoi quadri. La fortuna mia, ed una specie di malinconica infermità mi contendono d'esser
Quirina mia – Anche senza il motto fattomi dal S.r Giulio, io sapeva pur troppo che voi avreste dovuto rammaricarvi di me. Non vi ho scritto; nè io saprei dire il perchè; so ben dire ch'ebbi tutti i giorni in cuore di rispondere all'ultima vostra, e ne fui distolto or da una gita in campagna, or dal pigro proponimento, Vigilando aspetto
; ora io dirò, ed è:
Stefano viene a Firenze. Sapendo quant'egli prodighi il danaro, e come si lascerebbe morire di fame piuttosto che lasciarsi morire un capriccio, ho fatto quanto io poteva e doveva perch'egli stesse o qui, o in qualche città di Lombardia più vicina a Milano. Ma anche l'andata in Toscana è un capriccio invincibile, e però l'ho lasciato partire col nome d'Iddio, e con la mia paterna benedizione: ed è meglio per me; faccia il Cielo che non sia peggio per lui! – Or io, per soccorrere all'infermo, anche a suo dispetto, quanto si può, bramo che Stefano dipenda necessariamente da voi, e da' vostri consigli, e dalle vostre cure affettuose, alle quali sarà ingrato forse; ma ve ne sarò gratissimo io, Quirina mia; e voi avete l'animo sì gentile da benedir le occasioni che faranno maggiore il debito della mia gratitudine. – Piacciavi dunque di pagare a Stefano ogni quindici giorni
P. S. Affinchè Stefano sia più ritenuto a chiedervi danaro, non gli direte nè che io ve lo mando anticipato, nè altro; bensì, che avete l'ordine di contargli 300 franchi al mese; e che poi ve l'intenderete meco.
Cara Mamma – Le nostre cose vanno sempre tali quali, senza mutarsi per ora: tosto che avrò notizie certe sul nostro stato, le avrete da me per vostra norma. Frattanto di salute stiamo benissimo, e bene anche di borsa tanto da soccorrere a' vostri ed a' nostri bisogni. Per luglio sarete, finito il mese corrente, pagati dal signor Spiridione, a cui ho dato già credito di 18 napoleoni. – Non ho ricevuto le calzette; e se non le avete spedite, serbatele, perchè la stagione di portare stivali e per conseguenza
Estremum hunc, Arethusa,{Comitissa}, mihi concede laborem
– e poi non se ne parlerà più d'oggi innanzi: e scriverò adagio adagio perch'Ella non perda gli occhi, e il S.r Fabre non mi rineghi l'amicizia per impazienza. – Ricordomi che l'ultima mia tiritera prometteva di narrare il mio viaggio verso o si potevano fare di grandi cose; gli stessi Tedeschi ci avrebbero allora ajutati: ma il ViceRe di cui si dovea da noi parlar bene per non discreditarlo in Italia, sentiva ancora lo scolare, e l'alunno atterrito dal nuovo Silla in galera. – Del re di Napoli non dirò nulla per ora; ne parlerò forse tra un anno: – ma le perplessità del re, e l'ostinazione don-Chisciottesca del Principe alimentate nell'uno e nell'altro dal poco ingegno e dalla molta paura, fomentarono le discordie fra noi, e il sospetto reciproco, e gl'indugi, e l'inazione, e il malanno che ci ha colti noi tutti. Ora la disavventura ha ricongiunti que' pochi che avendo una sola mira, non seppero accordarsi ne' mezzi; e il disparere de' mezzi partorì la disunione degli animi. Ed ora credo che Font.... nel suo cuore s'affligga di non avere creduto alle profezie di Didimo chierico. Font.... restò in Parigi per due lunghi mesi, e ha fatto bene a non tornare se non a cose finite: tornò da tre giorni, e fra non molto andrà a viversi in santa pace nel suo paese sotto il duca di Modena. La turba ch'Ella chiama
Caro Ugo – Appena ho tempo di dirvi che ho ricevuto una vostra lettera i questa mattina dopo molti e molti desideri d'averne. Ieri venne Stefanino da me, ma come non aveva da voi ordine alcuno, non potei dirle cosa che lo riguardasse per il suo interesse: solo le dissi che se aveva bisogno di qualche cosa, io lo avrei servito volentieri, sicchè spero che tornerà a trovarmi. Or addio, mio amico; la posta parte, mi conviene esser breve più di quello io vorrei.
Perchè mai non mi scrivete? – e se la S.a Quirina non m'avesse fatto motto di voi, io non avrei saputo nulla finora. – Piacciavi d'andare da Lei, e avrete del danaro; – per ora la S.a Quirina vi darà
Cara Amica – Ho ricevuta l'ultima vostra brevissima pochi minuti fa, e il corriere riparte, e appena posso riscrivere. Il banchiere che sabbato scorso doveva farvi avere il danaro non lo spedì, perchè io gli aveva ordinato di trattenerlo, se mai il cambio perdeva; – e il cambio perdeva e continua a perdere di molto, e la sarebbe pazzia a sborsare danaro per avere carta pagabile a respiro, e giuntarci. Ho proferto di nuovo al S.r Giulio di pagargli a lui quella piccola somma; e fa pur sempre il ritroso. – Frattanto, mia cara Amica, vi prego di pagare a Stefanino
Miei cari – L'Angiolo poc'anzi era qui; è ripartito tosto per Lodi: gli dissi di scrivervi sul mio foglio stesso due righe; – risposemi d'avervi già scritto anch'egli, e la sua lettera vi capiterà forse nell'ora che avrete questa. Sta lietissimo d'animo e di salute: non v'è nulla per anche di nuovo o di certo quanto al suo impiego. Frattanto s'occupa e se la gode e si fa onore. – Abbiamo le calzette a Milano; ma non le abbiamo per anche in casa. La posta era chiusa ove si distribuiscono i pacchetti. Per ora tanto l'Angiolo quanto io vi ringraziamo affettuosamente, e ce ne serviremo, specialmente l'Angiolo che marcia sempre stivalato. – I miei saluti rispettosi al signor Costantino Naranzi, a cui direte che ho ricevuta dal signor Mustoxidi la sua lettera greca con formolario albanese: – ringraziatelo assai assai in nome mio. Dal signor Spiridione avrete, spero, ricevuto l'assegno anticipato del corrente luglio, o lo riceverete senza dilazione. Or addio, e tu, madre mia benedetta, manda a' tuoi figliuoli la tua santa e protettrice benedizione.
Perchè madama Cusi ha più memoria e più propensione degli altri di casa sua a favorire i supplicanti,
io Ugo Foscolo
supplico madama Cusi di dire al Signor Ingegnere suo marito, acciocch'egli ordini alla Donzella di ricordare al servidorello perchè per domani mattina, martedì, prima delle ore 9 mi sia portato o mandato mezzo boccale della celebre panera da me promessa ad un galantuomo il quale mi ha chiesto da colezione. Non altro.
Dio Signore Le conceda, mia Signora, un felice parto di gemelli ond'io pure possa acquistare un figliuoletto adottivo. –
Mio caro Amico – Ho detto stamattina al tuo servo che tornasse verso le
M'è stato impossibile, caro Amico, d'avere un soldo sino a questo momento; – aspetto di giorno in giorno, d'ora in ora, e sono deluso: – anche a momenti deve venire qui una persona, e me ne diede certezza; e non mi movo sperando che venga – il primo danaro, e nel primo momento che l'avrò, sarà tuo. Frattanto [ho] il dispiacere delle tue poco felici circostanze, e il rimorso di non poterle, come dovrei, prontamente soccorrere – Or addio
J'ai reçu, mon cher Ugo, par M.r Granville votre lettre du 22 Juin. Il y a 15 jours que je suis privée de vos nouvelles après avoir reçu 12 pages de votre façon. Quel est donc la maladie mélancolique qui vous domine? Je vous prie de répondre à celle-ci. Je vous prie aussi de ne pas vous affliger des circontances auxquelles il n'y a pas de remède. Vous ne parlez pas de venir revoir et vous calmer en Toscane. C'est cependant le seul endroit qui vous convienne.
Je suis ici pour tout ce mois à me plonger dans la grande plaine liquide. Il fait très-chaud ce qui est très-bon pour mes bains. Je m'occupe pour passer le tems car il n'y a aucune societé. Je suis fâchée de n'avoir vu qu'un moment votre Italico-Anglo. Il me paroit réunir l'esprit de son pays avec les.... du pays qu'il habite. Il me paroit que les révenants à l'exception du 18ème font de grandes bêtises. Le Monstre dont je vois l'Isle de ma fenêtre nous a reculé de 100 ans pour ne pas faire ce qu'il a fait. Les révenants n'ont pas acquis une idée de plus depuis 15 ans. Ils ont dormi et se réveillent d'où leur sommeil a commencé. Il me paroit que le monde est fait pour être esclave puisque on souffre tous les passés, et les présents. Chez nous c'est à peu-près la même chose il y a des sangsues qui devorent le pays parce qu'ils n'ont pas mangé chez eux. Ils sont venus pieds nus, et affamés, et veulent se remplir. Je n'ai pas le tems de vous en dire davantage. Portez-vous bien écrivez-moi et comptez sur mon intérêt très-tendre pour la vie. Votre Italico-Anglo ne verrà pas votre portrait; le faiseur est ici avec moi, et vous salue.
Caro Amico – O tu mi credi sleale, e devo esserne afflitto; o tu se' certo che la tua necessità mi preme quanto la mia, e tu avrai senza dubbio un nuovo dispiacere tutte le volte che mandi da me. – Sappi dunque ch'io feci mille tentativi la settimana passata, ed ebbi cento promesse le quali non si sono attenute. Avrei per altro un mezzo; ma in questo paese non so come giovarmene, ed è: ch'io rilascerò in forma una cambiale pagabile a trenta giorni data, di mille franchi. Rilasciando una cambiale, tu vedi ch'io devo essere sicuro di poterla pagare. Ma io non conosco anima nata a cui offerirla; e solo trovo gente che vorrebbe assai più dell'uno per
Sigismondo Trechi, ed io desideriamo di far qualche onore d'ospitalità ad un Inglese innamorato della nostra letteratura, e coltissimo; ed intendente di numismatica. Noi potremo condurlo oggi verso mezzo giorno alla Zecca, ma se voi non ci siete, chi gli sarà guida e Maestro? – Fate dunque di ritrovarci a quell'ora; voi darete all'Inglese occasione d'avere in concetto maggiore gli Italiani; ed a Trechi ed a me darete occasione d'esservi sempre più riconoscenti ed amici. – Vostro Amico e Servidore
Carissimo, ed oggi carissimo più che mai – Lessi e rilessi la vostra lunga·lettera; e risposi, e narrandovi storia più lunga, e forse non meno trista della vostra: ma, non so come nè perchè, io non ho terminata la lettera, e mi sta sempre innanzi agli occhi sul tavolino: ma l'avrete, l'avrete: e frattanto non vogliate ascrivermi la tardanza a freddezza di cuore; invece compiangete l'amico vostro, a cui la fortuna, e l'infermità, e le comuni disavventure hanno con fatale decreto data per compagna una perpetua ed inoperosa malinconia. Un'anima piena e tu lo sai, – ed afflitta, e sollecita delle persone più care, può parlare assai meno d'un'anima vota; e quanto più ha bisogno di conforto, e vede ogni conforto disperatissimo, tanto meno può lusingarsi di consolarsi e di consolare. Per ora alcuna notizia avrete di me dal sig. William Stewart Rose, inglese, al quale vi prego di fare quante finezze voi, gentilissimo fra' mortali, sapete pur fare. È amico mio, e dottissimo, e amante della letteratura e delle arti italiane; e voi più ch'altr'uomo in Italia potrete alimentare in lui questo nobile amore. Presentatelo alla signora Lucietta, tanto ch'egli conosca anche le nostre donne, le quali in tutti i paesi dell'universo, ma più che altrove in Italia, meritano d'essere conosciute da' viaggiatori. Or addio, mio caro Leopoldo. A voi, oratore delle Grazie, manderò fra non molto il
Mia cara Amica – Vi scrivo con la febbre addosso; e chi vi presenterà questa lettera, potrà anche darvi novelle di me. Conoscerete nell'amico mio un uomo assai schietto; educatissimo nella nostra letteratura, ed innamorato degl'Italiani. Esaminandoli forse da presso potrebbe disamorarsi; ma le Italiane, – che sono le creature migliori, e le uniche forse degne di stima, in questo sciagurato paese – potranno senz'altro alimentare ne' forestieri la buona opinione di noi. Chiamasi Guglielmo Stuardo Rose; avrete udito parlare forse di lui ne' fogli pubblici perch'era uno degli oratori del Parlamento. Nasce di famiglia celebre
Pregiatissimo Amico – Forse, e da gran tempo, crederete che io viva
«Oblitusque meorum, obliviscendus et illis:»
non è così; e poi, chi mai v'ha conosciuto una volta, e può dimenticarsi di voi? bensì mi sono astenuto dallo scrivervi, – e n'ebbi assai volte il desiderio e la tentazione, – per non darvi la noja di rispondermi: e penso che voi, più ch'altri, sentiate la saggia necessità di ritirarvi in voi stesso, e nel santuario del vostro cuore, dove trovate tante consolazioni, e quelle che non può darvi il mondo d'oggi ove
πάντα γὰρ ἐξ ἀλόγων ἐστὶ τὰ γιγνόμενα.
A me la natura, e dopo che le disavventure e l'età l'hanno in parte temprata, a me la Fortuna prescrisse più agitata la vita; e chi sa forse quando e come potrò impetrare il solitario riposo a cui da più anni aspiro sempre, ed invano. Nè ora verrei a visitarvi nella vostra solitudine con la mia lettera e con le mie afflizioni, se non avessi dovuto arrendermi a' desiderj e quasi alle preghiere d'un uomo ch'io stimo ed amo, e che viaggiando per l'Italia non crederebbe d'averla veduta tutta, se non vedesse anche voi. Questa lettera vi sarà dunque presentata dal S.r
r Rose chi potrà darvene esatte novelle, e quelle sopra le altre che per tanti anni di guerra non giunsero fino a noi. A questo proposito, spero che avrete ricevuta la mia versione di Sterne dal librajo Molini; e di ciò vi fo motto non perchè me ne ringraziate, nè per darvi il tedio di scrivermene il vostro parere, bensì per accertarmi che l'abbiate ricevuta, e perchè non crediate – caso che il librajo se ne fosse dimenticato – ch'io pubblichi un libro, e che non lo mandi, come ad amico e a maestro, subito a voi. S'io avrò pace e salute – ora vi scrivo febbricitante, però perdonate a' miei caratteracci – potrò forse fra non molto mandarvi il
Immortalia mortali sermone Notantes
; ed io sono, e mi sento in tutto e per tutto, ed ora più che mai, soggetto alle infermità de' mortali, ed avrò assunto argomento superiore alle mie povere facoltà.
Comunque sia, vedrò di farvi avere – se pure non vi rincrescerà questa noja – il manoscritto innanzi di pubblicarlo. Per ora perdonatemi le lunghe chiacchiere e vivetevi lieto, ed abbiatemi, sinchè avrò cuore e memoria, per vostro servidore ed amico leale.
P. S. Piacciavi di dire al S.r Rose dove potrà presentarsi alla contessa Albrizzi, se in Venezia od in Padova –
Amicissimo – Bench'io paja forse –
Oblitusque meorum, obliviscendus et illis,
non però vivo senza un desiderio forte e secreto di rivedere gli amici miei, e di parlare con essi, e di trovare consolazione nelle loro parole. Dovrei scrivere, è vero; ma che mai dire oggi che non gli affligga? perch'io scrivendo, non posso mostrare l'animo mio diverso da' suoi sentimenti e dalle sue sciagurate passioni – e disperatissime. M'intendete – Però mi taccio per non versare negli altri la tristezza – e non è mestizia; è tristezza – che va angosciando anche troppo il mio cuore, – e la provo tanto da scansare che la provino gli amici miei. Alcuna consolazione ottenni a' giorni passati dalla Fortuna, che mi mandò innanzi un Inglese tutto ingegno e tutto cuore; e s'io non mi lusingo un po' troppo, credo ch'egli nel dividersi da me s'accorga come perdendolo perdo il mio solo conforto. Vi recherà questa lettera e vi dirà come io viva. Chiamasi William Stewart Rose; e sa l'italiano che pare educato in Firenze, ed è innamorato dell'Italia e della nostra letteratura. Faccia Dio ch'egli, conoscendo gl'Italiani e i letterati d'oggi, non si penta della sua predilezione per noi; però desidero ch'egli conosca nomini che possano alimentargliela, e lo mando a voi, caro Ugoni, e a que' pochi che vi somigliano. Fategli quante cortesie sapete far voi che siete d'animo gentilissimo; e siategli geografo pel viaggetto ch'ei bramerebbe di fare al lago di Garda per visitare Sirmione, amabilissima fra le penisole. Nella sua compagnia troverete largo compenso de' favori che farete a lui, e facendoli a lui farete anche a me. Inoltre vi manderò in dono il Carme delle
Pregiatissimo Amico – Perchè so che amate l'Italia, per quanto poco sel meriti; e coltivate felicemente l'architettura; e avete alcuna predilezione anche per me, che quantunque lontano da tanto tempo, non mi dimentico nè di voi nè di chi vi somiglia – per queste ragioni e per questi diritti, non credo d'arrogarmi troppa libertà raccomandandovi un amico mio, che viene in Italia per ammirarla insieme e compiangerla, e viene con desiderio maggiore a Venezia a visitare i monumenti dell'architettura che non possono essergli mostrati meglio che da voi. Chiamasi William Stewart Rose; ed è di famiglia celebre anticamente in Iscozia; ed ottiene oggi nobilissime cariche in Inghilterra. De' favori che gli userete, troverete largo compenso nella sua compagnia, e nella sua dottrina, ed ammirerete la facilità con che parla Toscano. Piacciavi di presentarlo alle Dame vostre conoscenti, e segnatamente alla signora Albetta Vendramin. Perdonate a' miei scorbj; ma vi scrivo tormentato dalla febbre; di che per altro non farete motto in Venezia per non affannare le persone che mi vogliono bene.
Frattanto abbiatemi finchè avrò vita per servitore ed amico leale.
Caro Leoni – L'articolo vostro su la ver[sione di] Yorick non m'è capitato sott'occhio se non jer l'altro; ve ne ringrazio dunque assai tardi, non però meno cordialmente: e voi dovrete compiacervi del vostro giudizio, ed io della mia traduzione. Un viaggiatore inglese che vedrete a Firenze e ch'io vi raccomanderò, letteratissimo anche nella lingua nostra, e che venne a visitarmi per amore dell'
Delle
Caro mio amico – Non credete che la nostra separazione sia riuscita meno amara a me che a voi; ma io pure giunsi in Brescia tanto strapazzato [sia] dalla febbruccia che porto da qualche giorno in qua che dal viaggio, che non mi bastò il cuore a scrivervi, per ringraziarvi, come avrei dovuto, della vostra affettuosissima lettera. Per avere io saputo conciliarmi la vostra stima e 'l vostro amore sarò
Vi prego de' miei cordiali saluti al Conte Trechi e delle mie scuse al Signore cui devo la vostra conoscenza per non averlo io inchinato prima di partire da Milano. Fatto sta che avevo e la mente e 'l capo e 'l corpo tanto travagliato, che non sapevo dove io mi fossi, e fra altri miei dispiaceri più o meno grandi poco mancò che quel ladro di quell'oste dell'albergo imperiale non desse fondo alla mia borsa che fortunatamente saprò riempire in Venezia.
Il Pindemonte m'ha accolto benissimo, e devo accompagnarlo a veglia presso una certa marchesa di Berza. – Il mio compagno si è separato da me in Sirmione per costeggiar la parte occidentale del lago, ed aspetterò qui il suo arrivo per riprendere la strada di Venezia.
Fatemi il piacere di domandar le mie lettere alla posta e di farmele capitare insieme con le vostre in Bologna dove non mi tratterrò al di là del mese seguente, e questo per la vostra regola. Avviatomi poi da Bologna non mi fermerò sino in Firenze.
Addio caro mio amico, datemi delle notizie della vostra salute e credetemi il vostro affettuosissimo
P. S. Ci aggiungo una riga per la posta delle lettere in Milano, in caso che vi si faccia difficoltà rispetto il consegnarvi le mie.
P. S. 2 – Riapro questa in Vicenza, che l'ho ritrovata nel mio porta-foglio, e credevo di averla consegnata in Verona al servitor di piazza perchè la portasse alla posta. Spiacemi assaissimo di questo accidente, il quale però mi pone l'occasione di supplire a un difetto. Fate i miei ossequi alla Contessa. Dicesi in Inghilterra, che il vero scopo di una lettera si raccoglie dal P. S. Dite dunque alla Signora che vi ho supplicato di questa grazia nel
Foscolo amicissimo – Quando William Stewart Rose mandò alla mia casa la lettera vostra io era in Verona, ove pochi dì appresso Ippolito Pindemonte mi fe' conoscere questo bravo Inglese, che andava alla conversazione dalla Verza. Colà stavano tutti in orecchi ad ascoltarlo parlare dello stato attuale delle lettere Britanne con lingua, e frasi, che ricordavano i nostri classici, da cui soli erano tolte. Pensate s'ei piaceva con tutto questo, e con quella sua aura modesta, anzi timida. Gli chiesi della vostra traduzione di Sterne, e rispose, che un Inglese, che avesse posseduto quanto voi le ricchezze e le veneri tutte della nostra lingua, non avrebbe tradotto meglio quel libro, ove tanti squarci esigono non che conoscenza di lingua inglese, acutezza d'ingegno, e di cuore per essere intesi, e sentiti. Pindemonte mi presentò, e mi nominò a Rose, ma egli non mi riconobbe per colui a cui aveva cercato di far visita in Brescia.
Qui io passo la mia vita su un amenissimo colle suburbano, ove cerco di rassodarmi in petto una virtù, che immobile non ceda agl'incanti del vizio. Questa solitudine è la più appropriata agli studi delle amene lettere, e della filosofia, ai quali cerco quanto è in me di dar opera. Qui ancora fuggo le guerre atroci delle opinioni, e le vanità di alcuni desiderj.... ma io cedo la penna a Borgno, il quale vuole scrivervi, e vi dò un tenerissimo addio.
Hai fatto bene ingannando il tempo della nequizia coll'amenità delle lettere. Tu hai fatto, a quel che vedo, delle belle cose, io delle brutte; ma che pure m'hanno distratto per alcun tempo dalla malinconia, che mi opprime: ho tradotto il carme de'
La statua è in una grotta, appiè d'un colle; sopra v'è Bacco: eccoti l'epigramma:
Ti manderò copia dell'ode, e della traduzione alla prima occasione, che si presenterà.
Conviene che io pensi a cangiar paese, e sono vecchio; questo è un imbroglio. Le mie mire sono a Napoli, dove il Re non la pensa tanto male der poveri uomini sacrificati da un governo illiberale. Molte volte ho pensato a te; e mi fu di conforto aver inteso, che ti era conservato il posto, e la paga da capo squadrone, ma dubito che la cosa sia durevole. Io sarei stato contento d'aver questo piccolo impiego almeno per un altro anno, ma fui congedato. Spero in qualche maniera di portarmi almeno fino all'anno venturo, tempo in cui partirò, e partirò lieto.
Siamo tutti in una pessima nave; ma qualche cosa ha da succedere; non mi posso dar pace di certi avvenimenti....
Addio, Caro Foscolo; tu potresti venir qui per qualche giorno, ed aprirci il cuore sulle miserie de' tempi, e sulla speranza, o disperazione dell'avvenire.
Bada a star sano, ed amami come io ti amo.
C. A. – Rompo il silenzio noiata dall'aspettar lungo di vostre lettere; e non avrei mai saputo nulla di voi, se Leoni cortesemente non mi avesse detto che gli avete scritto e che sete incomodato da febbre, che suppongo non esser provenuta da altro motivo che dalla stagione estremamente calda e affannosa. Stefanino sempre Stefanino pieno di buone intenzioni e vuoto di costanza lo vedo quasi che spesso, perchè viene a prender denaro e sta bene. Egli spende per sè e per altri che gli hanno dato delle commissioni, e fin ora in questo mese gli ho dato cinquantacinque monete, promettendomi d'essere meno prodigo nel mese futuro. Egli è alloggiato in casa di oneste persone che io conosco, lo servano e non prendano che tre monete al mese, e dieci monete spende al trattore per l'abbuonamento del pranzo; voi vedete che quando al primo d'ogni mese ha pagato tredici monete, gli rimangono in tasca uno scudo il giorno, di che vorrebbero esser muniti molti de' nostri nobili e plebei; ma il giudizio spesso viene dopo la morte. Frattanto vi prego scrivermi un poco serio sull'articolo danaro, fissarmi il quanto devo dargli ond'io possa essere severamente fedele a' vostri ordini che io gli renderò ostensibili.
Abbiate cura della vostra salute e non vi lograte troppo lo spirito e il corpo con l'assiduità al tavolino. A proposito, Stefanino mi disse che pensavi di fare stampare i vostri Inni alle Grazie. Ditemi se ciò è vero. La mia famigliola vi saluta; io non posso mandare nemmeno saluti alla Topina che so da Stefanino che non sta più con voi. Addio, dunque. Sono con tutta l'amicizia
Cara Mamma – L'Angiolo, che fu mio ospite sino a jer l'altro, vi scrisse mercoledì; e perch'egli vi avrebbe dato mie nuove, e fatto testimonio della mia buona salute, risparmiai a me la fatica di scrivere e a voi la spesa di pagare una nuova lettera, e differii sino ad oggi. Avrei veramente voluto nella lettera d'Angiolo aggiungere un mio poscritto, ma egli l'aveva impostata senza avvertirmene. Il suo impiego continua tuttavia; e pare che per ora non abbia da temere novità disgustose. Quanto a me, fra due settimane al più tardi, e forse a' primi di agosto sarò sciolto per sempre dalla milizia; ci perderò nella borsa, e ci guadagnerò nella libertà e nello studio; e secondo i miei computi verrò a Venezia per la fine di agosto; abbiate dunque occhio a trovare qualche casetta competente; e senza decidere nulla, esaminatela; e informatevi dell'affitto; ma dev'essere in
Carissimo – Scrissi a Brescia, or sono otto giorni, raccomandando la lettera ad un Inglese, e l'Inglese alla vostra ospitalità: ma se voi mi lasciate senza risposta, chi sa dirmi se voi l'abbiate veduto? M'importerebbe poco s'egli avesse per caso smarrita la lettera, o se ne fosse dimenticato; ma questa congettura è improbabile, perch'egli è uomo cordiale ed esatto, e se non altro, m'avrebbe scritto. Però temo non l'infermità o alcun'altra disgrazia gli abbiano impedito di arrivare sino a Brescia, e di visitarvi; e l'esser io medesimo infermo di febbri e poco fortunato, provoca forse questi vani timori: chi sta bene e ne gode, vive poco sollecito degli amici. Scrivetemi dunque, e se mai il signor Rose fosse per anche in Brescia, ditegli in nome mio,
Mio dolcissimo Ugo – Per mezzo dell'amico nostro Giberto Arrivabene rispondo alla lettera vostra da me ricevuta oggi. Spero che avrete avuto l'altra mia, nella quale vi dava le nuove dell'Inglese. Vi aggiungo ora che egli mi sembrò pieno d'amicizia e di stima per voi. Mi disse che gli avevate regalato lo Sterne e i Sepolcri. Anche di questi parlò con lode. Egli presentò la vostra lettera a Pindemonte, che lo introdusse dalla Verza. Partì poi per Venezia, e siccome impiegava tutto il giorno ad osservare ciò che meritava la sua attenzione, così non avrà trovato agio da scrivervi, onde datevi pace. – Avrò a caro assai d'aver vostre nuove, e saprò volentieri da voi chi sia l'autore della continuazione della storia di Teresa, che ho letta in una edizione delle vostre lettere d'Ortis. – E Giulio che fa egli? È a Milano, o a Lodi? Addio di cuore. Sono
Signor Gasparo Pregiatissimo – Il caldo mi spaventa, e non m'attento di uscire; bensì ardisco pregarla di far pagare a Firenze alla signora Quirina Maggiotti Lire Fiorentine = 400 = quattrocento; e mi premerebbe che l'ordine fosse spedito col corriere d'oggi. Piacciale di spedirmi per mezzo del mio domestico, che verrà verso le ore quattro, il nome del suo corrispondente di Firenze a cui si diriggerà la Signora, e la fattura del mio debito ridotto in lire italiane perch'io possa subito rimborsarla. Aggradisca frattanto i miei cordiali ringraziamenti, e mi creda sempre suo servidore ed amico leale
Caro Stefano – Bench'io desideri che voi non vi dipartiate da me in paese più lontano di Firenze, tuttavia se volete andare a Roma sia fatta la volontà vostra e del cielo: – A me dopo i miei paterni e amorosi consigli, non resta se non di darvi la mia benedizione, e di augurarvi il patrocinio della Fortuna che spesso è più valevole d'ogni umana prudenza. A' consigli aggiungerò sempre gli ajuti, che a me non costano un soldo, perchè quanto vi mando è danaro vostro; e quanto a' disturbi io vorrei assumerne anche degli altri per amore di voi e per compiacere al mio cuore. Saprete forse che il S r Naranzi è partito per Vienna; e mi ha lasciate le cure ch'egli adempieva come parente verso la mia famiglia e verso di voi. Sono sicuro ad ogni modo ch'egli mi rimborserà prontamente del danaro, come a dir vero egli ha fatto ogni qual volta le circostanze insormontabili della guerra non gli e lo hanno vietato; e di questo, Stefanino mio, voi dovete essergliene grato finchè vivrete. Ma quand'anche egli dovesse tardare a ripatriarsi, a voi non mancherà nè sarà tardato l'assegno. Alla Sig.a Quirina che vi darà questa lettera ho rimborsato il danaro pagatovi per lo scorso Luglio; e n'avrete altrettanto pel corrente mese d'Agosto: fatevi mostrare da lei la lettera che le scriverò stassera se starò bene, o al più tardi domani; perchè io sono servo della febbre terzana, e non posso spendere le ore secondo la mia volontà; ma è malattia più grave che lunga; però passerà col rimedio della pazienza; voi per altro guardatevi dallo scriverne a Venezia affinchè mia Madre non lo risappia. Quanto poi al vostro viaggio di Roma, se, come a me pure, vogliamo levare questa noja alla Sig.a Quirina, intendetevi seco, e scrivetemi affinchè io possa in tempo trovare corrispondente che vi paghi gli assegni. Se non che bramerei che voi per ora continuaste a dimorare in Firenze; l'essere voi presso a quella signora, mi consola. Poco conforto e nessuna speranza per l'avvenire mi danno al cuore que' tali Greci di cui mi parlate senza pur nominarmeli. Credetemi, Stefano; la Natura vi ha creato per vivere solo: e l'esservi scostato così subitamente dal buon Atanasio, col quale dovevate convivere, fu per me ferita gravissima, benchè non forse improvvisa. Ma purchè viviate felice, gli amici vostri non si dorranno se vi allontanerete da loro: potrete dimenticarli forse; ma non sarà già in vostro potere di fare ch'essi (perdonando alla gioventù ed agli umani difetti) non amino in voi le doti ch'io amo e che desidero che conserviate perpetue. – Or addio addio.
Cara amica – Rispondo – e come posso – appena letta la vostra lettera. Voleva, e n'ho pur grande necessità, voleva dirvi di molte cose, e però differiva aspettando pochi giorni di salute e di mente serena: si scrive pur male da letto! – La febbre terzana mi fa star peggio quando è partita, e pessimamente quando sta per tornare: quando io me la sento nelle ossa e nel sangue ho, se non altro, il conforto di sentire la forza della malattia, e non la languente nullità che avvilisce. Così sia; dal dì 9 luglio non ho un giorno ridente, e chi sa quando riavrò la salute! – Mandate dal S.r Francesco Borri, ed ha un ordine per quattrocento Lire Toscane: fanno
P. S. Raccomandandovi, cara Amica, quanto mai posso quell'Inglese che vi ha portata, o vi porterà una mia lettera – Procurate ch'egli trovi, e senza sofisticare troppo per la spesa, una casa dov'egli possa stare a dozzina a imparare l'italiano –
Carissimo – Scriverò sinchè posso e come posso aspettando a letto la febbre; e s'io non fossi tuttavia prigione delle terzane, sarei uscito a procurarvi a mio potere associati al giornale e allo Shakspeare. Vedrete fra non molto in Firenze il S.r William Stewart Rose uno degli estensori del
Allora Agamennon sorse, tenendo Lo scettro (cui già fabbricò Vulcano: Vulcano il diede al Re Saturnio Giove; E Giove all'uccisor d'Argo Mercurio: Questo Re diello a Pelope cocchiero; Indi lo diede Pelope ad Atreo Di popoli Pastor: e Atreo morendo A Tieste il lasciò ricco di greggi: Tieste poi lasciollo ad Agamennone Perchè il portasse e sopra isole molte E su tutt'Argo esercitasse impero).
Notate, Leoni, quel tutto Argo
, che infatti è nel testo d'Omero; e fu male inteso e trasandato da' traduttori e da tutti gl'interpreti e chiosatori. Nessuno, ch'io mi sappia, osservò che quel tutto
si riferisce all'indivisibilità della monarchia, che trapassava ereditaria a' primigeniti della casa reale. – Se allo scettro del Salvini e del Ridolfi vi piacerà d'aggiungere queno stampato dal Cesarotti e intagliato a rabeschi moderni, potrete averlo dalle edizioni Toscane; e vi farete di belle note e raffronti utilissimi; ma chi mai cerca l'utile in letteratura oggimai, fuorchè quello della dedicatoria? Dopo questo articolo omerico, vi manderò, se vorrete, il ritratto di Tersite da me ricopiato e il paragone sommario sovra gli altri ricopiatori, e riescirà forse ridicolo al pari del soggetto: non vorrò per altro che si sappia che quell'articolo sia escito di casa mia. Se mai voleste stampare in latino la
Carissimo – Ringraziovi della pronta risposta, recatami dal cavaliere Giberto: il signor Rose mi ha scritto, e mi sento fuori d'affanno; era partito malinconico e infermo, e gli fu forza di sostare per la febbre a Vicenza; è un egregio valentuomo davvero, e non par letterato; guai, forse, se fosse nato ed educato in Italia! – Di mio fratello non so se non ch'ei sta bene; spera per la sua scuola; ma io non ci ho fede, e mi affliggo prima del tempo, presentendo che dovrà abbandonare un mestiere nel quale ha spesa la sua bellissima gioventù; e mi rincresce assai più; ch'egli sia innamorato di quel mestiere; e il fare passionatamente e con buon esito quel che si fa, è pur la bella fortuna; si comporta la fatica assegnata in sorte a tutti i mortali, senza sentirne il dolore. Ma anche di quel giovine sarà quel che il Cielo vorrà; e bisogna pure che la Provvidenza soccorra a tanti e tanti altri che andranno, anzi cominciano ad andare raminghi, forestieri nel proprio paese. – E penso alle volte anche a Borgno; e quel poco ch'egli mi ha scritto nella vostra penultima lettera mi ha fieramente turbato. Dove andrà? come andrà? e potrà egli viaggiare così alla ventura con tanta età e con sì poca salute? quant'io più ci penso, e mi trovo sì povero e inetto ad ajutare gli amici miei, desidero di uscire d'una vita ch'io tollero con mio sommo travaglio, e senza frutto per gli altri. Salutate frattanto l'amico nostro, abbracciatelo in nome mio, e fate ch'io possa avere, innanzi ch'egli si parta di Brescia, notizie sicure delle sue intenzioni e del suo stato per l'avvenire. – Non so darvi risposta intorno alla
Eccellenza – Il sottoscritto, avendo saputo come o. Che il sottoscritto nacque, non in Dalmazia, ma nell'isola di Zante, di madre Greca e di padre Veneziano; e suo fratello Giulio nella città di Spalatro; ma sì l'uno che l'altro furono dalla loro puerizia educati in Venezia dove la loro famiglia dimora senza interruzione dall'anno o. Che, oltre la dimora ed il domicilio perpetuo di 25 anni, il sottoscritto e suo fratello Giulio, appartengono a famiglia antichissima veneta; e discendono da un ramo che ha perduto il patriziato in Venezia, ma conservando in compenso finchè sussisteva la Repubblica Veneta i titoli di nobiltà, e i diritti d'intervenire a tutti i o. Che il sottoscritto si trasferì individualmente nel territorio della Repubblica cisalpina col favore e col diritto accordatogli dal Trattato di Campo-Formio. – 4o. Che il sottoscritto fu non solamente dichiarato Cittadino italiano con un decreto, abrogato poscia insieme ad altri molti, del Consiglio Legislativo, ma fu nominato elettore pel dipartimento dell'Adriatico, e n'esercitò le funzioni; per cui i diritti di cittadino italiano, e di rappresentante il Comune di Venezia, e il suo dipartimento, gli divennero inalienabili; e il sovrano decreto che rivocò il diritto di rappresentanza, non distrusse, nè poteva distruggere, il diritto di cittadinanza, perchè era assolutamente necessario a' membri de' coleggi elettorali, e quand'anche non fossero stati anteriormente cittadini, lo divenivano implicitamente con le funzioni d'elettore, conferite dal Corpo che allora rappresentava l'intera nazione, approvate dal Supremo Magistrato della o. Finalmente quand'anche le ragioni ed i titoli rappresentati lasciassero alcun dubbio al Ministero, tutte le leggi anteriori al 1796, e il recente decreto della Reggenza, ed ardisco anche dire, il
Frattanto supplica l'Ecc. Vostra che si degni d'esaminare le sue ragioni e di ordinare che sieno rettificate le matricole del Ministero in ciò che spetta a' titoli di cittadinanza del sottoscritto, e di suo fratello; o, se non altro, di tenere il luogo della loro patria per indeciso, finchè abbiano tempo di esibire altre prove, quando mai V. E. volesse assumere informazioni più esatte. Degnisi intanto l'Ecc. Vostra di accogliere le proteste di ossequio con cui il sottoscritto si dichiara
Il me paroit, Monsieur Ugo, que les 12 pages que vous m'avez écrit il y a 3 mois ont epuisés votre imagination, et votre interêt pour moi car il y a un siècle que je ne reçu de vos nouvelles.
Je vous prie de me dire ce qui vous est arrivé? Veuillez aussi me dire s'il est vrai que vous n'avez plus votre valet de chambre parce qu'alors je ne payerai plus sa mère.
On dit que M.r Alari a été ici, je n'ai pas eu le plaisir de le voir. Il a en peur de ne pas se trouver d'accord avec moi. Il se trompe car apresent que
In conseguenza della vostra lettera i signori Borri e C. mi pagarono per vostro conto 60 monete, che tante avevo io date a Stefanino prima che voi mi avvisasse che tenessi conto delle cinque monete rimastemi. Ieri poi venne Stefano, e volle tutti i 300 franchi, che gli contai in cinquantaquattro monete, dicendomi che domane parte per Roma. Aggiunsi le mie alle vostre benedizioni poichè non vi fu da persuaderlo in contrario, stimolato da alcuni suoi amici giovani e inesperti al pari di lui, uno de' quali mel condusse, ed è il Brugnatelli.
Non ho veduto ancora il raccomandatomi vostro Brittanno, no so che egli sia in Firenze. Io credo che gli averete dato molti indirizzi dai quali potrà trarre più vantaggi e più piaceri. Io sto ritiratissima e giornalmente vedo poche persone, quello che to di straordinario è un'accademia tutte, le domeniche mattine, ove si leggono le produzioni, traduzioni ecc. L'Isabellina è fra le donne che mi favoriscono. La Massimina verrà – Alessandri, Lucchesini, Corsini, Capponi ecc., vengano. Vedete un poco che so divertirmi ancor io quasi santamente, e se voi fosse a Firenze mi onorereste, credo, con la lettura di opere vostre e sareste al certo applaudito non è vero Ugo? Ma tu lontano, malato nel corpo e fors'anche nel cuore, a tutt'altro pensi che a me, che pur ti ho....
Come si porta la febbre? La china dovrebbe schiacciarle il capo, la china unico rimedio alla terzana. Scrivimi qualche volta di te, Amico mio, dimmi che sei guarito, che il riso è tornato sulle tue labbra, che la pace e l'amore regnano nel cuor tuo, e che non ostante ti ricordi qualche volta della tua amica vera.
Hai veduto il
M. C. –Il signor conte Luigi Piovene di Vicenza vi reca tutto quello, che ho potuto avere del libretto, di cui vi scrissi. Lo vidi dalla bella Del Verme, alla quale avete parlato altre volte in Venezia, lo ebbi in prestito da lei, ed ora in dono, però lo faccio vostro, e solo duolmi, che nè la Del Verme, nè io sappiamo rintracciare il resto dell'opera, ignorando perfino dove e da chi sia stampata; del rimanente parmi strano, che non conosciate questa contraffazione; nè so darvi in mano altro filo ad uscire di un tal labirinto, oltre quello che potete avere ne' pochi fogli, che vi mando. Piacemi, che e in Francia, e in Inghilterra, e nella Svizzera si legga tradotto l'Ortis, libro, che quadra un'altra volta – pur troppo! alle
Ma di tali cose parleremmo meglio, e più liberamente, se andaste a Lodi presso vostro fratello quando io pure vi andrò. Giulio mi va reiterando i più gentili e incalzanti inviti perch'io mi rechi a vedere la Scuola, della quale è innamorato direttore, prima che si chiuda. Offre per fino di mandarmi a prendere nel suo cabriolet per vincere la mia pigrizia a muovermi, e la mia economia necessaria; onde io ho decretato di andarvi, ma vorrei che voi pure ci foste, e recaste con voi le Grazie, l'Alceo, la traduzione del 2o della Iliade, e quante più potete delle vostre scritture, per le quali conoscete già la mia passione, la quale comechè forse smodata, vi ha talvolta (triste nella memoria) irritato. Se non che o le vostre lettere m'inducono in false conghietture, o voi siete fatto più
L'affare fu in questo modo. Io doveva partire alle 5 per la campagna, ed alle 3 mi si presentò il signor Guglielmo Stuardo Rose in nome vostro, e con una vostra carissima letterina in mano. Se gli feci festa potete pensarlo. E «quanto restate qui?» gli dissi. «Parto – mi rispose – per Venezia fra due ore, ma tornerò qui certamente». «Tanto meglio – io soggiunsi – perchè parto anch'io». E così fu, e stetti tutto questo tempo fra valli triste insalubri. Ricercare del signor Guglielmo e scrivervi è mio primo pensiero. So di lui, che egli è ancora a Venezia, e conviene credere che una qualche sirena lo abbia intrattenuto, con la dolcezza del suo canto, più di quello ch'egli s'era proposto. Cos'è questa vostra febbre? Dio buono! o per cause fisiche, o per cause morali voi tribolate sempre i cuori che v'amano! quanto non ho sofferto per voi! ed avessi almeno saputo ogni cosa da voi medesimo, chè avrei saputo il vero. Il signor Guglielmo, perchè bisogna pur che vi parli di questo bravo giovine, il signor Guglielmo mi piace assai. È una meraviglia nel conoscere la lingua italiana, e la nostra letteratura, e gli uomini italiani così bene, toccando appena l'Italia. Spero di rivederlo. E le Grazie? Sono certo che per proprio loro interesse avranno impetrato da Igia salute al loro amabile cantore. Sono impazientissima di vederle. È egli vero che voi venite fra noi? Se così fosse mandatemene per istaffetta la nuova che io la pagherò volentieri. Il mio Giuseppino vi riverisce. Addio, mio caro amico; conservatemi sempre un cantuccio del vostro cuore; nel mio voi ci siete a bell'agio. Addio.
Carissimo – Eccomi alla fin fine giunto in Bologna. Eppure vi dissi di doverne essere partito per Firenze prima de' dieci; ma io come il vostro Parroco se mi vien fatto di arrivare al luogo per cui m'incammino, dominato dalla stessa sua forza di fatalità, rarissimamente vi capito al tempo prestabilito. Voi che siete tanto sollecito per me, avrete piacere sentendo che ho migliorato di salute. Così fosse di voi! Volete provare una medicina che, stante la sobrietà della vostra vita, se non vi farà bene, sicurissimamente non vi farà nessun male? Ne scrivo la ricetta sul foglio opposto. Prima però di pigliarvela, se non temete la prova, purgatevi una volta, e se il ferro vi riscalda un pochino il sangue, seguitate di fare così di quando in quando, e a proporzion della necessità, di cui voi solo potete giudicarne. Non continovate l'uso di questo rimedio al di là da un mese, chè smessolo per un paio di settimane, lo riprenderete con molto maggior profitto. Voi mi farete gran piacer provandovici, chè sono quasi certo che ne ricaverete vantaggio. – E come potrò mai ringraziarvi abbastanza delle premure che avete per me! Dappertutto il vostro nome mi ha spalancato le porte e mi è servito come quella parola cabalistica nella fiaba araba. – Come io non mi sono fermato che per poche ore in Padova, l'Albrizzi
Or addio, mio carissimo amico.
Io ti ringrazio, Foscolo mio, dell'inquietudine, che provi intorno al mio destino, perchè è una prova dell'amor tuo verso di me, che egualmente ti amo, e vivo inquieto del tuo. Sia l'età, sia il callo che feci alle sciagure, la mia sorte, benchè tristissima, non mi tormenta quanto tu lo immagini; e mi occupo quanto mai posso di letteratura per non pensar ad altro, abbandonando alla ventura me stesso, e tutto il mondo; e quando mi corco sorridendo ripeto ogni sera:
Il mio divisamento è di domandare al Governo di poter proseguire nel mio posto un anno, o sei mesi; e poscia irmene a Napoli. Là ho qualche conoscenza, e precipuamente quella di un certo Rossetti piemontese aiutante di campo del Re, il qual Rossetti ha meco delle obbligazioni, di cui non so se sarà memore; mi raccomanderò al Re stesso, che non è di cattivo cuore, ed ha compassione de' poveri Italiani, ch'egli avrebbe unito insieme volontieri, se la perfidia di gente sciocca ed ambiziosa non avesse rotto i suoi disegni.
Quando tutto mi andasse fallito, farò dipingere un quadro con qualche gran miracolo, e lo farò vedere con ampollosa spiegazione
O foss'io Arici, chè farei fortuna! quante ne racconterei a que' Napoletani! Ma e il miracolo? Vedi, amico, disgrazia: mi ci vorrà un anno per inventarlo, e per addestrarmi ad inchini, e compostezza d'occhi nominando la Vergine od alcun Santo di que' però dai mostacchioni, ed a contorsioni e stralunamenti quando nominerò qualche gran demonio; quando Arici in meno di un mese tutto composto di cristiana divozione, canta epicamente il trionfo della Religione di Cristo, il quale per mano di Tito distrugge Gerusalemme, dove gli Ebrei l'hanno fatto morire. Se il gran Turco nominasse il Segretario dell'Istituto Italiano, egli avrebbe epicamente cantato il trionfo della religione di Maometto, ed avrebbe innalzato questo furbo profeta sopra tutti gli altri, perchè promette il paradiso ed il godimento di bellissime Uri per consolare di là que' che di qua furon cacciati dagli impieghi, che esercitavano onoratamente, quasi che fossero gente sì odiosa, che nè sole debbali riscaldare, nè terra sostenere; ma questa nomina non è di ragione Turchesca, ed ecco che Arici non mi consola col cantarmi le Uri, ma canta i tormenti de' poveri Ebrei, che pure era il popolo elletto, se tranne che non mangiava prosciutto in giorno di grasso, nè gamberi in giorno di magro, era pure un buon popolo, benchè abbia trucidato qualche coorte, o legione Romana cercando di rivendicare quell'indipendenza, che un'ingiusta forza gli aveva tolto, e nulla di più abbia fatto che i Britanni, i Germani, gli Spagnuoli, e nulla di più di quello che farebbero i popoli, se avessero più virtù ne' tempi presenti.
Mi si dia tempo di pensare al miracolo; e poi ho in tasca il genere umano; io andrò a Napoli a cantar o secolo. Scrivimi, che è per me una grande consolazione aver lettere d'amici, e precipuamente tue. Addio di nuovo.
Mia Signora ed Amica – Da che spero ch'Ella non vorrà vietarmi ch'io continui a chiamarla con questi nomi; e il mio lungo silenzio fu bastantemente punito dalla lettera ch'Ella ultimamente mi scrisse: e que' rimproveri malgrado l'indulgenza che li temperava mi liberarono in parte da' rimorsi ch'io mi sentiva; e quando uno è punito della pena ch'ei vede di aver meritata, i rimorsi si calmano. Ma la colpa non fu tutta mia; le circostanze mi prescrissero di tacere per qualche tempo; ed io, e la mia trista salute e il mio malinconico Genio – poichè tutti abbiamo un irresistibile r
r Fabre – Ho dato ordine a Firenze che gli sieno mandate venti monete, ed egli avrà il disturbo di recarle a Lei in rimborso del danaro pagato alla madre di Pietro che per ora è con me.
Cara Mamma – Ricevo la vostra; e rispondo subito, e presto, perchè la posta riparte fra poco. Per l'affitto avete fatto bene ad accomodarvi col ricevitore, perchè davvero sono senza un unico soldo per ora: e l'avviso di quell'opportuno respiro mi ha ridata l'anima. Quanto alla casa, se quella di San Lorenzo, di cui mi parlate, fosse decente, non avrei difficoltà, perchè così voi pure sareste nelle vostre vicinanze, e la Mamma presso la santa sua chiesa: mi dà un po' di noja quel non essere in aria spaziosa; tuttavolta fate di tenerla a parole, ma senza impegnarvi: è meglio che la si pigli definitivamente alla mia venuta – che sarà non saprei precisamente dirvi il quando, ma presto: ve ne avvertirò dieci o dodici giorni prima. – Or addio. L'Angiolo sta benissimo: addio Pippi; addio Rubina: tu, madre mia, manda a noi tutti la tua santa benedizione – addio –
Signora Contessa – A un mio conoscente che domattina parte verso Firenze, e che è venuto a ricevere il buon viaggio da me, consegno la lettera rimasta fideicommissa a Milano, e ricuperata oggi dall'Abate. Non importa che il latore si presenti a Lei; nè io ardisco introdurle una persona la quale non ha in sè cosa brutta, per quanto io mi sappia, ma di cui io non conosco niente di bello dal volto in fuori. Consegnerà la lettera a Gigi fidato. – Bensì le si presenterà un dì o l'altro un gentiluomo letteratissimo, e di piacevole discorso, e d'animo signorile. A lui, e a lui solo, la prego di consegnare l'annessa lettera; e se mai per ora egli non venisse a Firenze, non le rincresca di serbarla, o di bruciarla come più le piacesse. Del resto domani le scriverò nuovamente. Per ora mi torno al mio letticciuolo, a far quattro chiacchiere col vecchio Omero; e ho sempre al mio guanciale quel suo regalatomi,
Mia cara Amica – Dallo stesso S.r Borri riceverete r Fabre pittore, per rimborsare la Contessa del danaro dato e da darsi alla madre di Pietro. Ma voi non dovete parlare dell'oggetto di questo pagamento; anzi mi premerebbe che voi faceste contare le venti monete al S.r Fabre a mio nome, ma senza ch'egli risapesse che sono passate per le vostre mani: chi sa quanti almanacchi farebbe la buona Contessa! –
Da un vostro conticcino che ho sott'occhio vedo ch'io vi doveva, prima della venuta di Stefano, lire 132; che importano monete
Or che mi sono distrigato di questi spini economici a cui pur devo sacrificarmi con la trista rassegnazione con cui una monaca dopo un anno di professione consacra volere e non volere la sua santa verginità, voi lascerete, mia cara amica, ch'io mi rallegri dell'elegante liceo che avete aperto in Firenze. E me ne avete data la partecipazione all'omerica, umiliando prima lo stile, per esaltarlo improvvisamente e colpire il lettore. Il mio
e son versi del Petrarca, che ne' suoi guai se li fece prestare da' lamenti di Giobbe di cui sento tutte le angosce, e sto per dire con più rassegnata pazienza. Ma sia così! e non è poco ch'io sia libero della febbre, e ch'io possa scrivere come vedete con più umani caratteri, seduto al mio tavolino. Del resto il mio Britanno figurerà e con suo profitto, e con vostro piacere, nella·vostra accademia, perchè è dotto nella nostra letteratura, e parla esattamente toscano, e sente addentro nell'arte poetica, e giudica con luminosi principj, ed inoltre è d'animo signorile, e di lieta conversazione. Fategli dunque accoglienze e per amor vostro e per amor suo, e se non altro per amor mio se pur n'avete ancora per me, e di quell'amore tutto schietto e disinteressato; e non ne dubito, mia cara Amica, perchè vedo quante noje vi pigliate per me, e con pronta e graziosa benevolenza: e tutti i sentimenti che terrò vivi sempre per voi saranno pari alla mia gratitudine. Addio addio –
Signora Contessa – Quando jer l'altro le dissi le ragioni che mi sconfortarono dallo scrivere, la poca carta non mi concedeva di confessarle anche i pretesti; chè pretesti pur sono per tutti (fuori che per me solo) i tristi e inoperosi e muti pensieri co' quali mi domina, e m'empie il core d'amarezza e di pigrizia e di noja e di tenebre il
La sorte mi aveva conceduto di far amicizia con un Inglese che sa di letteratura italiana più d'on Bibliotecario Fiorentino, e ne giudica con sì luminosi principj che abbaglierebbe un professore dell'Università di Pisa su la sua cattedra: inoltre è narratore d'aneddoti bizzarri della vita de' letterati d'Inghilterra; viaggiò in Grecia; fu compagno di molti inglesi uomini di guerra, dimorò in Malta e in Sicilia quando non si sapeva da noi ciò che si facesse di là dal porto di Livorno e d'Ancona; è uomo schietto ne' modi, affettuoso di cuore, d'alto animo, e quando si rallegra, è faceto in conversazione; e mi fu di caro e improvviso sollievo: ma se n'andò lasciandomi malato, malato egli pure. A quest'ora sarà forse a Firenze: allora non ho potuto dargli una commendatizia per Lei; ma avrà l'onore di presentarsi da sè, e quanto ora Le scrivo di lui gli gioverà, spero, di passaporto. Mi preme assai ch'egli abbia una mia lettera da cui dipende un pochino la quiete della mia Fantasia. Taluno di mia conoscenza mi promise che avrebbe consegnato al suo Gigi un piego per Lei; è partito stamattina su l'alba; non le dispiaccia di avvisarmi se l'è pervenuto, e se la lettera che v'era inclusa fu da Lei data all'Inglese. E perchè Ella sappia tutto di lui, chiamasi
Amico pregiatissimo – Dovete aver ricevuto un mio biglietto che vi lasciai in casa la sera stessa della vostra partenza di qui, il quale conteneva alcuni rilievi di varj errori da voi fatti nel conteggio che di vostro carattere faceste sotto i miei conti. Vedrete dal detto biglietto che mi dovete P.i 81 fiorentini. In ogni altra circostanza non avrei badato a questa freddura, ma non vi sono ignote le circostanze mie, alle quali aggiungerete la considerazione che la speculazione dell'impressione del
Chiarissimo Signor Ugo – Viene costì un amico mio, e gli do l'incarico di portarle questo viglietto, e mille saluti miei e di Luigina; e per questo modo gli porgo occasione di conoscere meglio di volto Lei, che già tanto ammira nelle Opere immortali.
Così potess'io vederla; e vorrei farmi ripetere quella vivissima pittura di Tersite r Ugo, non fa ancora conoscere all'Italia desiderosa Omero qual è?
Le direi più cose; ma l'amico parte or ora. Mi perdoni adunque, e mi permetta che mi professi
Mia cara Amica – Godiamo insieme di questo pezzetto di carta; ed è tutta che i mi rimane oggi, che sono religiosamente sprangate le porte d'ogni bottega, e i miei vicini celebratori della Festa di San Bartolommeo vanno scampanando a scorticarmi le orecchie in pena de' miei tanti peccati: nè voi, saggia Isabella, oggi sarete costretta (come in tante altre mie interminabili filastrocche) a stancare lungamente i vostri grandi occhi sopra i miei minutissimi geroglifici che pajono gli atomi infinitesimi del Caos d'Epicuro. E sì che avrei pure a narrarvi di lunghe storie; e un dì o l'altro, se mai tardassi a venire a Venezia, le avrete; e se direte forse con verità che le lettere di quattro facciate sono indizio d'amor proprio, io risponderò, e forse con più verità, che possono anche significare il desiderio di mandar tutto il cuore agli amici lontani. Ed era pur molto ch'io udiva parlare di voi, e sapeva di voi quel tutto che si poteva sapere dagli altri; ma non vedeva vostri caratteri; li vedo oggi e li leggo e rileggo, perchè sono sempre tutti affetto, e adulano senza parere. Non però posso rispondere esatto alle vostre interrogazioni. Cosa sarà di me? Interrogatene la Fortuna; ma non credo che alberghi oggimai troppo volentieri con gli amici miei; e poi quella Guercia fa mille chiacchiere per ingombrarci la testa di timori, e di speranze, e di puerili illusioni, ma non dicè una verità. Posso unicamente promettervi ch'io voglio, e con fermo proponimento, e vorrò, starvi vicino da mezzo ottobre in poi, e stabilire dimora a Venezia nella casa di mia Madre. Se mai tardassi, o rimanessi, o mutassi strada, accusatene la Guercia che con uno stafile fa girare noi tutti uomini volgari ed eroici come in questa prossima stagione d'autunno i ragazzi fanno girare le loro trottole; e non è poco se, dopo d'averci tolta la volontà dell'azioni, non c'invidia anche la libertà e la costanza e il vigore delle nostre opinioni; e la trista s'è accinta da gran tempo con me; e quanto più resisto, e tanto più arrabbia ed insiste; ma incalzi a sua posta; non riescirà, spero:
Or'addio, mia cara amica: e con gli addio mille grazie delle accoglienze fatte al signor Rose, il quale mi scrive che l'avervi veduta per sì pochi momenti lo fece quasi pentire d'avervi conosciuta; ma s'egli si fosse assuefatto alla vostra conversazione, sarebbe tornato a casa sua con più mesto e lunghissimo desiderio. – Delle mie Grazie, sono assai contento; ma la malinconia che mi sta addosso da più settimane, benchè la febbre m'abbia oramai perdonato, non mi lascia far nulla di buono; e quelle mie
Amico mio – Dopo d'aver ricevuto una men dolente lettera di voi, ho pure ritirate monete 39 dai signori Borri e C. Ve ne ringrazio, ma perchè darvi tanta pena di farmi pagare nol so; ormai dovreste sapere che avete tutto il diritto di approfittarvi di me in ciò che vi abbisogna, senza tanti scrupoli di restituzione per sì piccole somme, che a me non scomodano di tenere fuori della mia tasca. Oggi sarà pagato a Fabre 20 monete a nome vostro e per dare alla Contessa senza che sappia da dove le venghino.
Il vostro Brittanno corrisponde pienamente al ritratto che me ne avete fatto; vi ringrazio di questa gradita conoscenza. Egli ha altrettanta stima di voi ed anche posso dire che ne parla con entusiasmo. Sapete ove abita? in casa del gobbo Mulinacci insieme con Leoni, ed hanno stretta amicizia fra loro; mi pare che meglio non potevo collocarlo, sì per la lingua, sì per la buona compagnia che si faranno l'uno con l'altro facendo essi vita comune. A proposito: mi ha detto che gli avete scritta una lettera e che verrà da me per farsela spiegare su ciò che non intende, e mel disse ridendo: staremo a vedere.
Voi dunque non verreste la Domenica alle mie semi-accademie: non saprei disdire all'accorto vostro allontanamento, poichè crediatemi son tutti pedanti poetuzzi senza ingegno e senza gusto quelli del nostro Arno. Volete ridere? Domenica mandavano fino alle stelle quel
Io non ci vidi mai quel sublime che alcuno di essi vi vedeva, e non vidi mai nei sonetti del Zappi che epigrammi di quattordici versi.
Del resto io non sono nè la sacerdotessa mortificata, nè la Minerva; tengo un posto nella stanza come qualunque altro, e credo che poco si accorgano che vi è una Padrona di casa.
Addio, vi scriverò fra breve; lascio alla
.... e non poco dell'orgoglietto patrizio e della smania di farsi guardare. A' tempi democratici si faceva chiamare
Ma l'argomento del suo poema è bello, a quanto mi pare; non però da farne un libro; bensì credo che trattato liricamente riescirebbe assai meglio; ma per canti in terzine la strada gli fu rotta dal Monti, il quale se con quello stile fra il Dante e l'Ariosto avesse avuto la longanimità di tessere le storie di questi tempi, sarebbe andato luminosamente immortale alla posterità, ed avrebbe tenuto quel luogo dopo Dante, che Virgilio si procacciò con l'abbellirsi de' pregi di Omero. – Or, Leoni carissimo, poichè la filastrocca s'allunga, finirò scongiurandovi di guardarvi dall'esagerazioni sì del biasimo, sì della lode; il biasimo irrita le passioni, ed i maligni sono, alla stretta de' conti, pagati di odio; ma l'adulazione nausea, e chi la profonde vien disprezzato, ed è la vilissima di tutte le pene, e non ha più redenzione.
Addio, intanto; scrivetemi del signor Rose, se mai avesse trovata la strada di calare dal monte a Firenze; e se aveste de' dubbi sovra la correzione tipografica dello squarcio omerico, lo mandate per la posta le prove ravvolte come fogli stampati. Alle altre parti dell'ultima vostra risponderò sabbato prossimo.
Ecco se n'è ito anche questo mese; e son due anni oggi per l'appunto ch'io ebbi l'onore di conoscerla, e vorrei pure poter solennizzare questo anniversario a Firenze: io allora non era lieto di cuore, nè sano di mente; e mi sentiva anzi infermo, molto infermo di corpo. Tuttavia io era più giovane di due anni, e questa Italia decrepita mi faceva sperare che sciogliendosi dalle catene del suo manigoldo, po trebbe un dì o l'altro ringiovinire: or non ho più speranze per essa, e non bramo più nulla; e vedo fuggire il tempo, e ripeto que' versi dell'Ossian:
Ma vorrei, e dovrei pur finire questi miei piagnistei; e La ringrazio dall'anima sì della pietà ch'Ella ne sente, sì de' consigli che gioverebbero, se al male del mio temperamento non s'aggiungessero gl'irritamenti della fortuna. Ella m'inculca che l'uomo d'anima forte e d'alto ingegno deve resistere alla tirannide della tristezza; e perchè, io non essendo punto modesto, non voglio neppure peccare di pazzo orgoglio, conosco che le doti dell'animo e dell'ingegno mio stanno in mezzo fra le prime e le ultime, nè posso opporre la resistenza trionfatrice ch'Ella, mia Signora, domanda: bensì tollero con tranquilla e sdegnosa rassegnazione; e parmi d'averle scritto altra volta, che non presumo di vincere, e mi contento di non restare avvilito. Del resto anche per gli uomini più felicemente temprati
non so s'io abbia citato ortograficamente questi due versi; ma gli ho a mente da molti e molti anni, e son quasi i soli ch'io sappia rammentare – non già, S.r Fabre, che la lingua di Racine non n'abbia di bellissimi, ma la colpa è mia che li leggo di rado, e me li ricordo poscia difficilmente. – Ad ogni modo, Signora Contessa, ogni sua lettera m'ajuta a riconfortarmi, e questa occupazione ch'io ho ripigliato dello scriverle mi serve di medicina; e guarirei, credo, se destandomi tutte le mattine fossi certo che potrei venire tutte le sere vicino a Lei. E convengo anche nella sua teoria che sì fatte indisposizioni d'animo dipendano dalla tempra del corpo; e se non temessi di urtare nel r Sismondi sia a de Staël, di cui Ella, mia Signora, m'ha fatto motto; e la leggerò quando il Cielo vorrà ricondurmi a Firenze. – E basti per oggi; vedrò d'ora innanzi di scriverle men tristamente; più leggibilmente, è impossibile: devo oramai darmi per disperato; ecco, dopo molte botteghe rifrustate, un foglio di bella carta; mi sono fatta temperare la penna da un galantuomo caritatevole che venne jer l'altro a visitarmi quasi fuor di città dove albergo; e m'accorgo d'avere scritto co' medesimi geroglifici; e l'andar lentissimo colla penna per farli meno confusi, mi ha prodotto, per giunta di guai, questo stile epistolare fatto a periodi strascinati e senili. – Prima di finire la avvertirò che ho ricevute le due ultime sue del 23, e del 26: ed ora le lettere vanno e vengono esattamente. Ricominciando un'altra volta dovrò moverle un'accusa, di cui Ella si diffenderà senz'altro, e nel mio cuore la ho assolta, anzi mi condanno dell'ardire d'intentare delle accuse contro di Lei; tuttavia mi crederei più colpevole se tacessi dissimulando. Anche al S.r Fabre, ch'io La prego di salutarmi per ora, dovrò dire alcune parole, e pregarlo d'un favore; io ma il foglio è già pieno, ed Ella deve esserne stanca.–
Carissimi – Questa v'arriverà prima del giorno 6, e potrete deffinitivamente decidere; se la casa è come dite; e sopra tutto se è decente, chiara, e noi possiamo stare insieme, e nel tempo stesso divisi in modo che io non sia frastornato dalle faccende della famiglia, fermate pure quella casa; il prezzo è discreto, e la situazione opportunissima. Ma non bisogna fare una lunga affittanza; tutto al più per un pajo d'anni. Quanto poi alla mia venuta, non so dirvi precisamente il quando; ma certo non tarderò; e se dipendesse da me sarei a quest'ora uscito da questa città che non mi è mai piacciuta; ma che oggi m'affligge e m'annoja. De' mobili, di cui mi parlate, non posso portare gran cosa; sì perchè non ne ho, e sì anche perchè que' pochi che mi restano costerebbero più del loro valore a mandarli per via di trasporto; li lascerò dunque a mio fratello, il quale ha casa montata a Lodi, e che, se dovrà partire anch'egli, potrà imbarcare ogni cosa sul Po e mandare a Venezia in una volta i suoi molti e bellissimi mobili co' miei brutti e pochissimi. Potrò bensì portarvi della buona biancheria decente da letto e da tavola, più che sufficiente per tutti noi, e un poca d'argenteria. – Eccovi qui una lettera dell'Angiolo, che è venuto jeri a farmi una visita, e ripartito; – non so se durerà nè per quanto tempo la sua scuola; ma egli non rimarrà su la strada o qui o altrove; e vedo già che ha tirati molti fili per essere provveduto in tempo. Io, miei cari, verrò a Venezia con assai poco danaro; ma quanto basterà a una vita modesta e pacifica; e fino che si apra strada migliore avrò almeno la consolazione di stare vicino alla mia famiglia. Tu frattanto, Madre mia, mandami la tua santa benedizione.
Caro mio Ugo – Ho rimesso a Kossolwschi la tua lettera, egli doveva rimettermi l'orologgio a ripetizione ma non l'ha creduto conveniente seura unirvi una sua lettera, e questa non l'aveva scritta, sai perchè? per la sua solita storditagine; te la farò passare dunque per la prima occasione sicura.
Qui le cose van sempre sullo stesso piede: i progressi dello spirito umano sono a duecent'anni in dietro; tutto è militare. Si pensa di organizzare i Provinciali ed altri quattro reggimenti di Cacciatori, oltre i due dei Cacciatori Italiani di Robertì, e Piemontesi già 3o Reg.to Leg.r Scrivo altri dettagli a Barisoni, il quale ha le dovute istruzioni per metterti in possesso del mio alloggio, quando ti occorrerà; ti scriverò più a lungo in altra occasione, Grassi ti saluta. Amami intanto, e sono tutto tuo
J'ai reçu, mon cher Ugo, l'autre jour les 20 Francesconi je n'en avois déboursé que 18 et hier j'ai donné les deux autres. Puisque vous n'avez pas renvoyé votre serviteur je continuerai à donner à sa mère il solito zecchino il mese. J'ai vu aussi un soir votre Anglois qui me paroit dans un pitoyable état de santé. Il m'a paru très-bien, et parlant mieux l'italien qu'il n'appartient à sa nation. Il me paroit vous être très-attaché; il me paroit aussi n'avoir aucun rapport avec votre extrème vivacité. – Dans ce moment je reçois votre vieille lettre du 24 Juin qui a été remise
J'ai lu votre Filastrocca. On m'avait assuré que vous aviez accompagné l'ami dans la grande Babilone. J'ai sçu d'une manière très-détaillée toutes les enfantillages du
Parlez-moi de votre santé, de vos projets; ne pensez-vous pas à revenir en Toscane? De quoi vous occupez-vous?
M.r Fabre vous salue, il m'a fait pour ma fête un superbe tableau, la mort de Narcise dans un beau paysage. Venez-le voir – Votre belle est revenue de Naples hier. Son Général est nommé Gouverneur de Naples. Il y a un officier des troupes anglo-siciliana qui est Toscan aussi enthousiasmé que vous pour la gloire de l'Italie, qui courtise la belle. C'est une ancienne passion. J'ai souvent désiré que vous vous fussiez trouvé dans mon salon ensemble: la chambre n'y auroit pas resisté. Adieu, mon cher Ugo conservez-moi votre amitié et comptez sur mon tendre intérêt – On a imprimé le
Avete fatto benissimo, caro mio alunno di Muse e di Lycurgo, di non esporvi alla sragionata vigilanza, nel venire da me: amo i miei amici, e perciò non voglio mai piacere a loro spese; ma dopo il Congresso vi scongiuro, di venir passare il mese di febbraio con me a Nizza, partendo l'ultimo giorno di Carnevale da Milano.
Mio caro Foscolo, si assicuri che il solo metodo di vivere felice, è di abbandonare le cose del mondo al loro destino, e di restringere il bene che si puol fare a quelli pochi che si trovano intorno a noi, e aggiungendo a una vita tranquilla la cultura della mente, arrivare alla tomba senza rimorso e senza pensiero di aver forse lasciato dopo di sè una sorgente di guai. Ho sempre creduto al libero arbitrio per l'uomo, ma mai per i Stati: sembra che vi sieno epoche fisse per la loro elevazione, decadenza e alla fine un ignobil ozio. Sopra questo le idee di Omero erano ben giuste. L'Italia non puol più rinascere politicamente, e questo mi sembra così impossibile come se mi dicessero che l'Egitto o Atene saranno ancora li oggetti d'ammirazione e di uno particolare studio dello genere umano. Per la stessa ragione per la quale uno uomo non ritorna alla vita due volte, non mi mostrerete un solo Stato, che dopo aver fornita nobilmente la sua gloriosa corsa, sia da capo ritornato al pristino splendore. Non credete una parola di guerra. Tutto il mondo è stanco, e non vi è interesse di gran momento che potesse condurvi, e qualche piccolla a pretensione da una o dall'altra parte si svanisce sicut fumus in auras, quando 20 anni d'insopportabili pesi hanno stancato tutti i grandi popoli. Bentink non potrà niente per voi: il suo governo non ha affatto approvato certe cose ch'Egli ha tentate secondo la bontà del suo nobile cuore: i governi ed i governanti non hanno mai letto
Addio caro Foscolo! Per qual ragione, certi uomini, che naturalmente si sentono attratti l'uno dall'altro, debbono essere disseminati sulla terra, e non vi è un piccolo punto separato nel globo, ove potessero riunirsi? – Addio.
Carissimo – Mi è di sommo piacere il sentirvi dire che si è dileguata alla fin fine la vostra maledettissima febbre, ma sfortunatamente la vostra malattia principale è cronica ed incurabile; Voi avete il corpo sopraffatto dall'anima, e badate bene che non si dirà di voi come del nostro Shaftesbury, che essa
Ma quantunque questo vostro male, che si può dire organico, non ametta rimedio, è almeno capace di alcun sollievo; e questo sollievo pure perchè non farlo somministrare alla gloria?. E' mi pare che voi finora abbiate lavorato a sbalzi, e per parlarvi con quella schiettezza che si dovrebbe usare fra gli amici, che voi non abbiate ancora dato alla luce opera veramente degna del vostro ingegno. Questa è osservazione un po' equivoca, ma ricordatevi di un passo nell'opera del vostro Chierico, e prendetela come se la piglierebbe un Francese. Il lavoro di cui mi faceste menzione come da voi meditato, vi servirebbe di sfogo, essendo consonante al presente vostro stato di animo, e sarebbe utile insieme a voi stesso ed altrui. Pensateci almeno, e prendete, vi ripeto, in buona parte il mio consiglio; così fosse che io mi potessi giovare del vostro, che riconosco per sano e savio; ma io
E pure si vuole sempre avere ragione ancorchè si sappia di avere torto, così io ho mandato le vostre ragioni a una bravissima casuista onde Ella mi suggerisca degli argomenti per mandarle a vuoto. – Raccoglierete da questo che posso almeno parlar spregiudicatamente delle belle alle quali voi mi avete raccomandato.
Mille e mille grazie di codesto e di tutti gli altri vostri atti di amicizia! Statevi sicuro di avere ciò che desiderate, chè io lo consegnerò fra poco in casa alla Signora Contessa. Intanto persuadete il mio amico, che parla di arrecarsi in Inghilterra, di aspettare fino al mese di maggio, e faremo, egli ed io, il viaggio insieme, e in quella maniera che meglio gli converrà. –
Addio, mio dolce amico, e pensa bene a ciò che vi ho detto.
Carissimo Amico – Soltanto ieri ho ricevuto col mezzo del nipote di Ramondini la vostra del 1o Agosto statami annunciata dal S.r Gaetano Zanetti qm. Girolamo allorchè ritornò felicemente ai patrj Lari. Benchè privo fin ad ora delle vostre lettere, pure non sono mai stato privo delle vostre nuove, che frequentemente ho richieste, ed ho avuto frequentemente da tanti e tanti che hanno abbandonato Milano, od a dir meglio che da Milano sono stati abbandonati. Ho sempre da essi sentito col massimo piacere che la salute vostra fosse buona, e che viveste, e foste lasciato vivere in santa pace. Se la vostra coscienza seguiterà ad essere contenta della vostra prudenza, io sono certo che nulla potrà intervenirvi di sinistro: ed io penso poi che voi proseguirete senza alcun dubbio ad essere arciprudentissimo, poichè dopo tante procelle di tante e tante sorta non veggo cosa rimanga a desiderarsi più ardentemente quanto la pace, e la tranquillità. Altronde le massime stabilite dall'Imperadore d'Austria sono così liberali che io non dubito punto che voi se non potrete conseguire un impiego che vi convenga, conserverete almeno le vostre pensioni. Lodo poi assaissimo il pensier vostro di ridurvi col tempo a Venezia, ove non vi sarà contrastata la qualità di cittadino, ed ove avete molti che vi amano, e che vi stimano, e niuno o ben pochi si troveranno che abbiano fatto guerra ai vostri talenti. E giacchè voi del tenore del vostro vivere mi avete informato, io pure vi dirò qualche cosa del mio.
Se omai le quattro pagine, o a dir meglio le quattro
Chiarissimo Signore – Invio la mia tragedia al Sig.r Foscolo, in ossequio al suo nobile poetico ingegno, al suo sensibile core ed al suo vasto sapere. Egli ne conosce l'autore, e sa quanto è giovine; onde se nella di lui tragedia mancheranno molti pregi dell'arte, facilmente penserà che con gli anni e l'esercizio conseguirli potrà. Per ora basterebbe che vi si scorgesse natura disposta. Questo è il giudizio che da tutti, e da V. S. io richiedo. L'argomento sarà forse per sè difettoso; ma volendo io presto dar saggio di me, non l'ho voluto cangiare. Dicami, se vuole, il suo sentimento in tutto, che io docilmente l'ascolterò.
Pieno di vera altissima stima, e con profondo ossequio me le dichiaro
C. A. – Prima di partire per Montevarchi è giusto che vi renda conto di Stefanino e di me sua consigliera. Saprete da lui il suo viaggio, permanenza e ritorno da Roma. Ora che poteva starsi tranquillo, una lettera di Silvio Pellico, che le raccomanda un suo disgraziato fratello che vive miseramente a Livorno, lo ha messo in agitazione; voleva in prima andare a Livorno per impiegarlo presso qualche Banchiere ed ha cercato. qua lettere per qualcuno di essi, ma indarno. Ora poi si è risoluto di scrivergli a invitarlo a venire in Firenze e dividere con esso la sua entrata; e così spera di trovarle alcun mezzo per impiegarsi. Io le ho detto che se crede trovare più facilità a Firenze che a Livorno è un inganno. Impieghi pubblici sono coperti dagli antichi impiegati toscani. Impieghi privati non ve ne sono, perchè non vi sono famiglie di grandiosa opulenza; verranno de' Ministri delle potenze estere, ma manca a noi un potentissimo mezzo, il
Tornando a me, io anderò a Montevarchi fra dieci o dodici giorni e lascerò l'ordine a persona di somministrare a Stefano ciò che le abbisognerà per tutto il mese d'ottobre disponendo a tal uopo sessanta monete.
Vidi iersera Rose di ritorno da Valle Ombrosa, Camaldoli e Alverna. Sta bene ed era molto contento di questo piccolo viaggio fatto con Leoni e M. Piers.
La mia società domenicale fu insudiciata nell'ultima domenica dal
Or addio, mio Amico; ditemi come state, cosa scrivete, e a che pensate? Noi si aspetta il Granduca, che a quest'ora avrà passato Milano. Addio Addio.
P. S. Leoni ha scritto a Spannocchi governatore di Livorno raccomandandoli Pellico.
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre, du 7, samedi après le départ de la poste. Je vais répondre à tous les articles qu'elle contient – Je suis chargée par le chiarissimo pittore de vous remercier de votre dédicace; il vous – en est bien reconnoissant, et vous dira avec sa bonne foi ordinaire ce qu'il y aura dans votre lettre qui ne sera pas orthodoxe dans toutes les règles des beaux arts. Il vous prie d'excuser s'il ne vous dit pas tout cela lui même; mais il est dans le fort de la composition d'un tableau. Vous pouvez disposer de votre portrait quand vous voudrez, puisque vous ne venez pas le chercher. Il vous prie de lui faire savoir s'il y a quelque occasion de vous le faire parvenir – Voilà pour lui: à présent je dois me justifier de ne vous avoir pas dit qu'on imprimat le Misogallo. Véritablement je l'ai oublié, je comptois, sans oubli, vous envoyer un exemplaire de celui qui est rimprimé par nous; ainsi excusez – Comme je savois que vous voyez l'abbé de Breme j'ai pensé qu'il vous le diroit, faites-lui mes compliments. Votre Anglois est allé, et il est revenu de Vallombrosa. Je ne le vois guère, parceque Leoni s'en est emparé. Il me paroit assez mal en santé; et souffrant de la poitrine. Il y a ici beaucoup d'étrangers. Il y a un Comte de Vintimiglia qui a été de la Chambre basse de Sicile, et qui a des idées très-saines sur les droits des peuples, et leurs devoirs. Je le vois souvent – Il a de l'esprit. Beaucoup de Siciliens viennent en Toscane – et pour cause. –
Votre belle est revenue plus jolie que jamais; elle
On attend Ferdinand le 15 on le 17. Son retard a un peu refroidi les coeurs. Pour moi je crois qu'il n'a pas pu venir, et en le revoyant on se ranimera. On a fait bien de bêtises pendant son absence. Je ne sais si on pourra y remédier, et si les prêtres l'emporteront. Ils se remuent terriblement – Dites-moi quand vous reviendrez réjouir mes soirées. Vous trouverez quelques personnes pour disputer. Depuis quelque tems je vois beaucoup de monde. Je ne suis jamais seule à pouvoir lire le soir. Pendant le carnaval on me négligera. Nous aurons la compagnie de la Pellandi et j'ai pris une loge. Portez-vous bien, parlez-moi de votre santé, ayez-en soin et comptez toujours sur mon tendre intérêt.
Adieu à vous revoir bientôt si vous pouvez –
Pardonnez mon étourderie de ne vous avoir pas parlé du Misogallo. On l'a envoyé à Rome et le Pape et les Cardinaux ont été furieux; on n'avoit cependant pas imprimé les vers contre eux.
Le P. de la Paix a eu ordre de quitter Rome sans cela le R. Ferdinand coupait les vivres à son imbécil de Père. On dit que la famille veuloit suivre le Prince partout et venir à Florence – depuis on m'a dit qu'on les a persuadés de rester à Rome et de laisser aller le Prince, parceque toutes les Puissances coalisées le veulent qu'ils se séparent de lui –
A Turin on va défendre les ouvrages de notre Ami; apparemment on mettra à la place la vita devota. Che sciocchi! que les revenants il leur sera impossible de faire oublier certaines idées. Le R. de France se conduit différenment.
Caro Stefano – Eccovi una lettera di vostro fratello; scrisse anche a me, e scongiurandomi di non allontanarmi da voi; e sì pietosamente ch'io ebbi le lagrime agli occhi, e se faccende che riguardano la mia quiete futura, e gl'interessi della mia famiglia non mi condannassero a non uscire di Lombardia, io dopo quella lettera, sarei venuto a Firenze non tanto a starvi vicino, quanto a poter dire a vostro fratello ch'io vi sono stato lontano il meno che m'è stato possibile. Ma sia così! poichè voi e il Cielo avete destinato altrimenti da' desiderj di chi vi ama davvero. So che Silvio v'ha scritto raccomandandovi suo fratello: ne aveva parlato anche a me; sapete quanto io conosca il fratello di Pellico, e quanto io ami Silvio: ma i due fratelli sono molto diversi di carattere, e di sentimenti e di vita l'uno dall'altro. Il Pellico venuto in Toscana è sciaguratissimo, e va certamente ajutato; ma non gli va data amicizia a occhi chiusi, e specialmente da un giovine come voi. Perchè bramava Silvio ch'io raccomandassi il suo ramingo fratello, scrissi a quel disgraziato in Livorno, per consolarlo, e consigliarlo; gli mostrai quant'era difficile l'ottenere impiego a Firenze; e gli feci sentire ch'io non poteva avere tanta stima di lui da mandargli commendatizie per gli amici miei. Non dico ch'egli sia un tristo per natura; ma so che non tenne contegno lodevole qui; ed è tale da temere ch'egli non faccia pochissimo onore a chi lo raccomandasse. Siccome egli non manca d'ingegno e maneggia correttamente la penna, l'ho consigliato di intendersi col S.r Leoni, per cui gli mandai una lettera, caso che potesse giovargli nella compilazione del giornale, e guadagnarsi la vita. Vedete dunque di regolarvi cautamente, se mai venisse a Firenze. Voi siete generoso; ma non siete per anche prudente: e vi è certa liberalità sinistra la quale tende a danneggiare e chi la riceve e chi la fa. Pellico, spero, sarà a quest'ora indotto a ravvedersi dalle lezioni della sventura; ma perchè in sì poco tempo non è probabile ch'egli si sia corretto davvero, io tremo pensando che affratellandosi con voi, non ritorni nella prima infermità, e non infetti voi pure che non avete per anche provato l'amaro delle disgrazie. Non troverete in lui un'indole perversa; ma non vedrete i costumi del diogene Andrea, e del Senocrate Stefano, e del buon platonico Atanasio nostro. Tu mio figliuolo, ti sei stancato degli amici buoni, e di me: faccia il Cielo che avendo, giovinetto e caldo d'animo come pur sei, necessità di altri amici, tu non capiti in mano di coloro, i quali, quando tu te ne sarai nuovamente stancato, continueranno a starti impudentemente attaccati come sanguisughe per mungerti la borsa e contaminarti più l'anima. Ti prego di mostrare questa lettera alla Sig.a Quirina per sua regola; e sono certo ch'Ella, e ne la prego istantemente, guardandosi da Pellico, non dirà cosa mai che possa nuocergli nella riputazione –
Mia cara Amica – Sono stato in villa a' giorni passati, e lontano ventotto miglia di monte dalla città per più tempo; però non v'ho scritto: oggi, appena tornato, trovo la vostra de' ri Borri e compagni avvisati a pagarvi sessanta monete. Vi domando perdono, mia cara Amica, ma nel trasportarmi d'una in altra casa – l'affitto scadeva, ed io non voleva impegnarmi per un altr'anno, e sto sulla locanda finchè il diavolo vorrà ch'io abiti questa terra d'esecrazione – insomma le mie carte si sono capovolte e mi si è smarrito il conto che m'avvertiva del mio debito verso di voi: – però fatemelo sapere, e non dev'essere di molta fatica per voi; essendosi le minuzie pareggiate, resta solo da vedersi il danaro pagato a Stefano. Ditegli che v'è alla posta una mia lettera per lui; e dentro una di suo fratello – Fatevi mostrare ciò ch'io gli scrivo; e va bene che sappiate anche voi come regolarvi con quel disgraziato di Pellico, il quale se merita compassione ed ajuto, non è peraltro degno di molta fiducia. – Addio, cara e amabile.... Quirina. Vado a letto – benchè così da lontano – con voi pur nel pensiero. Sono stanco del viaggio, e più assai della solitudine che, appena entrato, mi parve di trovare in questa città, più deserta per me di qualunque deserto. Dio vi liberi frattanto da' poetini e da' boriosissimi Benedetti nella loro ignoranza, e farete benissimo a maledirli, e non rivederli mai più. – Addio. Dite al S.r Rose che cerchi alla posta.
Carissimo – Stasera sarò dalla Contessa d'Albany, e le consegnerò le tue commendatizie per Londra, ma io rinnuovo le mie istanze perchè non partiate per l'Inghilterra senza di me. Più volte ho avuto in animo di scrivervi a lungo e di mandarvi insieme delle mie osservazioni sul viaggio sentimentale, ma una fierissima irritazione de' nervi proveniente da cause tanto fisiche che morali ha mortificato in me ogni sforzo. Patisco della stessa tua malattia, e tanto forte è il ristringimento, che più volte il chirurgo non ha potuto introdurre nemmeno la più sottile candelletta. –
Ricevo in questo punto la vostra. Abbruccio le commendatizie. Non potrò fare a meno di non isvernare in Italia – Anderemo insieme in Inghilterra – Voi mi scrivete in un momento che ho bisogno di consolazione. Grazie dal cuore! Addio mio carissimo Foscolo.
Amico – Mi pare d'aver nella memoria, che voi mi abbiate detto che il Conte Capo d'Istria, Ministro della Russia presso la Confederazione Svizzera, sia amico vostro, ed abbiate anche con lui commercio di lettere. Se così è, sta nelle vostre mani il mezzo di fare a me un piacere principale, ed al popol nostro forse un gran benefizio. Vorrei che voi mandaste a me una lettera aperta a lui diretta, nella quale l'informaste della mia persona, dicendogli puramente ch'io sono un galantuomo, amantissimo della mia patria quant'altri mai, e amico caldissimo del vero. Nella vostra inchiuderei di poi una mia lettera, colla quale intenderei di mettergli sott'occhio lo stato attuale del Canton nostro, e suggerirgli i mezzi più opportuni, anzi unici per ristabilire in questo paese la tranquillità. Egli si mostra piuttosto affezionato verso la nostra Republica, e pare che abbia in particolare benevolenza il nostro Cantone. Ma in questi ultimi dì essendogli state fatte relazioni falsissime intorno i movimenti popolari che qui avvennero, temo che ora gli si rintuzzi l'animo dal farci del bene. Oltre di che avendo egli cooperato a prepararci quella costituzione, caduta in tant'odio al popolo che prese l'armi per iscuoterlasi di dosso, vorrei vedere di recarlo nell'opinione di accordare qualche cosa alle giustissime dimande del popolo; e di rivolgerlo dall'ostinazione, che temo gli si pianti nell'animo, di tener ferma la fatta costituzione. Veramente questi Sigg. Ministri delle Potenze alleate, ve lo dico all'orecchio, oltrepassano i termini della giustizia. I loro Re hanno dichiarato solennemente, che ciascun Cantone dovesse formarsi da sè, liberamente, senza influenza straniera, la propria costituzione: ed essi vogliono metter mano in tutto; e sotto il nome di consiglio comandano distesamente. A grande stento si era potuto stabilire nella costituzione dapprincipio proposta dal Cantone, che vi fosse la
Una febbre acuta, come dicevano alcuni anni sono i medici, oppure nervosa, come dicono al presente, mi ha tenuto saldo in letto, e afflitto assai, quasi tutto il mese di Agosto. Non mi lasciò che la pelle e l'ossa: era distrutto fin nelle midolle. Al cominciar del Settembre le cose andaron meglio, ed ora vanno eccellentemente. Ogni giorno mi vesto di buona e sana polpa. Ne sento però ancor gli effetti nella mancanza delle forze. Per grazia singolare non mi s'indebolì molto il capo: tanto che posso scrivere, benchè convalescente, e adoperarmi a favore della buona causa pubblica. Fo però tutto di soppiatto dal medico, che non mi ha ancora concesso di toccar nè libri nè penne. Scusatemi della noja che vi ho dato: e amatemi quanto vi ama
P. S. In ogni caso la lettera a me abbia la direzione Mendrisio per Morbio di sotto.
Ricevuta oggi 25 Settembre 1814: – Ma tu, Catenazzo mio ruggine, hai da sperare un pezzo ch'io scriva per te di cose politiche; le mi puzzano; il mondo va come vuole; nè io voglio intricarmene.
Amico mio carissimo – Ben tornato dalla villeggiatura: voi ne tornate quando io penso d'andarvi e ci anderò alla fine della futura settimana, e ho pregato Rose di venir meco, ma la sua malattia non lo ha fatto ancora risolvere per il sì. E voi, mio amico, se non potete venire personalmente, visitatemi per lettera.
È dolcissima cosa avere in mano documenti che ci rammentino la nostra passata felicità; ma pur troppo svanì, ed io vi giuro che ripensando all'ottobre del 1812 ne ho pianto più volte di piacere e di dolore, perchè è ben duro scordar di avere amato.... Ma passiamo ad altro.
Stefanino mi ha portato la vostra lettera, ed egli fu contento di aver seguiti i miei consigli che lo trattennero dal buttarsi ciecamente a nuoto per ripescare e salvare dal naufragio il Pellico. Stefano ha un'anima generosissima ed un cuore eccellente, ma la incostanza lo domina senza che esso lo voglia e lo sappia. Il tempo e la esperienza lo saneranno da questa malattia. Per i nostri conti io vi epilogherò quello che mi faceste in una vostra lettera che stava benissimo, e solo ci aggiungerò quello che ho pagato nel settembre a Stefanino.
Ecco ciò che ho pagato e ciò che ho riscosso per voi e non dubitate che possa mancare denaro a Stefano nel tempo che starò in campagna, perchè, come vi dissi, lascerò sessanta monete a persona che le darà ad ogni suo bisogno, e prima di partire gli ho detto che gli darò quella somma che vorrà.
Del resto, del Pellico vi avrà scritto lungamente il Leoni, il quale mi ha detto dovervi rispondere a tre lettere. Prima di partire per Montevarchi spero di ricevere un'altra vostra lettera, e se non potete scrivermi subito, scrivetemi con comodo, poichè lascio persona in casa che avrà cura di andare alla posta. Addio, mio Ugo. L'Americana vi saluta.
Godo assai, miei carissimi, della casa; spero che vi starò benissimo, e non vedo l'ora; e se tardo, credetemi ch'io mi divoro l'anima, e cerco di ingannare la mia impazienza studiando; e studio davvero, e se non sono contento della Fortuna, sono almeno contentissimo de' miei lavori, e non invidio i principi; e questo è il vero, prezioso, unico vantaggio dello studio, di far dimenticare i guai della vita. Milano non m'è piacciuto mai; ora poi, meno che mai. Tuttavia bisogna ch'io mi rassegni ancora per qualche settimana o mese, tanto da vedere di non perdere in tutto e per tutto le mie pensioni, e non venire a Venezia a patire io, e quel che è peggio per l'anima mia, a veder patire voi, miei cari. Credeva di sbrigarmi a quest'ora; ma gli affari van per le lunghe in queste circostanze indecise; massime quando si tratta di pensioni; e il procrastinarsi del congresso di Vienna prolunga la mia dimora qui. Ma va bene, egregiamente, che abbiate presa la casa: tre camere mi bastano, purchè siano liberissime, e soleggiate; i muri li farò dipingere io alla meglio con poca spesa: porterò anche de' tappeti vecchi da mettere sul terrazzo alla buona tanto da non aver freddo a' piedi; perchè io sono padre, figlio e fratello carnale del caldo, ed ho però inimicizia capitale e guerra a morte col freddo. – Ma col signor Sassonia gustatevi dei cari alla meglio; se ne avessi, vi manderei dell'altro danaro; ma non ho se non quanto basta
Quest'altra lettera ve la ricapiterò alla casa nuova.
Signora Contessa – Sono stato a godere del sole d'autunno in campagna; tanto più che mi sento addosso il verno, figliuolo come pur sono, e padre insieme, e fratello carnale del caldo; però ho guerra giurata col freddo, il quale esercita da Cosacco ogni immaginabile ostilità contro di me; e qui a Milano mi pare che il verno abbia posto i suoi accampamenti, e mi tien prigioniero; nè posso fuggirmene; il congresso di Vienna con tanti indugi lascia indecisi gli affari di questi paesi, ed io voglio a ogni patto vederne la fine, per non essere obbligato a rimettere piede nella popolata gora lombarda; mi starò dunque qui finchè il Diavolo vorrà; non dico Dio, perchè quantunque possa più del Diavolo, vedo dall'esempio del santo Patriarca Giobbe com'egli lascia i giusti alla tentazione e fino al sangue a beneplacito del Demonio: ma verrà un giorno ch'io ne sarò liberato – e non ne posso più – non ho mai voluto fare fortuna, ed ora meno che mai; vorrei bensì pace; nè l'avrei, se lasciassi il mio danaro nel naufragio, e non tentassi di salvarlo qui dove si può trovare una tavola. E le ho pure scritto altre volte che questa è l'unica, ed onnipotente ragione che m'imprigiona in Milano: e vorrei anche indurre mio fratello a tornarsene a casa. Frattanto il mio Pietro Pinzauti nel suo stato servile è più libero di me, che da quando nacqui m'affanno cercandomi indipendenza. Da più mesi m'accorsi che questo povero giovinotto si strugge di vedere Firenze, e di uscire d'un paese dove ci stanno bene soltanto le nottole e le rane che in forma d'uomini vivono grassamente. Non ha dunque il torto; però lo lascierò andare, e con mio rincrescimento; ma da più settimane dimagra, ed ha r Fabre. –
Carissimo – Tutto mi conferma nell'idea che voi potete restare almeno per ora, senza verun vostro incommodo, in Italia, ed egli mi fa sommo piacere che noi andremo insieme in Inghilterra. Da' primi passi dati del Gran Duca io traggo un buon augurio per la Toscana, e, per quanto potranno i suoi consigli, anche per il resto di questa sventurata penisola. – Ieri ebbi una lettera da mia sorella, in cui dice che il Signore al quale fu addossata la commissione pe' libri inglesi, vorrebbe disfarsi della carica; almeno così ella argomenta dall'avere egli comunicato a mio padre la sua intenzione di riportarsi in Milano per via della Francia, locchè ella prese per un gentile avvertimento che l'eseguzione de' tuoi ordini gli sarebbe inconveniente; onde è ricorsa a un certo M. Colnaghi, milanese, stabilito da molto tempo in Londra, e bravissim'uomo, il cui figlio ve li farà arrecare nel mese vegnente.
Come voi non avete mai alluso all'ospitalità del vostro eccellente amico Leoni, mi pare che una mia lettera, in cui faceva menzione dell'avermi egli accolto in casa sua, dove tuttora abito, sia smarrita. Vi ripeto i miei ringraziamenti dal fondo del cuore di questi e que' tanti altri favori che m'avete conferito. Il detto è tanto occupato di far istampare il suo Shakespeare, che non può giovarsi di questo incontro per iscrivervi; m'incarica però di accusare, da parte sua, la ricevuta delle vostre tre lettere, di assicurarvi che quanto prima ci risponderà, e di darvi una scossa riguardo la tragedia inglese
Datemi delle notizie di Trechi, soprattutto se egli fa conto di arrecarsi in Inghilterra questo inverno, onde mandargli delle commendatizie per Londra. Ditemi pure quando pensate di fare il viaggio di Venezia, e se avete intenzione di svernare a Milano.
Addio carissimo!
Malgré que vous recommencez, mon cher Ugo, votre silence de il y a deux mois, je ne veux pas me dispenser de m'acquitter de ma pénitence que vous m'avez imposée pour ne vous avoir pas dit qu'on imprimait le
Je ne sais s'il est aussi instruit que celui que vous m'avez recommandé; mais il me paroit plus sociale. Le vôtre que je ne vois jamais, et qui s'est enterré chez M.r Leoni, et je crois avec la belle della via de' Servi, est un peu boutonné. Comme je n'aime pas les choses difficiles, la vie trop courte, et moi trop avare du tems qui me reste, pour me donner la peine de le faire parler, nous restons chacun pour ce que nous sommes. – Si vous aviez été moins expansif, nous en serions au même point; mais comme vous faites connaître le brillant de votre esprit on se met d'abord en rapport avec vous. J'ai dit à mon Anglois que vous êtes aimable et spirituel; ne me donnez pas le démenti. Cela vous sera impossible si vous le voulez –
M.r Rose m'a dit que vous voulez aller en Angleterre avec lui; j'espère que vous viendrez premièrement revoir Florence, et entendre jargonner en Toscan. Notre G. Duc a été reçu avec enthousiasme et il le mérite. Il ne pense du tout au passé, et recommence à nouveau frais.
Je me suis trompée en vous disant que le
Pietro Paolo s'est exilé de chez la voisine, et c'est le Grillo qui fait ses fonctions. Ce remplaçant a 24 ans il est d'une jolie figure avouez que cela donne du courage, et de l'espoir à toutes les femmes de son âge. J'ai envie de me mettre aussi sur les rangs.
Parlez-moi de votre santé; j'espère qu'elle est bonne; parlez-moi de vos projets.
M.r Fabre vous fait ses compliments il vous fera voir du nouveau quand vous
Votre belle de la Porte St. Gallo a est à louer, même l'amie est partie. C'est trop heureux pour elle, car sa compagnie ne lui étoit pas très utile.
Caro Ugo – Sperando di ricevere vostre lettere ho dilazionato di andare a Montevarchi fino al dì 5, cioè mercoledì e forse aspetterò invano, poichè voi non averete nè tempo nè voglia di scrivere.
Il nostro Stefanino è partito questa mattina per Bologna: soltanto ieri venne a dirmelo perchè aveva bisogno di danaro e gli diedi 40 monete, dunque 90 erano fino all'ultima lettera che vi scrissi, ed oggi sono 130. Stefanino mi disse che avrebbe potuto ritirare direttamente il suo danaro, senza disturbare, da qui avanti, nè voi, nè me, e ciò avrebbe fatto dirigendosi al suo corrispondente e per mezzo d'un banchiere ritirarlo ecc. Io le dissi che ne scrivesse a voi, perchè quello che voi mi ordinavi è sacrosanto per me; ma mi pare che anderebbe accettata questa proposizione. Ma fate voi. Frattanto vi prego che se mai voi volesse mandarmi un ordine per i signori Borri e C. invece di mandarlo a me, mandatelo al Leoni che io lo pregherò che ritiri pei me il danaro e gli lascerò alcune ordinazioni.
E il vostro Brittanno lo condurrò a Montevarchi contento del mio invito fattoli, come io sono contenta d'averlo egli accettato; ma sapete che cosa mi fa fare d'accordo con Leoni? all'amore con Mr. Piers. Il meschinello confidò a Rose che io li piacevo; è bisognato dunque fingere corrispondenza per metterlo in ridicolo, e Rose vi ha molto garbo e ride volentieri alle spalle altrui, ed io filo fine un amore, fo la
Mia cara Amica – Vedo dall'ultima vostra del dì primo corrente, pervenutami da Milano a Lodi in questo momento, come voi non avevate ricevute a quell'ora lire quattrocento fiorentine ch'io aveva ordinato che vi fossero fatte contare; non so da che nasca il ritardo; ne scrivo subito al mio corrispondente a Milano, donde io sono ripartito due giorni dopo il. mio ritorno, e potrete mandare con fiducia a riscuotere dal S.r Borri. – Restovi debitore, secondo il vostro conto, d'altre monete r Naranzi che assuma l'obbligo egli medesimo di pagare a Stefano il suo danaro dal primo di novembre in poi; e così chiudendosi i conti, sarò anch'io rifatto di un migliaio di lire che mi si devono. – Or addio, mia cara Amica, addio in fretta; il corriere riparte, ed io ho addosso la necessità di sbrogliarmi di altre due nojosissime lettere. Addio. –
La Posta d'oggi porta una lettera importantissima per la Sig.a Quirina; se mai fosse in campagna, fate, vi prego, che le sia quanto più prestamente spedita. Addio in fretta.
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre du 28. Vous devriez avoir à présent la mienne du 30 que je vous ai envoyée par un Anglois Crakentorph, que je vous prie de saluer pour moi. Ma lettre est accompagnée d'une autre de votre ami et d'un livre – J'espère que tout cela vous sera arrivé à bon port – J'aurai soin de payer à votre
J'ai vu Alari qui va passer l'hiver à Milan. Je ne sais s'il épousera sa belle? Ma jeune voisine est allée à la campagne avec son nouvel amant, et Pietro n'y va plus, il en paroît tout dérouté et je le conçois après 23 ans d'habitude –
Vous ne parlez plus de votre belle ne la voyez-vous plus? –
Je suis charmée que la campagne a rétabli votre santé, et calmé votre imagination – On me dit que vous ne parlez plus que François, cela m'a paru bizarre – Vous n'avez pas répondu ce qu'on doit faire de votre portrait – Je désire que le Congrès finisse bientôt comme on me le fait-espérer, puisque de là dépend votre retour en Toscane.
Je ne vois jamais votre ami English il étudie la langue ou autre chose. Buon pro le faccia –
Portez-vous bien, calmez votre imagination, et comptez à jamais sur mon tendre intérêt. M.r Fabre vous salue. A vous revoir!
Miei cari – Perchè l'Angiolo non veniva a veder me da più settimane, sono stato io [a] veder lui a Lodi, dove si sta alloggiato da principe, e finchè la dura, mena santa vita papale: da lui seppi ch'egli aveva provveduto a' vostri bisogni per finire le faccende della casa, e godo che vi siate già trasportati. Ditemi come vi siete accomodati voi; quante stanze, oltre le mie, rimangono per la famiglia; e se la Mamma e voi siete ben alloggiati con tutti i vostri comodi, e sopra tutto se il Pipi dorme finalmente solo, e diviso, e se avete una buona serva, che la non sia sporca e cadente come le solite; io desidero di sapere tutti questi pettegolezzi, tanto da darvi materia da scrivere. Frattanto bramerei, e mi pare ogni ora mill'anni, d'essere già con voi; ma non posso sradicarmi da Milano se prima non accomodo, per ora e per l'avvenire, e per sempre, i miei affarucci, tanto da venire più o meno proveduto, e da non essere obbligato a tornare con nuove spese in questi paesi lombardi dove non mi ci posso più vedere. Tutto dipende frattanto dalle decisioni generali del Congresso di Vienna; e faccia Dio che si sbrighino presto. – Fra pochi giorni frattanto ritornerò a far un'altra visita a mio fratello a Lodi, dove mi fermerò per una o più settimane, secondo il comodo che troverò a studiare, e se gli affari miei non mi richiameranno a Milano. Intanto, carissimi, addio, addio; e tu, Madre mia, mandami la tua santa benedizione. – Abbracciatemi apostolicamente Bisbardi Monsignore, a cui porterò le calzette nere: vorrei potercele portare purpuree da cardinale, o almeno pavonacce da vescovo.
Mia Signora ed Amica – Non so da chi mai Ella abbia
Impareggiabile Foscolo – Ardisco mandarvi, o divino Italiano, due miei Inni. Se vi degnate di leggerli, mi farete un onore, ma sarà per me un onore più grande se mi vorrete guardare come un vostro Affezionatissimo Servidore
Mia cara Amica – Dall'annessa lettera, che appena ho tempo di compiegarvi, vedrete che il diavolo guasta tutte le mie deliberazioni tendenti a darmi un po' più di quiete. Vi scrissi già da Lodi, come io aveva addossato al signor Naranzi l'obbligo di provvedere alle mesate di Stefanino. Naranzi se n'è ito a Vienna,
Signora Contessa – L'Inglesino gira intorno a' Laghi; e se indugierà, non avrò il piacere di rivederlo perch'io forse tornerò fra non molto in campagna, benchè finalmente io mi sia ritrovata un'eccellente casa in Milano, dove non sentirò rumore nè freddo, ma in campagna avrò piu quiete per ora – L'altro Inglese, M.r Rose, mi scrisse ch'io non ho fino ad oggi fatto cosa che risponda, com'e' dice, al mio ingegno; il rimprovero non è forse giusto; ma l'osservazione è verissima, e la sua verità s'applicherà forse non solo al passato quanto a' miei studj, ma ben anche al presente e al futuro: e siccome
Signor mio – Chi avrà l'onore di recarle questa lettera, le presenterà la mia versione del Viaggio di Sterne;
Per ora accetti la visita del Parroco Yorick e del suo Chierico Didimo, i quali si fanno introduttori del S.r Pizzamano, che viene a Lei, Signor mio, dal paese d'Ulisse; e so ch'ella per amore delle lettere promoverà questo giovine co' suoi consigli; ed a Lei come illustratore generoso de' meriti letterari degli Italiani, riescirà caro d'ajutare negli studi un ingegno greco che va da più anni pellegrinando per amore delle belle arti. Ella intanto, Signor mio, perdoni all'ardire, si ricordi talvolta di me, e continui a vivere lieto della sua gloria. Un dì – ma non oggi, nè finchè avrò addosso i sospetti degli inquisitori – un dì La ringrazierò pubblicamente in nome di tutti gl'Italiani della storia da Lei scritta con amore pari al sapere; ma che pro? La storia giova solo ad inorgoglire i miei cittadini inetti ad ogni generosa fatica: E noi siam fatti simili in tutto agli Israeliti che si vanagloriano d'essere
Signor mio – Mentr'io dovrei, e da gran tempo oramai, ringraziarla in nome mio del giudizio che a lei piacque di dare su la mia Orazione intorno all'
'Petite hinc juvenesque senesque
Finem animo certum, miserisque viatica canis'.
Caro Foscolo! – La nostra amicizia ha il diritto sopra tutte l'altre, essendo la più anziana per aver diramato le sue radici nei nostri cuori fino dalla più tenera età. Allorchè ci siamo divisi non avea più uopo di carteggio per consolidarsi, come la nostra lontananza, nè il tempo ebbero giammai la forza di portarne alcuna alterazione. Benchè vissi sotto altro Cielo, sodisfai alle mie premure con di frequente prender de'lumi sopra la vostra situazione, e l'anima mia godea tutte le volte che vi sentiva felice, e che apprezzati erano i vostri imparegiabili talenti. Le vostre opere furono lette da me con ammirazione, ma negar nol posso anco con dell'invidia, e tutto giorno aumentavasi in me lo Spirito d'emulazione come la massima mortificazione di non poter giungere al grado almeno del più inferiore de' vostri discepoli. Tre mesi fà passai qualche giorno felice nella dolce lusinga di vedervi in Milano; ma! ordini superiori, ed il dovuto interresse d'onore chiamandomi altrove mi privò d'un tanto bene. E giacchè ebbi la fortuna di rilevare attrovarvi (?) in Venezia, me ne fo un dovere di seguire i vivi impulsi de' miei sentimenti con dedicarvi pocche mie righe, mediante le quali assicurarvi dell'innalterabilità de' medesimi. –
Confessarvi devo, che ho vissuto nella dolce lusinga di poter obbligare
Nel massimo mio avvelimento godo almeno del conforto che l'Italia è soggetta al più giusto e santo fra i Monarchi, ed anco il più potente, ciocchè assicura una quasi eterna tranquillità. Sicuro di ciò mi sono dedicato alla grand'opera di procurare che que' Popoli abbino a godere i maggiori beni possibili, e fortunatamente per ora ne ho l'occasione.
Voi, caro Marco, in quest'opera potreste assistermi. Essendo sopra luogo, voi siete a portata di conoscere i correnti disordini; i mali che continuano a danno di quella Nazione, la qualità degl'impiegati; ed i vostri talenti possono suggerirmi quali sarebbero i ripieghi da proporre per condurre alla vera felicità quei Popoli. Certo che prender in considerazione dobbiamo che quanto fù grave la malatia, ancora esser lo deve la convalescenza, e che allo stato di perfetto bene non possiamo noi giungere ad un colpo. Assicurarvi posso, che S. M. è interessantissimo per il bene di quei Popoli, e senza meno Venezia, è la Sua Elletta. Egli di suo motto proprio qui trattenne varj Italiani come membri d'una commissione destinata all'organizzazione di quei dipartimenti.
Vivo fratanto nella sicurezza, che voi non mi abbandonarette in quest'opera. A vostro maggior lume, vi dico ancora, che ho il decretto refferato aperto. Ho un numero infinito di nemici nel Gov.o in Italia, quali perseguitano tanto me, che tutti quelli che alle mie insinuazioni durante la guerra si sono adoprati per la causa comune. – Tuttociò ha avuta l'origine dalla gelosia, e per dirvi il vero pocco me ne curo, mentre in breve l'affare cangierà aspetto. –
Alle vostre lettere a me dirette, fattegli un sopra addrizzo diretto al Nome de' SS.i Benvenuti e Comp. Negozianti in questa città?
Disponette di me a vostro piacere, e credettemi per tutta la vita
Il sottoscritto rappresenta ossequiosamente a Sua Eccellenza il Signor Maresciallo Conte di Bellegarde, come alla riforma delle università, egli trovavasi professore di eloquenza in Pavia; e però se i sovrani decreti riordinassero le scuole co' primi metodi, ha ferma speranza di non essere in parità di circostanze e di merito, posposto ad altri nell'esercizio della stessa cattedra; tanto più ch'egli fu d'indi in qua, ed è tuttavia, contemplato tra i professori emeriti, anzi con tutti gli altri, ai quali furono allora abolite le cattedre, gode dell'annua pensione di lire mille. Nell'umiliare a Sua Eccellenza questa rispettosa rappresentanza, il sottoscritto implora di essere piuttosto mandato all'università di Padova, desiderando egli oggimai e per circostanze domestiche, e per necessità di riposo, di ravvicinarsi alla sua famiglia dimorante in Venezia. Il sottoscritto supplica insieme che Sua Eccellenza accolga l'omaggio dell'ossequio profondo con cui ha l'onore di protestarsi
I tempi, mio caro Foscolo, mi hanno balestrato in Toscana, balzandomi dalla patria mia. Mi accompagnano in questo volontario esilio le lettere, e quella filosofia pratica a cui ho atteso da lungo tempo. Io vo cercando i bei modi di lingua, i quali non si trovano più che in bocca del popolo, a gran vergogna della gente colta, la quale o balbetta o bestemmia. La contessa di Albany mi ha accolto con somma amorevolezza, essendole io stato presentato dal nostro venerando abate di Caluso. Ieri sera si parlò lungamente di voi e degli studii vostri; e se non foste lodato non vaglia, chè noi eravamo d'accordo nell'ammirarvi e nell'amarvi. Ora che fate voi? le vostre
Non so ancora quello che sarà di me. Svernerò in Toscana; e desidero che vi ricordiate di me, che mi amiate come io faccio, e come avete fatto finora, e se mai vi accorgeste ch'io potessi valere in qualche cosa, fate a fidanza con me, che me ne stimerò onorato più di un monarca. La Contessa mi parlò di altro vostro lavoro di prosa: che è? che è? Mi struggo dalla voglia di saperne di più. Insomma, tutto questo vuol dire ch'io sono avido d'una vostra lettera, la quale mi faccia conoscere lo stato vostro. Fatelo se non vi grava, e vivete felice.
Signor mio – Ricevo oggi 21 ottobre il volumetto e la lettera che le piacque di farmi avere per mezzo di don Antonio, e la ringrazio sì del dono, sì della spontaneità del dono; e molto più la ringrazio del piacere ch'ella mi ha procacciato co' suoi versi spirati a lei da Callimaco; e sentono l'incenso che fra quegli inni antichi fumava su l'are greche: d'un'unica cosa non devo nè potrei mai ringraziarla, ed è la troppa lode: non ch'io professi modestia, ma chi riceve lodi eccedenti è degno di perdere quelle ch'ei merita veramente: e d'altra parte, che abbiamo noi fatto, o che facciamo noi, o che potremo mai fare noi Italiani viventi, che, ben esaminato, non ci persuada a compiangerci l'un l'altro, anzichè ad esaltarci scambievolmente? Nè ingegno nè studio bastano a meritarsi fama, quando lo scrittore non può mirare all'utilità ed alla gloria della sua patria; e per me temo oramai che le lettere abbiano, per forza di fortuna e per colpa nostra, perduto il loro nobile scopo, e appena ci possano servire da trastullo; ci sono restati gli ornamenti delle Muse, ma il loro spirito celeste se n'è ito da noi. Però s'ella volesse continuare a lodarmi, le direi con Dante:
Bensì tornando a ringraziarla del dono, la conforterò a coltivare con amore la poesia, perchè ad ogni modo ajuta a dimenticare i guai della vita, e sgombra l'animo da molte triste passioni. Intanto ella mi abbia per servidore, e mi porga incontro – da mostrarle a fatti la mia gratitudine.
Je vous dois, mon cher Ugo, réponse à deux très-aimables lettres que vous m'avez écrit, d'un caractère passablement lisible. Je commence à m'accoûtumer à vos hjerogliphes et à deviner vos idées qui sont toujours spirituelles et originales. Vous avez aussi très-bien deviné que j'avais dit à votre Anglois, que j'ai vu Dimanche passé, que je croyois que vous avez quelque fois perdu votre tems, sur tout quand vous vous êtes avisé de vous
Je dois rendre justice à r Fabre, qui vous fait ses compliments, est bon à entendre sur la jeunesse de la voisine.
Je suis occupée à lire sur la Religion des Grecs; ils avoient autant de superstitions, et de ridicules que nous.
Votre Anglois que je vois peu paroit instruit mais il fatigue à entendre parler. Je suis charmée que vous ne cultiviez pas la langue françoise excepté pour lire les journaux et les voyages – Ceux d'Italie sont peu au courant de ce que se sait dans le monde scientifique.
Vous savez que l'abbé de Caluso est mis
Adieu mon cher Ugo portez vous bien; le premier bien est la santé; le second l'indépendance pecuniaire, et le troisième la gloire. – Comptez toujours sur mon amitié, et je compte sur votre intérêt –
Mio caro amico – Beneficio fatto, non è perduto; se gli nomini sono ingrati, Dio signore lo rimerita o in questa vita o nell'altra: ma quando s'ha a che fare con persone gentili, non s'ha bisogno d'importunare Dio per ricevere il premio. È un anno, o poco più, ch'io, non solo scrissi senza volontà e senza sapere, ma ben anche m'avventurai sfacciatissimamente a recitare alla vostra accademia de' Filarmonici quella tale tiritera in lode dell'armonia: se mi fossi fatto pagare, i Bolognesi m'avrebbero senza dubbio fischiato, e mi stava bene; ma dovevano fischiare anche voi, – e voi primo, e voi solo che con la prepotenza dell'amicizia m'avete indotto a far da oratore: non credevano ch'io m'aspettassi mercede, però m'hanno trattato da uomo ingenuo, e compassionandomi in secreto, hanno urbanamente finto di picchiarmi le mani: e fors'anche si astennero dalle fischiate per riverenza di voi Cavaliere, Ciamberlano, Podestà e Conte; anzi più che Podestà e più che Conte; da che voi in tante vergogne pubbliche e private di quest'Italia, omai fatta cadavere, non potendovi star oscuro, vi siete nobilmente palesato
Mia cara amica – Voi non rispondete alle commendatizie, ma fate ad ogni modo lieta accoglienza a' miei raccomandati; continuate nella gentilezza – e non potreste desistere mai: ne spira tanta e dal vostro volto e dalle vostre parole, e da tutte le vostre azioni, da trasfonderla sin anche a chi non è nato a sentirla – continuate dunque nella gentilezza che è naturalissima in voi, ed io continuerò ad offerirvi occasione di praticarla.
Accogliete affabilmente la signora Pascal che viene a dare una accademia d'arpa a Bologna, città piena di belle donne e di musica: – e dirigo a voi la signora perchè tenete il principato della bellezza e delle arti. Nè mi sbraccerò a farvi raccomandazioni oratorie. La signora Pascal ha tali pregi da raccomandarsi da se sola; e le gentilezze che voi le farete con graziosa spontaneità saranno ricevute con verecondia graziosa. Addio, intanto, Cornelia gentile. A' mesi passati, poetando con le
Psiche gentile – cos'è di voi? V'ho pure scritto due volte, e con molta sollecitudine, chiedendovi novelle del giovane
Ma, poichè oggi devo scrivervi ad ogni modo, comincerò a domandarvi: cos'è di Voi? cos'è dell'
Salutatemi vostro marito, baciatemi i vostri figlioletti, e date un bacio anche al Signor Garattoni, vecchietto così gentile che non par letterato. Addio, addio.
Amico mio – Due vostre lettere mi hanno confortato nella noiosa mia villeggiatura. Rispondo a tutte due. Mi annunziate nella prima aver ordinato a' signori Borri e C. di pagarmi lire 400. Non avendo avuto prima della mia partenza da Firenze niun avviso da voi su tal proposito, non mi presentai alla Banca; ora poi ho scritto di qua al Leoni che me le ritiri per me, e se avranno difficoltà a pagargliele aspetterò al mio ritorno a Firenze che sarà il 4 Novembre. Fate, vi prego, tutto il vostro comodo per rimettermi il restante del danaro; mi piace d'aver libro aperto con voi e il chiuderlo affatto mi darebbe afflizione. Stefanino non è a Firenze, e io come debbo regolarmi seco lui? Non lo crediate cattivo, mio Ugo, no non è; egli ha un anima generosa e maniere liberali, ma il guaio è stato la cattiva compagnia che nuoce a tutti, ma più d'ogni altro a chi non ha esperienza. Il tempo rassodando il suo intelletto le darà nuova volontà, e così le speranze di chi lo ama non saranno del tutto vuote e deluse.
E Rose ti ha scritto che venne a trovarmi a Montevarchi? Ma non so il perchè, la sua venuta non fu che una meteora. Sparì prima che io m'accorgessi esser egli mio ospite. E mi aspetto pure Giulio del Taja che fu a cercarmi e non trovandomi a Firenze mi fece scrivere da Siena, ove egli è presentemente, che voleva venire a cercarmi a Montevarchi. Questo mezz'uomo mi fa insuperbire; e mi dicano anche che anche a Siena fa il ragazzo che corre dietro alle signore, che fa prodigi di valore e di bello spirito. E tu, mio Ugo, cosa fai? Ti rammenti mai di chi ti amava con tutta lealtà? Oh, io sarei troppo contenta d'essere nel numero de' tuoi amici Maschi.
Ricevo la sua del 21, e ne la ringrazio: dolevami di star tanto senza sue lettere. – L'abate di Caluso è qui da più giorni, e ripartirà fra non molto: l'ho veduto due volte; non lo rivedrò forse più per ora, perch'io torno a tossire miseramente, e da giovedì in qua non ho più fiato: e' son tutti avvisi che bisogna prepararsi a sgomberare da questa casa della vita, dove, a dir vero, non mi compiaccio. La solitudine domestica m'ucciderà, temo, più che la tosse; – è pur tant'anni che vivo solo; ma non so assuefarmivi: – i libri non bastano; e la società che s'accatta fuori di casa, o dalle visite degli oziosi, de' curiosi e degl'indifferenti, è più micidiale per me della solitudine. – Il creare versi sporcando quinterni di carta è un egregio rimedio: ma si può egli sempre creare? e l'abbattimento d'oggi non è forse inevitabile effetto degli sforzi di jeri? La mente vuole anch'essa dormire: – e allora! oh che fieri sogni in sì tristo letargo! Dio m'ajuti; io ad ogni modo non m'abbandonerò.
Quando tornò il cameriere suo per ricevere il libro io m'aveva gente che non mi lasciava risponderle in iscritto. Disegnai allora di venire oggi da Lei: ma ora che odo il cannone di quei soldati da burla, mi viene dubbio s'ella non sarà forse andata a vedere un po' di quella mischia, e così mi rimango in casa e ci vedremo in altro giorno, e frattanto mi voglia un pocolin di bene.
Verrà Lessing ad un minimo suo cenno, e mi perdoni le sgombiccherature di cui gli ho sozzo il margine; uso mio, che vorrei divenisse uso suo pei libri miei almeno che le vengono fra mani, quelle non sarebbero mica sozzure, il libro mi tornerebbe davanti, oh! quanto più accetto e più utile.
Creck non è ritornato: ei m'ha lasciato da servire, come si dice, un suo paesano per nome Fiott' che viaggia per conto dell'università di Cambridge ed ha soggiornato nella Troade, e in Grecia: anzi e' fu tanto avventurato da ficcar il naso in due tombe in Itaca, e vi rinvenne ossa, monete, vasi, serti d'oro battuto in fogli, e collane che per la finezza dell'inanellatura disgradano quelle di Malta, in somma egli ha sverginato le
Ella è caramente risalutata dal mio Fratello e ribaciata dal Ferdinanduccio, io poi le sono Deditissimo Servo ed Amico vero
Signora Contessa – Perchè dunque la mi lascia così senza lettere? E son quasi tre settimane ch'io le vado aspettando, tanto più che il diluvio delle pioggie d'Ottobre m'ha imprigionato a Milano; e ci starò Dio sa per quanto! vorrei vedere finita e specchiata ogni cosa mia, e sapere quanta moneta mi resta da potere studiare – non dico vivere, perchè se non si trattasse che della vita per me, e il danaro non mi servisse che alla vita animale, io rinunzierei libero, e volontario e prontissimo agli affari, al danaro, e alla vita, e me n'andrei ad albergare dove non si paga pigione per tutta l'eternità; – io amo la quiete, e gli agi un pochino epicurei del corpo affinchè le membra impedite dalla fredda, e timida povertà non rendano disagiato l'ingegno: – altri avrà poetato meglio di me tremando di freddo, o a ventre mezzo vuoto; e lo ammiro: io non posso imitarlo; sono stato avvezzato sobrio, ma dilicato, però indugio qui per non abbandonare al capriccio del fisco le mie poche sostanze, e per non essere poscia costretto a misurare lo zucchero ed il caffè della mia colezione: ma queste lungaggini del Congresso di tanti Re, m'inceppano il corpo, e presto presto m'annojeranno l'anima a morte: e oh come l'anima e tutte le ali della mia immaginazione volano spesso a Firenze! So che l'abate di Caluso diede al S.r Grassi una lettera di favore presso di Lei; Le raccomando anch'io il S.r Grassi; avrà anch'egli de' diffetti umani, ed è creato come tutti gli altri di sangue e d'ossa; ma è uomo d'ingegno elegante, e d'animo altero: peccato che la sua fortuna l'abbia costretto a spendere l'età sua migliore negl'impieghi; s'egli si fosse dato tutto alle lettere, e se potrà d'ora innanzi compensare con lo studio il tempo perduto, non so ch'altri in Italia possa scrivere la r Grassi è un bravo giovine, e vorrei che impetrasse dal cielo destini più quieti: ha fatto egregiamente a uscir di Torino; si sta peggio che qui; benchè qui gli uomini pari a me, vivano pessimamente: il povero abate di Breme, ch'era innamorato di Milano e in Milano, comincia a esserne sazio; lo vedo più spesso ora che viene a consolarsi meco ed a spassionarsi a quattr'occhi: a me per altro questa città non è mai piacciuta; e lasciando stare l'affare fantastico e disperato dell'indipendenza, si sta men male ora d'allora, quanto al governo; si vive più liberi, come avviene nella lontananza del principe a tutti i paesi; ed io del passato governo non bramo se non la Vice-Regina, perch'era bellissima giovine, e principessa graziosa, ed elegantissima quanto le Grazie, e Madre di Figli Italiani; se non che ad ogni modo sarebbero stati
r Cavaliere innamoratosi, com'e' dice, per fama di me – bench'io poscia mi sia avveduto ch'ei non lesse, nè una sillaba mai di mio – volle conoscermi; e per non uscire de' puntigli e delle convenienze, i primi complimenti reciprochi si fecero in casa terza. Quivi s'appuntò che verrebbe a leggermi una delle sue preconizzatissime satire: venne, e me la lesse; e l'ascoltai con molta attenzione, e non senza piacere. Ha uno stile tutto suo; nuovo per chi non abbia dì e notte alla mano i classici latini de' quali egli s'è pasciuto a desinare, a cena, a colezione, e a merenda; la sua lingua è scevra d'arcaismi, di fiorentinismi, e di franciosismi, purità rarissima a questi tempi; la verseggiatura è vibrata, ma poco varia, se pure l'orecchio non mi ha tradito. La composizione universale della sua Satira ha molta arguzia, ma poco o nessun chiaroscuro; il che la renderà, temo, monotona e stancherà forse i lettori: se non che il chiaroscuro è al mio parere il sommo dell'arte, ed è dato a pochissimi. Chi dicesse che ogni una di quelle satire è una serie d'epigrammi in ottave sopra lo stesso argomento, darebbe, parmi, la più esatta definizione dello stile di D'Elci: ma questa perpetuità di frizzi fa supporre un non so che di maligno nell'autore, e partorisce insieme moltissima oscurità a' suoi lettori. – Insomma D'Elci è una copia moderna di Giovenale; anzi Giovenale redivivo, dal Genio in fuori: nè per letture, o dottrina, o speculazioni, o consuetudini di mondo, il Genio s'acquista mai. Benchè io non abbia mai conosciuto uomo, nè conoscerò forse, più dotto ne' classici latini di D'Elci, tuttavia la natura gli negò di poterli emulare; bensì gli imita egregiamente: ma sì fatte imitazioni somigliano appunto un rame di Morghen accanto all'originale di Rafaello. – Del resto il D'Elci attonito di stupore per gli antichi poeti, sparla di tutti i moderni, e sparlerà, son certo, anche di me servo de' servi: nè io mi credo salvo malgrado le molte lodi ch'ei mi faccia alla fiorentina; non v'è animale più invidioso del letterato; ma fra gli altri invidiosissimi sono, come furono, e saranno i Fiorentini. E il D'Elci mi pare l'effigie sputata del Cavaliere Salviati, persecutore
Cos'è di voi, mia cara amica? Tacete oramai da più settimane. Avete voi riscosse le
Pregiatissimo mio Signore – Il nostro buon don Antonio mi ha fatto una pittura sì viva della bellezza del di lei cuore, ch'io mi faccio ardito a pregarla di una grazia. Non le sembri strana la mia richiesta, perch'io vivo una vita affatto affatto eremitica: bramerei sapere s'Ella ha dato in luce que' suoi Carmi alla greca, di cui parla il Sig. Borgno nella dissertazione sopra i
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre du premier. Je suis fâchée de vous savoir toussant, et mélancolique. J'espère que la fin du Congrès vous ramenera ici quand vous saurez l'état de vos finances. Je me suis apperçue que vous êtes un ta Croce
Je doute que ma societé du soir vous amuserait si vous étiez ici. Ma chambre est toujours remplie d'une quantité d'étrangers, et sourtout d'anglois peu amaibles.
Savez-vous bien que voilà une année que vous nous avez quitté, il seroit tems de revenir et vous fixer à Florence. Je plains l'Abbé de Breme s'il n'a pas de fortune mais je ne puis le plaindre d'avoir perdu ses places d'esclave; s'il a de quoi vivre! Voilà ce que beaucoup de gens appellent l'indipendance de l'Italie. r Fabre achete et revend des tableaux et en fait, et passe
Caro Ugo – Compie oggi l'anno che partiste di qua, e non foste mai meno assennato d'allora, a quel che io deduco dalle varie e tante peripezie da voi tollerate in questi dodici mesi; e in Toscana non avreste al certo sofferto tanti guai, perchè il nostro clima produce ingegni mediocri e cuori migliori dell'Alta Italia.
Stupisco come non abbiate ricevuta una mia scrittavi da Montevarchi ove accusavo due vostre lettere con la compiegata. Quest'ultima vostra l'ho ricevuta ben tardi essendo andata a Montevarchi, e non trovandomi là me l'hanno mandata indietro. Il vostro Banchiere avrà avuto riscontro di aver io ricevuto le lire 400 che per mezzo di Leoni feci ritirare.
Io non voglio trarre cambiali sopra di voi pelle 70 monete, vorrei aver credito di 70 mila e non vi farei mai furia – me le pagherete quando vi piacerà. Sono tre giorni che tornai a Firenze, ma Stefanino nol vidi ancora: andò a Bologna non so a che fare; li darò le sessanta monete e la mia benedizione.
Ho veduto il Pellico; senza molto saper di lui mi pare che abbia de' germi d'ingegno. Fa il maestro di lingua con successo.
Lunedì va in scena l'
Addio, mio amico, brucia questa lettera, ma regolati coi falsi amici. E me scansami da quelli. Addio, addio.
Mio caro Cugino – Ringraziovi che vi siate ricordato di me, e molto più che fidiate sull'amor mio. Io v'amava, mio caro cugino, assai prima di conoscervi; e appena seppi d'avere al Zante un parente di più, quella mia patria materna che mi fu sempre cara, mi è diventata carissima. E l'esser voi figliuolo del dottor Curzola accresce le ragioni della mia benevolenza verso di voi: esso mi fu benefico di consigli e di ajuti paterni nella mia fanciullezza; nè ho mai riletto Omero, ch'io non mi sia piacevolmente ricordato, come io una sera udii appunto da vostro padre, con fanciullesco diletto e per la prima volta, narrare le sapienti favole dell'Odissea, e il pellegrinaggio e la prudenza d'Ulisse.
E a me pure, mio caro cugino, toccò di pellegrinare; e vidi nature diverse e costumi d'uomini: mancavami la saviezza dell'Itaco, però fu assai minore il profitto. Ma quel poco che ho imparato in trentasei anni di disgrazie e di vita ch'io ho addosso oramai, lo insegnerò anche a voi; e sarete certamente meno infelice di me, se risparmiandovi il Cielo la trista esperienza dalla quale sono stato educato, vi basteranno i miei consigli amorevoli. Ed io non solo sono prontissimo, ma desidero anzi di darveli, secondo le mie forze, affinchè possiate riescire d'onore a voi stesso, e di utile e decoro alla nostra città. Poco, anzi nulla ho fatto per que' miei concittadini; ma crederò d'aver fatto moltissimo se avrò l'occasione di educare alcuni giovani, e rimandarli alla loro patria con l'amore della virtù e delle lettere. Eccovi in queste poche righe la risposta al vostro foglio 26 settembre, giuntomi inaspettato, e perciò carissimo. Bensì mi afflisse, e mi affligge mentre vi scrivo, mi affligge amaramente la perdita di vostra Madre; e non ripenso senza lagrime alla sua benevolenza indulgente verso di me, che, a dirvela in confidenza, non era il ragazzo più savio del mondo. E se pure mi sono corretto, e ho ripensato seriamente a giovarmi dell'età che fugge e del poco ingegno compartitomi dal Cielo, fu tutto frutto della educazione con tanto sudore e pianto e sacrifizi incredibili datami da mia Madre. E se alcuna dote io posseggo che meriti lode, è tutta opera e dono di mia Madre. Però mi rincresce il sapere che voi siate così immaturamente orfano, e privo dell'amore e dei consigli materni: le madri dirigono insieme alla virtù gli animi de' figliuoli, e gl'ingentiliscono alla pietà. Non dovrei forse parlarvi di vostra Madre, per non esacerbarvi la piaga, nè svegliarvi desiderio di persona che non rivedrete mai più; ma le lagrime che si dànno alle persone che ci furono care, specialmente al sepolcro dei genitori, sono accette al Cielo, e salutari, ed avvezzano l'animo a non dimenticarsi facilmente delle virtù e della sacra memoria del morti: i mortali ingrati mascherano col nome di costanza virile la spensieratezza con cui tentano d'ingannare il loro dolore; ma noi quanto più ci ricorderemo delle persone perdute, e ci affliggeremo per esse, tanto più impareremo a imitare le lor buone qualità, e ad amarle quantunque perdute. A voi frattanto resta per consolazione ed ajuto nei pericoli della giovinezza, ed esempio e maestro, il vostro ottimo Padre; e sono certo che da lui stesso vi fu suggerito il pensiero di visitarmi, se non altro, con una lettera: salutatelo dunque cordialmente, ringraziatelo e baciategli la mano in mio nome. Ma la lettera ormai s'allunga; e voi avrete forse smarriti gli occhi a diciferare questo mio carattere arabico. Continuerò ad ogni modo; e l'effusione d'animo con cui vi scrivo, vi sarà prova del piacere con che ho ricevuto le vostre notizie: inoltre v'accorgerete ch'io invecchio, e mi compiaccio, come tutti i vecchi, di ciarlar lungamente.
diceva un giovinetto a suo padre che non finiva mai di ciarlare: vi ho citato questo verso affinchè, se, come temo, non l'intendeste, v'accorgiate che voi, benchè Greco e ben educato, non intendete l'idioma divino d'Omero. Se così è, cercatene la spiegazione a vostro Padre: il verso è presso la fme del secondo libro dell'Iliade. Ma voi, mio caro cugino, se, come me ne fate motto, sperate che la vostra famiglia vi mandi a finire i vostri studi in Italia, non venite, ve ne prego, come tanti e tanti che balbettano il dialetto nostro
Signora Contessa – Le
Mia cara Amica – Alfine m'avete scritto una volta! e fu pur lunga la vostra villeggiatura – Nè di Rose odo più dirmi parola; vorrei quasi scrivergli, se non temessi o di rimanermi senza risposta, o di obbligarlo a scrivermi e disviarlo dalla sua cara pigrizia. Per oggi dunque mi starò zitto. – Da più di due mesi non so nulla di Stefano; nulla affatto; nè mi scrive: ma fra poco tornerà il signor Naranzi, se pure non è a quest'ora tornato da Vienna, e allora potrò lavarmene le mani. Tenetemi intanto informato, ve ne prego, se Stefano parte o sta. – Sabbato vi farò contare settanta monete pel solito mezzo di Borri, il quale v'avrà detto che avea l'ordine di contarvi le sessanta riscosse, e nessuno è comparso da mezz'ottobre in qua. – Pellico non manca d'ingegno; ma è testa confusa, e pecca alquanto di dissimulazione; nè ha per anche perduta l'inconsideratezza giovanile; ma forse le sue nuove sventure l'avranno fatto più savio. – Queste cose siano dette fra noi; fra noi soli. – Da molto tempo in qua le lettere
Mia cara Madre – Sto bene; e il marito dell'
È molto tempo, mio Ugo, che la vostra penna è inarridita per me io vi ho scritto in campagna e appena tornata dandovi conto d'aver io ricevute le lire 400 e riepilogandovi i conti che restano aperti fra di noi atteso la tutela di Stefanino, che Dio l'abbia nella sua santa e degna guardia a Bologna, ove mi disse andare per istudiar legge; come se qui non vi fossero mezzi sufficienti a tanta scienza o alla sua poca volontà di studiare. Il fatto sta che egli, sempre scarso di danaro come di giudizio, ha preso qui cento scudi a cambio, tirando sopra il Zante per pagare i debiti che aveva fatto e le spese superflue, e credo che a Bologna si trovi senza un soldo. Or vedete, mio amico, quanto esso ha mal corrisposto alle vostre vedute e più alla bontà del vostro cuore veramente paterno e immeritevole d'ingratitudine; ma noi buoni siamo pur troppo soggetti a questa sorta di sciagure, ed io avrei materia tale da scriverti su di ciò una geremiata da farvi stordire. Non mi avvilisco per questo e grazie alla mia poca filosofia ho l'animo superiore a ciò che il mondo domestico chiama disgrazie.
Rose dopo il suo viaggio fino a Venezia se ne tornò in compagnia d'una sua amorosa veneziana e d'un figlio di essa di sedici anni. Puoi da ciò argomentare che la bella non è più giovanetta, e quel che è peggio mi dicano che non è degna di Rose per nessun verso. Essi ora sono a Livorno a fare spese pella Signora, poichè il suo abbiglio era così meschino che crede meglio, essendo in Firenze, di non produrla in alcun sito. E il Pellico? Ditemene voi qualche cosa. Io lo vedo presso che tutte le sere, ma con quella apparente modestia e semplicità forse gesuitica, non so cosa mi pensare di lui. Parmi frattanto di ravvisare in lui una tal lealtà e generosità di sentimenti che me li fa desiderare miglior fortuna di quella che ha presentemente e che parmi le pesi all'anima, e di ciò lo compatisco molto. Io le ho parlato di voi lungamente, e nessuno mai mi aveva mosso a parlarne, nè alcuno mi avrebbe ascoltato con tanta soddisfazione; e sai oosa gli avevano detto? che la tua amicizia mi era a carico, che mi noiavano le tue visite, e che io ti metteva in ridicolo! Oh infami propagatori del mal sentire!! Se io sapessi chi avesse osato di dire sì brutte cose, io stessa gli vorrei cavare gli occhi! Ma tu, mio Ugo, non penserai sì male di me. Or addio. Fra pochi giorni Giulio del Taja torna a Milano. Ti scriverò allora un'altra lettera forse non tanto prolissa quanto questa, perchè mi avvedo d'aver ecceduto.
Oh, a proposito – sai – il povero Gino Capponi è rimasto vedovo fino da ieri. È morta sua moglie per conseguenza di parto ed aveva soli ventiquattro anni. Tutta la città la compiange, e Gino e la famiglia sono inconsolabili. Io non ho coraggio di rivedere Gino dopo sì fatta sciagura. Povera donna, non gli sono bastati nè ventiquattro anni nè 100 mila scudi suoi propri, per salvarsi dalle fauci della morte!
Addio di nuovo; scrivimi lungamente come ho fatt'io e credimi invariabile nella mia amicizia per te. Addio.
Je puis vous assurer, mon cher Ugo, que votre lettre du 23 m'a fait une grande peine, et d'autant plus grande que vous ne me connaissez pas assez pour savoir que mon caractère est aussi véridique que franc. Je puis vous assurer que je n'ai dit r de la Garde a qui ouvrait, et retenait toutes nos lettres. Je sais qu'il vous détestait, et voulait vous faire partir. Vous avez tort de penser que i gretti Florentins ne vous aiment pas. Tout le monde me demande de vos nouvelles, et je vous assure que malgré votre esprit supérieur, et votre savoir ils aimoient votre societé, et ordinairement ils craignent et envient les êtres supérieurs à leur
Toutes les Religieuses noires blanches et grises retournent dans leurs couvents. Il n'y a rien de telle que d'empêcher une chose: tout le monde veut la faire – J'ai tant détesté Buonaparte, parceque j'étois sûre qu'il ne resterait pas sur son throne, et que lui tombé nous retomberions dans l'abîme.
Ne vous irrité pas autant contre le genre humain: laissez parler les sots, et contentez vous d'avoir l'approbation des sages, et l'amour de vos amis. Vous ne reviendrez donc plus rire avec moi des follies des hommes, et calmer votre imagination! – Savez-vous que le Samedi j'ai quelque fois de la musique et toujours des glaces et des bonbons. Venez-donc en manger – Dites-moi quand vous reviendrai! en attendant dois-je payer la mère de votre domestique. Envoyez-moi
Tout le monde seroit charmé de vous revoir, et sur tout moi qui connaît ce que vous valez – Répondez tout de suite à cette lettre pour me tranquilliser.
J'aurez fait une infamie d'aller parler d'une chose comme celle qui étoit entre nous, n'étoit que l'effet d'une imagination r Fabre vous salue.
Avez-vous jamais rien sçu de cet Anglo-Italico? – Rose est revenu avec une Vénitienne qui demeure avec lui. Le Ministre d'Angleterre est arrivé avec sa femme; ils sont tous les deux beaux, mais surtout le mari. Mille compliments à l'abbé de Breme – Savez-vous si M.me Castiglioni Litta est guérie? – à vous revoir, revenez! – Le Grillo de la voisine fa il padrone à ce qu'on dit.
Je viens encore de relire votre lettre. Je me persuade toujours davantage que c'est la Garde qui l'aura dit à quelque curieux poète de Florence. Je ne parle jamais de mes affaires à personne. Vous devez vous en être apperçu, quoique nous ayons passé des soirées seuls.
Vedrete, miei cari, che Giulio Angelo mi fece un'improvvisata, e con mio sommo piacere perch'era del tempo ch'io non lo vedeva. Egli vi fa testimonio della mia buona salute, ed io della sua. Non vi rincresca di mandare l'annessa lettera al cugino Brozzard. – Sarete dal signor Naranzi pagati del venturo dicembre: di me non so ancora nulla; gl'indugi del Congresso di tanti Re e potentati indugiano i progetti di me poveretto ed inerme. – Or addio. E tu, cara Madre, manda a' tuoi figli la tua santa benedizione. – Addio, addio.
Mia cara Amica – V'ho già scritto, oggi son dieci giorni; benchè la vostra
Signora Contessa – Ricevo l'ultima sua, e le rispondo tre giorni dopo; la mi giunse a sera avanzata, e il corriere si ripartiva senza darmi tempo a riscriverle subito, com'Ella mi comandava e raccomandava. Torno a dirle che le amarezze le quali io sono forzato a ingojarmi volere e non volere dalla malignità de' mormoratori e de' giornalisti, mi riescono su le prime nauseose ed aspre al palato; ma poco dopo le digerisco, e se la frase non avesse del porco, direi che le mi vanno per secesso, e le lascio a beneplacito e a beneficio di chiunque spera che da sì fatto letame egli possa ingrassare il suo ingegno, e fecondare la propria eloquenza satirica. Mi rincresceva soltanto – e mi rincresceva fitto nell'anima – che la malignità fosse uscita da persona amica: ora l'assolvo del sospetto, ed ho rimorso d'averla troppo facilmente accusata; ho dunque fatto benissimo a non nominarla nella mia lettera antecedente. S'io avessi pensato a quell'ippocrita robersperriano di r
P. S. Piacciale di far pagare alla Madre di Pietro la solita mesata sino a tutto. l'anno corrente. Forse Pietro si partirà da me, perch'egli vive malinconico in Milano, ed io non ho bisogno della altrui malinconia per casa; mi basta la mia. D'altra parte ha ragione: Firenze è sua patria, ed è bella; e il desiderio della patria è malattia cronica: però gli persuaderò d'andarsene; diversamente mi costringerà a comandarglielo –
Amico mio – Poco dopo avervi io scritta una lunga lettera, ne ricevei una di voi. Null'altro mi resta a dirvi di Stefanino, da che, come vi dissi, se ne partì per Bologna. Ho mandato il mio servitore dai signori Borri e C. per sentire se avevano ordine alcuno da Milano di pagarmi denaro; mi hanno fatto rispondere di no; ciò per vostra regola, poichè mi dite d'aver dato l'ordine al signor Porta vostro banchiere. Io non ho avuto che le lire 400 che ritirò per me il Leoni quando io era in campagna. Rose parte per Roma lunedì prossimo; dacchè io mi sono rimessa a Firenze non l'ho veduto che una sola volta, e quest'è perchè ha seco una donna che non ardisce produrla; a onde bisogna che se la goda tutta per sè, e credo ne sia mortificato.
Ho gusto che vi siate disingannato sulle lettere
Vi ho scritto, riscritto e torno a riscrivervi, poichè il signor Giulio si è offerto gentilmente di darvi da se stesso questa lettera al teatro, nella residenza degli Amanti, Politici, Consiglieri, Caldi e Imp – – che non voglio neppur finir di scrivere; e fra i molti so che vi è pure il cavalier Schaeffer mio amicissimo, del quale vi potrei dire tutto il bene che si può dire d'uomo integerrimo, generoso, caldo Amico, ottimo Padre etc. etc. Io desidero nel fondo del mio cuore che siate amici, sicura, della scambievole soddisfazione. Non sfuggite, ve ne prego, l'approssimarvi a lui. –
In questo momento Giuseppe mi porta una vostra lettera e un'imbasciata de' signori Borri per L. 400 che farò ritirare nella giornata. Or per saldare affatto i conti mi pare che vi sia ancora sessantasei monete. Ma per carità, non vi affannate per saldarmi. I libri aperti tengano aperta la confidenza.
Intorno poi al resto della lettera vostra vi risponderò con più comodo. Addio, sfido tutti i maligni a far sì che io senta minor conforto nell'amicizia tua.
Miei cari – Ricevo l'ultima vostra e rispondo in fretta per valermi dell'occasione del corriere che riparte fra un'ora. Domando perdono alla Mamma se non ho fatto motto di gradimento e di ringraziamento delle calzette di lavoro di sue mani per me; poteva ben immaginarsi ch'io le gradisco e la ringrazio col cuore. Ma non importa mandarmele; presto o tardi verrò a stare in famiglia a Venezia, e per ora ne ho di quelle già mandatemi; se ne verranno dell'altre, la mia servitù me le logorerà senza ch'io le porti. Così va per noi poveri celibi! – Giulio Angiolo sta benissimo; ebbi jer l'altro sue nuove; voi avrete già ricevuto una
Je vous remercie, mon cher Ugo, de m'avoir répondu d'abord, votre derniere lettre m'avait fait de la peine. Je sais fort bien qu'il est reçu que les femmes sont indiscrettes; mais à mon age on est d'un sexe neutre, et par consequent on doit tenir des deux – et on ne peut dire le secret de ses amis. A propos de ce la Garde cet homme a trouvé moyen d'être a present le bras droit du Ministre de la Police a Paris. Ces especes de Coquins savent se retourner de toutes les manières. Je dois cependant dire qu'il servait Buonaparte en le detestant. Il y a ici M.r Castiglioni fils ainé de te, il est venu chez moi a un bal que j'ai donné samedi a toutes les Demoiselles Anglaises et Italiennes de ma connaissance, et qui a été très joli. Ce jeune homme a l'air d'un extravaguant, et dansait comme un fou. Que dites vous que je donne bals, et concerts tous les samedis? Tout le monde veut en être, et des gens qui ne m'avaient jamais regardés veulent se faire presenter chez moi. C'est tant simple on ne va pas chez les personnes pour l'amour d'eux mais pour l'agrement qu'on y trouve. Il y a trop long tems que je vis pour n'avoir pas acquis cette experience. Vous allez voire la cara Matilda qui se fait aimer; et admirer de tout le monde. Elle va passer quelque tems a Milan pour revoir ses amis et se faire voir.
Le satirique Delci est ici; mais je ne l'ai appersu nulle part a mon grand contentement –
Mr. Castiglioni·m'a dit que vous vous portez bien, et m'a fait fort votre eloge, j'ai fait chorus avec lui. Je demande toujours si vous ne reviendrez pas beare la Toscane au moins la Societé qui vous aime parceque vous lui donnez du mouvement. Je vois quelque fois lle Isabelle ex belle a vous. Il a donné un Anibal qui n'a pas reussi et a été critiqué. Il me parait que le sujet n'est pas tragique. Il est tant simple que les Romains cherchent a faire mourir, et se venger de cet ennemi redoutable – ce n'est pas généreux de leur part, mais naturelle. Ce Mr. devrait se contenter de traduire. Il m'a paru très persuadé de son merite, et parle emphatiquement son Language Lombard. Pour vous
La belle de votre Pietro ou sa mère, que je payerai exactement, m'a chargé de cette lettre pour lui.
Mr. Fabre vous salue il fait des portraits de jolies anglaises qui ressemblent a ma Muse de Canova. Pour moi je me porte bien, malgré un brouillard Lombard, et je vous prie de vous rappeller dans tous les instants de votre vie que vous avez en moi une amie qui vous aime et vous estime. – De vos nouvelles souvent. – Mr. Rose est enterré avec sa Venitienne – Occupezvous, et marchez a la gloire au travers des epines et des ronces dont vous trouverez le chemin parsemé.
Veuillez dire a l'abbé
Adieu a revoir.
Votre Piero fera une follie de vous quitter il trouvera difficillement a se placer ici.
Si vous avez besoin d'un autre vous pourrez avoir le neveu de Louis qui est un charmant sujet, qui vous lira en Italien Latin et Français et vous coiffra et rasera.
Mia cara Madre – Le buone feste, miei cari, e sarieno buonissime se potessi farle con voi; ma bisogna pure ch'io aspetti ancora per qualche tempo fino alla decisione delle cose, affinchè io possa venire a vivermi quieto in famiglia senz'altri pensieri sull'avvenire. Mio fratello è stato qui per poche ore, e la sua fisonomia mi fu testimonio del suo felice stato di salute e della contentezza del suo cuore. Anch'io me la passo bene, a dispetto del freddo: studio molto, e vivo moltissimo in casa: non vedo l'ora di venire a godere della stufa e del Franklin di casa nostra, tanto più che la legna qui costa un occhio; addio intanto, miei cari; salutatemi il cugino e l'abadessa Orsola; baciatemi Pippi, e venerate in mio nome e secondo la mia pia intenzione la barba reverendissima del Jerogàmo Bisbardi:
Signora Contessa – Avrei appena tempo di piegare una lettera, non che di scriverla lunga lunga al mio solito; tanto sono incalzato da mille noje: ad ogni modo non istà bene ch'ella a questi giorni festivi resti senza notizie di me: le buone feste dunque, Signora Contessa. – Pietro è partito, e sarà a quest'ora in Firenze: era necessario ch'egli partisse: lo raccomando a Lei, se mai potesse fargli del bene. Ei se n'è ito portandosi la speranza di ritornarsi meco; ma finch'io non possa rinfiorentinarmi, io lo lascierò stare a casa sua; nè io posso nè vorrei accomodarmi a pagare i vetturini dell'andata e del ritorno. E per questa ragione mi rassegno a non giovarmi per ora del nipote di Gigi; benchè mi rincresca di non sentirmi risuonar nell'orecchio gl'idiotismi toscani, che dalla vallaccia lombarda mi trasportavano con certa musicale illusione in val d'Arno. Frattanto, finchè l'incertezza delle cose, rende incertissimo il tempo della mia dimora e della mia partenza, ho surrogato un altro ajutante di campo, e me lo farò bastare. – Le mando gli ossequi dell'Abate di Breme; gli lasciai vedere il paragrafo della sua lettera; e mi s'è mostrato gratissimo. I miei saluti al Pittore elegante. –
Ugo mio – dimmi che sei a Milano, che stai bene, che sei tranquillo, e sarò tranquilla ancor io. Molte voci turbano la mia mente, ond'è che ho necessità di una tua semplice riga.
Dio ti assista.
Cara Madre mia – Lessi la lettera della zia Xinda e la vostra; e mio fratello, a cui n'avete scritto, mi fa sapere ch'egli opina
J'attendois, mon cher Ugo, avec impatience votre lettre du 21, et je l'ai reçue avec autant de plaisir que votre avant-dernière m'a fait de peine. On avoit publié que vous étiez du nombre des A... et quoique je connoisse votre prudence, et votre indifférence, je craignois cependant pour vous. A présent je suis rassurée! J'ai ya votre Pietro, et je l'ai grondé: quelle bêtise à un être comme lui de vouloir rester plutôt dans un endroit que dans un autre. Enfin les gens comme lui ne craignent jamais la misère. C'est un bonheur pour eux – Il n'y a que noux dans les bouleversemens qui sommes tourmentés par la crainte de manquer de pain.
Il est vrai que François L. a laissé la P. mais je ne crois pas que c'étoit pour jalousie; mais parcequ'il en avoit assez et lui disoit du mal de ses parents. Il est venu faire ici le
Je vois quelquefois Leoni; tout le monde vient à présent chez moi. Le pauvre Lapi Giovanni a pris le chemin de l'autre monde par le moyen d'une colique de Miserere. Je ne sais s'il est mort! Ce sera un homme d'esprit de moins.
Peu à peu il ne reste en Toscane que les sots, ce qui n'est spa agréable pour qui est leur contemporain.
L'elegante Pittore vous salue il fait des portraits de jolies Anglaises, et il réussit comme au votre.
Ma voisine est toujours
Votre
Appena ha ricevuto il gentile indirizzo che accompagna l'opuscoletto del Signor Foscolo il sottoscritto s'affretta di offerirgliene le dovute grazie. La riputazione di cui è in possesso fra i letterati il signor Foscolo, non lascia luogo a ricambiare se non per sola metà il notissimo suo augurio allo scrivente, ond'esso, limitandosi a desiderargli sereno e tranquillissimo ozio e durevole pace, osa ad un tempo farsi lecito di cordialmente esortarlo a fare il riacquisto di un tanto bene anche a prezzo di qualche leggiero, e veramente filosofico sacrifizio.
Caro Ugo – Ho ricevuto la tua de' 30 p. p. dopo molti desiderj e ansietà. Non era soltanto per saper di tua salute; ma i ciarlieri, malevoli, invidiosi che regnano pur sempre, ti facevano arrestato, carcerato, fuggito ecc. ecc. E venne poi il tuo Pietro, e lo vidi e lo interrogai, e mi disse molte cose sulle quali le imposi di avere prudenza e tenerle in sè; non erano affari politici, ma strettezze familiari, che non fanno alcun torto, ma consolano gli invidiosi; ma egli non mi ha dato retta e ciarla senza misericordia. Or, mio caro amico, puoi credere quanto mi accori la tua situazione. Se tu fosse qua, potrei in qualche maniera sollevarti da molte cure e pensieri e ugge; e pur troppo nella lontananza in cui siamo non posso farti la più piccola cosa d'utilità tua. Del resto se tu mi parli ancora una volta del mio credito, io non ti reputerò mai vero amico; non ho altro dolore che d'aver ritirato ciò che mi hai rimesso; pensa se sarebbe possibile che io volessi ritirare pochi soldi, che non voglio assolutamente fino a che non te li chieggo. Ti giuro, amico mio, che non ho mai invidiato i ricchi, ma ora l'invidio con tutta l'anima. – Ugo caro, tu conosci presso a poco le mie finanze, il mio cuore, il mio sincero attaccamento per te, incapace di tradire l'amicizia, tu potreste parlarmi a cuore aperto, e se io potessi farti, o darti cosa a te giovevole io sarei beata – e mal mi conosci se quel che ti scrivo le credi parole vuote del desiderio di servirti: credo e spero che non mi farai questo torto.
Or addio: ho un certo presentimento che ti rivedrò dentro l'anno in Firenze, e lo tengo per sicuro, il mio cuore me lo promette. – Giulio Taj ti consegnò mai una mia lettera? E di Stefano dimmene tutte le cose che ne sai.
Caro Foscolo – Il giorno 3 corrente abbiamo qui data la tua
Mio Amico, desideravo aver tue nuove, ma è molto tempo che ne sono all'oscuro. Se credi bene scrivimi. Te ne sarò grato; e sempre sarà mia gloria ed onore l'essere tuo estimatore ed amico
Miei cari, – Al S.r Spiridione ho scritto perchè vi conti il danaro del corrente mese, state dunque tranquilli. – Forse l'amore per me v'ha illuso, e la
Je vous remercie, mon cher Ugo, de vos bons souhaits pour l'année dans laquelle nous sommes entrés. Je désire qu'elle ne se passe pas sans nous revoir. Je me flatte que lorsque les t Gallo perdrait à vos yeux à la comparaison. Où êtes-vous mon cher Ugo? pourquoi n'êtes-vous pas ici? Votre
Nous al lonsavoir une Tragédie de Niccolini, qui est devenu Bibliothécaire de S. A. R. – r Stiozzi. Il parle beaucoup. Je ne sais, quand ils se trouveront ensemble, qui cédera la parole à l'autre – Je crois que votre Pietro va se placer avec M.me Guicciardini, belle-soeur de M.me Gerini – Je l'ai grondé de vous avoir quitté.
M.r Fabre vous fait ses compliments: il peint les trois Grâces dans le même tableau, et dans un beau paysage.
Nous commençons d'avoir froid ce qui n'est pas encore arrivé.
Ayez soin de votre santé; donnez-m'en des nouvelles, et comptez toujours sur mon tendre intérêt pour la vie.
Je lis un roman de Louis Bonaparte, et j'attends le Poème de son frère Lucien. Ils ne peuvent pas vivre ignorés. C'est une famille qui veut occuper le public d'une manière ou de l'autre. Mes complimens à M.r l'abbé de B.
Mia cara Amica – Ricevo la vostra del Or io te sovra te corono e mitrio.
Poichè s'è staccato una volta, io Didimo
Mia Signora – Le Grazie di cui Ella mi scrive, le ho vedute al passeggio e al teatro in Milano; immagino dunque quanto le mi parrebbero più belle se le vedessi danzanti nella sala del tavolino rotondo: ma! – ma la Fortuna ha decretato altrimenti; ed a me – benchè ad ogni ora che suona in questo paese io mi senta lacerare un brano di cuore, e smarrire la mente, sì che presto non avrò più nè ingegno nè cuore, e parrò un morto moventesi – tuttavia a me non resta che rassegnarmi a' decreti bizzarri ed onnipotenti della Fortuna, e sottostare alle sue battiture senza avvilirmi: di questo (poich'Ella ha tanta cura di me) può vivere certa, ch'io non m'avvilirò mai. – Godo che in Firenze si vadano scrivendo e rappresentando tragedie; per me non so, – e chi nel mio stato può far progetti su l'avvenire? – non so se ne scriverò dell'altre; questo so, che non ne farò rappresentare veruna; e s'altri mai le recitasse, le dichiarerò per non mie. La povera Ricciarda è oggimai diventata proprietà de' Censori e degl'Istrioni che la vanno mutilando correggendo, rifacendo, declamando a lor modo per le città di Lombardia, e recentemente in Venezia. Gli applausi e le fischiate vanno di piena giustizia a que' valentuomini; io non ci ho più che fare. – L'ab. di Bre[me] sarà salutato oggi in suo nome, e le ne anticipo i ringraziamenti; Ella per rifarmi di questo disturbo, si pigli dal suo canto l'incomodo di risalutare il Pittore elegante – Bisogna che il S.r Leoni siasi fatto parlatore da che vive nel paese del bell'idioma; e fa bene se diverte sè stesso, e non dà noja agli altri parlando troppo. Ma Ella ha torto se crede, come pare dalla sua. lettera, ch'io non gli cederei la parola; la mi ha spesso veduto taciturno; e il timore che la mia trista taciturnità le rincrescesse, mi sforzava assai volte a ciarlare poi ch'Ella si compiaceva d'udirmi: ma ora, starei seduto sopra una di quelle poltroncine silenzioso e pazientissimo ascoltatore degli altri: un uomo all'età mia e nelle mie circostanze, e che s'alimenta di strambe opinioni, non deve dire più di quattro parole numerate se non a quattr'occhi; allora unicamente si gode del divino conforto di farsi ascoltare, e rispondere. Porterò dunque a Firenze tutto me stesso, eccettuate le facoltà intellettuali che mi si vanno svaporando, ed eccettuata la chiacchiera che mi si è smarrita senza ch'io me n'avvegga, e senza ch'io desideri che ritorni. La richiamerò solamente ne' pochi momenti ch'io potrò starmi da solo a solo con Lei, per narrarle i miei progetti, i miei guai e le mie pazzie; e domandarle consiglio, e conforto. Ma da che non m'è dato di dimorare nella stessa città, non le rincresca di continuare a scrivermi se non altro; le sue lettere sono sempre accolte con gratitudine, ed ogni sua parola ch'io leggo mi scende nel cuore. –
Puisque par votre lettre du 11, mon cher Ugo, vous me témoignez que les miennes vous font plaisir j'en aurai infiniment à vous renouveller mon tendre intérêt. Je vous prie d'être persuadé que je voudrais vous voir plus tranquille, et surtout avec nous dans la chambre de la table ronde, laquelle serait toute entière pour vous, car nous voilà dans le fort du carnaval, et chacun va au théatre courir le parterre pour chercher des bonnes ou des mauvaises fortunes. J'ai fini samedi mes bals pour la même raison. Il a été plus brillant qu'à l'ordinaire. Il y avait 23 jeunes demoiselles de 12 à 20 ans toutes bien mises et toutes dansant bien. J'ai donné ces bals pour amuser la
J'ai assisté à la tragédie du S. Leoni, qui aurait mieux fait de la garder dans son portefeuille, et encore mieux in petto. Je l'ai trouvé bien hardi (et lui ai dit) de rivaliser avec Euripide et avec Racine. J'ai bien vu qu'il a voulu montrer que l'ambition fait tout sacrifier même ce qui devrait vous être le plus cher; mais tout le monde sait cela et il faut le rendre intéressant. Les connaisseurs disent même qu'elle est mal écrite. Pour moi il me parait qu'il n'a pas en lui les moyens de faire des bonnes tragédies. Peut-être me donnera-t-il un dementi avec le temps. Il faut avoir tant de données pour réussir, tant de connaissances du coeur humain, des hommes et des choses. Enfin vous savez combien cela est difficile.
Il me parait aussi très-difficile de vous voir venir ici.
Quels sont donc les obstacles qui vous empêchent de passer les Appennins? Est-ce celui de l'honneur ou de la Fortune?
Pourquoi perdriez vous vos facultés intellectuelles dans la Lombardie, puisque vous y avez passée une partie de votre vie? C'est au milieu de ses marais que vous avez composé l'
Veuillez bien demander à l'abbé
Mr. Fabre vous salue; il est très occupé à peindre les Grâces; dont il est émerveillé.
Il les place dans le même tableau sous la figure de la Poesie peinture, et je ne sais quelle est l'autre.
Ayez soin de votre santé et conservez-moi votre bonne amitié et comptez sur la mienne. Vous ne me parlez plus de votre belle! Celle de la P. S.t Gallo est fatiguée de son Général qui le parait d'elle aussi. La jeune voisine jouit de la nouvelle conquête; l'ancien parait toujours affecté de son infidélité. Adieu.
Je crois que votre Pietro est placé chez Mr. Cicciaporci en attendant mieux: car on ne viellit pas dans cette maison.
Sgridatemi, Foscolo mio, e percotetemi forte, chè ne avete ragione, ed altissima. Avrei dovuto rispondere subitamente alla lunga e carissima vostra di alcuni mesi fa; ma riflettendo, che dopo la cordiale opinione manifestatami rispetto al Giornale, vi riserbavate a fare lo stesso dell'Ossian e dell'Otello, che vi feci tenere da Stella, andai temporeggiando qualche settimana sin che, non la dimenticanza, ma il sopraggiungere di qualche altra occupazione continuata, o più veramente l'inerzia, mi condussero a mancare seco voi di quel dovere, al quale tendo a riparare attualmente per quanto posso.
Mi pervenne già, come avrete potuto argomentare senz'altro, la lettera che mi raccomandaste per la signora Quirina; e siccome trovavasi allora in campagna, profittai di occasione particolare per fargliela tenere nel giorno medesimo.
L'articolo inserito nel mio Giornale relativamente al poema di Montrone, non fu esteso da me, come avete immaginato; bensì dal signor Luigi Muzzi di Bologna, al quale non ho potuto dir di no, e per la tenuità dell'articolo stesso, e per molte gentilezze che mi ha praticate: la qual cosa non toglie che quel signor Marchese non fosse lodato un po' troppo; ed era lodato anche maggiormente nella chiusa, che volli omettere. Del resto, avendo compiuto il semestre, ed essendomi impegnato verso il pubblico per la pubblicazione delle otto pin riputate tragedie di Shakspeare (due delle quali sono già uscite alla luce, e la terza uscirà doman l'altro), il che mi obbliga ad escludere ogni distrazione per ora, non so se quel Giornale verrà sì prestamente da me riassunto. Pel caso affermativo, il primo articolo del settimo quaderno sarà quello che si riferisce alla versione del 2o libro dell'Iliade, della quale versione mi regalaste i versi, che io conservo, e che alcuni degli amici vostri di qui, e fra gli altri il dottor Lessi, hanno trovati bellissimi. E a proposito del dottor Lessi, non sapete voi essere stato malato gravissimamente? Ora è in convalescenza, e vi saluta.
Non è molto tempo che fu qui rappresentato il mio
Il comune amico Rose, la relazione del quale, che mi avete voi cortesemente procacciata, io non saprò dimenticar mai, partì già da un mese di qui, e mi scrisse giorni sono da Roma, del cui soggiorno non parea molto contento. Però stava per incamminarsi a Napoli; e credo che a quest'ora vi sia. Esso alloggiò in casa mia per tre mesi continui; e non ho mai passato il tempo più giocondamente. Duolmi che la sua salute sia sempre in incertissimo stato.
E anche il Pellico è stato alquanti mesi con me. E per riguardo alla vostra raccomandazione, e per riguardo alla sua circostanza durissima, io ho fatto per lui tutto quanto ho potuto, non avendo egli dovuto pensare sino a quest'ora all'oggetto principale del vitto. Mi sono anche impegnato per procacciargli un impiego, od altra occupazione interinale qualunque; e sono riuscito in quest'ultima in modo, che già da due mesi va dando lezioni di lingua italiana a tal numero d'Inglesi, che basta, o dovrebbe almeno bastare, per gli altri bisogni suoi, tranne quelli di bocca; ma (sia detto in confidenza, Foscolo mio), non parmi ch'egli voglia adattarsi alle circostanze, come ogni uomo ragionevole ed onesto dee fare. Però, essendo per terminare anche sì fatto incontro delle lezioni, credo che ei pensi di passare in cerca d'altro collocamento a Genova, sperando forse di ottenerlo da' Piemontesi, occupati colà alla sistemazione del nuovo Governo.
Dalla contessa d'Albany, colla quale si parla spesso e molto piacevolmente di voi, ho ricevuto sempre con piacere le vostre nuove; e singolarmente in queste ultime settimane gliele sono andate richiedendo con una certa ansietà. Ho potuto conoscere in tale occasione, che voi le siete molto a cuore.
Io credo di avervi detto tutto quanto mi rimaneva a dirvi. Se avessi ommesso alcuna cosa, supplirò con successiva. Intanto vogliate dirmi, che avete perdonato al mio lungo indugiare, e credermi veracemente
P. S. Nella situazione degli affari pubblici, che potrebbono per avventura far soffrire alcun ritardo ne' vostri mezzi, mi è caduto in animo, che, ove ciò fosse, non vi fosse discara l'offerta ch'io sono per farvi. Tra quindici o venti giorni io dovrei ricavare costi certa somma, per altro non assai grave, della quale non potrebbe cadermi il bisogno se non se verso il principio di aprile. Potrebb'essa giovarvi? Perdonate, amico mio, ma io ve l'offro di tutto cuore, e con tutto il rispetto alla delicatezza vostra, che io conosco, e in ricambio della stessa dichiarazione fatta da voi al povero fratello mio Fanno scorso; nè inferite mai, che a ciò sia mosso da altro che dall'idea che i pagamenti delle casse pubbliche non sieno costì regolarissimi. Se fosse il contrario, sarà ciò per non detto.
Mio Ugo – Io non aveva bisogno della lettera del signor Naranzi i per testimone della vostra delicatezza a riguardo di Stefanino, nè di tutta la tua lettera per garanzia alla opinione che ho di te. Sono certa che ninno almeno in Firenze ti ha amato e stimato come me, e dirittamente, e senza fini secondari, e direi anche senza amor proprio, se senza di esso si potesse altamente amare e stimare: e se fui accorata pelle chiacchiere del tuo sciocco servitore, lo fui in conseguenza della schietta amicizia che a te mi lega, e volendo in alcun modo esserti utile, ti pregai nell'ultima mia lettera voler essermi sincero ed approfittarti, qualunque volta ne hai bisogno, della mia borsa, ed a qualunque tuo cenno passerò nelle mani dei banchieri Borri e C. ed essi al banchiere Porta la somma che vorrai. Sii certo soprattutto che approfittandoti della mia esibizione, non lo saprai che tu ed io, e che non metto alcun prezzo al mio procedere verso di te, perchè non ha nulla in sè di raro; accettalo tu nel senso il più semplice e dammi una volta un contrassegno d'amicizia che credo meritarmi.
Credi pure che Stefanino non arriverà mai ad essere un buon legale e molto meno un bravo avvocato: chi s'annoia presto di tutto non può diventare mai qualche cosa; egli non saprà fare altro che spendere tutto il suo denaro e mandare in rovina tutto il suo patrimonio, tanto più che ha un buon cuore con una cattiva testa.
Mutiamo argomento: tu non mi hai fatto mai una parola di ciò che hai scritto o che scrivi. Cosa fanno le
Qua nella misera Atene non si sente un buon. verso, nè si ha una buona produzione. L'
Ci mancava un verno simile a questo perch'io diventassi perfettamente marmotta: potessi almeno marmottescamente dormire! o più bestialmente ancora tracannare, ingojare, sbadigliare, e tornar a tracannare come fanno i beati animali bipedi di questo paese; così possono dimenticarsi delle noje del verno, e di tutte le stagioni infelici dell'uomo: un viaggiatore d'ingegno acuto, richiesto di ciò che aveva osservato in Milano, rispose:
Ella ha nominato, Signora Contessa, due prepotenti Deità, e più prepotente la prima che la seconda, almeno per me: ma nel obbedire all'onore quand'anche ci comanda d'essere sciaguratissimi, si sente pur sempre una dilicatissima e magnanima voluttà che ci compensa di tutti i dolori. Ed io ora sono in questo caso, e le narrerò il tutto; nè m'importa che questa lettera sia veduta e intercetta, e ricopiata da chichessia. Gli arresti seguìti (e come poscia ho indubitabilmente saputo furono provocati da non so dire se colpe o deplorabili frenesie) caddero sopra persone ch'io da più anni conosceva e vedeva; e tre degli arrestati m'erano amici, e un d'essi, (che fu l'ultimo, e imprigionato or son dieci giorni) era ed è e sarà il più caro e più leale, e santissimo amico ch'io possa aver mai. Colpevoli, non v'è dubbio, tutti sono colpevoli; se li difendessi in giudizio troverei forse ragioni da giustificare le circostanze personali d'alcuni, ma non oserei produrre giustificazioni sul proggetto generale di quelli sciagurati. Davanti a me giudice sono rei; ma davanti a me uomo sono forsennati; e come conoscente, e loro antico compagno di milizia e di lettere, piango sovr'essi e per essi, e piangerò con tutta la pietà e l'amarezza del dolore; e sentendo nell'anima i loro mali, la mia afflizione s'accresce appunto perch'io vedo che se li sono meritati. Nessuno mai mi fe motto del partito che macchinavano; io che m'era mostrato l'Ettore impossente di Virgilio sino al giorno del
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre dans laquelle vous me rendez compte pourquoi vous ne pouvez pas laisser Milan. Je vous en estime davantage. Il est tant simple de chercher à consoler un ami même quand il a été imprudent. Il faut l'être terriblement pour se conduire comme a fait ce pauvre
Mille compliments à l'abbé notre ami: je vous prie de lui dire que j'ai decouvert où est Lady Menars. Je le prie de ne plus s'en occuper. J'ai lu la vie de Marie Antoinette que m'a preté M.r Sanquintino faites par l'abbé. Le Stile est un peu trop recherché pour le Sujet. C'est un defaut comun en Italien de ne pas adopter le Stile à la chose – on veut mettre de la poesie partout. Ayez soin de votre santé, donnez-moi des vos nouvelles, et comptez toujours sur mon tendre interet. M.r Fabre vous salue il a fait 4 charmants portraits –
Toutes les belles sont occupées a Carnaval. Ce serait un bon tems pour vous et c'est dans ce tems joyeux que vous avez commencés de nouvelles amours. D'autres tems d'autres moeurs!
Mio caro Ugo – È tempo di rompere un silenzio, che tra amici, quali noi siamo, disconviene non poco. Sono stato assente più di due mesi dalla patria. Tornatovi ora mi appresto a ripartire quanto prima per Roma e Napoli; ma innanzi vorrei una tua lettera, che mi fosse buon viatico a questo viaggio. Affidai fino da quando partii quest'estate da Milano, il tuo ms. a Borgno, affinchè diligentemente lo ricopiasse. Dopo d'allora lo spronai spesse volte a compiere quel breve lavoro; ma ancora non l'ho potuto avere; già tu conosci fin dove giunga la sua infingardaggine; ma ora merita anche scusa in considerazione della perdita di sua cattedra, per la quale perdita è stato costretto ad andarsene a S. Benedetto in casa Bonafous, ove ora si trova. – Desidero sapere quando sieno per pubblicarsi le Grazie, e la traduzione di Omero. Ho parlato di queste tue nuove produzioni a Venezia, ed altrove, e tutti sono in grande aspettazione di leggerle. Ti prego di rispondermi tosto, perché partirò da qui il primo di quadragesima – Addio, mio caro Foscolo. Amami sempre siccome sempre anche lontano ti amerà il tuo amico
Camillo intronatissimo – Voi me l'avete fatta tutt'e due da nemici; e s'io, con tutte le vostre balordaggini, non vi fossi amico, vi tratterei come ve lo siete meritato: ma voi siete impazzato d'amore, e Borgno è indegnamente frustato dalla fortuna; però vi perdono, e prometto d'astenermi per ora e sempre e per tutti i miei nepoti e bisnipoti da
Da più mesi fidai al Borgno un mio manoscritto in latino. Prometteva di ripulirmelo col suo
Rispondetemi, ma quando avrete buone novelle da scrivermi. Or addio. Addio.
Mentre devo domandarvi perdono, miei cari, dell'avere lasciato passare una settimana senza darvi mie nuove, devo anche ringraziarti, mia dolce e buona Madre, delle sei righe che ti è piaciuto di scrivermi di tua mano; te ne ringrazio dunque con tutta l'anima, e ti prego a volermi dare di quando in quando la stessa consolazione: ma quanto all'avere indugiato a scrivere, la colpa non è mia, bensì d'un forte dolore di capo che mi pigliò sabbato a mezzodì, e mi durò sino alla mattina seguente, simile in tutto a quello ch'ebbi appunto a Venezia; l'unico rimedio è il sonno, e mi sveglio sollevato e fresco; e di questi dolori forti e brevi ne ho tre o quattro volte all'anno: così partì la posta di sabbato senza mie lettere. – L'Angiolo sta benissimo, e ballò tutto il Carnevale; era venuto a invitarmi a' festini di Lodi, alle nozze d'un suo e mio amico: ma io era vecchio fin anche da ragazzo; immaginatevi ora che sono quasi canuto; e il freddo m'invecchia assai più: ringiovinirò a primavera, Dio Signore la mandi presto e serena perchè davvero sono ormai stracco e bestemmierei per tante pioggie, nevi, nebbie, geli, fanghi, di tre e più mesi; nè in tanto tempo ho mai potuto vedere il sole neppure per mezz'ora: però l'Angiolo tornò a Lodi alle nozze ed ai balli senza di me, ed io sono restato al mio camminetto i consolandomi come posso, co' miei libri e col fuoco che mi costa molti denari. Vorrei stare almeno al caminetto di casa mia temprando il verno al proprio fuoco
, come dice il Tasso. Ma la Fortuna vuole altrimenti, bisognerà pure ch'io cerchi in un modo o nell'altro di scongiurare la Fortuna, e di vedere se volesse una volta fare la mia volontà, poichè fino ad oggi ha quasi sempre fatta la sua. Aspetto che termini la brutta stagione, e poi a primavera piglierò una generosa e necessaria risoluzione. Ma il mio primo pensiero sarete sempre voi; e qualunque partito abbraccerò avrà per principale condizione la vostra possibile prosperità. Or addio. Non mi parlate più del dottore? e perchè non mi sento più dire che sta bene, che vi vuol sempre bene, e che mi saluta? Salutatelo almeno in mio nome. – Cara Rubina sorella mia, godo della tua salute e, quanto più ne godo tanto più mi sento riconoscente all'ottimo cuore, e alle cure fraterne del tuo medico. Tu Pippi, studia; non hai altro a questo mondo che te stesso; e quando sarai grande bisognerà che tu t'aiuti da te solo, perch'io allora sarò rimbambito. Madre mia, addio; manda a' tuoi figli la tua santa e amorosa benedizione.
Carissimo Foscolo – Sono oltre a quindici giorni che vi ho scritto: manco sinora di vostro riscontro; e sono in pena.
Da Stella, cui lo ho diretto, vi sarà consegnato un pacchetto di libri. Da esso leverete un esemplare del «Romeo e Giulietta» che destino per voi, e gli altri li farete tenere a Stefanino cui appartengono.
Non mi avete mai detto nulla degli altri libri che ho avuto sempre il pensiero di andarvi dirigendo.
Pellico è partito ier l'altro per Genova. Io l'ho provveduto di tutte le lettere che poteva dargli io e procacciargli da altri.
Rose è attualmente a Napoli; ed io vi saluto affettuosamente.
Mio caro Foscolo – Ricevo la vostra lettera qui, e tosto rispondo. Vi scriverò pure e da Bologna, e da Roma e da Napoli, e così impetrerò, spero, perdono al silenzio passato. Andrò per la via d'Ancona. Voi scrivetemi ora a Roma, e avvisatemi ove debba indirizzarvi mie risposte. Penso di fermarmi fino a tutta la settimana santa in Roma, quindi passare a Napoli, ove mi fermerò un mese, e nel ritorno mi fermerò di nuovo a Roma. Somma: due mesi a Roma, uno a Napoli, ed uno per viaggio. La Toscana la rivedrò nel ritorno. Quanto al vostro manuscritto, non debb'essere per niun conto smarrito, chè lo vidi in mano di Borgno prima ch'io partissi tre mesi fa per Vicenza. Ma poscia Borgno fu astretto a partire per Torino, e non ne riseppi altro. Ora, dovendo ancora vivere per quattro mesi almeno da cavaliere errante, non so quando potrò aver nuove nè di Borgno, nè di Didimo. Ma al mio ritorno ne farò incetta diligentissima. Intanto addio – A Bologna vi saluterò la Martinetti. Seguite ad amarmi con tutte le mie colpe di negligenza verso di voi. Addio di nuovo.
Il sottoscritto bramerebbe di parlare col signor A. F. Stella d'affare che potrebbe essere importante al sottoscritto, al signore Stella ed al pubblico: – ma il sottoscritto non esce, se non a giorno oscuro, fuori di casa; però prega il signore Stella di venire a pigliare il caffè domattina al secondo piano di casa nuova Cattaneo, dirimpetto al Monte Napoleone, all'imboccatura della Via del Senato.
Mio caro Foscolo – Eccomi a liberare la mia parola. Ho passato parte di cinque dì in questa città, il buon mattino all'Università ad udirvi i migliori professori, poi a visitare la Biblioteca, i gabinetti, le gallerie, ad altre cose a vedersi in Bologna, a pranzo e dopo allegramente cogli amici, e la sera dalla Martinetti, colla quale ho parlato a lungo di Voi, il quale non le scrivete più. È sempre amabilissima anche agli occhi di chi potesse aver l'anima e il cuor pieno di un'altra imagine. – Scrivetemi a Roma, ove giugnerò fra nove dì. Oggi o domani partirò alla volta di Ancona. Addio, mio caro Foscolo. Salutatemi il buon Giulio, a cui sono tanto obbligato. Addio di nuovo.
Signore – Da mio fratello mi fu rifferito ch'ella brama le sia fatta restituzione de' manoscritti di cui sono tutt'ora in possesso; mi è sembrato che forse dalla di lei gentilezza non mi sarebbe negato di rittenerli ancora altri pochi giorni presso di me, e mi sono fatto animo a chiederle il favore di così benigna tolleranza colla lusinga che di minor rincrescimento le riuscirà questo atto di cortesia quando ella saprà, che da non molti giorni io sono posseditore di coteste di lei opere egregie, che soglio andare a rilento ove si tratti di leggere cose bellissime, quelle vale a dire, da tutte l'altre assai distinte per rari pregi di stile, per cospicui pensamenti, e magnanime sentenze atte a scolpire nei petti generosi quegli altissimi sensi che sgorgano con feconda vena dal ben nato di lei cuore.
Le saranno frattanto restituite le traduzioni dell'Ortis, quel prezioso testimonio delle infinite doti di cui pompeggia la lingua nostra in ogni maniera di gentili e robusti argomenti, quand'ella sia trattata da persona a cui sia dato di farne risaltare le vaghezze, la nobiltà e la forza.
Perdoni, in grazia dell'infinita mia ammirazione, questa qualunque sia sincera espressione de' miei sentimenti; nè creda ella già ch'io abbia voluto assumere le parti di critico, e di lodatore; che da tanto ben certamente io non mi tengo, nè credo che l'esserle io fra i più devoti, possa in nessuna maniera darle motivo di soddisfazione, o accrescerle di un nulla l'illustre e ben meritata riputazione.
Aggradisca ch'io mi sottoscriva tutto Suo
Signor mio – Il reo diventa attore; e mentr'io voleva scusarmi, ella mi previene e s'accusa: ringrazio dunque il suo biglietto e la provvidenza che le ha ispirato di liberarmi dal rossore di debitore moroso. Fatto sta ch'io dovrei averle mandato l'Omero; ed ella, se avessi attenuto come ho promesso, l'avrebbe oramai letto e quasi dimenticato: l'Omero fu ricopiato; ma non m'è bastato il cuore di negarlo a chi me lo chiese per pochi giorni, e se lo tiene da più settimane; così le domando perdono di avere abusato di cosa mia, ma ch'era, signor Conte, di sua ragione. Purch'ella aspetti pazientemente l'Omero, io aspetterò con piacere e l'Ajace e la Ricciarda e la versione inglese dell'Ortis, e l'Ortis teutonizzato. Piacciale di scrivere a Parigi perchè, se fosse possibile, io leggessi una volta l'
Che sorvegliano i ladri e gli scrittori –e il povero diavolo d'Ortis è stato sequestrato e dannato in
Mia cara Amica – Perch'io so che voi fate sempre molte e cortesi accoglienze a chi vi si presenta in mio nome, consegnerò questi pochi versi al signor conte Darache torinese, pregandovi di parlare seco talvolta di me. Nè io ve lo raccomanderò co' soliti panegirici; si raccomanderà da sè. Intanto addio addio, mia cara Amica.
Mia Signora ed Amica – Io mi taccio oramai da gran tempo; sebbene io avrei da palesarle di molte cose: ma pur troppo
«Tanto ho da dir che incominciar non oso» –.
La non pigli il mio silenzio a tristo augurio; e la non voglia, la supplico, appormelo a villania: mi sono trovato e mi trovo a fierissime strette; il fare è vile, e il non fare è pericoloso; ma ella può stare sicura che chiunque è stato onorato e agguerrito dalla sua amicizia anteporrà sempre e lietissimamente il pericolo alla viltà: – e le circostanze in cui sono m'hanno tanto quanto persuaso a tacere con Lei: – ma di ciò fra non molto. Intanto il S.r Conte Darache Torinese, che avrà l'onore di presentarle questa lettera, potrà dirle ch'io vivo; altro a quanto io credo, non sa di me; e ciò solo, s'Ella pur degna aver cura de' fatti miei, basterà ad acquetarla per ora. Questo gentiluomo desiderava di essere presentato a Lei affinchè ne' pochi giorni ch'ei si fermerà in Firenze, abbia alcuna occasione di offerire i suoi omaggi a Lei, mia Signora; tutti i piemontesi hanno dovere insieme e diritto di visitare la casa e il sepolcro del loro concittadino, e di ringraziare con ossequiosa riconoscenza la persona che gli fu per molti anni amica, e consolatrice, ed ispiratrice. A Lei non rincresca dunque di accogliere con la sua nobile affabilità il S.r Darache; ed io così avrò sempre un diritto alla di lui gratitudine. –
Mio Ugo – Siamo già al 25 febbraio e tu non hai presa in mano la penna per darmi tue nuove, dall'11 gennaio: eppure io mi credeva che avreste risposto all'ultima mia che ti scrissi dopo la tua. Che vuol dir ciò? È indolenza, poltroneria o hai cacciato dalla tua memoria la tua povera Amica? Mi dorrebbe davvero un oblio dalla parte tua; in natura è proprio d'un cuore sensibile l'amare, il disamare, e il riamare: nulla è costante quaggiù di ciò che si rapporta alla nostra natura terrestre; il solo sublime sentimento dell'amicizia può esser stabile: non me lo torre, amico mio; l'idea di serbare presso di te il titolo d'amica mi fa beata e mi compensa molte volte della mancanza di tua presenza. Se hai bisogno di danaro o altra cosa, scrivimi. Dammi tue nuove fisiche morali ecc. Nell'ultima lettera che ti scrissi, mi feci ardita a chiederti almeno uno squarcio delle tue
Mio caro Bulgari. – La fortuna e i miei principj ai quali ad onta della fortuna. non voglio rinunziare se non con la vita, mi obbligano a pensare oramai ad appigliarmi a un partito decisivo; e fra non molto dovrò appigliarmivi senza aver avuto tempo bastante da pensarvi, nè mezzi da mandarlo ad effetto con qualche probabilità. Qui ho perduto moltissimo, e prevedo che perderò tutto; nè avrò altro ajuto nel mondo se non me stesso. La mia forza non mi abbandonerà mai; ma quando non gioverà a farmi vivere nobilmente, non potrò adoperarla se non a morire. Ad ogni modo voglio per onor mio, e devo per la mia famiglia e per la mia patria espletare tutte le vie prima dell'ultima che nessuno può torre [a] gli uomini puri.
Io non credeva che le sciagurate faccende nostre meritassero d'essere risapute in Europa, nè ch'altri per difendere stoltamente se stesso accusare malignamente gli uomini forti ed onesti. Ora il libro che corre su gli avvenimenti d'aprile del 1814, mi fa sentir l'obbligo di descrivere con grandissima imparzialità lo stato del Regno d'Italia, affinchè il mondo giudichi.
Miei cari – Scrivo quanto posso più chiaro affinchè leggiate voi soli. V'ho già avvertito come le circostanze per ora non mi permettano di mandarvi esattamente il danaro del presente mese. Qui ho molti crediti, ma la riscossione mi riesce difficile, e tutti i giorni mi deludono quei medesimi che dovrebbero essermi grati, e cercar di pagarmi. Ad ogni modo voi non sarete delusi, e verso la metà del mese avrete la solita somma. Frattanto qui per i miei bisogni giornalieri ed urgenti ho dovuto cercar del danaro, e l'ho fatto in guisa da non sfigurare come se fossi un pitocco. Ho rilasciata una lettera diretta a mia madre, che, o vi sarà portata in casa, oppure troverete
«Mio caro figlio. Affinchè il danaro vi arrivasse a Milano prima del giorno 15, ho fatto che la persona incaricata ve lo mandi col solito mezzo, e lo ha spedito il giorno 3 del mese, siccome mi ha assicurato; per questo spero che non ne mancherete. Per altro anche vostro fratello ha fatto sapere che il trimestre sia accreditato in vostro favore; ma mi sarebbe stato caro di poter fare a modo vostro circa alla persona destinata da voi nel vostro foglio 28 febbraro p. p., che mi giunse la sera, mentre quella stessa mattina era stato servito». Dopo queste poche righe aggiungete le solite cose su la famiglia, ecc…. – Anzi, per far meglio, scrivete voi stesse la lettera, e poi fatela copiare da qualche amico e speditemela senza ritardo. – Io, miei cari, sono stato costretto a questo ripiego per non essere costretto a tirare una cambiale al signor Spiridione, col quale (sia detto secretissimamente fra noi) non voglio aver più che fare, ed ho ragioni da chiudere una volta i nostri conti definitivamente per sempre. Intanto addio: vi raccomando l'esattezza, la prestezza e il silenzio. Pel giorno quindici sarete pagati, anzi vorrei sapere in che epoca e per qual somma scade l'affitto, affinchè possa provvedervi in tempo. Al dottor Della Torre mille saluti; fatevi da lui comunicare la lettera che gli scriverò oggi in risposta a una sua; l'affare è conveniente, ma temo che non se ne farà nulla. Or addio; e tu, madre mia, mandami la tua benedizione.
Mia cara Amica – Poche parole per oggi; il vostro foglio del
Signor mio – Da più giorni mi viene ridetto ch'Ella parli poco discretamente di me. S'altri abusa del nome di Lei per avvalorare la propria malignità, è bene ch'Ella ne sia avvertita: ma se, come mi vien riferito, Ella mi attribuisce il progetto di rinnegare i miei principj e di prostituire la mia penna, Ella, Signor mio, ha il torto, inganna sè medesimo e gli altri.
Non ch'io mi degni di scolparmi d'una accusa smentita da tutti i miei scritti e da. tutte le azioni della mia vita; intendo bensì di farmi rispettare da que' tanti che non potendo proteggere il proprio onore, si costituiscono mentitori per assalire l'altrui.
Spetta a Lei, Signor mio, di far disdire la persona che le appone sì bassa calunnia; ed io la nominerò; perchè siffatti tristi vanno confusi e puniti. Diversamente io mi vedrò costretto a parlare a Lei, mio Signore, in guisa ch'Ella, o si ricreda, o mi faccia tacere per sempre. Frattanto spero che questa lettera non le possa rincrescere; la ho scritta con la generosa franchezza che presumo anche in Lei.
Mio Signore – D'ogni mio detto e fatto Ella mi troverà mai sempre pronto a riconoscerne la proprietà, ed a sostenerne la coerenza colla mia opinione. –
Quando Ella mi parla di calunia, non esito a rigettarla francamente da me, come non mia, lasciandone la proprietà a chi si spetta. Ella mi faccia questi conoscere, e non isdegnerò scendere insino al vile che l'ha tessuta, onde guarentire il mio onore, il quale faccio consistere del pari nel sostenere il mio, come nello smentire il non mio.
S'Ella avesse creduto di ommettere la frase «
Signor mio – Poich'Ella, se ho ben letto la sua risposta, mi lascia l'arbitrio di ridurre a minimi termini la questione, compiacerò volentieri a' suoi desiderj ed a' miei. –
O è vero ch'Ella mi ha creduto capace d'una bassezza, e lo ha detto; o mi fu riferito falso.
Nel primo caso, ne io sarei uomo da perorare giustificazioni, nè pare ch' Ella vorrebbe disdirsi: così non potremo allegare se non se ragioni vaghe che lascierebbero pendente la lite in mio danno, da che ad ogni modo io sarei stato tacciato da Lei di bassezza senza risentirmene. La lite dunque richiede un tribunale che decida sommariamente, e due
Nel secondo caso, toccherebbe a me l'obbligo di palesarle la persona che Le appone discorsi maligni ch'Ella non ha mai fatto. Il tempo smentirà in breve questa, come ha prestamente smentito tant'altre calunnie divolgate contro di me: ma quanto a Lei, Signor mio, s'Ella non confonde chi abusa del suo nome, s'acquisterà l'opinione d'essere uno di que' tanti che spiano gli altrui demeriti, e denigrano la fama degli uomini onesti, per farsi largo nel mondo alimentando la malignità degli sciocchi: Ella invece mi pare nato a farsi stimare per doti più signorili e più vere.
Pregiatissimo Signore – Io non veggo che fra me e lei esista caggione di
Parmi dunque lo stato della questione esigga, che venga questa ridotta ai termini
Il C.te di Sartirana è uno degli ottimi miei amici.
Verrei da Lei s'Ella non avesse famiglia; e quando non Le piacesse d'assegnarmi un luogo terzo, La pregherei di avvertirmi in che ora dovrei aspettarla in casa mia dov'io sono affatto solo, ed ho servitù forestiera. Dipenderò ad ogni modo da Lei; e basta che verso le
Signore Pregiatissimo – Non parmi che il nostro abbocamento, in qualsivoglia luogo debba aver effetto, abbia bisogno di tanta circospezione. Benchè nemico mortale delle pubblicità d'ogni genere, non veggo motivo a scandalo che taluno, per avventura, vegga due galantuomini andare a casa l'un dell'altro, o intertenersi assieme. Ad ogni modo io passo, d'ordinario, tutta la mattina in casa, ed Ella mi vede sovventi la sera nella platea del teatro, ed al caffè; quando poi a lei piacesse un'ora più indicata, passerò questa sera alle 16½, nulla impedendomelo, dal caffè nuovamente aperto. S'Ella vi si troverà potremo parlarci, altrimenti ad altra occasione.
Stimatissimo Signore – Mi è pervenuta poco fa la qui acclusa lettera da mio cognato per lei. Mi affretto di trasmettergliela, sapendo quanto deve riescirgli grata la lettera di uno fra' i suoi ammiratori ed amici. –
Mi onori de' suoi comandi, e creda che sono sempre uno fra quei tanti che meritamente fanno plauso alli eccelsi suoi meriti.
Umiliss.mo Servitore ed Amico
Mia cara Madre – Scrivo in fretta due righe, affinchè non viviate affannati: l'Angiolo che mi ha veduto lunedì mattina, e poi se n'è subito ripartito, v'avrà forse scritto a quest'ora ch'io sto bene di salute, e male nel resto: e ve ne accorgerete voi stessi, vedendo ch'io tardo a mandarvi il solito assegnamento: ma benchè io non mi fidi molto nella puntualità degli uomini, questa volta sono stato ingannato più malamente ch'io non temeva. Mi si doveva pagare un migliajo di lire pel giorno 7, ed ecco invece oggi il 15 marzo e non ho tocco un quattrino; invece mi sento addosso i miei creditori, a' quali non saprò forse io stesso cosa rispondere: e i primi e più sacri e maggiori miei creditori siete voi, miei cari; e comincio a perdere il sonno pensando che devo e non posso mandarvi danaro. Pregate Dio che mi lasci almeno la salute, di cui ora godo, e non mi perderò d'animo: vedrò d'ajutare voi e me; e spero presto. Or addio, addio. – Madre mia, mandami la tua benedizione.
Delle Lire italiane seicento da lei pagatemi le apro credito presso il S.r Pietro Balabio dal quale potrà farsi rimborsare quando e come a Lei piacerà: e la presente servirà ad esso S.r Balabio di mia ricevuta e L. B. L. M.
Miei cari – Riceverete numero 80 napoleoni d'argento che formano lire 400 d'Italia. Con l'annessa cartina anderete a riscuoterle dal signor
Al signor Giuseppe Porta e Figlio
Milano
Sotto questo soprascritto mettete un altro foglietto ben sigillato a guisa di cambiale col soprascritto:
Al signor Lorenzo Aldighieri
nient'altro. – Io vedrò poi per una via o per l'altra di farvi capitar le mie nuove. – Intanto addio. – A proposito de' danari che riceverete, il banchiere viene a dirmi che si farà così; verrà a casa vostra il signor Marco Visentini; e vi conterà le 400 lire italiane moneta fina, o con l'agio; – voi farete una ricevuta in nome della
C.o F.o – Ho ricevuto la V.a lettera; e sto attendendo con impazienza le V.e opere, di cui vi assicuro che sono grande ammiratore, anche senza essere letterato.
Impetriamo protezione dal Cielo.
Generale Pino mentr'io fuggiva dagli Austriaci, ed egli erasi ritirato sul lago di Como
Così tutto si dilegua! Furono raggi d'aurora.... splendevano per un momento; io li cerco invano; le nuvole me li hanno rapiti.... è meglio così. Tu ridi? è vero; troppa distanza! troppi contrasti! troppo presto.... meglio così insomma. Ed io lo aveva profetizzato; ed ora? mi dolgo della mia previdenza; non ci era che un mezzo solo... sicuro, forse: ma non degno nè di te nè di me. Ma lasciamo il mistero coperto del suo velo; io non mi pento; e credo di avere ragioni di amarti, e meriti di essere amata.... amata! Così! L'amico tuo se fosse con te non potrebbe averne gelosia: e se tu non mi ami.... – le cose tra noi due si passano in coscienza; ed io lascio la compiacenza e i rimproveri tutti tutti al tuo cuore; tu saprai dargli ciò che si merita: per me avrei torto se dovessi lagnarmene. – Ma non ti posso perdonare due cose.... l'avermi detto più dotato d'immaginazione che di cuore; e l'altra.... non te la dirò; è leggerissima, ma la. più dolorosa per me. Addio, mia angioletta. Fa ch'io sappia domani come e quanto vivi.
Ti ricompensi il cielo della voluttà dilicata che tu, le tue parole, e tutto quello che spira dalla tua persona ha versato jeri nell'anima mia. Tu mi fai dimenticare l'ingiustizia degli uomini, e le cure della mia vita affannosa: il cielo te ne ricompensi – e nominandoti io lo invoco e lo prego perchè ho bisogno d'associarlo agl'interessi del mio cuore. – Buongiorno intanto, mia Leda: accogli questa edizioncella dell'Ortis; è meno elegante ma più agevole di quella ch'io ti diedi or son quattr'anni. Felice tempo! poichè sino d'allora t'ho amata, e il povero Jacopo incominciò ad esserti caro. Addio – Ti vedrò all'ora di jeri: i miei occhi ti cercano
A che t'amerò io? o tutto o nulla – ma quell'ondeggiare fra il sì e il no esigge più tempo e più gioventù – Si fa l'amore per passare la vita, io per consolarla. Buongiorno, mia Leda, – mandami intanto le lettere inglesi – Ch'io sia tuo e beato dipende da te – ch'io viva se non felice almeno tranquillo deve dipendere da me da me solo quella signora di Como e il tuo Paribelli mi sono di lezione – Una tua parola dunque –
Il tuo Jacopo è vecchio – e perchè gli uomini non lo ajutano e' bisogna ch'ei si ajuti da sè – Tutta la sua entrata sta nell'oriuolo – s'ei lascia scappar l'ore, l'entrata è perduta – È vero che più della vita e della gloria il tuo Jacopo ama le affezioni del suo cuore; e beato quando può esercitarle! allora gode di dimenticarsi degli interessi e degli studi. Ma ei tiene sì care le sue affezioni sì care; che non può omai spenderle per nulla – Sono pass settanta ore quasi, dacchè io ho veduto in te un angelo di consolazione – ma jer l'altro io mi sono pasciuto di desideri e di speranze – jeri di desideri senza speranze: ed oggi – il tuo Jacopo è vecchio – non ti vedrà nè oggi nè domani –
Non picchio alle porte nè de' potenti, nè d'Iddio per implorare migliore fortuna, o vita più agiata. – Credo che l'equivalente degli splendori, e dell'oro stia nella forza dell'anima mia – ma per gl'interessi del mio cuore ho bisogno d'associare il cielo – idea romanzesca forse – ma mi consola e mi è cara. – E l'immaginazione umana non si compiace ella sempre di decorazioni da scena? ed anch'io m'illudo – e di quale illusione oggi tu lo sai?
Je vais sortir pour terminer l'affaire de ton nouveau logement. Tu n'iras pas cet soir au Theatre Carcano. Je te prie de vouloir bien m'envoyer la claif de ta loge: je suis obligé de voir dans la journée la vieille Dame qui me gronderà et m'importunerà. Tu l'envoyera demain a la Dame du vieux papa. Addieu Addieu mon ange. Addieu et un millier de baiser.
Io vi ho conosciuto di primavera, ecco tutto il soggetto de' versi ch'io ti mando. – Buon giorno, bella Creatura.
Io non sono innamorato di te, i miei versi sono bugiardi; ma la mia lettera è
Ricevi le Rose legate così
Buongiorno, buongiorno. – Ricordati del più pazzo degli uomini per ingannare il dolore e la noja ridendo. Addio – e le bacio il braccio.
nè posso più lusingarmi con l'idea che la mia passione mi esageri il vostro stato. E che sarà un giorno di voi che sarà del vostro figliuoletto e della vostra famiglia, se l'afflizione che vi sta sempre sul volto, che va predando l'amabile ilarità delle vostre parole, continuerà a [ulcerarvi?] le viscere? Dov'è più il vostro sorriso, e ogni atto vostro pieno di grazie? – Io non vi parlo di me; da gran tempo io considero la mia vita com'espiazione dei piaceri passati, e la conoscenza della Lenina ch'io temo di vedere seppellire di giorno in giorno mi ha sino dal primo giorno investito di una malinconia di cui non posso più nè guarir nè dolermene. E solo un avanzo di spirito vitale faceva ch'io potessi almeno dissimularla alla presenza degli uomini, e voi avevate incominciato a spargermi alcuni raggi di gioja nell'anima; e voi avete trovata quest'anima ancora tutta tenerezza e passione, benchè la memoria dell'oggetto e che l'aveva destata mi fosse più dolorosa che cara, – e vi ho considerata io da principio come un angelo di salute – e vi ho amato, e prima di quella sera fatale avrei forse avuta la forza di non vedervi mai più. Ma eccomi ricaduto fra le mani di quella furia malinconica che vi divora; ed il pallore del vostro volto, e il silenzio del vostro volto, e il ricordarmene in mezzo alla gente, bastano a rendermi amaro ed acerbo con me stesso e con gli altri. Nè io, mia cara amica, aveva quei modi austeri e inamabili per cui molti mi fuggono; e temo che voi pure comincierete a nojarvene, e temo che a quest'ora nè l'amicizia, nè la fiducia nè la pietà vi parlino omai più per me. Ma mi spaventa assai più la tempra del vostro carattere – l'esempio della Bignami – la sciagura avvenuta; la sua morte tentata con tanta debolezza ad un tempo e con tanto furore, – la vostr'anima più ardente della sua, la vostra mente più pensatrice e più risoluta, le vostre frequenti parole di morte, la vostra età – la confessione del vostro amore – le vostre grazie che si vanno [innabissando] – tutte tutte le medesime circostanze! – O amica mia, risparmiatemi nuove lagrime, e nuovi rimorsi – io vi amerò, bagnerei di lagrime e bacierei tutto pieno d'amore le vostre mani quand'anche nessun vezzo nessuna grazia vi animassero più – ma non mi fate infelice, e l'amor mio diverrà più fervente quanto più vedrò accrescersi la vostra tristezza. No io non ve ne parlerò più; rispetterò il secreto nel vostro cuore; fuggirò di conoscerlo, v'obbedirò sempre ed in tutto – spierò tutte le vie di non affliggervi mai – non v'accuserò mai della mia sciagura mai quando anche fossi sì e quando nel guardarvi i miei occhi comincieranno a bagnarsi di lagrime, cercherò di fuggirvi – e in premio di tanti sacrificj chiedo solo che voi possiate rasserenarvi. Ne' momenti della vostra tristezza abbracciate il vostro figliuolino, e versate le tue lagrime sul suo volto; saranno assai men amare. Non crediate che ogni senso di riconoscenza, d'amicizia disinteressata, e d'amore nobile e vero siesi perduto nel mondo; ed io dopo tante e sì lunghe amarezze ho imparato a compiangere negli altri, e ad amare in [me] stesso le passioni del cuore – Addio addio.
Ho bisogno di dodici lire per trarmi d'impaccio d'alcuni piccoli debiti che ho contratto nella mia malattia. Non t'avrei incommodato se avessi trovato qualcheduno de' miei amici. Ma il tempo stringe, io sono nel dovere di trovarmi fuori poco dopo il mezzogiorno, e non vedo niuno di quelli che potrebbero rendermi questo servigio. Attendo risposta presta e precisa. In quanto alla restituzione, vi sono attualmente nella posta militare cinquanta lire di mia ragione rinviate da Nizza, ch'io non posso riscuotere per non esservi, non so perchè, unita la lettera che le accompagnava. Conviene ch'io disbrogli questo malinteso alla posta militare della Divisione dove è stato per la prima volta consegnato. Frattanto io sono senza un soldo. La malattia ha sconvolto tutti i miei calcoli economici. La paga si attende prestamente; ma ella sarà tarda – Addio.
Mi si dice che tu sei malato, mio caro. Se una immensa folla d'affari non m'occupasse tutta la sera, verrei a vederti. Spero nondimeno che tu starai meglio; e che fra qualche giorno potrai uscire. Che se mai la fortuna, e –la tua salute ci contendessero di vederci presto, io non abbandonerò la Toscana senza venire ad abbracciarti, ed a ricevere da te gli ultimi addio. Amami.
Questa Milano mi farà morire, mio caro, s'io ci sto ancora un mese. Tutto è grave, mortale. Gli uomini stupidi, le donne corrotte, il governo vacillante, lo straniero prepotente, il clima insalubre. Diluvia tutto il giorno. Non v'è un brav'uomo da poter cambiare due parole. Per mia sfortuna ho che fare con quei che comandano, e mi conviene andare e tornare, chiedere e non ottenere. Bisogna saper fare, ed avere da spendere; due cose ch'io nè voglio nè posso. I miei affari vanno perciò zoppicando; oggi o domani cadranno.
La miglior cosa che fo è di ristampare
Addio addio intanto mio caro. Se passeggerai lungo Arno, o in Boboli, o alle Cascine saluta per me il cielo, il fiume, e l'aria di Firenze piena di vita. Qui diluvia sempre; la primavera piange; e la natura sta dispettosa. Sacra Toscana! Addio, mille addio!
Il secolo XVIII fu illustre per molti uomini grandi; ma io nacqui tardi; guardo intorno e non vedo che i loro vestigj; e spesso gemo pensando che nell'anno in ch'io nacqui morivano Voltaire e Rousseau e tanti altri de' quali voi nel vigore de' vostri giorni foste compagno. Assai n'ebbe in quel tempo la Inghilterra, assai l'Italia; e a me non resta che abbracciare le lor sepolture spaventato dal letargo in cui pare che all'età mia tornino in tutta l'Europa ad addormentarsi le lettere. Corro frattanto a voi pochi rispettati finor dalla morte e fo' tesoro de' vostri consigli. Forse i tristi tempi e le mie fiere passioni dovrebbero sconfortarmi dalle lettere: ma quale conforto mi rimarebbe più dopo tante sventure? Senza patria; senza amico del cuore, con tutte le alte passioni soffocate, nojato del mondo, adirato della debolezza e della
Rispondendomi fate il soprascritta all'Arrivabene, e al Tamassia tutti e due vostri da' quali conobbi il vostro animo come dalle vostre opere. Io ne chiederò (?) ansiosamente; poichè studio più la vita che le opere degli illustri letterati. Addio intanto. Io vi desider' ancor molti giorni simili a quelli che il Cielo vi concede non perchè giungano a una lunga e serena vecchiaja ma perchè li traete in grembo della patria fra due più inimiche deità, la gloria e la pace.
Cara Mamma – Fra otto giorni spero di mandarvi per vivere per alcuni mesi. Allora scriverò a lungo tutte le mie risoluzioni. Angelo comincia a formare il suo stato: e fra un anno lo avrà migliore: prima di venti anni non avrà bisogno di nissuno. Intanto mille saluti alla mia dolce sorella, e tu mandami la tua benedizione. Addio con tutta premura.
Mi stanno a cuore sempre sempre tutti gli amici vostri di Torino, e mi conservo come tesoro la memoria delle loro accoglienze ospitali. Fra le lusinghe che mi ingannano tutti i giorni la vita io accarezzo sempre la speranza di venire a voi, ed ai vostri e dimenticarmi fra la gentilezza de' Torinesi e l'amore degli uomini letterati questi tempi dubbii e tempestosi. Intanto perch'io non posso provvedere a me, provvederò a voi ed all'amico mio Franceschinis inviandolo a voi che già lo dovete da gran tempo apprezzare, e raccomandandovi di farlo conoscere ai nostri. Addio intanto Addio.
Armandi mio – Jeri alle ore due e un quarto il ministro apriva il tuo piego: l'altro pel Generale Dana fu consegnato verso le tre: l'ho portato io medesimo all'ufficio, l'ho dato al Capo-Battaglione Beroaldi, il quale me presente entrò col piego in mano nella stanza del generale.
La penultima tua lettera, quella lettera scrittami presto e col cuore in festa mi trovò con l'anima sì sbalordita ch'io, con tutto il Donec gratus eram tibi
, l'ho intesa a rovescio. Mi fu poi spiegata da certi discorsi di chi ha il gazzettino de' palchetti bresciani. Allora tornai al Donec gratus
– e vidi quant'io m'ingannava. Io ti vorrei più forte – ma se ti giova altrimenti, beato te!
Se non che, Armandi mio, lo spazzacammino parla al carbonaro: se tu vedessi, se tu sapessi come vivo, come dimentico tutto, come
com'io ritorno ragazzo, com'io combatto invano per la dignità e per la tranquillità dell'anima mia, com'io fabbrico tristissime fantasie e fo che mi tormentino! E poi mi pento, e mi trovo ingrato, ingiusto – e più ch'altro, pazzo: stamattina io mi destava all'oscuro e mi ricordai d'un poeta che in pari occasione bramava di essere bastonato; e gridai anch'io, gridai forte:
Nè stimare ch'io burli, Armandi, nè ch'io esclami per stravaganza: ti giuro seriamente ch'io merito di essere bastonato. Addio, mio amico, addio – vorrei pur vederti! vorrei pur dirti di grandi cose! Una lettera della Marzia che mi giunge mentr'io finiva l'ultima riga mi dice che tu sei mezzo-malato. Fa ch'io ne sappia. Addio addio. Ama il tuo
Agli eccitamenti emanati dalla clemenza di S. A. I., perchè io manifesti in che modo io desideri d'essere collocato, non saprei rispondere se non se ch'io sono vivamente compreso di riconoscenza verso la bontà del Principe Vice Re. La soppressione della cattedra, mentre pareva che distruggesse l'opera benefica del Principe in mio favore, accrebbe invece in me l'obbligazione di corrispondere alle generosità che egli si degna di manifestarmi.
Per obbedire in alcun modo agli ordini di Lei, signor Direttore Generale, risponderò ch'io avendo sino dalla prima gioventù coltivate le lettere, ed avendo lasciata la milizia per accettare un impiego letterario, non potrei senza mio grave danno e dolore rinunciare agli studi, ne' quali ho riposto ogni ambizione ed ogni fortuna della mia vita.
Con tutto ciò io la prego di palesare ad un tempo a S. A. I. ch'io sono pronto ad obbedire ad ogni sua volontà e a spendere tutte le forze in qualunque luogo e in qualunque modo egli mi reputasse men inutile al suo servigio ed a' miei doveri verso la patria ed il Sovrano.
Ardisco nel tempo stesso cogliere quest'occasione per palesare le mie circostanze economiche acciocchè possano servire di alcuna norma alle intenzioni di Lei, signor Senatore, ov'Ella ne avesse sopra di me, ed a' benefizi di S. A. I. Ella sa che la cattedra di eloquenza mi frutta in questo primo anno lire milanesi quattromila cinquecento incirca comprendendovi oltre alle tremila d'onorario, le quattrocento dell'affitto di casa, le altre quattrocento della prolusione, e settecento circa delle propine. Io non parlo degli aumenti in ogni quinquennio che pure confortano le speranze di chi non ha ricchezze di patrimonio ed accrescono il valore dell'impiego personale.
Inoltre io fui costretto a molte spese, ad alcuni debiti, e ad un vincolo per più anni d'affitto in Pavia. Nominato professore in maggio del 1808, io sino da quel tempo ho cercato d'allestirmi colla decenza conveniente all'istituto della mia nuova vita e colla previdenza di un uomo che si credeva di vivere tutti i suoi giorni futuri in quella università. E la maggior parte delle spese furono calcolate sui risparmi di questo anno e di alcuni altri anni avvenire. Così pure s'io per patto amichevole (il che non spero) non potrò sciogliermi dal contratto di affitto, è certo ch'io non potrò essere sciolto per legge: e mi vedrò obbligato a pagare una casa ch'io non potrò più abitare e che per la sua situazione lontanissima dalla città mi riescirà impossibile subaffittare.
Queste cose, signor Direttore generale, ardisco sottomettere alla saviezza di Lei ed al suo esame superiore perchè se le occorresse di rinnuovare le mie domande a S. A., consideri se possano essere palesate e se sono meritevoli di sovrano provvedimento.
Che se da S. A. I. potrò impetrare udienza io la prego, signor Senatore, di concedermi ch'io possa palesargli queste medesime rimostranze e supplicarlo positivamente di qualche impiego se l'occasione ed il tempo me ne mostrassero uno convenevole al mio stato ed ai miei studi.
Frattanto piacciale, signor Senatore, di accogliere le proteste del mio profondo rispetto.
Mio caro – Mentre tu scrivevi l'ultima tua t'immaginavi quanto piacere apparecchiavi all'amico tuo, e a quanta dolcissima gratitudine mi obbligavi. Le tue notizie non poteano giungere nè più grate, nè più diligentemente scritte. Appena un rumore incerto m'era pervenuto all'orecchio di tanti avvenimenti, ma non poteva scorgere un dato sicuro dal quale desumere alcuna ragionevole congettura. Ti ringrazio dunque che ti sia presa la cura di trarmi da tante tenebre, ed ora posso trovare la ragione di queste misere storie, e compiacermi delle mie profezie. A me piaceva la gueira su' confini d'Italia, ma sospettava degli elementi; e quanto più fidava nel valore del giovine Principe, tanto più temeva del consiglio di certi antichi guerrieri. E la guerra si innaffia col sangue, ma bisogna prima piantarla con la sapienza; senza di che non frutta se non sciagure, e cadaveri, e vituperio. Ma sia lodato il cielo e la fortuna di Napoleone.
Ringrazia in mio nome la tua Lucilla, e dille ch'io non mi querelava di lei per la sua partenza improvvisa, bensì della mia sorte. Non mi dolea sì fortemente di sapere che tu eri malato, bensì di non sapere nè dove nè come; io aveva già presentita nel cuore la tua malattia, e mi sia testimonio Ciotti: io gli aveva raccomandato di scrivermi. Or bada a ristabilirti, ed abbi cura d'una vita che tu non puoi disprezzare senza sentirti il rimorso di abbandonare nell'afflizione e nella solitudine le poche persone che t'amano veramente. Io non posso parlarti di me solo; non ho ancora fatto nulla per te; nè io ti desidero sciagurato, nè bisognoso del mio ajuto per aver occasioni di mostrarmiti amico. Ma io solo che so quanto m'ami, e quanto ti devo, io solo so pure quanto vorrei fare per te. Or vivi felice, mio caro amico, e pensa sempre che tu sei nato per fare felici gli altri a' quali tu hai donata la tua schietta e nobile amicizia.
Ti assicuro, mio caro Brunetti, che tu solo eri l'unico uomo a cui pensassi nelle imminenti disgrazie della nostra patria e di me; io te lo confesso con quella ingenuità stessa con cui mi palesi che; tu avevi pensato a me: ma questa speranza, quest'unica speranza era quasi soffocata dalla mia incertezza su la tua salute, dall'inquietudine per lo stato di Lucilla in ogni disgraziatissimo avvenimento, e dal mio rimorso di non averti seguitato o raggiunto al primo annunzio della tua malattia. Ma io mi trovava senza danari, e la partenza di mio fratello m'aveva dalla povertà ridotto alla miseria, perchè non volli lasciarlo partire senza qualche danaro di scorta. Or tutto è finito, ed attendiamo a confortarci della paura.
Vieni dunque, e fa senza dubbio che Lucilla venga: se pensate a star qui non ve ne distolga il timore d'incomodarci per l'alloggio; ho in casa assai letti, ed assai stanze; e posso dire come Cosimo de' Medici vedendomi anch'io senza moglie e senza figli:
Quando verrai fa di portarmi un po' di carta simile affatto a questa; e se la conosci vedrai che è una reliquia di que' quinternetti che la tua providenza e previdenza mi regalò il giorno della Prolusione – Se t'incontrassi nel sott'ispettore Rebuffi pregalo che mandi sempre e sollecitamente i miei mandati al Barinetti; avvertine anche Ciotti: che se esigessero stato di cavalli, fammene uno come l'altro già dato al Gherardi: io spedirò da Pavia il certificato per l'alloggio.
Addio intanto, mio caro; saluta molto molto Lucilla; salutala anche in nome di Montevecchi che mi disse di scriverti mille cose e tra l'altre queste
Brunetti mio – Lunedì non ti scrissi perch'io dovea preparare la lezione di jeri, ed era l'ultima: ci ho messo dunque più tempo e più amore che nelle altre; e quantunque non fosse diretta che ad ammaestrare, io non so se pel suo argomento, o pel modo di recitarla, o perchè i scolari sapeano ch'era l'ultima e che non mi avrebbero più veduto, l'udienza tutta cominciò alla metà ad essere commossa, e la sala, e le finestre erano affollate di volti che ascoltavano con una mesta attenzione, e spesso gli occhi miei incontravano molti occhi pregni di lagrime. La recita durò assai più d'un'ora, ed io non ho potuto pronunziare l'ultime pagine senza essere impedito sovente da una commozione comunicatami dagli ascoltanti, e ch'io non poteva reprimere. E il giorno di jeri mi fe' quasi dimenticare quello della prolusione. – Ecco, mio caro amico, le memorie che mi resteranno dell'amore con cui ho coltivati gli studj e li ho diretti in questi pochi mesi all'utile della gioventù e all'onor della patria, memorie che mi compenseranno almeno in parte dell'ira della fortuna: ma non si può aver tutto nel mondo. Altri dunque abbiasi agi e tranquillità; io mi conforterò d'altri premii, e mi rassegnerò più pazientemente ai mali inseparabili della vita.
Ringrazioti, Ugo mio, delle tue cure per la casa; ma a dirti il vero il poco tempo che noi pensiamo di rimanerci in Milano non importa il disturbo ch'io ti reco. – A metà incirca di Giugno verrò per terminare il Montecuccoli; e finito appena me n'andrò con Montevecchi a Como in una casa sul lago ove si paga sessanta lire al mese, mobigliata per noi e domestici: ivi faremo la vita economica di Pavia, fuggiremo il chiasso, il caldo, le novità, e potremo attendere alla campagna ed a' libri. Or il Montecuccoli è ridotto a tal segno che in pochi giorni sarà spiccio, ed io calcolo due settimane. D'abitazione stabile in Milano basterà ch'io mi fornisca per san Michele, tempo in cui potrò averla ad anno, e come meglio mi piacerà; e sarò forse sicuro della mia sorte. – Qualunque casa è dunque buona, a qualunque prezzo, e meglio vicino a te perchè sei anche vicino allo stampatore. Basterà pigliarla dal giorno 15 Giugno in poi, e che abbia luogo bastante per due padroni, e un servo, e un po' di cucina; e a mese, perchè alla più lunga non ci starò che un mese. – Addio. Saluta Lucilla; Montevecchio nostro ti ama e ti saluta. Addio.
Miei Cari – Mandate alla posta e riceverete cento lire italiane che partono oggi.
Fanno lire milanesi a
a
Il giorno 21 giugno Angiolo era a Raab; e stava bene: lo seppi da una lettera che il suo Generale scrisse a sua moglie che ho visitata jeri sera.
E amatemi tutti, e state per quanto potete allegri, e tu cara mamma mandami la tua benedizione –
In questo breve circolo circoscritto dal tempo a noi tutti, parvemi, mio caro Grassi, di non affannarmi in cose da poco. – Il passeggiare al sole, il dormire, l'amare e l'essere amati, il ciarlare al focolare con l'amico a quattr'occhi, e il sorseggiare il caffè guardando l'alba sorgente e ricordandosi de' begli anni passati, non sono cose da poco, bensì il procacciarsi la stima d'uomini che non hanno giudizio proprio e sincero, – l'andar dietro a' battimani di chi sarebbe pronto a fischiarti senza sapere perchè, – l'aspettarsi riconoscenza dagli uomini a cui dite:
Io era a questo punto della mia lettera, ed aveva mutata tre volte la penna, – perchè io non seppi mai temperarne, – quando mi capitò un servo di Darache col tabacco e co' libri. E prima di saggiare il tabacco e di continuare questa tiritera, lessi il libretto; – e quanto allo stile, io me ne sto al vostro detto; e poichè voi ve ne compiacete, me ne compiacerò anch'io, perchè vi amo; quantunque io sia monoculo, e appena possa esaminare a occhi aperti un libro scritto in italiano. Lodo anche l'amor patrio, e la sobrietà di parole, e la verità degli argomenti: non posso ad ogni modo tenermi ai principj sui quali fondate le vostre speranze: voltatela come volete; la nazione, per quanto sia piccina, fa sempre migliore commercio d'una provincia: è vero che la provincia può farlo maggiore; ma i frutti a chi vanno?
De hoc satis. E torno a dirvi che io non doveva trascurare la novella che mi preconizzava tra gli autori dell'
Pregiatissimo Amico – Ardisco pregarvi d'intercedere per me presso S. E. se mai fosse possibile d'ottenere due biglietti d'ingresso al teatro filodrammatico per questa sera. – Desidererei anche che pregaste S. E. di darvi, se mai non si fosse smarrita, certa lettera da me scritta a Monti. La lettera per altro non preme, e me ne parlerete con vostro comodo –
Intanto perdonatemi, ed abbiatemi per amico riconoscente.
Il mio giardino biancheggia tutto e s'imporpora per bei fiori di pruni peri pesche, e volli anche io infiorarmi di quattro fiori spontanei di prato. Or questi fiori spontanei sono vispi. Veda Ella come la metafora accarezzi l'amor proprio. Benedetto, a cui li spedii ha l'incarico di farli pure vedere a Lei. Anche io, dunque, versi latini italiani; versi, anche io, a sessantadue anni per la culla d'argento dorato e madreperla! Non li lasciai corrompere però dall'adulazione.
Lusingomi, ch'Ella sorriderà amichevolmente in veder le mie reminiscenze latine nell'elegia, e le mie bibliche nella terza rima.
Ma tornando a' fiori del giardino spero ch'essi produrranno buone polpe di frutte, e che il signor Ugo ne mangerà forse nell'estate. Oh sì un canestrino di quelle prugne melate sì, che ambrosia non s'invidia a Giove.
Catenazzino il Professore mi narrò com'Ella una tragedia avesse già finita ottimamente, e d'un'altra mi disse d'averne sentiti a leggere da Lei dei bei pezzi, e che in una v'è il coro alla greca.
Piacemi, che il Popolo parli di nuovo dopo che a nome suo cianciavano tanto, e malamente, e inutilmente tante piche e gazze.
Anche Pindemonte pose pure i bei versi di coro in fine degli atti del suo Arminio. Il Sig. Ugo a parer mio fa eccellentemente a scrivere tragedie, poichè parmi che niuno le manchi di que' molti elementi, per cui potrà emergere un altro Alfieri all'Italia, e con uno stile anche più morbido, e con un circolo di idee anche più ampio. Sono indizi questa essere la strada, per cui può giungere alla celebrità nazionale, tanti essendo i teatri, e tante le occasioni, in cui si replicano le fatiche di coloro, che scrivono per le scene.
Sebbene.... segreti ordini vietano di rappresentare le tragedie d'Alfieri, si loda, si osa ben a edirlo, si stampa e ristampa, ma non si vuole teatro. Non è questo il caso:
Mi ricordi a Giulio suo e pregola pure di miei rispetti e voti il Signor Ministro dell'Interno.
Raccomandomi da ultimo alla buona grazia sua e sono il suo