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L'onorevole ed importante incarico di servir l'eccellentissimo Senato nell'ambasciata di Vienna occupa le mie cure incessanti, per mettermi in grado di produrmi a quella Corte subito che sia un poco mitigato il rigore della stagione, e che le strade della Germania permettano il sicuro trasporto del mio equipaggio. Tra queste disposizioni ed applicazioni non tralascio di cogliere i momenti d'intervallo per consacrarli in altro modo al servigio della patria e all'esatta obbedienza delle leggi. Non essendomi concesso l'onore speciosissimo di produrmi personalmente a deponere l'ambasciata di Francia a' piedi del trono di Vostra Serenità, non mi credo tuttavia dispensato dal dovere che m'impone la legge di rassegnare la relazione dell'ambasciata medesima. Affinché la lettura ne riesca meno incomoda all'eccellentissimo Senato ho stimato proprio dividerla in tre e forse quattro dispacci, ognuno de' quali tratterà materie separate, e potrà per conseguenza esser ascoltato disgiuntamente dagli altri, in quel modo che è solito per gli ordinari dispacci degli ambasciatori.
Tutti gli argomenti sui quali può esercitarsi la vigilanza di quel ministero, che mi è toccato di sostenere per un periodo di tempo la metà quasi più lungo dell'ordinario, fra le combinazioni d'importantissimi avvenimenti, mi sembrano riuniti e compresi sotto tre sommi capi. Primo gli affari di Vostre Eccellenze; secondo il sistema politico dell'Europa; terzo la situazione politica della Francia. Mi propongo dunque di render conto in questa umilissima relazione: in primo luogo, in quale stato rimangano gli affari pubblici pendenti; in secondo luogo, quale sia lo stato attuale degli affari e rapporti reciproci delle primarie potenze che costituiscono la bilancia dell'Europa; in terzo luogo, qual sia particolarmente la forza e la influenza politica della Francia nel tempo presente. Se l'importanza di questi argomenti supera di troppo la scarsezza de' miei talenti, non posso promettere altro riparo che quello che può dipendere dal trattarli con zelo e con verità.
Il primo punto sarà il soggetto del presente divoto foglio. L'unico affare di Vostre Eccellenze che resta in sospeso a questa Corte, è la mediazione intrapresa dal signor conte di Vergennes nella strana vertenza promossa dalla repubblica di Olanda per le note pretese dei negoziati Chomel e Jourdan. Se questo argomento giace nel silenzio da qualche tempo, non è già che il segretario di Stato si sia raffreddato nelle ottime sue disposizioni, ed in quell'intima persuasione che ha costantemente manifestata a favor della causa pubblica. Particolarmente nei miei riverenti numeri 206 e 209 stanno esposti con verità i sentimenti che il signor conte di Vergennes ha sempre mantenuti in questo negozio, e che furono accolti da Vostre Eccellenze con giusto aggradimento. Ma perché ad onta del verace suo impegno l'affare non è tuttavia terminato, né gli Stati generali hanno ancora richiesto l'interposizione di questa Corte, come sembra che fosse il desiderio dell'eccellentissimo Senato e lo spirito delle sovrane ducali dei 20 agosto decorso, così reputo mio dovere di esporre con chiarezza i motivi di tal sospensione.
Se avessi voluto riferire all'Eccellenze Vostre di volta in volta ogni discorso che feci col signor conte di Vergennes su di questo argomento, avrei temuto di comparir voglioso di ostentare le continue sollecitudini che ho posto in opera, e per coltivare il ministro, e per cogliere ogni occasione propizia onde risvegliare il suo impegno, e cavarne frutto. Ho reso esatto conto de' colloqui essenziali, ed ho creduto di non dover occupare il tempo prezioso dell'eccellentissimo Senato con quelli che non conducevano a risultati ed effetti nuovi e significanti. Ora poi ripassando i sommari de' molteplici ragionamenti, posso raccogliere insieme quelle parti che sono relative al presente mio assunto.
Con quel natural fervore, che l'amor patrio ispira nell'obbedire ai comandi di Vostre Eccellenze, e con quella familiar confidenza alla quale il segretario di Stato si compiaceva di ammettermi, io gli parlava sovente in questi termini: "Vostra Eccellenza potrebbe terminare la vertenza della Repubblica veneta con quella d'Olanda: basta ch'ella lo voglia, e tutto sarà finito: gli Stati generali devono avere il più gran riguardo per ogni suo cenno; s'ella, signor Conte, mostrerà desiderio d'impor fine a questa disgustosa controversia, essi dovranno pregarla ed avere compiacenza ch'ella voglia interporsi, benché si tratti di affare tenue e privato in origine".
Con questi modi adoperati in diverse guise, ed ampliati secondo gli, incontri, non cessavo di dar eccitamenti al signor conte di Vergennes per conseguire gli effetti che mi furono dall'eccellentissimo Senato inculcati. Ma il ministro mi rispondeva spesso che si stupiva che io lo stimolassi in questo affare; che non vedeva cosa potesse l'eccellentissimo Senato guadagnare per provocarne la trattazione; che se gli Stati generali non agivano, non si poteva che perdere risvegliandoli; che l'affare era affatto passivo per parte veneta; che essendo in se stesso di poca importanza, meritava di finir col silenzio, e che non vi era altra via più sicura per finirlo con onore e senza danno. Ordinariamente nelle trattazioni chi domanda vuol sempre spuntare di ottenere qualche cosa, né mancano mai speciosi pretesti per insistere; all'incontro se gli Stati generali si tengono nel silenzio, cosa si può desiderare di più per parte veneta?
Vostre Eccellenze possono bene immaginarsi, che sibbene questi argomenti non mi sembrassero destituiti di forza, pur non lasciava d'insorgere tenendo sempre fisso nell'animo lo spirito delle pubbliche commissioni. Diceva però che ciò che Vostre Eccellenze desideravano era la loro tranquillità, e che questa era stata già troppe volte dalle spiacevoli rimostranze ed ostili deliberazioni degli Stati generali turbata. Non bastavano queste, se non veniva suscitata anche la Corte di Prussia a frammischiarsi in affare sì piccolo con replicati memoriali; esser poi tempo che finiscano tanti disturbi, e doversi sperare che ciò succeda senza alcun dubbio, per poco che voglia frapporsi l'autorevole influenza del Re cristianissimo, il quale sembra aver fatto sua gloria di conciliar le discordie tra i potentati e protegger la pace universale.
Più volte pareva disposto il signor conte di Vergennes a far qualche nuova insinuazione a questi ambasciatori di Olanda, o anche a farla eseguire all'Aia col mezzo dell'ambasciatore di questa Corte: ma in seguito poi ritornava sempre a dirmi: che non vedeva utilità di risvegliare questo negozio; e che da nessuna trattazione l'eccellentissimo Senato poteva guadagnare tanto, quanto dal silenzio; che più l'affare invecchia, più si raffredda l'impegno di quei soggetti medesimi che l'hanno spinto o protetto sinora all'Aia, e che non vi era miglior partito che di schermirsi con dolci e destri modi da ogni ulterior tentativo che facessero gli interessati Chomel e Jourdan anche col mezzo della Corte di Prussia.
Tale è la sostanza delle moltissime conversazioni avute col ministro su questo proposito. Egli finì di confermarsi nella sua persuasione allorché vide che la pluralità delle provincie non adottò la proposizione ostile fatta da quella di Olanda il dì primo marzo decorso, e da me riferita col rispettoso numero 220. Restava un solo impedimento perché questo affare potesse esser sepolto nel silenzio, e questo impedimento era la presenza di un residente veneto all'Aia. Vostre Eccellenze hanno opportunamente rimosso quest'ostacolo, ed or si può dire con evidente argomentazione, che se gli Stati generali non abbracciarono l'occasione di entrare in trattazione durante il lungo soggiorno appresso di essi fatto da un residente di Vostra Serenità, spedito colà per questo preciso effetto, e se non si sono curati di profittare della mediazione di questa Corte, che ad essi avanza sufficienti aperture a tal fine, più patente non saprebbe essere la loro intenzione di lasciar cadere in oblio questo affare. Se si osservano i modi e le vie, con cui lo hanno diretto, è facile conoscere che hanno avuto sempre in mira d'imponere con ogni sorta di minacce, delle quali non avrebbero avuto bisogno se fossero stati persuasi che le loro domande erano giuste, giacché allora non avrebbero dubitato di prendere per arbitra o per mediatrice qualche Corte straniera. Si sono sottratti dall'uno e dall'altro di questi espedienti, perché non hanno avuto lusinga di riuscire nel loro assunto, se non per la via delle minacce: ma l'eccellentissimo Senato ha deluso con via di nobilissima fermezza i loro poco nobili consigli, ed ha trovata la vera confonderli col prudentissimo promemoria del 27 novembre 1784, il quale fu ammirato ed applaudito in tutte le Corti d'Europa. Dopo quella vittoriosa carta non si sono più fatti sentire, altro che per vie indirette e si può dir con franchezza, che quella carta ha imposto fine all'ingrata vertenza.
Siami adunque permesso di umilmente rappresentare all'eccellentissimo Senato per epilogo e conclusione del presente mio foglio che formò il primo argomento della mia relazione, che quest'affare si può considerare come terminato; che importa non far alcun passo; e che quando gli Stati generali o altre Corti lo risvegliassero in qualunque modo, sarà facile all'insigne virtù di Vostre Eccellenze il sottrarsi ad ulteriori disturbi, riportandosi unicamente al suddetto promemoria del 27 novembre. Posso assicurar con tutta fermezza l'Eccellenze Vostre che in Olanda non ha mai esistito l'opinione di venire ad aperte ostilità per questo piccolissimo motivo. Sarebbe stato tutto al più ordinato l'arresto dei veneti bastimenti nei porti di quella repubblica; ma quest'ordine non avrebbe avuto altro oggetto che di pura minaccia, e posso affermare con fondamento che non sarebbe stato eseguito giammai. Mi compiacerei di aver soddisfatto ai miei ultimi doveri su di questo argomento se il presente divoto foglio potesse servire a sollevar l'eccellentissimo Senato da ogni ulteriore apprensione e pensiero per questo conto. Parigi, li 22 gennaio 1785 M. V.
Dopo di aver col divoto foglio dei 22 del decorso descritto lo stato degli affari di Vostra Serenità, pendenti a questa Corte, il secondo punto che mi sono proposto per tesser la relazione dell'ambasciata che ho avuto l'onore di sostenere, mi chiama a render conto del sistema politico attuale dell'Europa. Grandi sono i cangiamenti che ha sofferto nel corso del mio servizio, durante il quale è successo un vastissimo smembramento, una guerra, una pace e molti altri trattati ed avvenimenti di sommo significato. Siccome la serie dei fatti sta già presente all'insigne reminiscenza di Vostre Eccellenze, così stimo limitarmi ad indagare le loro conseguenze, ossia le alterazioni che sono derivate nelle forze e nei rapporti reciproci delle primarie potenze dell'Europa.
La rivoluzione più strepitosa è senza dubbio quella che toccò all'Inghilterra di sopportare. Tre milioni di sudditi, sottratti al suo dominio, tredici provincie separate dalla metropoli, formano uno smembramento del quale non vi è idea dopo la caduta del romano imperio. Se ad una perdita tanto grande si aggiungono i tesori versati per sostenere una guerra sì sfortunata, se si osserva lo immenso peso dei debiti, di cui la Gran Brettagna rimane aggravata, e se si considerano le condizioni alquanto ineguali, alle quali ha dovuto adattarsi per ottenere la pace, si può con certezza conchiudere che la potenza anglicana ha perduto una porzione non mediocre della sua forza intrinseca e di quella considerazione estrinseca che imponeva generalmente. Ne è venuto un gran bene, cioè che i navigatori inglesi hanno moderato assai quelle idee di superiorità che li conducevano spesso ad usar prepotenze, e lo spirito di eguaglianza fra le diverse nazioni non ha forse mai regnato sul mare a quel grado come ne' tempi presenti. Questo felice sistema di libertà e di equità è dovuto senza dubbio in primo luogo al valore col quale i francesi sostennero l'ultima guerra, ed all'avvedutezza e destrezza estrema di questo Gabinetto nel maneggiarla; ma in secondo luogo non si può negare una parte del merito anche alla Imperatrice delle Russie, ed alla lega della neutralità armata che fu da lei immaginata e composta.
Da questo punto ha preso origine un altro cangiamento politico, giacché cominciò a raffreddarsi quell'intima connessione che passar soleva fra i Gabinetti di Londra e di Pietroburgo. Terminò poi d'indebolirsi allora quando apparirono in piena luce le nuove e strettissime relazioni della czarina con Cesare. Ho già indicato nel riverente numero 236 le cause per cui non sussiste più in Inghilterra l'antica propensione alla Casa d'Austria.
Raffreddata così l'amicizia delle due Corti imperiali verso la Gran Brettagna, questa potenza si può pel momento considerare come quasi isolata. La Danimarca è forse la sola che le resti alleata, per l'unico oggetto di non ricever la legge dalla Russia. Passa è vero attualmente ottima corrispondenza fra la Corte di Londra e quella di Prussia: ma questa corrispondenza non ha una base stabile, perché gli interessi delle due potenze sono affatto diversi. La loro amicizia od inimicizia, caso che si accendesse una guerra in Europa, dipenderebbe unicamente dall'esser piuttosto quelli che questi i Principi belligeranti.
Se l'Inghilterra può mantenersi in pace per serie d'anni non breve, potrebbe risorgere ancora nel pristino splendore. Per questo non le bisogna di estendere il suo presente dominio: basta che si occupi bene ad incoraggiare il commercio con sane leggi e discipline. La situazione delle Isole Britanniche è fatta per essere la sede della prima potenza marittima del mondo e la prima potenza marittima sarà sempre formidabile ed avrà grande influenza anche sul sistema politico del continente.
Dalla Gran Brettagna passando a ragionare delle Corti del Nord, non ho materia di trattenermi sulla Danimarca e la Svezia. La prima ho già detto di sopra che si mantiene attaccata alla Corte di Londra; la seconda ha ravvivato da poco in qua gli antichi suoi legami alla Francia, come ne rassegnai le notizie a suo tempo. La Danimarca e la Svezia, come potenze finitime, sono necessariamente rivali e gelose l'una dell'altra. Ne vien di conseguenza che i loro rapporti devono essere con potenze rivali quali sono l'Inghilterra e la Francia.
Molte cose avrei da dir della Russia, se le gloriose gesta della regnante czarina non fossero note all'Eccellentissimo Senato, e se dell'intrinseco vigore di quel vastissimo imperio potessero mancargli le più individuali notizie. La Corte di Pietroburgo fu per qualche tempo collegata con quella di Berlino. Ma questa non era tanto a portata di secondare i suoi progetti per la conquista della Crimea, come lo era la Casa d'Austria. Anzi se questa con le sue formidabili forze avesse fatto ostacolo, giammai la czarina avrebbe potuto venire a capo di quell'impresa. Era dunque indispensabile, volendo occupar la Crimea, rinunziare ad ogni legame col Re di Prussia, senza di che ogni lusinga sulla cooperazione e dissimulazione di Cesare sarebbe stata vana. Tutta la consumata abilità di Federico II non potè riparare questo colpo, perché l'amicizia, per forte che sia, non può sussistere contro l'interesse. Siccome la Moscovia non ha altre parti ove possa sperare dilatazione più facile, che a danno dei Turchi, così è suo interesse di stringersi con la Casa d'Austria che è sopra ogni altra potenza meglio situata per secondarla, o per metterle impedimento. La czarina si è dunque legata manifestamente e strettamente con Cesare, affine di poter di tanto in tanto guadagnar qualche cosa sui Turchi, ed affine di conservare tranquillamente ciò che va conquistando: e Cesare ha accolto e coltiva con ogni studio e condiscendenza l'amicizia della czarina ad oggetto di toglier per sempre quest'appoggio al suo implacabile avversario il Re di Prussia. Questi sono i cardini sui quali consiste l'alleanza e la corrispondenza presente fra le due Corti imperiali. L'unione di esse è tanto formidabile, che pone in necessità tutte le altre di prender cautele, perché nessun'altra potenza di primo rango s'accosti alle dette due mentre allora l'equilibrio politico dell'Europa sarebbe in grave pericolo di rovina.
Importa dunque ora di esaminare se questo caso succeder possa. La Francia fu sempre protettrice dell'equilibrio ed è rivale per natura dell'Austria, e però non vi è probabilità che passi mai di concerto con le Corti di Vienna e di Russia per operare cangiamenti notabili nel sistema attuale delle cose. La Spagna è lontana dal centro d'Europa: il suo primo interesse è quello di non aver la Francia inimica, ed è dedita naturalmente alla pace: per questi ed altri motivi creder si può che non entrerà mai ne' progetti dei due formidabili alleati.
Fu un tempo alla verità nel quale il Re di Prussia si vide congiunto con essi per dividere in terzo una gran porzione della Polonia; ma quel tempo di terribile rimembranza giova sperare che più non ritorni. Nello stato presente delle cose la Corte di Berlino non può accettare né immaginare alcuna proposizione di nuovi partaggi con le sue Corti imperiali, poiché ogni loro ulteriore ingrandimento ed ogni ansa maggiore che data fosse al sistema di conquistare, non lascerebbero nelle medesime alcun ritegno per invadere e spartire fra loro due solamente tutta la Turchia Europea.
Del resto, lungi che vi sia luogo a temer di avvicinamenti e concerti, cresce ogni giorno più l'animosità tra le Corti di Vienna e di Berlino, essendo ben nota a Vostre Eccellenze l'opposizione veemente fatta dal Re di Prussia alla permuta della Baviera coi Paesi Bassi austriaci, indi la lega germanica da lui promossa ad oggetto di mettere impedimento non solo a questo, ma ad ogni altra novità ed alterazione che turbasse le possessioni attuali dei Principi dell'impero. Resterebbe ad esaminare se l'Inghilterra potesse per avventura associarsi alle due Corti imperiali; ma ho già indicato il raffreddamento della sua amicizia verso di esse, il gran bisogno che ha di lunga pace; al che si aggiunga l'adesione di quel Monarca alla lega germanica in qualità di elettore d'Annover. È vero che il Re non fa che una parte della costituzione inglese, e che i suoi trattati come elettore non portano la conseguenza che l'Inghilterra si appigli allo stesso partito qualora dovesse decidersi; ma le disposizioni presenti del Gabinetto britannico, l'ottima sua corrispondenza con la Corte di Berlino, e la manifesta freddezza verso le Corti imperiali, sono tutte circostanze che formano un complesso di probabilità e di tendenza in favor della lega germanica.
Epilogando le cose dette, mi sembra dunque che i rapporti politici attuali fra le primarie potenze dell'Europa si debbano considerare sotto due punti di vista: le alleanze offensive e le alleanze difensive. Chiamo offensive quelle che, sebbene non contengano espressa l'intenzione di far la guerra, o spiegare petizioni e pretese contro altri Principi nominatamente, sono però concepite e formate sul principio di procurare l'ingrandimento reciproco. Di tal natura vien considerata l'alleanza fra le due Corone imperiali. Abbenché padrone di vastissimi Stati, nessuno ardirebbe affermare che sieno contente di ciò che possedono e che non aspirino a dilatarsi. Quest'è pertanto l'unica alleanza che potrebbe disturbare la pace dell'Europa. Tutte le altre alleanze sono puramente difensive, e fondate sul solo manifesto fine di provvedere alla sicurezza dei contrattanti, e di mantenere la bilancia. Le potenze che sono di secondo ordine in quanto alle forze, si attaccano e si congiungono alle primarie per procacciare un appoggio valido alla propria quiete e conservazione. Le potenze primarie accolgono volentieri le secondarie per ingrossare il proprio partito, e per istituire qualche vantaggio reciproco di commercio. Di questa categoria sono le alleanze difensive dell'Inghilterra con la Danimarca, della Francia con la Spagna, l'Olanda e la Svezia; del Re di Prussia con diversi elettori e principi dell'impero. Quanto all'alleanza difensiva stipulata nel 1756 fra le Corti di Francia e di Vienna, siccome nel corso di trenta anni non vi fu mai data esecuzione, così credo di non commettere errore lasciandola nel cumolo delle obsolete.
Questo è nel momento presente il quadro politico dell'Europa; a dipingere il quale con minor noia di Vostre Eccellenze bisogna in vero occhio più perspicace e mano più esperta della mia, non però lingua più vera, né cuore più dedito del mio al servizio della patria. Parigi, li 6 febbraio 1785 M. V.
Per compimento all'intrapresa relazione dell'ambasciata da me sostenuta, mi resta da render conto all'eccellentissimo Senato della forza ed influenza politica della Francia nel momento presente, ch'è il terzo ed ultimo punto che mi sono proposto. Sopra due basi è fondata, per mio riverente parere, l'influenza politica di una potenza. Primo, sulla forza interna dipendente dalla estensione e fertilità, popolazione e ricchezza dello Stato, dalla prosperità delle arti e del commercio, dal numero delle truppe e delle navi, e dalla proporzione adeguata delle rendite pubbliche alle spese ed ai bisogni dell'erario. Secondo, sulla forza esterna dipendente dal credito e da' legami colle altre Corti. Quanto più sono degne di essere trattate con distinzione queste due parti della influenza politica di una delle più potenti monarchie dell'universo, tanto più mi conviene invocare i riflessi indulgenti di Vostre Eccellenze sopra la vastità e la moltitudine degli argomenti che si presentano a spaventare la mia insufficienza.
L'estensione del Regno di Francia (senza comprendere l'isola di Corsica, né le possessioni di questa Corona nelle altre tre parti del mondo), è stata determinata dalle ultime operazioni geografiche in poco meno di ventisettemila leghe quadrate, che corrispondono seguendo il calcolo matematico, a centocinquantacinquemila miglia quadrate. Se la figura di questo Regno fosse un quadrato perfetto, ogni lato tirerebbe all'incirca quattrocento miglia, e la diagonale cinquecentosettanta. È composto di trentadue grandi provincie, che si suddividono in cento ed otto territori: vi si contano diciannove arcivescovadi e centoventidue vescovadi contiene circa trecento fra città e grosse terre murate, e la sua popolazione, secondo le più recenti verificazioni, ascende a ventiquattro milioni settecentomila anime. In generale il suolo è fertile, e la nazione, piena d'industria ed attività, non lascia di trarne profitto. Ad ogni modo i prodotti delle terre sono più scarsi sensibilmente di quel che potrebbero essere, se l'agricoltura fosse meno aggravata d'imposizioni, e se non abbondassero altri mezzi più seducenti per aumentar le fortune private rapidamente. La frequenza degli imprestiti reali che da alquanti anni offeriscono, sempre e sotto diverse forme, un interesse maggiore del sei per cento, o del nove e anche dieci per cento ne' vitalizi; la facilità delle intraprese di commercio; gli impieghi ubertosi delle finanze e delle ferme; l'ambizione de' posti alla Corte; i piaceri della metropoli, sono tutti allettamenti fortissimi che attirano la gente e il danaro; sicché gran parte de' proprietari delle terre se ne allontana, o non si applica con fervore alla loro coltivazione; e i possessori di soldo poco si curano d'impiegarlo all'acquisto di stabili di campagna. Le investite a vitalizio sono quelle soprattutto che adescano la nazione perché il Francese è impaziente di godere. Questo nuoce veramente alla conservazione delle famiglie o del loro lustro; ma come ogni individuo ha la vaghezza di prendere un cognome particolare, così le rivoluzioni delle fortune e de' casati non cadono quasi sotto l'occhio, e del resto pare che non feriscano i principî di uno stato monarchico.
L'arti ed il commercio sono più favoriti dal governo di quello che sia
l'agricoltura. L'erario regio spende ogni anno ottocentomila franchi
per incoraggiare l'industria, premiar le invenzioni, aiutar le intraprese
anche con somministrazione di capitali. Le arti e specialmente quelle
di lusso sono infatti condotte ad un grado squisito di finitezza e di perfezione. Il signor Necker, che fa autorità in queste materie, mi disse
con asseveranza che entrano in Francia almeno centocinquanta milioni
di franchi all'anno per il solo articolo detto dei bijoux
Le scienze e le lettere ottengono pure benefici eccitamenti ed aiuti da parte del governo. Questa partita non va nientemeno che ad un mezzo milione di franchi all'anno, disposti al mantenimento delle Università, delle Accademie, della immensa real Biblioteca, del giardino botanico e del gabinetto di storia naturale, come pure in frequenti gratificazioni e in pensioni generose ai soggetti che più si distinguono, o che fanno utili scoperte. Ne vien infatti, che nel tempo presente questa nazione non la cede ad alcun'altra nella copia di uomini di prima sfera in quasi tutti i rami delle scienze e delle belle arti.
Ho data un'idea succinta degli avvantaggi principali di questa nazione; ma la sua ricchezza può misurarsi anche dai suoi disavvantaggi, cioè, dalla grandezza dei tributi che fornisce per alimentare i bisogni della Corona. La rendita pubblica, in monte e tutto compreso, ascende a cinquecento ottantacinque milioni di franchi. Se questa somma si scompartisce egualmente sull'estensione e sulla popolazione del Regno, si trova che ogni lega quadrata di terreno contribuisce ventiduemila franchi all'incirca, e gli abitanti uno per l'altro ventitré franchi, tredici soldi e otto danari, il che viene a star più di due zecchini veneti per testa. È cosa degna da notarsi, che la sola città di Parigi, la di cui popolazione fa circa settecentomila anime, paga la settima e l'ottava parte del totale delle rendite pubbliche, in guisa che si può dire con verità che il Re non ha alcuna provincia, la quale gli frutti tanto quanto la metropoli. Diviene perciò un oggetto politico del governo, dietro alle massime di Sully e di Colbert, di non risparmiar sacrifici per abbellirla, e per invitare il concorso degli stranieri con la fama di scelti spettacoli. Il soldo che versano i forestieri in questa capitale si computa a più di trenta milioni di franchi all'anno.
Dibattendo dal complesso della pubblica esazione tutte le spese di percezione, ed aggiungendovi nove milioni di entrate particolari del Re provenienti dalle sue terre e signorie, resta netto l'ingresso nel real tesoro di cinquecento quaranta milioni di franchi all'anno, rendita che sorpassa notabilmente quella di ogni altro sovrano dell'Europa.
Passo ora a considerare gli aggravii e le spese in cui viene impiegata e consunta questa grandiosa entrata. In primo luogo i debiti pubblici sono stati gradatamente ingrossati a segno, che adesso la somma degli annui pro fa spavento, poiché monta a duecento sedici milioni di franchi. Entrano per altro in questi sino ottantun milioni d'interessi vitalizi, i quali non esigono alcuna restituzion di capitale, ma si vanno continuamente estinguendo a misura che muoiono gli usufruttuarii. Se si dà un computo, al cinque per cento relativamente agli altri cento trentacinque milioni di livelli perpetui, risulta che questa Corona è debitrice dell'enorme somma di duemila settecento milioni di capitali.
Dopo il pagamento degli annui pro, la spesa più forte è quella che fa il dipartimento della guerra, e che monta a centoventidue milioni circa all'anno. In questa partita meritano particolar menzione due articoli, cioè il mantenimento degli invalidi, che costa un milione trecentomila franchi, ed il mantenimento della scuola militare che ne costa un milione e seicentomila. Le truppe di questa Corona, secondo il piano di pace, ascendono a poco più di duecentomila uomini d'infanteria, e a trentamila di cavalleria. In caso però di guerra questo numero si aumenta di molto, e persino del doppio. Le cernite, su dette milizie consistono in settantamila teste.
Il terzo capo di grande dispendio è quello della marina, che assorbe all'incirca quarantacinque milioni di franchi all'anno. La Francia possede attualmente settanta navi di linea, almeno altrettante fregate, e più di novanta piccoli legni da guerra: ciò che forma una formidabile marina di più di duecentotrenta vascelli da guerra.
Le spese di ogni sorta per il mantenimento della casa del Re, nelle quali è compreso il trattamento della famiglia reale, e gli stipendii di tutte le persone destinate al servizio della Corte, importa per lo meno trentatré milioni all'anno.
Finalmente un articolo assai gravoso è quello delle pensioni, il complesso delle quali monta alla riguardevole somma di milioni ventotto.
Saziate le grosse partite fin qui annoverate, rimangono dell'entrata circa cento milioni, i quali non bastano a tutti gli altri stipendii di ogni genere, di modo che nel piano ordinario vi è deficienza di dieci a dodici milioni. È vero che in questo piano sta inchiusa una partita di ventisette milioni destinati ad affrancazioni, per il che in realtà vi dovrebbe essere un avanzo annuo di diciassette milioni, il quale crescerebbe a misura che andasse calando la somma dei pro, in virtù delle affrancazioni. Ma come le spese straordinarie sogliono alterar gravemente il piano, così ne nasce la necessità di ricorrere a nuovi imprestiti, coi quali si aumenta la massa de' debiti, invece di profittar della pace per diminuirli. La bontà del Re non sa dar negative, quando gli vengono proposte intraprese sotto utile aspetto, o in favor del commercio, o per fabbriche ad ornamento della metropoli, o quando si tratta di beneficare quelli che s'impiegano nel suo servizio. Quindi è che alla fine di ogni anno vi è sempre un notabile sbilancio, giacché se il Sovrano è facile a condiscendere, non è naturale che i ministri vogliano esporsi all'odiosità col rendersi autori e promotori dell'economia e dei rifiuti delle grazie. È vero che intanto non si alleggeriscono le imposte che opprimono le provincie, e che in tempo di guerra venivano sopportate in silenzio a contemplazione della necessità; ma perché i clamori pervengano sino al Monarca, bisogna ordinariamente che sieno portati allo eccesso. Del resto questi sono mali per anco molto inferiori alle forze di un corpo robustissimo, e alle infinite risorse che può somministrare la Francia.
Non ho fatto parola delle possessioni di questa Corona fuori dell'Europa, perché il maggior frutto che rendono, consiste negli avvantaggi del commercio, del quale esposi in pieno la bilancia, i tributi di que' paesi sono di poco conto, se si dibattono le spese occorrenti al mantenimento di presidii, e all'amministrazione della giustizia.
Concluderò dunque che le intrinseche forze di questo Regno sono assai grandi, e tali che senza dubbio può dirsi che un altro non siavi nel mondo così potente per la riunione di tanti avvantaggi. La China sarà più popolata; il Mogol più ricco; l'Inghilterra più florida nel commercio marittimo; le possessioni della Corona di Spagna molto più vaste; e le truppe dell'Imperatore o del Re di Prussia meglio disciplinate e più formidabili: ma ognuna di queste potenze è inferiore alla Francia per tanti capi, che niuna può stare a suo paragone, quando si sommano insieme tutti i requisiti concorrenti a formare la forza di un regno.
Mi resterebbe ora di trattare qual venga ad essere in conseguenza il credito esterno della Francia, e la sua influenza politica attuale nelle altre Corti; ma in questo tema per non abusare della clemente sofferenza di Vostre Eccellenze, richiede un altro foglio, che sarà l'ultimo della presente umilissima mia relazione. Grazie. Parigi, li 20 febbraio 1785 M. V. %1%Parte 4 IV DISPACCIO.
Coll'ultimo riverente foglio ho presentato a Vostre Eccellenze una idea delle forze e risorse interne di questo gran regno. Mi resta da trattare della forza esterna, cioè del credito e della influenza di questa Corte nelle altre primarie dell'Europa. Sarà in tal modo con questo quarto mio dispaccio esaurito il terzo ed ultimo punto dell'assunta mia relazione, nel quale mi proposi di render conto della forza ed influenza politica della Francia.
Dissi già di passaggio nel penultimo foglio, annoverando le alleanze difensive ora sussistenti, che la Francia è collegata colla Spagna, l'Olanda e la Svezia. Ma ognuna di queste alleanze chiede speciale esame ed analisi, giacché il loro significato è molto diverso, anche facendo astrazione dalla disparità delle forze.
Notissimo è il patto di famiglia e i principî sui quali è fondato. La Spagna non ha altra potenza da temere in Europa, se non la Francia. Circondata e difesa dall'Oceano a tramontana, dal Mediterraneo a mezzogiorno, ha due soli principi confinanti: il Portogallo e la Francia. Il primo è troppo debole al suo confronto, la seconda è di molto più forte, quantunque i suoi Stati in complesso siano men vasti. Si può dir presso a poco che quanto sarebbe malagevole al Portogallo il resistere ad una invasione degli Spagnuoli, tanto sarebbe difficile alla Spagna il far argine a una invasione de' Francesi.
Il primo interesse della Spagna è dunque di non aver mai per nemica la Francia, ed anzi è suo interesse di averla amica ed alleata, giacché senza il suo appoggio riceverebbe colpi mortali dall'Inghilterra, sia nel commercio, sia nelle possessioni marittime fuori dell'Europa. D'altra parte molte ragioni concorrono a far che la Francia abbia interesse di aver amica la Spagna, sì perché un attacco delle truppe spagnuole sarebbe un diversivo molesto, in momento nel quale la Francia si trovasse impegnata in una guerra con altre potenze, sì perché il commercio attivo di questa nazione con la spagnuola meno industriosa forma un oggetto considerabile. Su questi fondamenti, più che sui legami della consanguineità, sta appoggiata l'unione dei due monarchi. Si può piantar per principio che in ogni emergenza politica d'importanza la parte di Madrid sarà sempre ligia di quella di Versailles, ma altresì è necessario che questa si conduca con molta industria per non parere di darle la legge. L'orgoglio spagnuolo ne sarebbe offeso, e l'orgoglio è sempre sospettoso. Nel principio dell'ultima guerra premeva alla Francia d'indur la Spagna a sfoderare la spada contro la Gran Brettagna. Incontrò fortissime renitenze nel gabinetto di Madrid, ma seppe vincerle ben presto esibendo prestargli aiuto per la conquista di Gibilterra, dell'isola di Minorica.
L'alleanza della Francia con l'Olanda è di un'altra natura. La Corte di Versailles non può contar tanto sulle forze di quella repubblica, quanto su quelle molto maggiori del Re cattolico. La diversità dei pareri fra le provincie, e le intestine animosità tra il partito repubblicano e quello dello Statolder, mettono impedimento ad agir con vigore. Per riunire gli animi e renderli tutti concordi per la comune salvezza, bisognerebbe che l'Olanda fosse attaccata nelle proprie sue possessioni. Fuori di questo caso, un alleato di quella repubblica non può lusingarsi di trarne aiuti efficaci. Ciò non ostante il ministero di Versailles ha accolto di buon grado l'alleanza proposta dagli Stati generali, poiché rende più manifesto e deciso il loro distacco dalle precedenti connessioni con l'Inghilterra. Si trattava di togliere alla potenza rivale un antico partigiano: questo è quasi l'unico motivo, che persuase il Re cristianissimo a gradire questa lega. Per quello che sia all'intenzione degli Stati generali nel chiederla, apparisce dalle loro deliberazioni essere stata quella di provvedersi di un valido appoggio, riconoscendo la decadenza delle proprie forze in confronto d'altri tempi, ne' quali non fu mediocre, né indifferente il peso di quella repubblica nella bilancia politica. Circondata da due vicini formidabili, il Re di Prussia e l'Imperatore, non giudicò sufficiente in adesso alla propria salvezza e conservazione l'inimicizia implacabile che regna fra i detti due sovrani, la quale sembrerebbe assicurare l'Olanda, che se l'uno di essi volesse opprimerla, l'altro non mancherebbe di darle un potente soccorso. Stimò necessario di ricercare l'alleanza della Francia, fondando sulla massima, che un alleato non confinante non può fare che del bene. Con questo trattato le loro alte Potenze tengono vivo il nome di quella repubblica nel codice diplomatico, conservano un certo credito ed una necessaria ingerenza nei maneggi ed affari politici e tengono aperta la porta a ricuperare il loro antico splendore, se qualche circostanza favorevole si presenta. Non ho sentito alcuna voce imparziale e perita di queste materie, la quale abbia disapprovato per nessun verso questo consiglio degli Stati generali.
Finalmente l'alleanza di questa Corona con quella di Svezia è di minor momento delle altre due, se si riguardano gli articoli espliciti che tendono quasi unicamente a favore del commercio reciproco. Ma in sostanza questa Corte fa molto più caso dei suoi legami con quella di Stoccolma, di quello che sia dell'alleanza con l'Olanda, sì perché quel monarca non è l'ultimo fra i potentati del Nord, sì perché può fornire al bisogno una squadra ragguardevole, sì perché finalmente le sue deliberazioni non dipendono se non da lui solo.
Se alla grandezza delle interne forze della Corona di Francia si aggiunge il peso ed il corredo delle esterne consistenti nelle annunziate sue relazioni ed alleanze con la Spagna, l'Olanda e la Svezia, ne nasce un complesso tale di potere che rende la Francia o arbitra, o mediatrice necessaria in tutte le discussioni politiche dell'Europa, come fa fede l'istoria degli anni recenti. Ma per soddisfare al mio assunto con più precisione, procurerò di definire, se non altro con rapidi cenni, qual grado d'influenza goda attualmente questa Corte in ciascuna delle altre di primo rango, fuori di quelle che ho già nominate.
Non si può certamente dire che il gabinetto di Versailles abbia veruna influenza diretta su quello di Londra, giacché la pace non estingue la rivalità naturale tra due nazioni, e l'ultima fu troppo amara agli Inglesi per non lasciare nel fondo dei loro cuori un irritamento che aguzza l'animosità nativa. Ma come i francesi si sono condotti nella guerra non solamente con valore, ma anche con nobiltà di procedere, così è manifesto per giornaliere prove che hanno molto guadagnato nella stima dei loro nemici. Tutto il credito che può aver questa Corte appresso quella di Londra consiste nell'essere considerata e rispettata, e giammai non lo fu certamente a quel grado come ne' tempi presenti.
Passo alla Corte di Berlino, e non temo asserire, che nessuna potenza ha tanto credito appresso di essa quanto la Francia. Questa essendo confinante e di sua natura rivale della Casa d'Austria, ne viene che il Re di Prussia come nemico dichiarato di Cesare è alleato necessariamente della Francia. Egli mantiene per massima una corrispondenza metodica ed intima con questo gabinetto, al quale comunica sempre ogni sua scoperta. Così ha fatto allorché la czarina minacciava i Turchi, e finì per impossessarsi della Crimea, così quando l'Imperatore meditava progetti e stringeva legami con la Czarina medesima, così pure quando Cesare teneva a bada l'Europa, minacciando gli Olandesi, nel mentre che stava trattando segretamente il cambio dei Paesi Bassi austriaci con la Baviera. In tutte queste grandi fermentazioni il Re di Prussia fu quasi sempre il primo a fare scoperte, e tosto le inviava al gabinetto di Francia. È ben vero che spesse volte vi aggiungeva del suo, perché voleva irritare la Francia contro l'Imperatore, ed accendere una guerra; ma questo ministero seppe accarezzarlo, e tenerlo amico, senza lasciarsi trasportare a passi violenti.
Per quel che riguarda la Corte di Pietroburgo è manifesto per le cose già dette che quella di Versailles non può avervi alcuna influenza nel tempo presente. Le intime connessioni dell'Imperatore con la czarina vi fanno ostacolo, attesta l'accennata rivalità tra la nazione francese e l'austriaca.
Questa rivalità non impedisce per altro che questa Corte non abbia attualmente un certo grado d'influenza appresso quella di Vienna. La maggior parte dei francesi pretende il contrario: cioè che la Corte imperiale influisca non poco su quella di Francia, atteso che questa sovrana, sorella di Cesare, è molto amata ed ascoltata dal monarca suo sposo.
Le nazioni attribuiscono facilmente alle principesse straniere l'amor della casa e del regno nativo. Ma le nazioni esagerano pur facilmente in questa sorta di sospetti. È vero che per conciliare l'Imperatore con l'Olanda, questa Corte si è piegata perfino a sagrificare nove milioni del proprio; sagrifizio che sembra avvilirla agli occhi di quelli che non sono a portata di penetrare nelle intime ragioni de' gabinetti. Io mi sono ingegnato di approfondarle, e ne ho fatto l'esposizione all'eccellentissimo Senato nel mio riverente numero 252. Ma in prova del credito che gode questa Corte presso quella di Vienna, mi basta rammemorare le pretensioni intavolate da Cesare contro i Turchi sotto titolo di regolare la confinazione. Queste pretese sarebbero andate molto avanti, ed avrebbero fatto una dilatazione molto riflessibile dell'impero austriaco in quelle parti, come Vostre Eccellenze ne avranno ricevuto gli individuali ragguagli dall'eccellentissimo bailo. Ma queste pretese dovettero soffocarsi, e le trattazioni languiscono già da qualche tempo, e ciò per nessun'altra ragione, se non perché il Re di Francia scrisse chiaramente all'Imperatore che non potrebbe secondarle, e che lo pregava a raddolcirle assai, affinché non dovesse soffrirne l'ottima corrispondenza che passava fra le due Corti.
Se si consideri finalmente l'influenza della Francia sui consigli della Porta Ottomana, è facile di provare che nessun'altra Corte vi gode tanto credito e tanta fiducia quanto quella di Versailles. Infatti la Russia e la Casa d'Austria sono due potenze finitime con le quali il Gran Signore ha continue questioni e le quali sono guardate dai Turchi con gran gelosia e diffidenza. L'Inghilterra, dopo i cattivi successi dell'ultima guerra, ha perduto una buona parte del suo potere appresso una Corte come quella di Costantinopoli, dove le apparenze e la fortuna decidono grandemente dell'opinione. Il Re di Prussia è stimato alla Porta, ed è facile indovinare il motivo; ma com'ei non è potenza marittima, così gli manca una parte di quella forza che può interessare il governo e la politica dei Turchi. La Francia è la sola fra le primarie potenze che ha tutto quello che è necessario per inspirar la fiducia ed escludere la diffidenza negli Ottomani. Da alcuni anni in qua si può dire che il gabinetto di Costantinopoli è condotto quasi intieramente dai consigli di quello di Versailles. Ne fa fede il prudente contegno tenuto dalla Porta verso le due Corti imperiali in circostanze scabrosissime.
Parmi di aver sufficientemente mostrato quanto sia grande la forza e l'influenza politica di questa Corona ne' presenti tempi. Mi sia lecito di concludere alzando i miei voti all'eccellentissimo Senato perché riponga la principal sua confidenza nel robustissimo appoggio di questa Corte, massime fin a tanto che gli affari politici saranno diretti dall'egregio impareggiabile signor conte di Vergennes, ministro abilissimo, ingenuo, e portato a fare il bene egualmente che il sovrano suo padrone.
Sono giunto al termine della mia relazione, secondo quel piano che mi ero proposto, e che ho diviso in tre parti, le quali sono state da me trattate in quattro dispacci. Nella prima parte ho reso conto degli affari di Vostra Serenità pendenti, ed ho rappresentato che l'ingrata vertenza con l'Olanda si può considerare come terminata dopo il saggio e luminoso promemoria di Vostre Eccellenze dei 27 novembre 1784, e dopo ritirata la presenza di un veneto residente all'Aia, la quale presenza impediva che l'affare cadesse nel silenzio. Nella seconda parte ho tentato di presentare sotto agli occhi dell'Eccellenze Vostre il quadro del sistema politico attuale dell'Europa. Nella terza parte ho dimostrato con due separati miei fogli, nel primo la forza interna del regno di Francia, e nel secondo, che è questo che ora sono per chiudere, la forza esterna dipendente dal credito e dall'influenza politica di questa Corte nelle altre primarie dell'Europa. Dedicate in tal modo alla patria tutte quelle poche cognizioni che ho potuto raccogliere nel corso di questa ambasciata, di cui per più di anni cinque ho sostenuto imperfettamente il peso, mi giova sperare che la clemenza di Vostre Eccellenze condoni gli involontarii miei difetti.