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Mentre sto scrivendo la II edizione di un mio saggio
ormai antico, su Socialismo e criminalità (Torino
1883, di pag. 225), nella quale, seguendo la
progressiva evoluzione del mio pensiero scientifico e politico,
completerò le idee sociologiche di allora colle idee
socialiste di oggi; pubblico frattanto questa, che fu in parte
la conferenza tenuta a Milano, il 1° maggio di quest'anno.
Darviniano e Spenceriano convinto, io intendo provare come il socialismo Marxista - il solo che abbia metodo e valore scientificamente positivo e perciò l'unico, oramai, che inspiri e guidi concordemente i socialisti democratici di tutto il mondo civile - non sia che il complemento pratico e fecondo, nella vita sociale, di quella moderna rivoluzione scientifica, che predisposta, nei secoli scorsi, dalla italiana rinnovazione del metodo sperimentale in ogni ramo dello scibile umano, fu ai nostri giorni decisa e disciplinata dalle opere di Carlo Darwin e di Erberto Spencer.
È vero, che Darwin e soprattutto Spencer si sono fermati a mezza strada dalle ultime conclusioni d'ordine religioso-sociale-politico, derivanti dalle loro indistruttibili premesse di fatto. Ma questo episodio personale, mentre non può arrestare il fatale andare della scienza rinnovata e delle sue pratiche conseguenze - in formidabile accordo colle necessità più dolorose della vita contemporanea - d'altra parte non fa che rendere più evidente la giustizia storica verso l'opera scientifica e politica di Carlo Marx, che viene così a completare la grande triade rinnovatrice del pensiero scientifico moderno.
Sentimento ed idea sono le due inseparabili forze propulsive della vita individuale e collettiva.
Il socialismo, rimasto fino a pochi anni fa in balìa delle fluttuazioni vivaci, ma indisciplinate e perciò inconcludenti, del sentimento umanitario, ha trovato nell'opera geniale di Marx e di coloro che l'hanno svolta e completata, la sua bussola scientifica e politica. Questa è la ragione delle sue quotidiane, invadenti conquiste in ogni manifestazione della vita sentimentale ed intellettuale.
La civiltà, mentre rappresenta il complicato svolgimento più
fecondo e più bello delle energie umane, è anche un virus
di terribile potenza infettiva. Accanto agli splendori del lavoro
artistico, scientifico, industriale, essa accumula i prodotti
cancrenosi dell'ozio, della miseria, della pazzia, del delitto, del
suicidio fisico e di quel suicidio morale, che è il servilismo.
Il pessimismo - sintomo doloroso di una vita senza ideali e, per massima parte, effetto di esaurimento od anche di degenerazione del sistema nervoso - preconizza l'annientamento finale, come cessazione del dolore.
Noi abbiamo fede, invece, nella eterna "virtù medicatrice della natura"; ed il socialismo appunto rappresenta quest'intimo àlito di vita nuova e migliore, onde l'umanità sarà liberata - sia pure con qualche processo febbrile - dai prodotti virulenti della presente fase di civiltà, per conservarne e rinverdirne, in una fase ulteriore, le energie sane e feconde di bene per tutti gli umani.
Il 18 settembre 1877 a Monaco, nel congresso dei naturalisti, Ernesto Haeckel, il famoso embriologo di Jena, pronunciò un eloquente discorso in difesa e a propaganda del darvinismo, che allora traversava la fase più acuta e tempestosa di polemica e di lotta.
Pochi giorni dopo, Virchow, il grande patologo, - che sebbene già militante nel partito parlamentare "progressista" è abbastanza misoneista nella politica come nella scienza - combatteva energicamente la teoria darviniana dell'evoluzione organica e contro di essa, con acutissima preveggenza, lanciava il grido d'allarme o l'anatema politico che "il darvinismo conduce direttamente al socialismo".
Protestarono subito i darvinisti tedeschi, capitanati da Oscar Schmidt e da Haeckel; e, per non aggiungere alle tante opposizioni d'indole religiosa, filosofica e biologica allora sollevate contro il darvinismo, anche questa grave preoccupazione politica, sostennero invece che la teoria darviniana, era in aperta assoluta opposizione col socialismo.
"Se i socialisti fossero furbi, (scriveva il prof. Oscar
Schmidt nell'Ausland
"Infatti, soggiungeva Haeckel, non vi è dottrina scientifica, la quale dichiari più apertamente della teoria darviniana, che la eguaglianza degli individui, a cui tende il socialismo, è una impossibilità e che questa chimerica eguaglianza è in contraddizione assoluta colla necessaria disuguaglianza di fatto, che dovunque esiste fra gli individui.
"Il socialismo domanda per tutti i cittadini dei diritti eguali, dei doveri eguali, dei beni eguali, dei godimenti eguali; la teoria della discendenza stabilisce, al contrario, che la realizzazione di questi voti è puramente e semplicemente impossibile; che, nelle società umane come nelle società animali, né i diritti, né i doveri, né le proprietà, né i godimenti di tutti gli individui associati non saranno e non possono mai essere eguali.
"La grande legge della differenziazione insegna che, tanto nella teoria generale della evoluzione quanto nella sua parte biologica, o teoria della discendenza, la varietà dei fenomeni sorge da un'unità originaria, la differenza delle funzioni da una primitiva identità, la complessità dell'organismo da una semplicità primordiale. Le condizioni di esistenza sono, fin dal loro ingresso nella vita, disuguali per tutti gli individui. Aggiungansi le qualità ereditarie, le disposizioni innate più o meno dissimili. Come mai il nostro compito nella vita e i suoi risultati conseguenziali potrebbero essere eguali dappertutto?
"Più la vita sociale è sviluppata, più il grande principio della divisione del lavoro acquista importanza, più l'esistenza durevole dello Stato esige che i suoi membri si dividano i doveri così vari della vita; e, siccome il lavoro che deve essere compiuto dagli individui, come il consumo di forza, di ingegno, di mezzi ecc. ch'esso esige, differiscono al più alto grado, così è naturale che la ricompensa di questo lavoro sia altrettanto disuguale.
"Sono questi dei fatti così semplici ed evidenti, che ogni uomo politico, intelligente e colto dovrebbe, mi pare, preconizzare la teoria della discendenza e la dottrina generale dell'evoluzione come il migliore contravveleno per le assurde utopie egualitarie dei socialisti.
"Ed è il darvinismo o teoria della selezione, che Virchow nella sua denuncia, ha avuto di mira più che il trasformismo, o teoria della discendenza, sempre confusa con quella! Il darvinismo è tutto, fuorché socialista.
"Se si vuole attribuire una tendenza politica a questa dottrina inglese - ciò ch'è lecito - questa tendenza non potrebbe essere che aristocratica, non mai democratica, e ancora meno socialista.
"La teoria della selezione insegna che nella vita dell'umanità, come in quella delle piante e degli animali, dovunque e sempre una debole minoranza privilegiata arriva sola a vivere e a svilupparsi; l'immensa maggioranza, al contrario, soffre e soccombe più o meno prematuramente. Innumerevoli sono i germi di tutte le specie vegetali o animali e i giovani individui che ne sbocciano; ma il numero di quelli che hanno la buona fortuna di svilupparsi sino alla loro completa maturità e che raggiungono lo scopo della loro esistenza è, in qualche modo, insignificante.
"La crudele e spietata "lotta per l'esistenza" che infierisce dovunque nella natura animata, e deve naturalmente infierire, questa eterna e inesorabile concorrenza di tutto ciò che vive, è un fatto innegabile. Solo il piccolo numero eletto de' più forti o de' più adatti è in condizione da sostenere vittoriosamente questa concorrenza: la grande maggioranza dei concorrenti disgraziati deve necessariamente perire.
"Che si deplori questa fatalità tragica, sta bene; ma non si può né negarla né cambiarla. Tutti sono chiamati; ma pochi sono eletti!
"La selezione, l'"elezione" di questi "eletti" è necessariamente legata alla sconfitta o alla perdita del gran numero di esseri, che sono sopravvissuti. Perciò, un altro scienziato inglese ha chiamato il principio fondamentale del darvinismo "la sopravvivenza dei più adatti, la vittoria dei migliori."
"In ogni caso adunque, il principio della selezione non è affatto democratico; esso è anzi fondamentalmente aristocratico. Se quindi il darvinismo, spinto alle sue ultime conseguenze, ha secondo Virchow per l'uomo politico "un lato estremamente pericoloso", questo è senza dubbio, ch'esso favorisce le aspirazioni aristocratiche."
Ho riportato, per esteso, queste argomentazioni dell'Haeckel, perché sono precisamente quelle che - in tono diverso e con espressioni più o meno precise ed eloquenti di queste - si ripetono da quegli avversari del socialismo, che amano prendere una posa scientifica o si servono, per comodità di polemica, di quelle frasi fatte, che, anche nella scienza, hanno più corso di quanto non si avverta.
È facile però dimostrare, come in questo dibattito lo sguardo del Virchow fosse più sicuro e più limpido, dacché la storia dell'ultimo ventennio è venuta a dargli pienamente ragione.
È accaduto infatti che darvinismo e socialismo hanno progredito insieme con una forza di espansione meravigliosa, conquistando l'uno - nella sua dottrina fondamentale - l'unanimità oramai dei naturalisti; e continuando l'altro a propagarsi - nelle sue aspirazioni generali come nella sua disciplina politica - per tutti i meati della coscienza sociale, o come innondazione torrenziale di plaghe intere, determinata dall'aumento quotidiano del malessere materiale e morale, o come lenta, capillare, irrevocabile infiltrazione nelle menti più spregiudicate e meno ossequenti al personale tornaconto della greppia ortodossa.
Ora, siccome le teorie politiche o scientifiche sono fenomeni naturali come ogni altro e non la fioritura capricciosa ed effimera dell'arbitrio individuale di chi le inizia o le propaga; così è evidente, che se ambedue quelle correnti del pensiero moderno hanno potuto insieme vincere le prime e più forti opposizioni del misoneismo scientifico e politico ed insieme aumentano ogni giorno la falange dei loro coscienti seguaci, ciò significa, per sé solo - quasi direi per una legge di simbiosi intellettuale - che esse non sono né inconciliabili né contraddittorie tra loro.
Ma poi, i tre argomenti principali, a cui sostanzialmente si riduce il ragionamento anti-socialista dell'Haeckel, non resistono né alla critica più elementare delle nozioni scientifiche né all'osservazione più superficiale della vita quotidiana.
Nell'indice dell'opera questo ed i due successivi capitoli sono segnalati secondo lo schema seguente:
[n.d.c.]
La prima di queste obbiezioni, mosse al socialismo in nome del darvinismo, manca assolutamente di base.
Se fosse vero che il socialismo aspira all'eguaglianza di
tutti gli uomini, nulla di più esatto, che il darvinismo lo
condannerebbe irrevocabilmente.
Ma, per quanto anche ora da molti in buona fede, come orecchianti che ripetono le frasi fatte - o in mala fede, per abilità di polemica - si ritenga che socialismo sia sinonimo di uguaglianza e di livellamento; la verità è invece che il socialismo scientifico - quello cioè che si ispira alla teoria di Marx e che è l'unico ormai che meriti di essere sostenuto o avversato - non nega per niente affatto la disuguaglianza degli uomini, come tutti gli esseri viventi - disuguaglianza innata ed acquisita, fisica e morale.
Sarebbe come dire che il socialismo pretende, ad esempio, che per Decreto di re o di popolo si stabilisca: "D'ora innanzi, tutti gli uomini avranno un metro e 70 centimetri di statura!.."
Ma il socialismo è qualche cosa di più serio e di meno facile da combattere.
Il socialismo dice: Gli uomini sono disuguali, ma sono
uomini.
E cioè, per quanto ogni individuo umano nasca e si sviluppi
in modo più o meno diverso dagli altri individui - perché
come in una foresta non ci sono due foglie identiche, così in tutto
il mondo non ci sono due uomini perfettamente eguali - tuttavia,
ogni uomo, per il solo fatto di essere un uomo, deve avere
assicurata una esistenza da uomo e non da ilota o da bestia da
soma.
Sappiamo anche noi che non tutti gli uomini possono compiere il medesimo lavoro: adesso, che le disuguaglianze sociali aumentano le disuaglianze naturali; né lo potranno nemmeno in regime socialista, quando l'ordinamento sociale tenderà invece ad attenuare le disuguaglianze congenite.
Ci sarà sempre chi avrà un cervello ed una muscolatura più adatti al lavoro scientifico od artistico e chi ad un lavoro manuale o di precisione meccanica o di sforzo agricolo, ecc.
Ma quello che non ci dovrebbe essere - e che non ci sarà - è che ci siano degli uomini che non lavorano affatto ed altri che lavorano troppo o troppo male ricompensati.
Non solo: ma il colmo dell'ingiustizia e dell'assurdo è che, adesso, chi non lavora ha le ricompense maggiori, assicurategli dal monopolio individuale della ricchezza, accumulabile per trasmissione ereditaria. Ricchezza che nel minor numero dei casi è dovuta a sagrifici di risparmio e di privazioni inumane e nell'attuale possessore o in qualche antenato laborioso; ma il più delle volte è frutto secolare di spogliazione per conquista militare o per affarismo poco scrupoloso o per favoritismo di sovrani; sempre ad ogni modo indipendente da qualsiasi sforzo, da qualunque lavoro socialmente utile per parte dell'erede, spesso dilapidatore veloce nelle varie forme dell'ozio più o meno verniciato di una vita altrettanto vuota quanto brillante in apparenza.
E se non si tratta di ricchezza ereditata, si tratta di ricchezza defraudata. A parte il meccanismo economico di cui parlerò più oltre, rivelato da Carlo Marx, per il quale, anche all'infuori della frode, il capitalista o proprietario può normalmente accumulare una rendita od un profitto senza lavorare; è un fatto però che i patrimoni più rapidamente accumulati od ingrossati sotto i nostri occhi non sono e non possono essere il frutto di un lavoro onesto. Il lavoratore veramente onesto, per quanto infaticabile ed economo, se arriva ad elevarsi dal grado di salariato a quello di capo-officina o di imprenditore, può accumulare in una lunga esistenza di privazioni tutt'al più qualche migliaio di lire. Quelli invece che, senza scoperte industriali dovute al loro genio, mettono insieme in pochi anni dei milioni, non possono essere che degli affaristi poco scrupolosi, meno qualche caso eccezionale di un colpo di onesta fortuna. E sono quelli che - parassiti delle Banche o dei pubblici appalti - vivono più signorilmente, e magari coperti di ciondoli cavallereschi o di onori ufficiali..in premio delle loro buone azioni.
E viceversa quelli che lavorano, e che sono l'immensa maggioranza, non hanno per ricompensa che un alimento ed un alloggio quali bastano appena per non farli morire di fame acuta e quali, o ne' fondaci o nelle soffitte o nei vicoli ammuffiti delle grandi città o nelle stamberghe delle campagne, non si permetterebbero per le scuderie dei cavalli o le stalle dei buoi.
Senza aggiungere gli spasimi disperati della disoccupazione
forzata, che è uno dei tre sintomi più dolorosi e più crescenti di
quella eguaglianza nella miseria che veramente si propaga
nel mondo economico odierno, in Italia come più o meno altrove.
Voglio dire l'immenso esercito di disoccupati fra gli
operai, agricoli o industriali: - degli espropriati per imposte,
debiti od usura, fra la piccola proprietà.
Il socialismo, dunque, non è vero che domandi per tutti i cittadini un'eguaglianza materiale e positiva, di lavoro e di godimenti.
L'eguaglianza può assumere soltanto la forma di obbligare
ogni uomo a lavorare per vivere e di assicurare ad ogni individuo
le condizioni di esistenza umana, in cambio del lavoro dato
alla società.
L'eguaglianza fra gli uomini secondo il socialismo -
come diceva il Malon - si deve quindi
intendere in un duplice senso relativo: - I, che tutti gli uomini,
perché tali, abbiano assicurate le condizioni dell'esistenza umana -
II, che quindi gli uomini siano uguali nel punto di partenza
alla lotta per la vita, sicché ognuno svolga liberamente la propria
personalità a parità di condizioni sociali; mentre ora il
bambino che nasce sano e robusto, ma povero deve soccombere
nella concorrenza con un bambino, nato debole, ma ricco.
Questa è appunto la radicale, immensurabile trasformazione che il socialismo, non solo domanda, ma indica e prevede come evoluzione - già incominciata nell'umanità presente e necessaria, fatale nelle umanità prossima futura.
Trasformazione, che consiste tutta nella conversione della proprietà privata o individuale dei mezzi di produzione, cioè della base fisica della vita umana (terra, miniere, case, opifici, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di trasporto) in proprietà collettiva sociale, secondo quei metodi e procedimenti di cui dovrò occuparmi qui innanzi.
Frattanto rimane dimostrato, che la prima obbiezione del ragionamento anti-socialista non ha alcuna consistenza, semplicemente perché parte da un presupposto che non esiste: suppone cioè, che il socialismo contemporaneo affermi e voglia una chimerica uguaglianza fisica e morale di tutti gli uomini, che il socialismo scientifico e positivo non si sogna nemmeno di pensare.
Anzi il socialismo afferma che questa diseguaglianza fra gli uomini - mentre dovrà in un ordinamento sociale migliore attenuarsi immensamente, togliendo tutti i difetti organici e psichici che la miseria viene accumulando di generazione in generazione - non potrà tuttavia scomparire mai, per le ragioni che il darvinismo appunto ha svelato nel misterioso meccanismo della vita, nel succedersi senza fine mai degli individui e della specie.
In ogni ordinamento sociale, comunque si immagini, sempre ci saranno degli uomini alti e bassi, deboli e forti, sanguigni e nervosi, intelligenti più o meno, con prevalenza di muscoli oppure di cervello; ed è bene che sia così, oltreché è inevitabile.
È bene, perché dalla varietà e dalla disuguaglianza delle attitudini individuali nasce spontanea quella divisione del lavoro, che giustamente il darvinismo segna come una legge così della fisiologia individuale come dell'economia sociale.
Tutti gli uomini devono vivere lavorando: ma ognuno deve compiere quel lavoro che meglio risponde alle sue attitudini, per evitare un dannoso sperpero di forze e per rendere anche il lavoro non solo non ripugnante ma anzi piacevole e necessario, come condizione di salute fisica e morale.
E quando ogni uomo ha dato alla società il lavoro che meglio risponde alle sue attitudini innate ed acquisite, è egualmente benemerito perché egualmente concorre a quella solidarietà di lavoro, onde si determina appunto la vita dell'aggregato sociale e, solidamente con essa, quella di ogni individuo.
Il contadino, che zappa la terra, compie un lavoro più modesto in apparenza ma non meno necessario ed utile e benemerito dell'operaio che costruisce una locomotiva o dell'ingegnere che la perfeziona o dello scienziato che lotta contro l'ignoto in un gabinetto di studio o di un laboratorio.
L'essenziale è che in Società tutti lavorino, come nell'organismo individuale tutte le cellule compiono le loro diverse funzioni, in apparenza più o meno modeste - per es., fra le cellule nervose e quelle muscolari od ossee - ma funzioni e lavori biologici egualmente necessari ed utili per la vita dell'intero organismo.
E come nell'organismo biologico nessuna cellula viva sta senza lavorare ma in tanto rileva nutrimento dal ricambio materiale in quanto lavora; così nell'organismo sociale nessun individuo deve vivere senza lavorare, qualunque lavoro esso compia.
Ed ecco allora come si sciolgono molte delle difficoltà artificiali, che gli avversari oppongono al socialismo.
- Chi lustrerà le scarpe in regime socialista? - domanda il Richter in quel suo libro così linfatico, che arriva al grottesco di supporre che, in nome dell'eguaglianza sociale "il Gran Cancelliere" della società socialista sia costretto, prima di occuparsi della cosa pubblica, a lustrarsi le scarpe e a rattopparsi gli abiti! Davvero, che se gli avversari del socialismo non avessero argomenti migliori, sarebbe inutile perfino la discussione.
- Ma tutti vorranno fare i lavori meno faticosi e più piacevoli - si dice con maggiore apparenza di serietà.
Ebbene, ritorniamo a rispondere che tanto sarebbe invocare sin da adesso un Decreto che dica: - D'ora innanzi, tutti gli uomini nasceranno pittori o chirurghi!
Ma sono appunto le varietà antropologiche, di temperamento e di carattere, che distribuiranno esse, senza bisogno di regolamentarismo fratesco (altra obbiezione infondata contro il socialismo) i diversi lavori intellettuali e manuali.
Dite ad un contadino di media costituzione, che vada a studiare anatomia o codice penale o viceversa dite a chi ha un cervello più sviluppato dei muscoli che vada a vangare invece di osservare al microscopio. L'uno e l'altro preferirà il lavoro a cui meglio si senta disposto.
Né lo spostamento delle professioni o mestieri sarà così
grande, come molti fantasticano, quando la società sia
ordinata a regime collettivista. Tolte le industrie di puro lusso
personale - che rappresenta tante volte una sfida indecorosa
alla miseria dei più - la somma e la varietà dei lavori si adatterà
gradualmente, cioè naturalmente, alla fase di civiltà socialista,
come ora è rispondente alla fase di civiltà borghese.
Anzi, in regime socialista ognuno avrà maggiore libertà di affermare ed esplicare le proprie attitudini e non succederà, come ora, che per mancanza di mezzi pecuniari molti contadini e popolani e piccoli borghesi dotati di ingegno naturale restano atrofizzati e sono costretti a fare il contadino, l'operaio, l'impiegato, mentre potrebbero dare alla società un lavoro diverso e più fecondo, perché meglio adatto al loro genio particolare.
L'essenziale sta in ciò, unicamente: che tanto il contadino quanto il professionista o l'artigiano abbiano dalla società, cui danno il loro lavoro, assicurate le condizioni di una esistenza degna di esseri umani. Sicché sarà anche tolto lo spettacolo indegno che per esempio una ballerina guadagni, anche solo colle piroette, in una sera quanto uno scienziato od un professionista riceve in un anno di lavoro, se pure qualche volta non personifica la miseria in abito nero.
Certo, le arti belle ci saranno in regime socialista, perché il socialismo vuole che la vita sia lieta per tutti - e non soltanto, come ora, per pochi privileglati - e darà quindi grande, meraviglioso slancio a tutte le arti, abolendo il lusso privato ma favorendo lo splendore dei pubblici edifici e dei pubblici ritrovi.
Ma, soltanto, saranno meglio rispettate le proporzioni della ricompensa assicurata a ciascuno, in ragione del vario lavoro compiuto. Proporzioni, che si otterranno anche col diminuire il tempo di lavoro in ragione della faticosità o del pericolo di questo; giacché se un contadino, all'aria libera, potrà lavorare sette, otto ore al giorno un minatore dovrà lavorarne solo tre o quattro. Infatti non solo quando tutti lavoreranno e molti lavori improduttivi saranno aboliti, la somma totale di lavoro quotidiano, ripartita tra gli uomini, sarà molto meno grave e meglio sopportata (per la nutrizione e l'abitazione migliori e per lo svago assicurato) di quello che sia ora per quelli che lavorano e sono così male compensati; ma anche perché i progressi della scienza applicata all'industria renderanno sempre meno faticoso il lavoro umano.
Sicché anzi il lavoro stesso sarà spontaneamente cercato da ogni uomo, malgrado la mancanza di salario o di stipendio, accumulabile come ricchezza privata; appunto perché l'uomo sano, normale e ben nutrito, come rifugge da un lavoro eccessivo o male ricompensato, altrettanto rifugge dall'ozio, sentendo una vera e propria necessità fisiologica e psichica di una occupazione quotidiana, rispondente alle proprie attitudini.
Lo vediamo, infatti, ogni giorno nella classe oziosa fra chi
cerca nelle varie forme più o meno faticose di sport un
surrogato al lavoro produttivo, appunto come necessità
fisiologica, per evitare i danni dell'ozio assoluto e della noia.
Il grave problema starà poi nel proporzionare la
ricompensa del lavoro compiuto da ogni uomo. Ed è noto che il
collettivismo adotta la formula - ad ognuno in ragione del lavoro
compiuto; - mentre il comunismo adotta l'altra - ad ognuno in
ragione dei suoi bisogni.
Nessuno potrebbe dire, a priori, come sarà risolto
ne' suoi particolari pratici questo problema; ma questa
impossibilità di profetizzare nei suoi particolari l'avvenire, a torto
viene opposta al socialismo, per tacciarlo di utopismo
irrealizzabile. Per nessuna civiltà, ne' suoi albori, nessuno
avrebbe potuto a priori profetizzarne gli svolgimenti
successivi, come dirò poi parlando dei metodi di rinnovamento
sociale.
Quello che possiamo invece dire con piena sicurezza, per le induzioni più sicure della psicologia e della sociologia, è questo.
È innegabile, come riconobbe anche Carlo Marx, che quella seconda formula - la quale, per taluni, è ciò che distingue l'anarchismo (teorico o platonico) dal socialismo - rappresenta certamente un ideale ulteriore e più complicato. Ma è anche innegabile, che ad ogni modo la formula del collettivismo rappresenta una fase di evoluzione sociale, e di disciplina individuale che necessariamente dovrà precedere quella del comunismo.
Non bisogna credere che col socialismo, l'umanità abbia a raggiungere completamente ogni ideale possibile e nulla più le rimanga poi da desiderare e da conquistare!
Già i posteri, allora, sarebbero condannati all'oziosità e vagabondaggio, se noi pretendessimo di esaurire ogni possibile ideale umano.
L'individuo o la società che non abbiano più un ideale per cui combattere, sono morti o moribondi. La formula del comunismo potrà dunque essere un ideale ulteriore da conquistare, dopo che il collettivismo avrà raggiunto la sua completa attuazione, con quei processi storici di cui mi occuperò più innanzi.
Ma per ora, ritornando a Darwin, resta dunque eliminata la pretesa contraddizione fra socialismo e darvinismo, a proposito dell'uguaglianza fra tutti gli uomini, che il socialismo non si sogna nemmeno di affermare e che anzi vuole, darvinisticamente, indirizzata ad una vita migliore per gli individui e per la società.
Sicché, con questo si risponde anche alla troppo ripetuta obbiezione che il socialismo voglia soffocare e sopprimere la personalità umana sotto la uniforme cappa di piombo della collettività, riducendo gli individui alla funzione monastica di tante api umane nell'alveare sociale.
È, anzi, precisamente l'opposto. È evidente, infatti, che
l'atrofia e la perdita di tante personalità, che potrebbero emergere
con molto maggiore vantaggio proprio e di tutti, avvengono ora,
nell'attuale ordinamento borghese, in cui ogni uomo, salvo rare
eccezioni delle individualità più spiccate, conta per quello che
ha e non per quello che è.
Chi nasce povero, evidentemente senza averne colpa, può avere sortito da natura genio artistico o scientifico; ma se non ha un patrimonio proprio che gli dia modo di superare le prime battaglie per la vita e di completare la propria coltura o se il pastore Giotto non ha la fortuna di incontrarsi col facoltoso Cimabue, esso deve spegnersi, numero anonimo nel grande reclusorio del salariato, e la società stessa perde tesori di forza intellettuale.
Chi nasce ricco invece, evidentemente senza averne merito
personale, può essere invece un microcefalo od un fatuo
qualunque; ma egli è certo che verrà alla ribalta del teatro sociale
ed a lui tutti i servili saranno prodighi di elogi e di carezze ed egli
crederà, solo perché ha dei quattrini, di essere diverso da
quello che è.
Colla proprietà collettiva invece, cioè in regime socialista, avendo ogni individuo assicurato le proprie condizioni di esistenza, il lavoro quotidiano non servirà che per mettere in luce le speciali attitudini più o meno geniali di ogni uomo e gli anni migliori e più fecondi della vita non saranno così consumati come ora, nella conquista disperata e spasmodica e avvilente del pane quotidiano.
Nel socialismo invece ognuno avrà colla sicurezza di una vita umana, la libertà vera di svolgere e manifestare la propria personalità fisica e morale, quale si ebbe nascendo, nella infinita varietà e disuguaglianza antropologica; che dunque, ancora una volta, il socialismo non nega, ma vuole invece meglio indirizzata al libero e fecondo sviluppo della vita umana.
La seconda contraddizione, che si afferma tra socialismo e darvinismo, sarebbe questa: che mentre per il darvinismo si dimostra come l'immensa maggioranza dei nati - fra le piante, gli animali, gli uomini - è destinata a soccombere, perché solo una piccola minoranza resta vincitrice nella "lotta per l'esistenza"; il socialismo invece pretende che tutti debbano vincere questa lotta e niuno debba restare soccombente.
Ci sono parecchie risposte da dare.
La prima, è che nello stesso campo biologico della "lotta per l'esistenza" la sproporzione fra gli individui nati e quelli sopravviventi va sempre progressivamente attenuandosi, di mano in mano che si sale dai vegetali agli animali, dagli animali all'uomo.
Anzi questa legge di decrescente sproporzione fra "chiamati" ed "eletti" vale anche per le diverse specie di uno stesso ordine naturale.
Infatti nell'ordine vegetale ogni individuo genera ogni anno un numero sterminato di semi e di questi soltanto una infinitesima parte sopravvive. Nell'ordine animale diminuisce il numero dei nati di ogni individuo ed aumenta invece il numero dei sopravviventi. Sicché nell'ordine umano, minimo è il numero dei nati che ogni individuo può generare e de' nati la massima parte sopravvive.
Non solo, ma nell'ordine vegetale, come in quello animale ed umano, sono le specie inferiori e più semplici, le razze e le classi meno elevate che hanno negli individui una maggiore abbondanza riproduttiva e nelle generazioni una frequenza più rapida, per minore longevità degli individui.
Una felce produce milioni di sporule e vive poco tempo - mentre un palmizio fa poche decine di semi ogni anno ed ha vita secolare.
Un pesce produce molte migliaia di ova - mentre l'elefante o il chimpanzè fanno pochi figliuoli e vivono molti anni. Fra gli uomini, le razze selvaggie sono più prolifiche ed hanno scarsa longevità - mentre le razze civili hanno scarsa natalità e longevità maggiore.
Sicché, anche restando nel solo campo esclusivamente biologico, è evidente che la proporzione dei vincitori nella "lotta per l'esistenza" aumenta sempre più, sul totale dei nati, di mano in mano che dai vegetali si sale agli animali, dagli animali all'uomo e di mano in mano che dalle specie o varietà inferiori si sale alle razze o varietà superiori.
La stessa ferrea legge della lotta per l'esistenza va dunque di tanto progressivamente restringendo l'ecatombe dei vinti, di quanto si elevano complicandosi e perfezionandosi le forme della vita.
Sarebbe quindi un orrore l'opporre, senz'altro, al socialismo la legge darviniana della selezione naturale così come essa si manifesta nelle forme primitive della vita, senza tener conto invece della sua continua attenuazione, passando dai vegetali agli animali, dagli animali all'uomo, e nell'umanità stessa dalle razze primitive alle razze più progredite.
Sicché, rappresentando il socialismo una fase di progresso ulteriore nella vita dell'umanità, tanto meno ad esso si può opporre un'interpretazione così grossolana ed inesatta della legge darviniana.
Certo, della legge darviniana o meglio di questa sua
interpretazione "brutale" si è abusato dagli avversari del
socialismo, per tentare una giustificazione alla moderna
concorrenza individualista, che troppo spesso si riduce ad una
forma dissimulata di antropofagia e fa propria dello stato sociale
presente quella condizione dell'homo homini
lupusnaturale dell'uomo, prima del contratto di convivenza
sociale.
Ma l'abuso di un principio scientifico non è la prova della sua falsità: ché anzi serve di sprone a precisarne meglio l'indole ed i termini, per ottenerne una più esatta e completa applicazione pratica, come appunto sto facendo in questa dimostrazione di una perfetta armonia fra socialismo e darvinismo.
Ecco perché nella prima edizione del mio Socialismo e
criminalità (pag. 179 e segg.) io ho sostenuto che la lotta
per l'esistenza è legge immanente della umanità, come di tutti i
viventi, pur continuamente cambiando ed attenuandosi nelle sue
forme.
Tale è ancora il mio pensiero; contro quello di taluni socialisti, che credettero meglio di vincere quell'obbiezione opposta in nome del darvinismo, affermando che nella umanità la "lotta per l'esistenza" è una legge che deve perdere ogni valore ed ogni applicazione, una volta compiutasi la trasformazione voluta dal socialismo.
Una legge, cioè, che dominatrice tiranna di tutti i viventi, dai microbi alle scimmie antropoidi, dovrebbe spegnersi e cadere inerte ai piedi dell'uomo, quasi egli non fosse un anello indissolubile nella grande catena biologica.
Io invece sostenni e sostengo, che la lotta per la esistenza è legge inseparabile dalla vita e quindi anche dall'umanità; ma che essa, pur restando legge immanente ed assidua, si trasforma via via nel suo contenuto e si attenua nelle sue forme.
Nell'umanità primitiva la lotta per l'esistenza quasi non si distingue da quella combattuta fra gli altri animali: è la lotta brutale pel vitto quotidiano o per la femmina - giacché fame ed amore sono i due bisogni fondamentali e i due poli della vita - ed è contrastata quasi colla sola violenza muscolare. In una fase ulteriore, si aggiunge la lotta per la supremazia politica (nel clan, nella tribù, nel villaggio, nel Comune, nello Stato) e si combatte sempre meno coi muscoli e sempre più col cervello.
Nel periodo storico, l'umanità greco-latina combatte per
l'eguaglianza civile (abolizione della schiavitù); vince, ma
non posa, perché la vita è lotta; l'umanità medievale lotta per
l'uguaglianza religiosa, la conquista, ma non si ferma; e alla
fine del secelo scorso essa lotta per l'eguaglianza politica.
Ed ora dovrebbe arrestarsi e impaludare nello stato presente?
No; ora l'umanità lotta per l'eguaglianza economica, non
nel senso di eguaglianza materiale ed assoluta, ma in quello più
positivo che ho spiegato dianzi; e tutto fa prevedere, con
matematica sicurezza, che anche questa lotta sarà vinta, per dar
posto a nuove conquiste, a ideali nuovi per i nostri venturi.
E col variare successivo del contenuto o degli ideali della lotta per l'esistenza, continua la progressiva attenuazione dei metodi di lotta, che da violenta e muscolare si fa sempre più pacifica e intellettuale, malgrado i ritorni atavistici o le manifestazioni psicopatologiche delle violenze personali di individui contro società e di società contro individui.
Su questo mio concetto - che ha avuto recentemente una
splendida dimostrazione nella geniale opera di Novicow, il quale
però ha completamente dimenticata la lotta sessuale - io ritornerò più
ampiamente nel capitolo sull'avvenire morale
dell'umanità nella II edizione di Socialismo e
criminalità.
Per ora, mi basta aggiungere questa risposta alla obbiezione anti-socialista; che cioè, non solo la sproporzione fra nati e sopravviventi va sempre diminuendo, ma che la stessa "lotta per l'esistenza" cambia di contenuto e si attenua nei modi, per ciascuna fase successiva dell'evoluzione biologica e sociale.
Sicché il Socialismo può benissimo affermare che a tutti gli uomini devono assicurarsi le condizioni di un'esistenza da uomini - in cambio del lavoro dato alla collettività - senza per questo urtare contro la legge darviniana della sopravvivenza dei vincitori nella lotta per l'esistenza: giacché questa legge darviniana bisogna interpretarla ed applicarla esattamente nelle sue varie manifestazioni alla vita progressiva dell'umanità, in confronto alle epoche primitive di essa ed in confronto all'ordine inferiore di viventi, vegetali ed animali.
Non solo: ma lo stesso socialismo, scientificamente compreso, non esclude e non può escludere che sempre nella umanità vi siano dei perdenti nella lotta per l'esistenza.
Anche quest'argomento si attiene più direttamente ai rapporti
fra socialismo e criminalità, perché appunto da chi
sostiene che la lotta per l'esistenza è legge caduca nella umanità si
afferma, in conseguenza, che il delitto (forma anormale ed
antisociale di lotta per la vita, come il lavoro ne è la
forma normale e sociale) dovrà scomparire dalla terra e si
crede quindi di trovare una certa contraddizione fra il socialismo e
le dottrine dell'antropologia criminale sul delinquente nato, che
sono esse pure una derivazione del darvinismo.
Riserbandomi altrove un più ampio sviluppo della questione, posso frattanto riassumere così il mio pensiero di antropologo criminalista e di socialista insieme.
Anzitutto la scuola criminale positiva si occupa della vita presente - ed è quindi incontestabile la sua benemerenza nell'avere applicato allo studio del fenomeno criminoso il metodo della scienza sperimentale, deducendone l'assurdità ipocrita dei sistemi penali odierni, basati sul concetto di libero arbitrio e di colpa morale, ed attuati nei congegni del sistema cellulare, che chiamai e chiamo - una delle aberrazioni del secolo XIX - ; per sostituirvi la semplice segregazione degli individui, inadatti alla vita sociale per condizioni patologiche congenite od acquisite, permanenti o transitorie.
Ma poi, dire che col socialismo scomparirà ogni e qualunque forma di delitto, è un'affermazione determinata da generosa idealità sentimentale, ma non cimentata da rigorosa osservazione scientifica.
La scuola criminale positiva dimostra che il delitto è un fenomeno naturale e sociale - come la pazzia ed il suicidio - determinato dall'anormale costituzione organica e psichica del delinquente insieme alle influenze dell'ambiente fisico e dell'ambiente sociale. Fattori antropologici, fisici e sociali concorrono sempre indissolubilmente a determinare qualunque delitto, dal più lieve al più grave - come del resto ogni altro atto umano: e soltanto varia per ciascun delinquente e per ogni delitto l'intensità determinante di ciascun ordine di fattori.
Per esempio: nell'assassinio commesso per gelosia o per allucinazione, l'azione più forte spetta al fattore antropologico, senza per questo che si possa escludere l'azione dell'ambiente fisico e dell'ambiente sociale. Invece nei reati contro la proprietà od anche contro le persone per impeto di folla ammutinata o per alcoolismo ecc., l'intensità maggiore spetta all'ambiente sociale, senza per questo che se ne possa escludere l'influenza dell'ambiente fisico e del fattore antropologico.
Lo stesso ragionamento - per completare l'esame della obbiezione antisocialista fatta in nome del darvinismo - si può ripetere per le malattie comuni, sebbene anche il delitto del resto appartenga alla patologia umana.
Ogni malattia, acuta o cronica, infettiva o no, grave o leggera, è la risultante della costituzione antropologica dell'individuo e delle influenze dell'ambiente fisico e sociale. Soltanto per le diverse malattie varia l'intensità determinante delle condizioni personali o dell'ambiente; la tisi o la cardiopatia per esempio è una malattia che in massima parte dipende dalla costituzione organica individuale, pur concorrendovi la complicità dell'ambiente; ma la pellagra o il colera o il tifo o la cachessia palustre ecc. dipendono invece per la massima parte dalle condizioni sociali e fisiche dell'ambiente. Ecco perché la tisi fa strage anche fra le persone agiate e quindi ben nutrite e meglio alloggiate; mentre pellagra e colera mietono il massimo delle loro vittime fra i mal nutriti, cioè fra i poveri.
Ed allora è evidente, che col regime socialista della proprietà collettiva, assicurate ad ogni uomo le condizioni di esistenza da uomo, diminuiranno moltissimo e forse scompariranno - coll'aiuto poi delle continue scoperte scientifiche e della progrediente prevenzione igienica - le malattie determinate in massima parte dalle condizioni dell'ambiente e cioè da insufficiente nutrizione e riparo contro l'intemperie; ma non per questo scompariranno per esempio le malattie per trauma, la pazzia, le polmoniti ecc.
Egualmente deve dirsi del delitto: tolta la miseria e le inique disparità di condizioni economiche, certo e per la diretta mancanza dello stimolo della fame, acuta e cronica, e per la indiretta benefica influenza fisica e morale della migliore nutrizione e per le mancate occasioni di abuso del potere o della ricchezza, diminuiranno moltissimo e scompariranno quei delitti in massima parte occasionali, che dall'ambiente sociale ripetono la maggiore intensità determinante. Ma purtroppo non scompariranno, ad esempio, gli attentati al pudore per inversione sessuale patologica o gli omicidii per epilessia o i furti per degenerazione psicopatologica e via dicendo.
Allo stesso modo, col socialismo si farà più estesa e più intensa la coltura popolare, l'analfabetismo scomparirà, ogni ingegno avrà modo di svolgersi ed affermarsi liberamente; ma non per questo scompariranno gli idioti e gli imbecilli per condizione patologica ereditaria; sebbene anche sulle degenerazioni congenite (malattie comuni, delinquenza, pazzia, nevrosi) certamente avrà benefica influenza preventiva e mitigatrice il migliore ordinamento economico e sociale, unito alla guida sempre più chiaroveggente della biologia sperimentale e quindi della più frequente astensione personale dalla procreazione, nei casi di malattia ereditaria.
Vale a dire, in conclusione, che anche nel regime socialista - sebbene in proporzioni infinitamente minori - ci saranno sempre i vinti nella lotta per l'esistenza, sotto forma di deboli, di ammalati, di pazzi, di nevrotici, di delinquenti, di suicidi e perciò il socialismo non nega la legge darviniana della lotta per l'esistenza.
Ma con questa immensa superiorità, che le forme epidemiche o endemiche della degenerazione umana, fisica e morale, saranno completamente soppresse per la eliminazione della loro sorgente principale, che è la miseria fisica, e quindi morale, dei più.
Sicché, allora, la lotta per l'esistenza, pur rimanendo eterna forza propulsiva della vita sociale, si svolgerà in forme sempre meno brutali e più umane cioè intellettuali, e per ideali sempre più elevati cioè di miglioramento fisiologico e psichico sulla base feconda del pane quotidiano, per il corpo e per la mente, assicurato ad ogni uomo.
A questo proposito poi, della "lotta per la vita", non bisogna
dimenticare un'altra legge di darvinismo naturale e sociale, a cui
mentre hanno dato soverchia ed unilaterale importanza taluni
socialisti, d'altra parte invece hanno dato erroneo oblio molti degli
individualisti; voglio dire la legge della solidarietà fra gli esseri
viventi o della stessa specie - come fra gli animali viventi in
società per l'abbondanza del cibo comune (erbivori) od anche di
specie diverse, per quel fenomeno che i naturalisti chiamano
appunto di simbiosi, di accordo nella vita. È un eccesso
l'affermare che nella natura e nella società l'unica legge imperante
sia la lotta per la vita, come è un eccesso il dire che questa
legge non vale per l'umanità. La verità positiva è che anche nel
mondo umano è legge eterna la lotta per la vita, progressivamente
attenuantesi nei modi ed elevantesi negli ideali; ma accanto ad
essa, e più di essa, come determinante progressivamente più
efficace della evoluzione sociale, sta la legge della solidarietà o
cooperazione fra i viventi.
Nelle stesse società animali il mutuo
aiuto contro forze naturali avverse o contro specie viventi
nemiche, ha manifestazioni costanti e sempre più intense, che più
si svolgono nella specie umana, cominciando dalle stesse tribù
selvaggie; e massime in quelle che, per condizioni favorevoli
dell'ambiente, cioè per sicurezza ed abbondanza di sussistenze,
danno il tipo industriale o pacifico di società umana, anziché il
tipo militare o guerresco, che purtroppo predomina (appunto per
la non sicurezza o insufficienza della sussistenza) nella umanità
primitiva e nelle fasi di civiltà minore o regressiva; sebbene, come
Spencer dimostrava, esso tenda continuamente ad essere sostituito
dal tipo industriale.
Sicché, per rimanere nel solo mondo umano,
mentre ai primordi dell'evoluzione sociale, il predominio spetta
più alla legge della lotta per la vita che non alla legge della
solidarietà; di mano in mano invece che la divisione del lavoro e
quindi la connessità fra le parti cresce nell'organismo sociale, la
lotta per la vita si attenua e si trasforma e la legge di cooperazione
o di solidarietà acquista un impero progressivamente più intenso e
più esteso. E tutto questo, sempre, per la ragione fondamentale
indicata dal Marx e che costituisce la sua vera, grande scoperta
scientifica, cioè per la sicurezza oppur no delle condizioni di
esistenza e, prime fra esse, degli alimenti.
Dalla vita di un individuo a quella di più individui o di più società, sempre si verifica che quando le sussistenze, base fisica dell'esistenza, sono assicurate, la legge di solidarietà predomina su quella della lotta, e viceversa. Nel mondo selvaggio l'infanticidio e il parricidio diventano azioni non solo lecite ma doverose e santificate dalla religione, se una tribù vive nelle isole, dove le sussistenze scarseggiano (per es. nella Polinesia ecc.) e diventano azioni immorali e delittuose ne' continenti, dove le sussistenze sono più abbondanti e sicure. Così nel mondo presente, la mancata sicurezza del pane quotidiano per la massima parte degli uomini, rincrudisce ed abbrutisce anche le manifestazioni della lotta per la vita o della "libera concorrenza" come dicono gli individualisti.
Appena, colla proprietà collettiva, siano ad ogni uomo assicurate le condizioni di esistenza, prevarrà indubbiamente la legge di solidarietà.
Quello che ora si verifica in piccolo e per eccezione, che cioè quando in una famiglia gli affari vanno bene ed il pane quotidiano è sicuro anche l'accordo e la mutua benevolenza sono completi, mentre appena entra la miseria intervengono il disaccordo e la lotta; egualmente si verifica in grande nell'intera società, e si verificherà come regola costante in un migliore ordinamento futuro. Tale sarà la conquista del socialismo e tale, ancora una volta, è l'interpretazione più completa e più feconda, che col socialismo deve farsi delle inesorabili leggi naturali, scoperte dal darvinismo.
Anche la terza ed ultima obbiezione del ragionamento haeckeliano, mentre è esatta nei suoi termini tecnicamente biologici e darviniani, manca di base nell'applicazione che di essa vorrebbesi fare, nel campo sociale, contro il socialismo.
Si dice: la lotta per l'esistenza assicura la sopravvivenza dei migliori o dei più adatti e segue quindi un processo aristocratico di selezione individualista, anziché il democratico livellamento collettivista del socialismo.
Cominciamo, ancora una volta, dal precisare bene in che consista la famosa selezione naturale, frutto innegabile della lotta per l'esistenza.
L'espressione ripetuta da Haeckel e da tanti altri di
"sopravvivenza dei migliori o dei più adatti" deve essere corretta,
nel senso di escludere l'aggettivo migliori. Esso rappresenta
un residuo di quel teleologismo, per cui si ammetteva nella natura e
nella storia una finalità da raggiungere, mediante un continuo
miglioramento.
Il darvinismo invece e più ancora la teoria dell'evoluzione universale ha escluso ogni finalismo dal pensiero scientifico moderno e dalla interpretazione dei fenomeni naturali: l'evoluzione comprende anche l'involuzione e la dissoluzione. Può essere ed è che, nel risultato finale, comparando i due estremi nel cammino dell'umanità si trovi che realmente ci fu un progresso, un miglioramento complessivo; ma ad ogni modo questo non avviene per linea retta ascendente, ma, come disse Goethe, seguendo una spirale, con ritmi parziali di progresso e di regresso, di evoluzione e di dissoluzione.
Ogni ciclo di evoluzione, così nella vita individuale come nella vita collettiva, porta con sé i germi del corrispondente ciclo di dissoluzione; e viceversa questo, colla putrefazione della forma già esaurita prepara, nell'eterno laboratorio, nuove evoluzioni e nuove forme di vita.
Ecco perché nel mondo sociale umano, ogni fase di civiltà porta con sé e sviluppa sempre più i germi della propria dissoluzione, dalla quale una nuova fase di civiltà si evolve - più o meno cambiando di sede geografica - nel ritmo eterno della umanità vivente. Le antiche civiltà ieratiche dell'Oriente si dissolvono e risorgono nel mondo greco-romano, a cui succede la civiltà feudale ed aristocratica dell'Europa Centrale; dissoltasi essa pure per gli eccessi a cui era giunta, al pari delle civiltà precedenti, succede la civiltà borghese, più spiccata nel mondo anglo-sassone. Ma essa risente già i brividi della febbre di dissoluzione, mentre nasce e si evolve la civiltà socialista, che irradierà per più ampia parte del mondo che non ciascuna delle civiltà precedenti.
Non è dunque esatto il dire, che la selezione naturale
determinata dalla lotta per l'esistenza assicura la sopravvivenza
dei migliori; la realtà assicura la sopravvivenza dei più
adatti.
E la differenza è grandissima, così nel darvinismo naturale come nel darvinismo sociale.
La lotta per l'esistenza innegabilmente determina la sopravvivenza degli individui più adatti all'ambiente ed al momento storico in cui vivono.
Ora, nel campo biologico naturale, il libero gioco delle forze e delle condizioni cosmiche determina appunto una progressiva elevazione delle forme viventi, dal microbo all'uomo.
Nel campo umano invece, di quella che Spencer
chiama l'evoluzione superorganica, l'interferenza di altre
forze e di altre condizioni, determina talvolta una selezione a
rovescio, dissolutiva, che è sempre la sopravvivenza dei più
adatti ad uno speciale ambiente e momento storico, ma che
risente appunto le condizioni viziate - se tali sono - di questo
stesso ambiente.
Tale è la questione delle "selezioni sociali", che pure inesattamente taluni, socialisti e non socialisti, per prima impressione interpretarono nel senso di negare ogni applicabilità delle teorie darviniane alla società umana.
È noto infatti come nella umanità civile contemporanea la
selezione naturale sia viziata dal concorso della selezione
militare - matrimoniale - e soprattutto
economica.
Il celibato temporaneo imposto ai soldati esercita un'evidente influenza dannosa sulla razza umana, perché lascia a casa i più deboli a procreare, mentre espone i giovani più sani alla transitoria sterilità e, nelle grandi città, ai pericoli della sifilide, purtroppo non transitoria.
Così il matrimonio, aduggiato com'è nella civiltà presente dagli interessi economici, compie, per regola, una selezione sessuale a rovescio, perché le donne difettose o degenerate, ma con ricca dote, trovano più facilmente marito, che non le più robuste popolane o borghesi senza dote condannate ad isterilire nel celibato od a perdersi nella prostituzione più o meno dorata.
Nella vita sociale complessiva è poi incontestabile l'influenza delle odierne condizioni economiche, per le quali il monopolio della ricchezza assicura ai suoi possessori la vittoria nella lotta per l'esistenza, sicché i ricchi, anche se meno robusti, hanno vita più lunga dei mal nutriti; mentre per il lavoro inumano diurno e notturno imposto agli uomini adulti, e per quello anche più disastroso imposto alle donne e ai fanciulli dal capitalismo moderno, si degradano sempre più le condizioni biologiche della grande massa dei proletari.
A ciò si aggiunga pure la selezione morale a rovescio, per cui ora il capitalismo, nella lotta impegnata oramai col proletariato, favorisce la sopravvivenza dei servili, mentre perseguita e tenta spegnere gli individui di carattere e meno disposti a sopportare il giogo del presente ordinamento economico.
La prima impressione, determinata dalla constatazione di questi fatti, conduce a negare che la legge darviniana della selezione naturale abbia qualsiasi valore ed applicabilità nel mondo umano.
Ma io sostenni e sostengo invece, non solo che queste selezioni sociali a rovescio non contraddicono alla legge darviniana, ma che esse poi costituiscono un argomento ulteriore in favore del socialismo; il quale, per questa parte, reclama appunto e determinerà certamente un funzionamento più benefico della stessa legge inesorabile della selezione naturale.
Infatti, la legge darviniana non è "la sopravvivenza dei
migliori"; ma quella soltanto "dei più adatti".
Ora è evidente, che anche gli effetti degenerativi prodotti dalle selezioni sociali e specialmente, per il più largo campo di azione continuata, dall'ordinamento economico attuale, confermano ancora e sempre la sopravvivenza dei più adatti a questo stesso ordinamento economico.
Se i vincitori nella lotta per l'esistenza sono i peggiori o i più deboli, ciò non significa che la legge darviniana qui non trovi applicazione: significa soltanto che l'ambiente è viziato e in esso quindi sopravvivono quelli che ad esso più sono adatti.
Come nei miei studi di psicologia criminale, ho dovuto troppo
spesso constatare che nelle carceri o nel mondo criminale riescono
vincitori i più feroci o i più scaltri delinquenti, appunto perché
essi sono i più adatti a quell'ambiente viziato; così
nell'individualismo economico moderno, vince chi ha meno
scrupoli, la lotta per l'esistenza favorisce chi più è adatto
ad un mondo dove l'uomo vale per quello che ha (comunque
l'abbia avuto) e non per quello che è.
La legge darviniana della selezione funziona dunque anche
nel mondo umano; e l'errore di chi lo nega dipende dallo
scambiare l'attuale ambiente e momento storico - che nella storia
prende il nome di borghese, come quello medievale si
chiama feudale - con l'intera storia della umanità e nel non
vedere quindi che gli innegabili effetti disastrosi della odierna
selezione sociale a rovescio non sono anzi che la riconferma della
legge darviniana di "sopravvivenza dei più adatti".
L'osservazione popolare esprime questo fatto col proverbio - la
botte dà il vino che ha - e l'osservazione scientifica lo spiega coi
necessari rapporti biologici tra un determinato ambiente e gli
individui, che nascono, lottano e sopravvivono in esso.
Ma questo appunto costituisce un argomento perentorio in favore del socialismo; per il quale risanandosi l'ambiente dai vizii che ora lo deturpano per lo sfrenato individualismo economico, saranno necessariamente corretti anche gli effetti della selezione naturale e sociale. In un ambiente fisicamente e moralmente sano, sani saranno gli individui più adatti e perciò sopravviventi.
La vittoria nella lotta per l'esistenza sarà veramente assicurata, allora, a chi abbia maggiori e più feconde energie fisiche e morali e quindi l'ordinamento economico collettivista, assicurando ad ogni uomo le condizioni di esistenza, necessariamente dovrà migliorare la razza umana nel fisico e nel morale.
Ma, si riprende: ammesso pure che socialismo e selezione darviniana vadano d'accordo, non vedete che la sopravvivenza dei più adatti costituisce un processo aristocratico individualista, che va contro il livellamento socialista?
La risposta si ha, per una parte, nella osservazione fatta dianzi, sulla libertà assicurata col socialismo a tutti gli individui - e non soltanto a pochi privilegiati o fortunati, come ora - di affermare e svolgere la propria personalità. Sicché allora veramente l'effetto della lotta per l'esistenza sarà la sopravvivenza dei migliori, appunto perché in un ambiente normale è agli individui più normali che la vittoria è assicurata. Ed allora il darvinismo sociale non farà che continuare e rendere più fecondo di bene il darvinismo naturale.
Ma per altra parte, contro l'affermazione di una indefinita selezione aristocratica, bisogna ricordare un'altra legge naturale, che viene a completare quel ritmo di azione e reazione, onde si determina appunto l'equilibrio della vita.
Alla legge darviniana delle ineguaglianze naturali bisogna aggiungere quella legge correlativa e inseparabile da essa, che dopo Morel, Lucas, Galton, De Candolle, Ribot, Spencer, Madame Royer, Lombroso ecc. fu posta in massima luce dal Jacoby.
Quella stessa natura che fa della "scelta" e dell'elevamento aristocratico una condizione di progresso vitale, ristabilisce poi l'equilibrio con una legge livellatrice e democratica.
"Dall'immensità umana sorgono individui, famiglie, razze che tendono ad elevarsi sopra il livello comune; essi si inerpicano per le altezze dirupate, toccano il culmine - del potere, della ricchezza, dell'intelligenza, del genio - e una volta arrivati precipitano in basso e scompaiono negli abissi della pazzia e della degenerazione. La morte è la grande livellatrice; annientando tutto ciò che si eleva essa democratizza l'umanità".
Tutto ciò che tende a costituire un monopolio delle forze naturali, urta contro la legge suprema di natura, che a tutti i viventi ha dato l'uso e la disposizione degli agenti naturali: l'aria e la luce, come l'acqua e la terra.
Tutto ciò che si allontana o troppo al disotto o troppo al disopra della media umana - che varia elevandosi di epoca in epoca, ma che ha valore assoluto per ogni momento storico - non è vitale e si spegne.
Il cretino come il genio - l'affamato come il milionario - il nano come il gigante, sono mostri naturali o sociali e la natura li colpisce inesorabile colla degenerazione e la sterilità, siano essi il prodotto della vita organica o siano l'effetto dell'ordinamento sociale.
Ecco perché è destino inevitabile che tutte le famiglie aventi un qualche monopolio - o del potere o della ricchezza o del genio - si spengano negli ultimi degeneri rampolli, colpiti dalla demenza, dal suicidio, dalla sterilità. Stirpi aristocratiche, dinastie di sovrani, famiglie di genii artistici o scientifici, discendenze di milionari tutte seguono la legge comune, che viene, ancora una volta a confermare le induzioni, in questo senso egualitarie, della scienza e del socialismo insieme.
Nell'indice dell'opera il titolo di questo paragrafo è preceduto dalla seguente notazione: La filiazione del socialismo dal darvinismo: [n.d.c.]
Nessuna, dunque, delle tre pretese contraddizioni fra darvinismo e socialismo, affermate dall'Haeckel e ripetute da tanti altri resiste all'esame più sereno e sincero delle leggi naturali, che prendono il nome da Carlo Darwin.
Ma io voglio anzi aggiungere, che non solo il darvinismo non contraddice al socialismo; ma esso anzi ne costituisce una delle fondamentali premesse scientifiche; sicché, come acutamente vedeva il Virchow, il socialismo non è, per una parte che la logica e vitale filiazione del darvinismo, come per altra parte lo è dell'evoluzionismo spenceriano.
La teoria di Darwin, volere o no, dimostrando la discendenza
dell'uomo dagli animali, ha recato un grave colpo alla credenza in
Dio, creatore dell'universo e dell'uomo con un fiat
Vero è che Darwin non si disse ateo e non lo è Spencer; e rigorosamente tanto la teoria di Darwin come quella di Spencer possono anche conciliarsi colla credenza in Dio; perché si può ammettere che Dio abbia creato la materia e la forza e queste poi siansi svolte in forme successive, seguendo l'impulso creatore iniziale. Ma è innegabile però che quelle teorie avendo resa sempre più inflessibile ed universale la idea di causalità naturale, conducono inevitabilmente alla negazione di Dio, perché contro quest'idea rimane sempre da domandare: - e Dio chi l'ha creato? Alla risposta di ripiego - che Dio ha sempre esistito, si contrappone la stessa risposta dicendo - che l'universo è sempre esistito. - Secondo l'osservazione di Ardigò, il pensiero umano non può concepire che la catena risalente dagli effetti alle cause possa arrestarsi in un dato punto convenzionale.
Dio, come diceva Laplace, è un'ipotesi che non occorre alla
scienza positiva e tutt'al più, secondo Herzen, è un X, che
riassume in sé non già l'inconoscibile - come dicono
Spencer e Duboys Reimond - ma tutto ciò che non è ancora
conosciuto dall'umanità. Ed è quindi un X mobile, che di tanto
indietreggia e si restringe, di quanto si avanzano le scoperte della
scienza.
Ed ecco perché scienza e religione procedono in ragione inversa, di tanto l'una affievolendosi e atrofizzandosi, di quanto l'altra si estende e si rafforza nella lotta contro l'ignoto.
Orbene, se questo è uno degli effetti del darvinismo, il contraccolpo suo sullo sviluppo del socialismo è troppo evidente.
Tolta la fede nell'oltre tomba, dove i poveri sarebbero gli eletti del Signore e le miserie di questa "valle di lagrime" troverebbero eterno compenso nel paradiso, è naturale che si ravvivi il desiderio di un po' di "paradiso terrestre" anche per i miserabili ed i meno fortunati, che sono i più, e su questa terra.
Anche all'infuori del socialismo, Hartmann e Guyau notavano che l'evoluzione delle credenze religiose si verifica in questo senso: che mentre tutte le religioni hanno per loro contenuto la promessa della felicità, le religioni primitive però ammettono la realizzazione di questa felicità nella stessa vita dell'individuo, d'onde le religioni successive la trasportano, per eccesso di reazione, fuori del mondo umano, nell'oltre tomba; mentre nella fase definitiva, questa realizzazione della felicità si ripone nuovamente nella vita umana, ma non più nel breve attimo dell'esistenza individuale, bensì nella permanente evoluzione dell'intera umanità.
Sicché il socialismo anche per questo lato si riconnette
all'evoluzione religiosa e tende a sostituirla, poiché esso appunto
vuole che la umanità abbia in sé stessa il proprio "paradiso
terrestre," senza aspettarlo in un al di là, che per lo meno è
molto problematico.
Ed ecco perché tutti hanno rilevato come il movimento socialista abbia molti caratteri somiglianti a quelli, per es., del primitivo cristianesimo, anche per l'ardore della fede nell'ideale, che ha ormai disertato l'arido campo dello scetticismo borghese: sicché parecchi scienziati, anche non socialisti, come Wallace, Laveleye, De Roberty ecc. ammettono che il socialismo possa perfettamente sostituire colla sua fede umanitaria la fede ultramondana delle vecchie religioni.
Ma i rapporti più diretti ed efficaci sono pur sempre quelli tra socialismo e credenza in Dio.
Vero è che il socialismo marxista dopo il Congresso dei
socialisti a Erfurt (1891) dichiara giustamente che
le credenze religiose sono un affare di coscienza privata e quindi il partito
socialista combatte ogni forma di intolleranza per motivo
religioso sia contro cattolici sia contro ebrei, come io rilevai
anche in un articolo contro l'antisemitismo. Ma
questa superiorità di vedute, in sostanza, non
è che l'effetto della sicurezza di una vittoria finale.
Appunto perché il socialismo sa e prevede che le credenze religiose, se non come fenomeni patologici della psicologia umana, quali le qualificò il Sergi, certo come inutili fenomeni di incrostazione morale, sono destinate ad atrofizzarsi di fronte al divulgarsi della coltura naturalistica, anche soltanto elementare; appunto per questo il socialismo non sente la necessità di combattere in modo speciale le stesse credenze religiose, destinate a perire. E ciò, per quanto esso sappia pure che una delle molle più potenti in suo favore è appunto la mancata o diminuita credenza in Dio, per la quale i sacerdoti di tutte le religioni sono stati, in tutte le fasi storiche, gli alleati più potenti delle classi dominanti nel mantenere le turbe prone al giogo, per il fascino religioso, come le belve sotto la scudisciata del domatore.
Ed ecco perché i conservatori più chiaroveggenti, anche se atei per conto loro, lamentano che il sentimento religioso - questo narcotico preziosissimo - vada scadendo fra le masse, intendendolo essi, utilitariamente e farisaicamente se anche non lo dicono, come uno strumento di dominazione politica.
Disgraziatamente però, o fortunatamente, il sentimento religioso non si può ristabilire per decreto di re o di presidenti di repubblica. Esso va spegnendosi non per colpa di Tizio o di Caio e senza bisogno di una propaganda speciale, perché è nell'aria che respiriamo - pregna di induzioni scientifiche sperimentali - che esso non trova più le condizioni della propria esistenza, che trovava invece così favorevoli nella ignoranza mistica dei secoli scorsi.
Ed è così dimostrata la diretta influenza della scienza positiva moderna - sostituente il concetto di causalità naturale a quello del miracolo e della divinità - nello sviluppo rapidissimo e nel fondamento sperimentale del socialismo contemporaneo.
Il secondo punto, per cui si dimostra la filiazione diretta del socialismo scientifico dal darvinismo, sta nel diverso modo di concepire l'individuo di fronte alla specie.
Il secolo XVIII si chiudeva colla glorificazione esclusiva
dell'individuo, dell'uomo - come entità per sé stante - e non
era, nelle opere del Rousseau, che un benefico eccesso di reazione
contro la tirannide politica e sacerdotale del Medio Evo.
Conseguenza diretta di questo individualismo è quell'artificialismo politico, di cui mi occuperò fra poco, esaminando i rapporti della teoria dell'evoluzione col socialismo, e che è comune tanto ai governanti del regime borghese quanto agli anarchici individualisti poiché gli uni e gli altri credono che l'ordinamento sociale possa cambiarsi dall'oggi al domani, per il tocco magico di un articolo di legge o per lo scoppio più o meno omicida di una bomba.
La biologia moderna invece ha radicalmente cambiato questo
concetto dell'individuo ed ha dimostrato, così nel campo
della biologia come in quello della sociologia, che l'individuo, da
un lato, non è esso stesso che l'aggregrato di elementi vitali più
semplici, e per un altro lato, che l'individuo per sé stante
(selbstwesengliedwesen).
Tutto ciò che vive, è un'associazione, una collettività.
La stessa monèra, la stessa cellula vivente, che è
l'espressione irreducibile dell'individualità biologica, è essa stessa
un aggregato di parti diverse (nueleo, nuclèolo, protoplasma)
ciascuna delle quali, alla sua volta, è l'aggregato di molecole, che
sono aggregati di atomi.
L'atomo solo esiste, come individuo; ma l'atomo è invisibile ed impalpabile e l'atomo non vive.
Tutto ciò che vive è un'associazione, una collettività.
E di mano in mano che dai protisti si sale nella serie zoologica fino all'uomo, aumenta sempre più la complessità dell'aggregato, la federazione delle parti.
Poiché, come alla metafisica dell'individualismo corrisponde l'artificialismo giacobino, unificatore ed uniformatore, così alla positività del socialismo corrisponde il concetto del federalismo nazionale ed internazionale.
Come l'organismo di un mammifero non è che federazione di tessuti, di organi, di apparecchi, così l'organismo di una società non può essere che una federazione di comuni, di provincie, di regioni: come l'organismo dell'umanità non può essere che una federazione di nazioni.
E come sarebbe assurdo concepire un mammifero di cui si dovesse movere p. es. la testa uniformemente alle estremità e le estremità tutte insieme; così è assurdo un ordinamento politico ed amministrativo, in cui p. es. l'estrema provincia del nord o della montagna debba avere gli stessi ingranaggi burocratici, la stessa rete di leggi, gli stessi movimenti della estrema provincia del sud o della pianura, per solo amore di simmetrica uniformità, che è l'espressione patologica dell'unità.
Lasciando da parte queste considerazioni politiche, per le quali, come dissi altrove, l'ordinamento solo possibile per l'Italia, come per ogni altro paese, parmi di unità politica con federalismo amministrativo; resta frattanto evidente che alla fine del secolo XIX l'individuo, come entità per sé stante, si trova detronizzato, nel campo della biologia come in quello della sociologia.
L'individuo esiste: ma solo in quanto fa parte di un aggregato sociale.
Robison Crosuè - l'espressione genuina dell'individualismo - non può essere che una leggenda od un caso patologico.
La specie - cioè l'aggregato sociale - è la grande, viva ed eterna realtà della vita, quale il darvinismo ha dimostrato e con esso confermano tutte le scienze positive, dall'astronomia alla sociologia.
Sicché, mentre alla fine del secolo XVIII Rousseau diceva che
l'individuo solo esiste e la società è un prodotto artificiale del
"contratto sociale" e - attribuendo (come già Aristotele per la
schiavitù) carattere umano permanente alle manifestazioni
transitorie del momento storico di putrefazione dell'antico regime
in cui egli visse - diceva che la società era la causa di tutti i mali,
mentre gli individui nascono tutti buoni ed uguali; alla fine invece
del secolo XIX tutte le scienze positive si accordano nel dire che
la società, l'aggregato è un fatto naturale ed insuperabile dalla vita,
così nelle specie di vegetali come in quelle animali, dalle prime
"colonie animali" dei zoofiti sino alla società dei mammiferi
(erbivori) e dell"uomo.
E tutto quello che l'individuo ha di migliore in sé, lo deve appunto alla vita sociale, per quanto ciascuna fase di evoluzione sia segnata da condizioni patologiche e finali di putrefazione sociale che sono però essenzialmente transitorie e preludono fatalmente ad un nuovo ciclo di rinnovamento sociale.
L'individuo, come tale, se potesse vivere, vivrebbe obbedendo
ad un solo dei due bisogni ed istinti fondamentali dell'esistenza,
l'alimentazione - cioè la conservazione egoistica del proprio
organismo, mediante quella primordiale e fondamentale funzione,
che già Aristotele segnalava col nome di ctèsì - di
conquista del cibo.
Ma ogni individuo deve vivere in società, appunto perché a
lui si impone il secondo bisogno ed istinto fondamentale della
vita, la riproduzione di esseri simili a sé, per il mantenimento
della specie ed è da questa vita di relazione e di riproduzione
(sessuale e sociale) che nasce appunto il senso morale o sociale,
per cui l'individuo impara non solo ad esistere ma a
coesistere coi suoi simili.
Si può anzi dire che questi due istinti fondamentali della vita - pane ed amore - compiono una funzione di equilibrio sociale nella vita degli animali e specialmente dell'uomo.
L'amore è, per il maggior numero di uomini, la principale dispersione fisiologica e psichica delle forze accumulate, più o meno abbondantemente col pane quotidiano e risparmiate dal lavoro quotidiano o rimasto intatte nell'ozio parassitico.
Non solo; ma l'amore è l'unica gioia che veramente abbia
carattere universale ed egualitario sicché esso è anche detto dal
popolo "il paradiso dei poveri"; i quali appunto sono dalle religioni
spinti a goderne senza limiti - crescite et
multiplicamini
Siccome però a questo effetto dell'istinto sessuale corrisponde
indissolubilmente l'altro dell'aumento di popolazione, così la
immobilizzazione di un dato ordine sociale è frustrata dalla
pressione appunto della popolazione, che nel nostro secolo si
acutizza pel fenomeno caratteristico del proletariato - e
l'evoluzione sociale procede quindi inesorata e fatale.
Ad ogni modo, ritornando all'argomento, questo rimane innegabile: che, mentre alla fine del secolo XVIII si pensava che la società fosso fatta per l'individuo, - e da questo poté derivare, come ripercussione forse imprevedibile, che milioni d'uomini potessero e dovessero vivere lavorando soffrendo a beneficio soltanto di pochi individui - ; alla fine invece del nostro secolo, le scienze positive hanno dimostrato che, invece, è l'individuo che vive per la specie, questa sola essendo la realtà eterna della vita.
D'onde spicca evidente tutto l'indirizzo del pensiero scientifico moderno in senso sociologico o socialista, contro l'individualismo esagerato, lasciato in retaggio dal secolo scorso.
Certo, la biologia dimostra che non si deve cadere nell'eccesso opposto - in cui cadde qualche scuola di socialismo utopistico e di comunismo - di non vedere poi che la sola società, per dimenticare completamente l'individuo. È un'altra legge biologica infatti che la esistenza dell'aggregato è la risultante della vita di tutti gli individui, come la esistenza di un individuo è la risultante della vita delle cellule onde si compone.
Ma resta ad ogni modo dimostrato, come il socialismo scientifico che segna la fine del nostro secolo e irradierà l'alba del secolo XX, sia in perfetto accordo coll'indirizzo del pensiero moderno anche in questo punto fondamentale del predominio dato alle esigenze vitali della solidarietà collettiva o sociale di fronte alle esagerazioni dommatiche dell'individualismo, che segnò un potente e fecondo risveglio alla fine del secolo scorso, ma che attraverso alle manifestazioni patologiche della sfrenata concorrenza, giunge fatalmente alle esplosioni "libertiste" dell'anarchismo, predicante "l'azione individuale" con oblio completo della solidarietà sociale ed umana.
Ed è così che si arriva all'ultimo punto di contatto e d'intima connessione fra darvinismo e socialismo.
Il darvinismo ha dimostrato, che tutto il meccanismo dell'evoluzione animale consiste nella lotta per l'esistenza da una parte fra individuo ed individuo di una medesima specie e dall'altra parte fra specie e specie nell'intiero mondo dei viventi.
Così tutto il meccanismo dell'evoluzione sociale fu dal
socialismo marxista ridotto alla legge della lotta di classe,
concentrando in questa non solo l'attenzione come segreto
movente e sola spiegazione positiva della storia umana, ma
l'ideale e la rigida norma disciplinatrice del socialismo politico,
sottraendolo così a tutte le incertezze elastiche, vaporose,
inconcludenti del socialismo sentimentale.
La storia della vita animale non trovò la sua spiegazione
positiva che nella grande legge darviniana della lotta per
l'esistenza - per la quale soltanto si possono determinare le
cause naturali del nascere, dell'evolversi e dello spegnersi delle
specie vegetali ed animali, dalle epoche paleontologiche fino a
noi. Così la storia della vita umana non trovò la sua spiegazione
che nella grande legge marxista della lotta di classe - per la
quale soltanto gli annali della umanità primitiva, barbara e civile
cessano di essere un capriccioso, superficiale caleidoscopio di
episodi individuali per divenire un dramma grandioso e fatale,
determinato - coscientemente o incoscientemente, nei
minimi dettagli come nelle catastrofi gigantesche - dal
fatale animatore delle condizioni economiche, che sono la
base fisica e perciò imprescindibile della vita, e della lotta di
classe per la conquista e la conservazione della forza
economica, da cui tutte le altre (la forza
politica-giuridica-morale) necessariamente dipendono.
Di questo grandioso concetto, che forma la gloria imperitura di Carlo Marx - e gli assegna nella sociologia il posto che Darwin ha nella biologia e Spencer nella filosofia naturale - avrò occasione di parlare più innanzi, delineando appunto i rapporti fra sociologia e socialismo.
Per ora è opportuno soltanto rilevare quest'altro accordo fra
darvinismo e socialismo, in ciò che la espressione lotta di
classe, mentre può avere una prima impressione di antipatia
(che io pure confesso di avere avuto, quando ancora non avevo
compreso lo spirito scientifico della teoria marxista) racchiude
invece, nel suo vero significato, la legge prima della storia umana
e può quindi essere, essa sola, la norma sicura per l'avvento della
nuova fase di evoluzione, che il socialismo prevede ed affretta.
Lotta di classe, vuol dire che la società umana come ogni altro organismo vivente non è un tutto omogeneo, la somma indistinta di un numero più o meno grande d'individui; ma è invece un organismo vivente, risultante dall'aggregato di parti diverse e sempre più diverse per quanto più alto è il grado della evoluzione sociale.
Come un protozoo è composto quasi di sola gelatina albuminosa, mentre un mammifero è composto di tessuti diversissimi tra loro; così una tribù acefala dei selvaggi più primitivi è composta solo di poche famiglie, viventi piuttosto in aggregazione di vicinanza materiale, mentre una società civile del mondo storico o contemporaneo si compone di classi sociali diverse tra loro, sia per la costituzione fisio-psichica degli stessi componenti, sia per il complesso delle abitudini, delle tendenze, della loro esistenza personale, famigliare, sociale.
Queste varie classi possono essere rigidamente catalogate
come nell'antica India, dal bramino al sudra od anche
nell'Europa medioevale, dall'imperatore e dal pontefice al
feudatario, al vassallo, all'artigiano, per modo che fra l'una e l'altra
classe non sia ammesso lo scambio degli individui, che per solo
azzardo di nascita vi appartengono; oppure possono perdere
l'etichetta legale, come accadde in Europa ed America dopo la
Rivoluzione francese, ed ammettere quindi, come rara eccezione,
lo scambio ed il passaggio degli individui dall'una all'altra - come
delle molecole chimiche ne' fenomeni di esosmosi e di
endosmosi o, secondo l'espressione del Dumont per un fenomeno
di "capillarità sociale"". Ma sempre, ad ogni modo, queste varie
classi esistono come realtà innegabile e ribelle ad ogni
livellamento di superficie giuridica, per quanto permane la
ragione fondamentale della loro varietà.
È appunto Carlo Marx che questa ragione ha, più lucidamente di ogni altro, indicata e comprovata e confermata entro il crogiuolo della osservazione sociologica, nella diversità delle condizioni economiche.
Varieranno i nomi, gli atteggiamenti, i fenomeni di ripercussione per ogni fase di evoluzione sociale, ma sempre il fondo tragico della vita umana sta nel contrasto tra chi detiene il monopolio dei mezzi di produzione - e sono i meno - e chi invece ne è spossessato - e sono i più.
Guerrieri e pastori, nelle società primitive,
appena verificatasi l'appropriazione prima famigliare e poi
individuale della terra sul collettivismo iniziale; patrizi e
plebei - feudatari e vassalli - nobili e popolani -
borghesi e proletari: sono tutte indicazioni diverse di un
identico fatto: il monopolio della ricchezza da una parte, il lavoro
produttore dall'altra.
Orbene la grande importanza della legge marxista - lotta di
classe - sta precisamente nell'indicare, con evidente precisione,
in che cosa veramente stia il punto vitale della questione
sociale e per qual metodo si possa giungere a risolverla.
Finché la base economica della vita politica, giuridica, morale
non era affermata con evidenza positiva, le aspirazioni dei più ad
un miglioramento sociale vagarono incerte nella domanda e nella
conquista parziale di qualche strumento accessorio, come
libertà di culto, suffragio politico, istruzione pubblica e via
dicendo. E non si nega che tali conquiste siano state di grande
utilità.
Ma il sancta sanctorum
Ora che il socialismo, anche prima di Marx ma non mai con tanta precisione scientifica, ha indicato nell'appropriazione individuale nella proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione, il punto vitale della questione - ora il problema è posto preciso, netto, inesorabile nella coscienza dell'umanità contemporanea.
Quale il metodo per abolire questo monopolio del potere economico e la conseguente serie di dolori e di mali e di odii e di iniquità?
Ecco il metodo della lotta di classe, che partendo dal
dato positivo che ogni classe tende a conservare ed accrescere i
vantaggi ed i privilegi conquistati, insegna alla classe priva del
potere economico, che per giungere a conquistarlo la lotta (e dei
modi di questa lotta ci occuperemo in seguito) deve essere da
classe a classe, non da persona a persona.
Odiare, oltraggiare, sopprimere questo o quello individuo,
appartenente alla classe dominante, non fa progredire di un
millesimo la soluzione del problema, ma la ritarda anzi per la
reazione del sentimento comune contro la violenza personale,
mentre offende il principio di rispetto alla persona umana
che il socialismo proclama alto, per tutti e contro tutti.
E non giova alla soluzione del problema, perché la presente condizione anormale - fattasi più acuta - miseria di molti e godimento di pochi - non è l'effetto dela cattiva volontà di questo o di quell'individuo.
Anche per questo lato, infatti, il socialismo, è in pieno eloquente accordo colla scienza positiva, che nega il libero arbitrio nell'uomo e studia l'attività umana, individuale e collettiva, come l'effetto necessariamente determinato dalle condizioni di razza e di ambiente, insieme.
Delitto, suicidio, pazzia, miseria non sono il frutto del libero arbitrio, della colpa individuale, come predica lo spiritualismo metafisico; né è frutto del libero arbitrio, non è colpa individuale del capitalista se il lavoratore è male retribuito, disoccupato, miserabile.
Ogni fenomeno sociale è la risultante necessaria delle condizioni storiche e dell'ambiente; e nel mondo moderno la facilità e frequenza dei rapporti per ogni parte della terra ha reso anche più serrata la dipendenza di ciascun fatto - o economico o politico o giuridico o morale o artistico o scientifico - dalle condizioni le più lontane e le più indirette della vita mondiale.
Dato l'ordinamento attuale della proprietà privata senza limiti di eredità famigliare e di accumulamento personale; data la continua e sempre più completa applicazione delle scoperte scientifiche al lavoro umano di trasformazione della materia; dato il telegrafo ed il vapore; dato il torrente sempre più straripante delle migrazioni umane - è inevitabile che la esistenza di una famiglia di contadini o di operai o di piccoli commercianti sia legata ai fili invisibili ma inesorabili della vita mondiale, per cui il raccolto del cotone o del caffè o del grano nei paesi più lontani si ripercuote per ogni parte del mondo civile così come l'aumento o la depressione delle macchie solari è un coefficiente delle periodiche crisi agricole e influisce direttamente sul destino di milioni di uomini.
In questo grandioso concetto scientifico della "unità delle forze fisiche" secondo l'espressione del padre Secchi o della solidarietà universale, com'è più ammissibile il meschino concetto infantile del libero arbitrio e dell'individuo, che sarebbero la causa dei fenomeni umani?
Se un socialista si mettesse in testa, sia pure, a scopo di beneficenza, di istituire un opificio industriale per dar lavoro a dei disoccupati e producesse un manufatto, abbandonato dalla moda o dalla necessità del consumo generale, evidentemente sarebbe costretto al fallimento, malgrado le sue intenzioni filantropiche, per la sanzione muta ma inevitabile delle leggi economiche.
Oppure se un socialista volesse dare agli operai del suo stabilimento un salario doppio o triplo del salario corrente, evidentemente incontrerebbe lo stesso destino, per la stessa inesorabile sanzione delle leggi economiche, perché o dovrebbe vendere la merce a perdita o dovrebbe tenerla invenduta nei magazzini, quando il suo prezzo, a qualità pari, fosse superiore a quello del mercato.
Egli sarebbe ridotto al fallimento e il mondo non gli darebbe
altro conforto che di dirlo un buon uomo: parola, che
nell'odierna fase di "moralità mercantile" ha anche un doppio
significato.
All'infuori, dunque, dei rapporti più o meno personalmente cordiali fra capitalista e lavoratore, la loro rispettiva condizione economica è determinata fatalmente dall'ordinamento attuale, secondo la legge del sopra-lavoro, con cui Marx spiegava irrefutabilmente come il capitalista possa accumulare ricchezze senza lavorare - sol perché il lavoratore produce in ogni giornata di lavoro un equivalente di ricchezza superiore al salario ricevuto - soprappiù di prodotto che va quindi a beneficio gratuito del capitalista, anche quando se ne volesse detrarre il salario di un suo lavoro intellettuale di direzione tecnica ed amministrativa.
La terra abbandonata al sole ed alla pioggia, da sola non produce grano né vino. I minerali non escono per sé soli dalle viscere dei monti. Un sacco di marenghi lasciato in una cassa forte, non produce dei marenghi, come una mucca fa dei vitelli.
La produzione della ricchezza non avviene se non per una
trasformazione della materia operata dal lavoro umano. Ed è solo
perché il contadino coltiva i campi, il minatore estrae il minerale,
l'operaio move le macchine, il chimico sperimenta nel suo
gabinetto, l'ingegnere inventa una macchina, e via via, che il
proprietario od il capitalista senza aver fatto niente per ereditare
da suo padre un patrimonio e senza nessuna fatica se egli resta
assente dalla sua proprietà, può vedersi ogni anno
assicurato un prodotto, che altri produce per lui in cambio di un
misero abituro e di uno scarso pane, avvelenato il più delle volte
dai miasmi delle risaie o delle paludi, dai gas delle miniere e delle
officine, insufficiente sempre ad una esistenza degna di creature
umane.
Ed anche nel regime della perfetta mezzadria - che si dice una forma di socialismo pratico - resta sempre a domandarsi per quale miracolo il proprietario che non lavora vede arrivarsi a casa il grano e l'olio e il vino in quantità sufficiente per farlo vivere comodamente, mentre il mezzadro ogni giorno, dà il suo lavoro per strappare alla gran madre Terra l'alimento per sé e per gli altri.
Nella mezzadria vi è di meno doloroso la sicurezza tranquilla di arrivare a fine d'anno, senza gli spasimi della disoccupazione, cui sono condannati i lavoratori avventizi delle campagne e delle città. Ma nella sostanza il problema rimane inalterato e c'è sempre uno che vive bene senza lavorare, perché dieci vivono male lavorando. Tale è l'ingranaggio della proprietà privata e tali ne sono gli effetti al di fuori e contro la stessa volontà degli individui.
Vano quindi e sterile riesce ogni tentativo contro questo o
quell'individuo: è l'orientazione della società che bisogna
cambiare, è la proprietà individuale che bisogna abolire; non colla
spartizione come volgarmente si dice e che sarebbe forma
più acuta e più meschina di proprietà privata, mentre un anno
dopo, persistendo quella orientazione individualista, si
ritornerebbe allo status quo
Ma abolizione della proprietà privata o individuale sostituendovi la proprietà collettiva e sociale della terra e dei mezzi di produzione: sostituzione del resto, che mentre non si può fare per decreto, dall'oggi al domani, come molti ci accusano di volere, viceversa si va già compiendo di giorno in giorno, di ora in ora, in modo diretto e in modo indiretto.
In modo diretto: perché la civiltà segna appunto una continua sostituzione di proprietà e funzioni sociali a quelle, che prima erano proprietà o funzioni individuali. Le strade, le poste, le ferrovie, i musei, l'illuminazione urbana, l'acqua potabile, l'istruzione e via via, che fino a poche decine di anni fa erano proprietà o funzioni private, sono divenute proprietà o funzioni sociali: e sarebbe assurdo il pensare che questo processo diretto di socializzazione dovesse arrestarsi proprio ora, invece che accelerarsi progressivamente, come tutto si va accelerando nella vita moderna.
In modo indiretto: come effetto ultimo dell'individualismo
economico, che prese il nome di borghese dai bravi
borghigiani che nel Medio Evo vissero nei borghi sottostanti al
castello feudale ed alla chiesa parrocchiale - simboli della classe
allora dominante - e preparati da un lavoro fecondo e cosciente e
dalle condizioni storiche, che cambiarono la orientazione
economica del mondo (come la scoperta dell'America) fecero la
loro rivoluzione alla fine del secolo XVIII, per cui conquistarono
il potere, segnando pagine d'oro nella storia del mondo
civile colle epopee nazionali, coi miracoli della scienza applicata
all'industria... ma che segnano ora la parabola discendente e danno
sintomi evidenti di una dissoluzione, senza della quale del resto
non sarebbe possibile il rinnovamento di una nuova fase sociale.
L'individualismo economico, portato alle ultime conseguenze, determina necessariamente l'accentramento progressivo della proprietà in un numero sempre più ristretto di persone.
Il "miliardario" è parola nuova, propria soltanto del secolo XIX, ed esprime in proporzioni più evidenti questo fenomeno, che il George riduceva alla legge storica dell'individualismo economico - per cui i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri.
Ora è evidente che quanto più è ristretto il numero dei detentori della terra e dei mezzi di produzione, tanto più facile riesce la loro sostituzione con o senza indennizzo personale - per parte di un solo proprietario, il quale è e non può essere, che la società.
La terra è la base fisica dell'organismo sociale. È assurdo quindi che essa appartenga a pochi individui e non a tutta la collettività sociale: come sarebbe assurdo, che appartenesse al monopolio di pochi proprietari l'aria da respirare.
E questo è l'intento supremo del socialismo. Ma adesso evidentemente non si può giungere prendendo di mira questo o quel proprietario, questo o quel capitalista.
È anche questo un metodo individualista di lotta, che è destinato a rimanere sterile o per lo meno esige uno sperpero immenso di forze per ottenere scarsi risultati e parziali e provvisorii.
Ecco perché quando io vedo degli uomini politici affannarsi in una protesta quotidiana od anedottica, in una lotta personalista - a cui del resto le assemblee ed il pubblico si abituano e si adagiano per la stessa monotona continuità sua - mi par di vedere un igienista fantastico, che volesse rendere abitabile una palude uccidendo le zanzare, una per una, a colpi di revolver, invece di proporsi come metodo e mèta la bonifica intera della intera plaga miasmatica.
Non dunque lotte o violenze personali, ma lotta di classe: nel senso di dare alla classe immensa dei lavoratori di ogni arte o professione, la coscienza di queste verità fondamentali e quindi dei loro interessi di classe contrapposti agli interessi della classe che detiene il potere economico, per giungere colla organizzazione cosciente alla conquista di questo potere economico col mezzo degli altri poteri pubblici, che la civiltà contemporanea ha assicurato ai popoli liberi. Sebbene sia prevedibile, che in ogni paese la classe dominante, prima di cedere, restringerà e rinnegherà anche le pubbliche libertà, che le erano innocue quando adoperate dai lavoratori non costituiti in partito di classe, ma ipnotizzati e distratti al seguito di altri partiti puramente politici, altrettanto radicali nelle questioni accessorie quanto profondamente conservatori nella questione fondamentale dell'ordinamento economico e della proprietà.
Lotta di classe, dunque: lotta da classe a classe; e lotta, s'intende, coi metodi che dirò fra poco, a proposito dei quattro modi di trasformazione sociale: evoluzione - rivoluzione - rivolta - violenza personale. Ma, frattanto, lotta di classe in senso darviniano, ripetendosi nella storia umana il grandioso dramma della lotta per la vita fra specie e specie, anziché immiserirsi fino al pugilato selvaggio ed insignificante fra individuo e individuo.
Fermiamoci a questo punto: perché lo stesso argomento dei rapporti fra darvinismo e socialismo ci porterebbe anche più lontano, sempre nel senso di eliminare ogni pretesa contraddizione fra l'una e l'altra corrente del pensiero scientifico moderno e di confermarne invece il più intimo, naturale, indissolubile accordo.
Ecco perché all'acuta preveggenza del Virchow risponde esattamente il riscontro storico di Leopold Iacoby.
"Nello stesso anno in cui comparve il libro di Darwin
(1859) da una direzione del tutto differente
veniva verso la stessa mèta data la spinta ad un importantissimo
svolgimento nella scienza sociale, da un lavoro che rimase per
molto tempo inosservato, lavoro che porta per titolo: Critica
dell'economia politica di Carlo Marx - e che fu il precursore
dell'opera Il Capitale.
"Ciò che il libro di Darwin sull'origine delle specie
è per la genesi e l'evoluzione della natura incosciente
giungendo fino all'uomo, lo è l'opera di Marx per la genesi e
l'evoluzione della comunità degli individui umani, degli Stati e
delle forme sociali dell'umanità".
Ed ecco perché la Germania contemporanea come è stata il campo più fecondo per lo sviluppo delle teorie darviniane, così lo è anche per la propaganda cosciente, disciplinata, irremovibile delle idee socialiste.
Ed ecco perché, giustamente, a Berlino, nelle vetrine librarie di propaganda socialista, le opere di Carlo Darwin hanno il posto d'onore accanto a quelle di Carlo Marx.
Anche di fronte alla teoria della evoluzione universale, che - all'infuori di questo o quel dettaglio più o meno discutibile - rappresenta veramente la orientazione vitale del pensiero scientifico moderno, si è creduto di affermare, che essa contraddice sostanzialmente alle teorie ed agli ideali pratici del socialismo.
Ma qui è evidente un equivoco.
Se per socialismo si intende quel complesso fluttuante di aspirazioni sentimentali, che si è molte volte cristallizzato nelle utopistiche creazioni artificiali di un nuovo mondo umano, che per un tocco magico dovrebbe sostituirsi dall'oggi al domani al vecchio mondo in cui viviamo: allora è perfettamente vero che la teoria scientifica dell'evoluzione condanna i pregiudizi e le illusioni dell'artificialismo politico - o reazionario o rivoluzionario, romantico sempre.
Ma il guaio è, per i nostri avversari, che il socialismo contemporaneo è ben altra cosa dal socialismo precedente all'opera di Marx: e all'infuori del sentimento animatore di protesta contro le iniquità presenti e di aspirazione ad un avvenire migliore, non ha nulla di comune con esso, nella sua struttura logica, e nelle sue stesse induzioni, se non la visione chiara, matematicamente esatta (in forza appunto delle teorie dell'evoluzione) del finale ordinamento sociale - basato sulla proprietà collettiva della terra e dei mezzi di produzione.
Ciò si farà evidente nell'esame delle tre pretese contraddizioni principali, che si affermano esistere fra il socialismo e l'evoluzionismo scientifico.
Frattanto però non è possibile non vedere, fino da ora, la filiazione diretta del socialismo marxista anche dall'evoluzionismo scientifico, quando si pensi che quello non è, appunto che l'applicazione logica e conseguente della teoria evoluzionista nel campo economico.
Il socialismo, in sostanza, che cosa dice? Che il mondo economico presente non può essere immutabile ed eterno, ma rappresenta invece soltanto una fase transitoria della evoluzione sociale, a cui deve succedere una fase ulteriore ed un mondo diversamente ordinato.
Che questo diverso ordinamento avvenire debba verificarsi in senso collettivista o socialista - anziché individualista - è ciò che risulta come conclusione ultima e positiva dallo studio già fatto dei rapporti fra darvinismo e socialismo.
Qui frattanto bisogna stabilire, che quella affermazione fondamentale del socialismo - a parte i dettagli del futuro ordinamento sociale, di cui parlerò più innanzi - è dunque coerente alla teoria sperimentale dell'evoluzionismo.
Qual è infatti il dissidio sostanziale fra l'economia politica
ortodossa ed il socialismo? Questo: che l'economia politica ha
sostenuto e sostiene che le leggi economiche da essa analizzate e
illustrate circa la produzione e la distribuzione delle ricchezze,
sono leggi naturali.... non però nel senso di leggi
determinate naturalmente dalle condizioni dell'organismo sociale
(il che sarebbe esatto) ma nel senso che esse siano leggi
assolute, proprie cioè di tutta la umanità di ogni tempo e
luogo e quindi immutabili nei loro cardini, per quanto suscettive
di parziali ed accessorie modificazioni ne' loro particolari
atteggiamenti.
Il socialismo scientifico invece sostiene, che le leggi stabilite
dall'economia politica classica, da Adamo Simth in poi, sono
leggi proprie all'attuale momento storico della umanità civile e
quindi sono leggi essenzialmente relative al momento in
cui furono analizzate e come non sono più rispondenti alla
realtà delle cose se si vogliono estendere, per es. alle remote
antichità storiche e più ancora ai tempi preistorici ed esostorici,
così non possono rappresentare un'immutabile pietrificazione
dell'avvenire sociale.
Ora, di queste due tesi fondamentali, la tesi ortodossa e la tesi socialista, quale è più in accordo colla teoria scientifica dell'evoluzione universale?
La risposta non può essere dubbia.
La teoria dell'evoluzione, di cui Erberto Spencer è stato veramente il geniale creatore, svolgendo e fecondando nel campo sociologico l'indirizzo relativista già segnato dalla scuola storica così del diritto come dell'economia politica (che era parzialmente eterodossa) ha appunto dato al pensiero moderno questa bussola imprescindibile: che tutto cambia, che il presente - così nell'ordine astronomico, come in quello geologico, come in quello biologico, come in quello sociologico - non è che la risultante di precedenti, naturali, necessarie, incessanti trasformazioni mille volte millenarie e che quindi come il presente è diverso dal passato, così l'avvenire sarà indubbiamente diverso dal presente.
Lo spencerianismo cioè non ha fatto che dare un corredo veramente meraviglioso di prove scientifiche in ogni ramo dello scibile umano, ai due pensieri astratti di Leibnitz e di Hegel, che "il presente è figlio del passato, ma è padre dell'avvenire" e che "nulla è, ma tutto diviene"; ciò, che sopratutto la geologia, dopo il Lyell, aveva meravigliosamente dimostrato, sostituendo al concetto tradizionale degli improvvisi cataclismi, il concetto scientifico della graduale e quotidiana trasformazione della terra.
Vero è che il sapere enciclopedico di Erberto Spencer è deficiente nell'economia politica, od almeno in questo campo egli non ne ha dato prove così complete come nelle scienze naturali; ma questo non toglie che il socialismo altro non sia, anzitutto, nel suo concetto animatore, che l'applicazione logica della teoria scientifica dell'evoluzione naturale all'ordine dei fenomeni economici.
È appunto per questo che Carlo Marx, prima (nel
1859) colla Critica dell'economia politica
(ed anche col famoso manifesto del 1847,
scritto da lui e da Engels, quasi 10 anni prima dei Primi
principii di Spencer e meraviglioso per potenza e lucidità di
sintesi e poi col Capitale (1867) è venuto a
completare, nel campo sociale, la rivoluzione scientifica portata
da Darwin e da Spencer.
Mentre il vecchio pensiero metafisico concepisce la morale - il diritto - l'economia - come il complesso di leggi assolute ed eterne, secondo il modo Platonico di pensare, e limitando il suo sguardo al solo mondo storico e non usando altri strumenti d'indagine che la fantasia logica del filosofo, ha inoculato nel cervello di tante generazioni questo concetto dell'assolutismo nelle leggi naturali, dibattentisi nel dualismo della materia e dello spirito; la scienza positiva invece assorgendo alla sintesi grandiosa del monismo, cioè dell'unica realtà fonomenica - materia e forza inseparabili e indistruttibili - svolgentesi per moto assiduo di forma in forma, secondo norme relative al tempo e al luogo, ha radicalmente cambiata l'orientazione del pensiero moderno, nel senso appunto della universale evoluzione.
Morale, diritto, politica, non sono che super-strutture, che ripercussioni della struttura economica e variano con essa, da un parallelo all'altro, da un secolo all'altro.
Questa è la grande, geniale intuizione di Carlo Marx nella "critica dell'economia politica", della quale esaminerò più innanzi la parte che riguarda la sorgente unica delle condizioni economiche, ma di cui ora importa rilevare l'altra parte, della loro continua, irrefrenabile variabilità dal mondo preistorico ed esostorico al mondo storico e nelle varie epoche di questo.
Norme della morale - credenze religiose - sanzioni giuridiche di leggi civili o penali - ordinamento politico: tutto cambia e tutto è relativo all'ambiente storico e tellurico, in cui si osserva.
Uccidere i genitori è il massimo dei delitti nell'Europa e nell'America; è invece un'azione doverosa e santificata dalla religione nell'isola di Sumatra; come il cannibalismo è cosa lecita nel centro dell'Africa e lo fu nell'Europa e nell'America preistoriche.
La famiglia che appena si afferma transitoriamente (come fra gli animali) nel comunismo sessuale primitivo, si regola a poliandria e matriarcato dove le sussistenze scarse esigono uno scarso aumento di popolazione, mentre passa a poligamia e patriarcato quando e dove questa ragione economica fondamentale non domina tiranna, per assumere da ultimo, nel mondo storico, la forma monogamica, che è certamente la migliore e più progredita, per quanto abbia bisogno di essere liberata dal convenzionalismo assolutista del vincolo indissolubile e della prostituzione larvata e legalizzata (per ragioni economiche) che la inquinano nel mondo presente.
E la costituzione della proprietà, sola dovrebbe rimanere eterna, immutabile in questa corrente oceanica di istituzioni sociali e di regole morali, soggette a continue, profonde evoluzioni e trasformazioni? Solo la proprietà, dovrebbe rimanere inalterata e inalterabile nella sua forma di monopolio privato della terra e dei mezzi di produzione!
Ecco l'assurda pretesa dell'ortodossia economica e giuridica, colla sola concessione alle irresistibili constatazioni della teoria evoluzionista (fatta dai progressisti o radicali così nella scienza come nella politica) che possano variarne gli ordinamenti accessorii, temperarsene gli abusi - ma sempre rimanendo intangibile il principio che pochi individui possano appropriarsi la terra e i mezzi di produzione, necessari alla vita dell'intero organismo sociale, che dovrebbe così in eterno rimanere sotto il dominio, più o meno diretto, di questi detentori della base fisica della vita.
Basta esporre così, nella loro limpida precisione, le due tesi fondamentali - quella ortodossa del diritto e dell'economia classica, e quella eterodossa del socialismo economico e giuridico - per decidere senz'altro questo primo punto di controversia: che cioè in tutti i casi, la teoria dell'evoluzione è in accordo perfetto, incontestabile colle induzioni del socialismo e contraddice invece alle affermazioni contrarie del sostanziale immobilismo economico e giuridico.
Ma - si dice dagli avversari - pure ammettendo che il socialismo, invocando in genere una trasformazione sociale, sia in apparente accordo colla teoria evoluzionista; non ne viene per questo, che le conclusioni sue più precise - tra cui fondamentale la sostituzione della proprietà sociale alla proprietà individuale - siano esse suffragrate dalla stessa teoria. Noi anzi, si dice, sosteniamo che è appunto contro questa teoria scientifica che quelle conclusioni urtano diametralmente e quindi sono, per lo meno, utopistiche ed assurde.
E la prima contraddizione che fra socialismo ed evoluzionismo sarebbe affermata, consisterebbe in ciò, che il ritorno alla proprietà collettiva della terra sarebbe nello stesso tempo un ritorno alle età primitive e selvaggie dell'umanità e quindi il socialismo sarebbe, sì, una trasformazione, ma a rovescio, cioè contro la corrente dell'evoluzione sociale, che appunto dal primitivo collettivismo terriero ha portato alla presente proprietà individuale, indice della progredita civiltà. Il socialismo quindi rappresenterebbe, al caso, un ritorno alla barbarie.
Anche questa obbiezione ha una parte di vero, che è innegabile: cioè, la constatazione che la proprietà collettiva sarà un ritorno (almeno nelle apparenze esterne) verso l'ordinamento sociale primitivo. Ma la conclusione che ne deriva è assolutamente sbagliata ed anti-scientifica, perché dimentica una legge, meno comunemente osservata, ma non per questo meno vera e positiva dell'evoluzione sociale.
È una legge sociologica, che un medico francese di molto
ingegno, disgraziatamente morto, ha soltanto accennata, a
proposito di alcuni rapporti fra trasformismo e
socialismo e della quale mi sono occupato, rilevandone
tutta la verità ed importanza, anche prima di ascrivermi nel
socialismo militante, a pag. 420-424 nella III edizione
della mia Sociologia criminale (1892) e vi
ho nuovamente insistito nella mia polemica col Morselli, a
proposito del divorzio.
Questa legge di regressione apparente dimostra essere un fatto costante il ritorno delle istituzioni sociali alle forme ed ai caratteri primitivi.
Prima di accennarne taluni esempi evidenti, voglio ricordare
che il Cognetti De Martiis fin dal 1881, mostrava
di avere vagamente intuita questa legge sociologica, perché il suo
libro sulle Forme primitive nell'evoluzione economica
(Torino 1881), così notevole per abbondanza,
precisione e sicurezza di dati positivi - pur non giungendo ad
alcuna conclusione dopo la ricchezza dell'analisi sociologica - si
chiudeva però, nelle ultime linee, con un vago accenno al
possibile riapparire nella futura evoluzione economica delle forme
primitive, che ne segnano il punto di partenza.
Ed io ricordo pure, che quando all'Università di Bologna frequentavo le lezioni del Carducci, più volte ho udito da lui accennare che nelle forme e nel contenuto della letteratura, spesse volte il progresso ultimo non è che la riproduzione delle forme e del contenuto della letteratura primitiva, greco-orientale: così, del resto, come la teoria scientifica moderna del monismo, che è l'anima stessa della evoluzione universale e rappresenta l'ultima e definitiva disciplina positiva del pensiero umano di fronte alla realtà del mondo, dopo il brillante vagabondaggio della metafisica, non fa che ritornare ai concetti dei filosofi greci e di Lucrezio, il grande poeta-naturalista.
Ma anche nell'ordine delle istituzioni sociali gli esempi di questo ritorno alle forme primitive non sono che troppo evidenti e numerosi.
Già dissi della evoluzione religiosa, secondo Hartmann, per cui nelle epoche infantili dell'umanità la felicità si vedeva raggiungibile nell'esistenza individuale, poi nella vita d'oltretomba, ed ora si tende a riporla nella stessa umanità, ma nella serie delle generazioni avvenire.
Così nella politica, Spencer rilevava (Sociologie, III
cap. 5) che la volontà di tutti, - elemento sovrano nell'umanità
primitiva - cede via via il passo alla volontà di un solo e poi di
pochi (per diverse aristocrazie: militari, di nascita, di professione,
di censo) e tende in ultimo a ridiventare sovrana col procedere
della democrazia (suffragio universale - referendum - legislazione
diretta popolare ecc.).
Il diritto di punire, semplice funzione di difesa nell'umanità primitiva, tende a ritornare tale, spogliandosi di ogni pretesa teologica di giustizia retributiva, sovrappostasi per l'illusione del libero arbitrio, sul fondo naturale della difesa, ma sfrondata ora dalle ricerche scientifiche sul delitto, come fenomeno naturale e sociale - che dimostrano assurda ed impossibile la onnisciente pretesa nel legislatore e nel giudice di pesare e misurare "la colpa" del delinquente e commisurarne il castigo, anziché limitarsi alla segregazione temporanea o perpetua dal consorzio civile degli individui che vi sono inadatti, come si fa per i pazzi o per i malati di morbi infettivi. Così per il matrimonio: la facile dissolubilità nell'umanità primitiva cedette via via alle imposizioni assolutiste della teologia e dello spiritualismo, che credono possa il "libero arbitrio" legare eternamente il destino di una persona, con un monosillabo pronunciato in momenti di così instabile equilibrio psichico, qual'è il periodo del fidanzamento e delle nozze. Ma poi il ritorno alla forma spontanea e primitiva del consenso si impone e l'unione matrimoniale, coll'uso sempre crescente e più facile del divorzio, ritorna alle sue origini, risanando la famiglia, che è la cellula sociale.
Così è dell'ordinamento della proprietà, per la quale lo stesso
Spencer ha dovuto riconoscere la tendenza fatale di un ritorno al
primitivo collettivismo, dopo che l'appropriazione prima
famigliare e poi individuale della terra, com'egli stesso ha
dimostrato, è giunta agli estremi, sicché in alcuni paesi (legge
Torrens) la terra è diventata una specie di proprietà
mobile, trasmissibile come un'azione qualunque di una
qualunque società anonima.
Ecco infatti, a titolo di documento, quanto scrive
l'individualista Erberto Spencer:
"A prima vista, sembra potersi concludere che la proprietà
della terra, a titolo assoluto, per parte de' privati, debba essere
lo stato definitivo che l'industrialismo è destinato a
realizzare. Tuttavia, sebbene l'industrialismo abbia avuto finora
per effetto di individualizzare ogni altro possesso si può
contestare che lo stato definitivo sia fin da ora raggiunto.
Si riconoscevano un tempo dei diritti di proprietà sopra esseri
umani ed ora non si ammettono più. Alcuni secoli fa si sarebbe
potuto credere che il principio della proprietà dell'uomo,
sull'uomo era sulla via di stabilirsi in modo
definitivo. Tuttavia a un'epoca più
avanzata del suo corso, la civiltà, rovesciando questa procedura,
ha distrutto la proprietà dell'uomo sull'uomo. Analogamente, in
un'epoca ancor più avanzata, potrà darsi che la proprietà
privata della terra abbia a scomparire.
E del resto questo processo di socializzazione della proprietà per quanto ora parziale ed accessorio, è però così evidente e continuo, che sarebbe negare l'evidenza il voler sostenere che l'indirizzo economico e quindi giuridico nell'ordinamento della proprietà non sia nel senso di una prevalenza sempre maggiore degli interessi e dei diritti della collettività di fronte a quelli dell'individuo; prevalenza, che evidentemente diverrà, per fatale evoluzione, una completa sostituzione riguardo alla proprietà della terra e dei mezzi di produzione.
La tesi fondamentale, adunque, del socialismo è, ancora una volta, in perfetto accordo con questa legge sociologica di regressione apparente, della quale il Loria notava benissimo le ragioni naturali in ciò: che l'umanità primitiva dalle prime impressioni della natura circostante trae le linee fondamentali e più semplici del suo pensiero e della sua vita; poi col progresso dell'intelligenza e la complicazione crescente per legge di evoluzione, si ha uno sviluppo analitico dei principali elementi contenuti nei primi germi di istituzione: ed una volta compiuto questo svolgmiento analitico e spesso antagonistico, da un eccesso all'altro, dei singoli elementi, l'umanitit stessa, giunta ad un alto grado di evoluzione ricompone in una sintesi finale questi vari elementi e ritorna così al primitivo punto di partenza.
Con questo però, aggiungo io, che tale ritorno alla forma
primitiva non è una ripetizione pura e semplice. Ed ecco perché si
dice legge di regressione apparente ed ecco perché
l'obbiezione di "un ritorno alla barbarie primitiva" è
infondata. Non è una ripetizione pura e semplice, ma è il
compimento di un ciclo, di un grande ritmo, come recentemente
diceva anche l'Asturaro,
che non può non portare con sé gli effetti e le conquiste,
irrevocabili in ciò che hanno di vitale e fecondo, della
lunga precedente evoluzione; ed è quindi molto superiore, nella
realtà oggettiva e nella coscienza umana, a quel primitivo
embrione.
Il corso della evoluzione sociale non è rappresentato dal circolo chiuso che, come il serpe dalla coda in bocca del simbolo antico, chiuda i termini di un migliore avvenire; ma è invece, secondo l'immagine di Goethe, raffigurato da una spirale, che sembra ritornare su se stessa, ed invece sempre avanza e si eleva.
Quest'ultima osservazione ci serve per esaminare anche la seconda contraddizione, che si afferma esistere fra socialismo e teoria dell'evoluzione, dicendo e ripetendo su tutti i toni che il socialismo sarà una nuova forma di tirannide, che sopprimerà tutti i benefici della libertà, a così caro prezzo di martirii e di sacrificii faticosamente conquistata dal secolo nostro.
Ho già detto, parlando delle disuguaglianze antropologiche, come il socialismo assicurerà anzi ad ogni uomo, colle condizioni di esistenza umana, l'affermazione più libera e completa della propria personalità.
Qui mi basta ricordare un'altra legge, stabilita dalla teoria scientifica dell'evoluzione, per dimostrare in linea generale (perché non è compito di questa monografia entrare ne' minuti particolari) come questa pretesa soppressione della parte viva e feconda della libertà personale o politica a torto si tema dall'avvento del socialismo.
È una legge dell'evoluzione naturale, illustrata meglio di ogni altro dall'Ardigò, questa: che ogni fase susseguente dell'evoluzione naturale e sociale non distrugge, non cancella le manifestazioni vitali e feconde delle fasi precedenti: ma le continua anzi in ciò che hanno di vitale, mentre ne elimina soltanto le manifestazioni aberranti o patologiche.
Nell'evoluzione biologica, le manifestazioni della vita vegetale non cancellano i primi albori della vita, che si riscontrano nella cristallizzazione dei minerali, come le manifestazioni della vita animale non cancellano quello della vita minerale e vegetale; e la forma unica della vita non cancella le forme e gli anelli precedenti nella grande serie dei viventi, ma le forme ultime vivono anzi in quanto sono il portato delle forme primitive o coesistono con esse.
Così avviene dell'evoluzione sociale: e questa è la interpretazione che l'evoluzionismo scientifico dà appunto dei Medi Evi, che non cancellano le conquiste delle civiltà precedenti, ma le conservano invece nella parte vitale e le fecondano, in un periodo di sosta, per il rinascimento di nuove civiltà.
E questa legge che domina l'intero grandioso svolgimento della vita sociale, regge egualmente il destino e la parabola dei singoli istituti sociali.
Il succedersi di una fase di evoluzione sociale ad un'altra, certo elimina le parti non vitali, i prodotti patologici degli istituti precedenti; ma conserva e rinverdisce e svolge le parti sane e feconde, elevando sempre più il diapason fisico e morale dell'umanità.
Così, per questo processo naturale, il grande fiume della umanità uscito dalle foreste vergini della vita selvaggia si è svolto maestoso nei periodi della barbarie e della presente civiltà, che è certo superiore per molti lati alle fasi precedenti della vita sociale, ma che per altri aspetti è inquinata dai prodotti virulenti della propria degenerazione, come ho ricordato a proposito delle selezioni sociali a rovescio.
Così per esempio: certo i lavoratori del periodo
contemporaneo di civiltà borghese, hanno, in complesso, una
esistenza fisica e morale superiore a quelli dei secoli scorsi: ma
tuttavia è innegabile che la loro condizione economica di
salariati liberi è peggiore, sotto molti aspetti, della
precedente condizione di schiavi nell'antichità, di
servi nel Medio Evo.
Infatti lo schiavo antico era proprietà assoluta del
padrone, dell'uomo libero ed era condannato ad una vita
quasi bestiale: ma frattanto il padrone, aveva interesse di
assicurargli almeno il pane quotidiano, dacché lo schiavo faceva
parte del suo patrimonio, come i buoi od i cavalli.
Ed il servo della gleba, nel Medio Evo, aveva in compenso certi diritti consuetudinari, che lo abbarbicavano appunto alla terra e gli assicuravano almeno - tranne i casi di carestia - il pane quotidiano.
Il salariato libero del mondo moderno invece è sempre
condannato ad un lavoro inumano per durata e per qualità (a cui si
riconnette appunto la parziale rivendicazione socialista delle
otto ore, che conta già molte vittorie ed è destinata a sicuro
trionfo) ma viceversa non avendo più alcun rapporto giuridico
permanente né col proprietario capitalista né colla terra, manca
assolutamente di ogni sicurezza del pane quotidiano, perché il
proprietario non ha più interesse a nutrire e mantenere i lavoratori
della sua officina o del suo campo, non soffrendo egli alcuna
diminuzione di patrimonio dalla loro morte o malattia, per l'onda
inesauribile di proletari che la disoccupazione gli offre sul
mercato.
Ed ecco come - non perché i proprietari dell'oggi siano più malvagi di quelli antichi, ma soltanto perché anche i sentimenti morali sono un prodotto della condizione economica - se nella stalla si ammala un bue, il latifondista o il suo amministratore è sollecito a chiamare il veterinario, per evitare la perdita di un capitale; mentre se si ammala il figlio del boaro, non si dà altrettanta premura per chiamare il medico.
Certo vi può essere, come eccezione più o meno frequente, un
proprietario di buon cuore che smentisca questa regola, massime
quando vive in contatto quotidiano coi lavoratori: come non si
nega che lo spirito di beneficenza abbia manifestazioni frequenti e
più o meno clamorose - anche fuori del charity
Sport
Il socialismo vuole arrivare a questa sicurezza per tutti gli uomini - e ne dimostra la matematica positività colla sostituzione della proprietà sociale alla proprietà individuale dei mezzi di produzione - ma non per questo il socialismo sopprimerà tutte le conquiste utili e veramente feconde della presente fase di civiltà né delle fasi precedenti.
Veggasi un esempio caratteristico: l'invenzione di tante macchine industriali ed agricole, mentre è una applicazione geniale della scienza alla trasformazione delle forze naturali e non dovrebbe essere che feconda di bene - sollevando il lavoro umano a dignità umana dall'abbiezione e prostrazione di lavoro bestiale - innegabilmente però ha cagionato e cagiona la miseria e la rovina di migliaia di lavoratori, che per riduzione di personale sostituito dal lavoro dello macchine, sono inevitabilmente condannati alle torture della disoccupazione o alla legge di bronzo del salario minimo, tanto che basti per non morire di fame acuta.
E la prima, istintiva reazione di questi sventurati è stata ed è, purtroppo, in molti casi di distruggere le macchine, maledicendole come strumento di dannazione immeritata e sanguinosa.
Ma distruggere le macchine, sarebbe, esso veramente, un ritorno puro e semplice alle barbarie e questo il socialismo non vuole, il socialismo che rappresenta una fase più elevata di civiltà umana.
Ed ecco allora come il socialismo solo dia la soluzione della dolorosa difficoltà, che l'individualismo economico non può dare, continuando anzi ad applicare sempre nuove macchine, perché tale è il tornaconto irresistibile del capitalista.
E la soluzione è, che le macchine diventino proprietà collettiva o sociale. Allora, evidentemente, l'unico effetto loro sarà di diminuire la somma totale di lavoro o di sforzo muscolare per produrre una data quantità di sussistenze e quindi ad ogni lavoratore sarà diminuita la parte quotidiana di lavoro e la sua esistenza si eleverà sempre più a dignità di creatura umana.
Parzialmente questo effetto si verifica già in quei luoghi, ad esempio, in cui diversi piccoli proprietari si uniscono in società cooperativa per l'acquisto, mettiamo, di una trebbiatrice a vapore e se la prestano per turno. Se ai piccoli proprietarii fossero uniti, in grande fraterna cooperazione, anche gli operai o contadini (e ciò avverrebbe solo quando la terra fosse di proprietà sociale) e le macchine per esempio fossero di proprietà municipale, come lo sono le pompe per incendi, e dal Comune si cedessero in uso successivo per i lavori campestri, evidentemente le macchine non avrebbero alcuna ripercussione dolorosa e di miseria, ma sarebbero da tutti gli uomini benedette, pel solo fatto della loro proprietà collettiva.
Ecco dunque, come il socialismo appunto perché rappresenta
una fase più elevata della evoluzione umana non eliminerebbe
della fase presente se non i prodotti infettivi dell'odierno
eccessivo individualismo economico, che crea da una parte i
miliardari o gli appaltatori che si fanno milionari in pochi anni
rubando - in una forma più o meno prevista dal Codice Penale - il
pubblico danaro, e dall'altra parte accumula un aggrovigliamento
cancrenoso di misere creature nei fondaci verdi delle grandi
città o nelle capanne di paglia e fango, riproducenti le capanne
australiane, nella Basilicata, nell'Agro Romano o nella valle del
Po.
Nessun socialista cosciente si è mai sognato di negare le grandi benemerenze della borghesia verso la civiltà umana o di offuscare le pagine d'oro ch'essa ha scritto nella storia del mondo civile colle epopee nazionali, le meravigliose applicazioni della scienza all'industria ed ai cominerci ideali e mercantili tra i popoli.
Queste sono irrevocabili conquiste del progresso umano e il socialismo non si sogna nemmeno di rinnegarle o di sopprimerle e ne dà la giusta ammirazione riconoscente ai pionieri generosi che le hanno iniziate e realizzate. Allo stesso modo, per esempio, che un ateo non si sognerebbe neppure di distruggere o di negare la sua ammirazione ad un quadro di Raffaello o ad una statua di Michelangelo, sol perché questi raffigurarono ed eternarono coll'arte leggende religiose.
Ma il socialismo però vede nella presente civiltà borghese,
giunta alla sua china finale, i sintomi dolorosi di una dissoluzione
irrimediabile ed afferma che del virus infettivo bisogna
liberare l'organismo sociale, non fermandosi alla cura sintomatica
e individualista di questo o quel bancarottiere, di questo o quel
funzionario corrotto, di questo o quell'appaltatore ladro... ma
giungendo alla radice del male, alla sorgente innegabile della
infezione virulenta. Cambiando radicalmente il regime - colla
sostituzione della proprietà sociale alla proprietà individuale -
bisogna rinnovare le forze sane e vitali della umana società,
perché essa possa elevarsi ad una fase più alta di civiltà, dove
pochi privilegiati non potranno più certo vivere la vita di ozio, di
lusso, di orgia, che oggi vivono e dovranno ridursi a esistenza
laboriosa e meno fastosa, ma dove l'immensa maggioranza degli
uomini eleverà la propria esistenza a dignità serena, a tranquilla
sicurezza, a simpatica e lieta fraternità, in cambio dei dolori, delle
ansie, dei rancori presenti.
Così dicasi della banale obbiezione che il socialismo sopprimerà ogni libertà - troppo ripetuta da coloro che sotto il colore del liberalismo politico velano le tendenze più o meno coscienti dei conservatorismo economico.
Questa ripugnanza che in nome della libertà molti sentono, anche in buona fede, contro il socialismo, non è essa stessa che l'effetto di un'altra legge dell'evoluzione umana, che Erberto Spencer formulava dicendo: "ogni progresso avvenuto è un ostacolo ai progressi avvenire".
Ed è una tendenza psicologica naturale, che si potrebbe
chiamare feticista, quella che si ribella a considerare il
proprio ideale raggiunto, il progresso realizzato come un semplice
strumento anziché come un idolo - un punto di partenza per altri
ideali o per altri progressi, anziché arrestarsene all'adorazione
feticista di un punto d'arrivo, che esaurisca ogni altro ideale, ogni
altra aspirazione.
Come il selvaggio beneficato dall'albero fruttifero adora l'albero per sé, non per i frutti che può dare e finisce per convertirlo in un feticcio, in un idolo intangibile, ma che diventa per ciò solo sterile; come l'avaro che nel mondo individualista sa il valore del danaro, finisce per adorare il danaro in sé e per sé come feticcio e come idolo, e lo lascia sepolto nel forziere isterilendolo, invece di adoperarlo come strumento di nuovi vantaggi; così il liberale sincero, figlio della Rivoluzione Francese, si fa della libertà un idolo, scopo a se stessa, sterile feticcio, anziché adoperarla come strumento di nuove conquiste, come realizzazione di nuovi ideali.
Si capisce che sotto la tirannide politica, ideale primo e più urgente e spasmodico fosse la conquista della libertà e della sovranità politica.
E di questa conquista, noi ultimi venuti siamo grati ai martiri ed agli eroi che l'hanno voluta a prezzo del loro sangue...
Ma la libertà non è e non può essere fine a se stessa!
A che giova la libertà di riunione o di pensiero se lo stomaco non ha il pane quotidiano e milioni d'individui hanno dall'anemia del cervello e del corpo paralizzata ogni forza morale?
A che giova al popolo avere una parte platonica della sovranità politica, col diritto di voto, se esso continua sotto la schiavitù materiale della miseria, della disoccupazione, della fame acuta o cronica?
La libertà per la libertà - indica un progresso avvenuto che si oppone ai progressi avvenire, ma è una specie di onanismo politico, sterile per sé di fronte alle nuove necessità delle vita.
Il socialismo quindi risponde, che siccome la fase susseguente non cancella le conquiste delle fasi precedenti nell'evoluzione sociale, così esso non vuole sopprimere la libertà gloriosamente conquistata dal mondo borghese colla sua rivoluzione dell'89, - ma soltanto di questa libertà vuole che i lavoratori, acquistata la coscienza degli interessi e dei bisogni della loro classe, di fronte alla classe dei capitalisti e proprietari, se ne servano per progredire verso un ordinamento sociale più equo e più umano.
Purtroppo però è innegabile, non solo che data la proprietà individuale e quindi il monopolio del potere economico, la libertà lasciata a chi non è detentore di questo monopolio è un trastullo impotente e platonico: ma che poi quando di questa libertà i lavoratori mostrano di volersi valere con precisa coscienza dei loro interessi di classe, allora i detentori del potere economico e quindi politico sono solleciti a rinnegare i grandi principii liberali "i principli dell'89" e sopprimono ogni pubblica libertà, illudendosi di poter arrestare così il fatale andare della evoluzione umana!
Lo stesso è a dirsi di una simile accusa ripetuta contro i socialisti, che essi cioè rinneghino la patria in nome dell'internazionalismo.
Anche questo è errato.
Le epopee nazionali, per cui l'Italia o la Germania nel secolo nostro riconquistarono l'unità e l'indipendenza furono realmente un grande progresso e noi siamo grati, ancora una volta, a chi ci ha dato una patria libera.
Ma la Patria non può diventare per questo un ostacolo ai progressi avvenire, che sono indubbiamente nella fraternità di tutti i popoli, senza gli odii di nazionalità, che o sono, essi veramente, un residuo delle barbarie o sono vernice per dissimulare gli interessi del capitalismo, che viceversa per suo conto ha saputo attuare il più serrato internazionalismo mondiale.
Come l'avere sorpassato la fase delle guerre comunali in Italia, per sentirsi fratelli di una stessa nazione, è stato un vero progresso morale e sociale; così lo sarà il sorpassare la fase delle rivalità "patriottiche" per sentirci tutti fratelli di una stessa umanità.
Che alle classi al potere, mentre esse sono strette in lega internazionale, - e il banchiere di Londra col telegrafo domina il mercato di Pekino o di NewYork o di Pietroburgo - giovi il tenere divisa la grande famiglia dei lavoratori di tutto il mondo od anche solo della vecchia Europa - perché la divisione dei lavoratori rende possibile il potere dei capitalisti; e che questa divisione si dissimuli e si tenga viva abusando del fondo primitivo e selvaggio degli odii contro "lo straniero"; tutto questo si capisce e si spiega limpidamente colla chiave storica degli interessi di classe.
Ma ciò non toglie, che il socialismo internazionalista non costituisca, anche per questo riguardo, un innegabile progresso morale ed una fase inevitabile di evoluzione umana.
Allo stesso modo, per la stessa legge sociologica, non sarebbe esatto il dire che il socialismo colla proprietà collettiva verrà a sopprimere ogni e qualsiasi proprietà individuale.
Siamo sempre a questo: una fase susseguente di evoluzione non può cancellare tutto ciò che fu realizzato nelle fasi precedenti, ma ne sopprime invece solo quelle manifestazioni che non sono vitali, perché in contraddizione colle nuove condizioni d'esistenza della nuova fase.
Sostituita alla proprietà individuale la proprietà sociale della terra e dei mezzi di produzione, è evidente per esempio che la proprietà degli alimenti necessari ad ogni individuo non potrà essere soppressa né quella degli abiti e degli oggetti di uso personale, che saranno pur consumati a esclusivo vantaggio individuale e faimigliare.
Questa forma dunque di proprietà individuale sussisterà sempre, anche in regime collettivista, perché inevitabile e perfettamente compatibile colla proprietà sociale della terra, delle miniere, delle officine, delle case, delle macchine, degli strumenti di lavoro, dei mezzi di trasporto.
Come la proprietà collettiva per es., delle biblioteche, - che esiste e funziona sotto i nostri occhi, - non impedisce agli individui l'uso personale di libri o rari o costosi che altrimenti non potrebbero avere, e invece ne accrescono immensamente l'utilità, in confronto allo stesso libro chiuso e sepolto nella biblioteca privata di uno sterile bibliofilo - così la proprietà collettiva della terra e dei mezzi di produzione accordando ad ogni individuo, che dovrà vivere lavorando, l'uso di una macchina, di un utensile, di un campo non farà che centuplicarne l'utilità.
Né si dica, che quando gli uomini non avranno più la
proprietà esclusiva ed accumulabile e trasmissibile delle
ricchezze non saranno spinti a lavorare, por la mancata molla
egoistica dell'interesse personale o famigliare. Noi
vediamo ad esempio che anche nel mondo individualista
presente, quei residui di proprietà collettiva delle terre - che
furono tanto studiati dacché il Laveleye vi richiamò così
brillantemente l'attenzione dei sociologi - essere coltivati e dare
un reddito non inferiore ai campi di proprietà privata, per quanto i
comunisti di tali "partecipanze" o collettivisti agrari non abbiano
che il diritto di uso e di godimento.
E se taluni di questi residui di proprietà collettiva - meno lontani dal vortice dell'individualismo mercantile - vanno scomparendo e sono male amministrati, ciò non può essere un argomento contro il socialismo, perché si capisce come nell'attuale ordinamento economico, tutto incardinato sull'individualismo assoluto, quegli organismi non trovino nel nostro ambiente le condizioni di una possibile esistenza.
Sarebbe come pretendere che un pesce viva fuori dell'acqua od un mammifero in un'atmosfera priva di ossigeno.
Ed ecco perché, tra parentesi, sono semplicemente fantastici
tutti i famosi esperimenti di colonie socialiste o comuniste o
anarchiche, che taluni tentano di impiantare quà o là, come
"esperimento preventivo del socialismo" - senza avvertire che tali
esperimenti non possono che fatalmente abortire, dovendo
esplicarsi in un circostante ambiente economico e morale
individualista, che non può loro consentire le condizioni di uno
sviluppo fisiologico, come avranno invece quando tutto
l'ordinamento sociale sarà orientato collettivamente, quando cioè
la società sarà tutta socializzata.
Allora anche le tendenze e le attitudini psicologiche individuali si adatteranno all'ambiente e lo rispecchieranno; giacché è naturale che in un ambiente individualista, di libera concorrenza, in cui ogni uomo vede nel suo fratello se non un avversario certo un concorrente, debba l'egoismo anti-sociale essere la tendenza che fatalmente si sviluppa di più, per necessità dell'istinto di conservazione personale, massime in queste ultime fasi di una civiltà lanciata a tutto vapore, di fronte all'individualismo pacifico e lento dei secoli scorsi.
Ma, in un ambiente, dove anzitutto ogni uomo, in cambio del
lavoro manuale o intellettuale dato alla società, abbia assicurato il
pane quotidiano, del corpo e della mente, e sia quindi sottratto
all'ansia quotidiana della propria esistenza; è evidente che
l'egoismo avrà un numero infinitamente minore di stimoli, di
occasioni e di manifestazioni di fronte al senso della solidarietà,
della simpatia, dell'altruismo e non sarà più vera la massima
spietata - homo homini lupus
Non potendo però addentrarmi di più in questi particolari, conchiudo l'esame di questa seconda pretesa opposizione fra socialismo ed evoluzione, ricordando come la legge sociologica - per cui la fase susseguente non cancella le manifestazioni vitali e feconde delle precedenti fasi di evoluzione - dia dell'ordinamento sociale, che è già in via di formazione, quale è preveduto dal socialismo scientifico, un'idea ben più positiva che non pensino i nostri avversari, i quali credono sempre di aver a che fare col socialismo romantico e sentimentale della prima metà di questo secolo.
Ed ecco perché, infine, non ha alcuna consistenza l'obbiezione fondamentale che il Vanni recentemente opponeva al socialismo in nome di un eclettismo sociologico - erudito ma inconcludente, malgrado l'ingegno e gli studi di quell'esimio filosofo del diritto.
"Il socialismo contemporaneo non s'identifica
coll'individualismo, poiché pone a base dell'organizzazione
sociale un principio che non è di autonomia dell'individuo, ma la
sua negazione. Se ciò nonostante mantiene idee individualistiche,
le quali ripugnano a quel principio, ciò non implica che muti
natura o cessi di essere socialismo: significa solo che esso vive
di contraddizioni"
Ora, non è che il socialismo ammettendo ed anzi ampliando
ed assicurando, colle condizioni di esistenza quotidiana,
l'affermazione e lo sviluppo di ogni individualità umana cada in
una contraddizione di principio: gli è invece che il socialismo,
fase ulteriore di civiltà umana, non può sopprimere né cancellare
ciò che di vitale, cioè di compatibile colla nuova forma
sociale, vi sia nelle fasi precedenti. E quindi come
l'internazionalismo socialista non è in contraddizione
coll'esistenza della patria, perché ne ammette il concetto in ciò
che ha di vero, pur eliminandone la parte patologica del
chauvinisme
Nell'indice del testo il titolo compare come: Evoluzione - Rivoluzione - Rivolta - Violenza personale = Socialismo ed anarchia. [n.d.c.]
L'ultima e più grave contraddizione che molti credono di
trovare tra il socialismo e la teoria scientifica dell'evoluzione, sta
nel come il socialismo potrà praticamente realizzarsi.
Per una parte si pretende da taluni, che il socialismo debba spiegare sin da ora, in tutti i suoi minuti particolari, il quadro preciso e simmetrico del positivo ordinamento sociale - "Datemi una descrizione pratica della nuova società ed allora mi deciderò se preferirla alla presente".
Per altra parte - e in conseguenza di questo primo sbagliato concetto artificialista - si crede che il socialismo pretenda di cambiar faccia al mondo dall'oggi al domani, sicché, ad esempio, questa sera dovremmo andar tutti a dormire in pieno mondo borghese, per risvegliarci domani in pieno mondo socialista.
Ed allora, si dice, come non vedere che tutto questo urta
irrimediabilmente colla legge di evoluzione di cui le idee
fondamentali - che caratterizzano appunto l'orientazione nuova
del pensiero positivo moderno, di fronte alla vecchia metafisica -
sono precisamente la naturalità e la gradualità di tutti
i fenomeni, in qualunque ordine di vita universale, dall'astronomia
alla sociologia.
È innegabile, che queste due obbiezioni avevano molta ragione d'essere contro quello che Engels chiama il "socialismo utopistico" in confronto al "socialismo scientifico".
Quando il socialismo, prima di Carlo Marx, non era che
l'espressione sentimentale di un umanitarismo altrettanto generoso
quanto digiuno dei più elementari principii del positivismo
scientifico, si capisce perfettamente come i suoi seguaci o
propugnatori cedessero facilmente all'impeto del cuore, sia nelle
proteste reboanti contro le iniquità sociali evidenti sia
nella contemplazione sonnambolica di un mondo migliore, a cui
la fantasia sovreccitata cercava di dare lineamenti precisi, dalla
Repubblica di Platone al Looking Backward
E si capisce anche meglio, come queste costruzioni aprioristiche dovessero prestare il fianco a critiche, in parte errate perché dipendenti sempre dalle abitudini mentali proprie dell'ambiente moderno e che si dimentica saranno diverse in ambiente diverso - ma in gran parte anche fondate, perché la complessità enorme dei fenomeni sociali rende impossibile qualsiasi profezia dei particolari minuti di una vita sociale, che sarà molto più profondamente diversa dalla nostra, che non la vita presente da quella del Medio Evo e Antico, per la ragione che il mondo borghese succeduto a quelli precedenti ha lasciato la società sugli stessi cardini dell'individualismo: mentre nel mondo socialista avrà una polarizzazione fondamentale diversa.
Quelle costruzioni anticipate e profetiche di un nuovo ordine
sociale sono del resto il portato genuino di quell'artificialismo
politico e sociale, onde sono imbevuti anche gli individualisti più
ortodossi e giacobini, i quali credono sempre, come nota lo stesso
Spencer, che la società umana sia come una pasta, a cui l'articolo
tot di una legge qualsiasi possa dare una forma piuttosto
che un'altra, all'infuori delle qualità e tendenze e attitudini
organiche e psichiche, etniche e storiche, dei popoli diversi.
Di costruzioni utopistiche il socialismo sentimentale ha dato parecchi saggi; ma più ne ha dati e ne dà il mondo politico odierno colla farraggine assurda e caotica delle sue leggi e dei suoi codici, che (a proposito della libertà!...) involgono ogni uomo dalla nascita alla morte, anzi prima ch'egli nasca e anche dopo che è morto, in una rete inestricabile di codici, leggi, decreti, regolamenti, soffocandolo come il baco da seta nel suo bozzolo.
E ogni giorno l'esperienza dimostra che i nostri legislatori, imbevuti di questo artificialismo politico e sociale, non fanno che copiare a vicenda le leggi dei popoli più diversi, secondo che la moda è per Parigi o per Berlino, e ne deliziano i loro paesi - invece di trarre positivamente dalle condizioni particolari e vive di questi stessi paesi i criteri positivi per adattarvi le leggi, le quali perciò, come accade ogni giorno restano lettera morta, dacché la realtà delle cose non permette ad esse di approfondirvi le radici e di regolarne e fecondarne i punti vitali.
In fatto di costruzioni sociali artificialiste potrebbero i socialisti ripetere agli individualisti: chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Ma la risposta vera, inconfutabile è tutt'altra ed è che il socialismo scientifico rappresenta una fase molto più progredita delle idee socialiste, in accordo precisamente colla scienza positiva moderna - ed ha completamente abbandonato l'idea fantastica di profetizzare oggi quello che sarà la società umana nel nuovo ordinamento collettivista.
Quello che il socialista scientifico può affiermare ed afferma,
con matematica sicurezza, è che l'indirizzo, la traiettoria
dell'evoluzione umana è nel senso generale indicato e preveduto
dal socialismo, cioè nel senso di una continua, progressiva
prevalenza degli interessi e delle utilità della specie sugli interessi
e le utilità dell'individuo - e quindi nel senso di una continua
socializzazione della vita economica e per essa della vita
giuridica e morale e politica, che ne dipendono.
Quanto poi ai minuti particolari del nuovo edificio sociale noi
non possiamo prevederli, appunto perché questo nuovo edificio
sociale sarà ed è, un prodotto naturale e spontaneo
dell'evoluzione umana, che è già in via di formazione, di cui le
linee generali sono già embrionalmente abbozzate, ma non è la
costruzione immediata ed artificiale escogitata a tavolino da un
utopista o da un metafisico.
Così avviene, oltreché nelle scienze sociali, anche nelle scienze naturali.
Se ad un biologo voi date ad osservare un embrione umano
che abbia solo pochi giorni o poche settimane di sviluppo, egli
non saprà dirvi - per la nota legge Haeckeliana che lo sviluppo di
ogni embrione individuale riproduce in iscorcio le diverse
forme di sviluppo delle specie animali che l'hanno
preceduto nella serie zoologica - non saprà dirvi se sarà maschio o
femmina, né molto meno potrà prevedere se sarà un individuo
robusto o debole, sanguigno o nervoso, intelligente o no.
Egli saprà dirvi solo le linee generali della evoluzione futura di questo individuo, lasciando al tempo di precisarne, naturalmente e spontaneamente - secondo le condizioni organiche ereditarie e le condizioni dell'ambiente in cui vivrà - le particolarità svariatissime della sua personalità.
Così può e deve rispondere il socialista, come appunto il
Bebel disse al Reichstag
Lo stesso sarebbe stato se prima della Rivoluzione Francese - che determinò lo sbocciare del mondo borghese, preparato e maturato nella evoluzione precedente - le classi aristocratica e clericale, allora al potere, avessero detto ai rappresentanti del Terzo Stato - borghesi di nascita o aristocratici o sacerdoti abbraccianti la causa della borghesia contro i privilegi della loro casta, come il Marchese di Mirabeau e l'abate di Sieyès - avessero detto: "Ma e quale sarà il vostro mondo nuovo? Datecene prima il piano preciso e poi decideremo!"
Il Terzo Stato, la borghesia, non avrebbe allora saputo rispondere, perché non avrebbe potuto prevedere gli atteggiamenti della Società umana nel secolo XIX: eppure ciò non ha impedito alla rivoluzione borghese di effettuarsi, perché essa rappresentava la fase ulteriore, naturale ed inevitabile di una evoluzione eterna - come ora il socialismo è di fronte al mondo borghese. E se questo mondo borghese, nato da poco più di un secolo avrà un ciclo storico molto più breve del mondo feudale (aristocratico-clericale) sarà soltanto perché i meravigliosi progressi scientifici del secolo XIX avendo centuplicata la velocità della vita nel tempo e nello spazio, fanno compiere ora, all'umanità civile, in dieci anni lo stesso cammino, ch'essa lentamente percorreva in un secolo o due del Medio Evo.
La velocità continuamente accelerata della evoluzione umana, è appunto un'altra delle leggi stabilite e confermate dalla scienza sociale positiva.
Ed è poi da quelle costruzioni artificialiste del socialismo
sentimentale, che è derivata e si è radicata l'impressione - giusta,
relativamente ad esse - che socialismo sia sinonimo di
tirannide.
Naturale: se voi intendete il nuovo ordinamento sociale non come la forma spontanea della inmanente evoluzione umana, ma bensì come la costruzione artificiale che esca tutto d'un pezzo dal cervello di un architetto sociale, è impossibile che questi si sottragga alla necessità di disciplinare il nuovo ingranaggio con una infinità di regolamenti, e col potere supremo di una mente direttrice, individuale o collettiva. E si capisce allora come un tale ordinamento socialista lasci negli avversari - che della libertà nel mondo individualista vedono solo i vantaggi e dimenticano le piaghe che liberamente incancreniscono - l'impressione di un convento, di una reggimentazione e simili.
Ed anche un altro prodotto artificialista contemporaneo è
venuto a ribadire questa impressione - il socialismo di Stato
- che è fondamentalmente, lo stesso del socialismo sentimentale o
utopistico e soltanto, come diceva Liebknecht al Congresso
socialista di Berlino (1892) sarebbe "un
capitalismo di Stato, che aggiungerebbe allo sfruttamento
economico la schiavitù politica". Il cosidetto Socialismo di Stato
può documentare la potenza irresistibile di suggestione che ha il
socialismo scientifico e democratico, - come dimostrano i famosi
rescritti dell'imperatore Guglielmo, convocante una
conferenza internazionale per risolvere (proprio coll'idea infantile
del Decreto) i problemi del lavoro; oppure la famosa enciclica
De conditione opificum
Tutto questo arsenale di regolamenti e soprintendenze non ha invece niente a che fare col socialismo scientifico, il quale prevede lucidamente che la direzione del nuovo ordinamento sociale, necessaria per l'amministrazione della proprietà collettiva, non sarà niente più farragginosa di quella che è necessaria ora per l'amministrazione dello Stato, delle Provincie e dei Comuni e sarà invece molto meglio rispondente alle utilità sociali e individuali, perché prodotto naturale - e non parassitico - del nuovo organismo sociale: così come il sistema nervoso di un mammifero è l'apparecchio regolatore del suo organismo, più complicato che nell'organismo di un pesce o di un mollusco - ma senza alcuna tirannica soffocazione dell'autonomia degli altri organi ed apparecchi, fino alle cellule, nella loro confederazione vivente.
Resta dunque inteso, che se si vuole confutare seriamente il socialismo non bisogna ripetere le solite obiezioni, che riguardano il socialismo artificialista e sentimentale, il quale non nego possa continuare ancora nella massa nebulosa delle idee popolari, ma che ogni giorno va perdendo terreno ne' coscienti seguaci - di origine popolana o borghese o aristocratica - del socialismo scientifico che armato dall'impulso geniale di Carlo Marx di tutte le induzioni più positive della scienza moderna supera trionfante le viete obbiezioni, ripetute ancora solo per abitudine mentale dai nostri avversari, ma tramontate oramai dalla coscienza contemporanea insieme a quello stesso socialismo utopistico, che le aveva determinate.
La stessa risposta vale per la seconda parte dell'obbiezione relativa al modo, in cui si realizzerà l'avvento del socialismo.
È conseguenza inevitabile e logica del socialismo utopistico ed artificialista il pensare, che la costruzione architettonica proposta da questo o da quel riformatore, debba o possa applicarsi da un giorno all'altro, per decreto di re o di popolo.
Ed in questo senso l'illusione utopistica del socialismo
empirico è veramente in opposizione alla legge positiva
dell'evoluzione ed è sbagliata. E come tale appunto io la
combattei nel mio Socialismo e criminalità, perché
allora (1883) in Italia ancora non si erano
divulgate le idee del socialismo scientifico o marxista.
Anche un partito politico od una teoria scientifica sono
prodotti naturali, che devono passare per le fasi vitali dell'infanzia
e della giovinezza prima di toccare lo sviluppo completo. Era
inevitabile quindi che prima di essere scientifico e positivo, anche
il socialismo in Italia come negli altri paesi, passasse per la fase
infantile sia dell'esclusivismo corporativista (dei soli lavoratori
manuali) sia del romanticismo nebuloso, il quale dando alla
parola rivoluzione un significato ristretto ed incompleto, si
è sempre cullato nell'illusione che un organismo sociale possa
radicalmente cambiarsi dall'oggi al domani, con quattro fucilate;
così come un regime monarchico può cambiarsi in regime
repubblicano.
Ma cambiare la crosta politica di un ordinamento sociale è immensamente più facile - perché meno concludente e meno influente sul fondo economico della vita sociale - che non la orientazione diversa di questa vita sociale nella sua costituzione economica.
I processi di trasformazione sociale, come del resto con parole diverse quelli di ogni trasformazione negli esseri viventi, sono: l'evoluzione - la rivoluzione - la rivolta - la violenza personale.
Una specie minerale o vegetale od animale può subire nel ciclo della sua esistenza gli stessi quattro processi di trasformazione.
Finché il nucleo primo di cristallizzazione o il germe o
l'embrione aumenta gradatamente di struttura e di volume,
abbiamo un processo graduale e continuo di evoluzione, a
cui deve in uno od altro momento succedere un processo di
rivoluzione, più o meno prolungato, rappresentato per
esempio dal distacco del cristallo intero dalla massa minerale
circostante o da certe fasi rivoluzionarie della vita vegetale od
animale, come ad esempio il momento della riproduzione sessuale
e via dicendo; e così vi può essere qualche momento di
rivolta cioè di violenza individuale associata, come fra le
specie animali che vivono in società assai di frequente si verifica:
e vi può essere anche la violenza personale isolata, come
nelle lotte per la conquista del cibo o della femmina fra animali
della stessa specie e via dicendo.
Nel mondo umano si ripetono gli stessi processi, intendendo
per evoluzione la trasformazione quotidiana, quasi
inavvertita ma continua e inevitabile; per rivoluzione il
periodo critico e risolutivo più o meno prolungato, di
un'evoluzione giunta all'estremo; per rivolta la violenza
parzialmente collettiva, che scoppia, per la provocazione di questa
o di quella circostanza particolare, in un dato punto e in un dato
momento; e per violenza personale il tentativo di un
individuo contro un individuo od altri individui e che può essere o
l'effetto di un impeto di passione fanatica o l'esplosione di istinti
criminosi o la manifestazione di squilibrio mentale - atteggiantisi
alle idee più in voga in un dato momento politico o religioso.
Ora una prima osservazione da farsi è questa: che mentre la evoluzione e la rivoluzione appartengono alla fisiologia sociale, la rivolta e la violenza personali sono sinonimi invece di patologia sociale.
Certo sono tutti processi naturali e spontanei poiché, secondo il concetto di Virchow rinnovatore di gran parte della biologia moderna, la patologia non è che la continuazione della fisiologia - ed anche i sintomi patologici hanno o dovrebbero avere un grande valore diagnostico per le classi al potere, le quali purtroppo, in ogni epoca storica, così nei momenti di crisi politica come in quelli di crisi sociale, non sanno invece escogitare altro rimedio che la repressione personale, ghigliottinando o carcerando ed illudendosi con questo di aver curato la malattia organica e costituzionale che travaglia il corpo sociale.
Ma è incontestabile ad ogni modo che i processi e normali e perciò più fecondi e più sicuri, per quanto in apparenza più lenti e meno efficaci, di trasformazione sociale sono l'evoluzione e la rivoluzione, intesa questa nel senso esatto e positivo, di fase ultima di una evoluzione precedente, e non fatta sinonimo di rivolta tumultuosa e violenta come comunemente ed erroneamente si pensa.
È evidente infatti che l'Europa e l'America alla fine del secolo
XIX sono già in un periodo di rivoluzione, preparata dalla
precedente evoluzione fecondata dallo stesso ordinamento
borghese e proseguita dal socialismo prima utopistico e poi
scientifico - per la quale non solo siamo adesso in quel periodo
critico di vita sociale che Bagehot chiama "l'età della
discussione", ma si avverte già quello che Zola, nel suo meraviglioso
Germinal, chiamò lo scricchiolio dell'impalcatura
politico-sociale, per tutti quei sintomi che quasi colle stesse
parole Taine descrive nell'Ancien Régime narrando del
ventennio precedente al 1789. Sintomi, per i quali
verificandosi qua e là per i crepacci del terreno sociale delle
parziali fughe di vapori e di gas vulcanici, si ha indizio che tutta la
crosta terrestre soggiace alla pressione di un'interna rivoluzione,
contro la quale nulla varranno i temperamenti repressivi fatti a
questo o quel crepaccio, mentre efficacissime e feconde di bene
potrebbero essere solo quelle leggi sapienti di riforma e
prevenzione sociale, che pur giovando al presente, renderebbero
meno doloroso, come diceva Marx "il parto della nuova società".
Ecco perché evoluzione e rivoluzione intese in questo senso positivo, si dimostrano come i processi più fecondi e più sicuri di metamorfosi sociale: appunto perché la società umana è un organismo naturale e vivente, come ogni altro, appunto per questo essa non può subire trasformazioni immediate ed improvvise, come s'illudono coloro che ritengono doversi ricorrere soltanto, o in precedenza, alla rivolta ed alla violenza personale per l'attuazione di un nuovo ordinamento sociale. Sarebbe come pretendere che un fanciullo od un giovane potessero in un giorno compiere una tale evoluzione biologica - sia pure nel periodo rivoluzionario della pubertà - da diventare immediatamente un adulto. Si capisce purtroppo che il disoccupato, sotto gli spasimi della fame o nell'esaurimento cerebrale della denutrizione o nei sogni dell'ignoranza possa illudersi che dando un pugno ad una guardia di pubblica sicurezza o gettando una bomba o facendo una barricata od una sommossa possa avvicinarsi alla realizzazione di un ideale di minore iniquità sociale.
Ed anche fuori di questo caso, si capisce che la forza impulsiva del sentimento, prevalendo in certi uomini, possa spingerli per generosa impazienza a qualche tentativo, anche reale - e non immaginario come quelli che sempre le polizie di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno presentato alla repressione dei tribunali - per secondare, la smania od il terror bianco di chi sente sfuggirsi di mano il potere politico od economico.
Ma la tattica del socialismo scientifico, specialmente in Germania, per l'influenza più diretta del marxismo, ha completamente abbandonato questi vecchi metodi del romanticismo rivoluzionario, che ripetuti tante volte hanno sempre abortito e perciò, in sostanza, sono meno temuti dalle classi dominanti, perché sono lievi scosse localizzate contro una fortezza che ha ancora consistenza più che sufficiente per riuscirne vittoriosa e assicurarsi colla vittoria del momento il ritardo della evoluzione, mediante la selezione eliminativa degli avversari più audaci e più forti.
Il socialismo marxista è rivoluzionario nel senso scientifico di questa parola e si svolge ora in piena rivoluzione sociale - perché nessuno vorrà, negare che la fine del secolo XIX non segni la fase critica della evoluzione borghese lanciata a tutto vapore, più altrove che in Italia, sulla via del capitalismo individualista.
Ed il socialismo marxista ha la franchezza di dire, per bocca
dei suoi rappresentanti più colti, alla grande falange
dolorosa del proletariato moderno, ch'esso non ha la bacchetta
magica per cambiare dall'oggi al domani il mondo, come si
cambiano le scene in teatro all'alzata del sipario; ma dice anzi, col
fatidico grido di raccolta che Marx gettava al mondo dei
lavoratori: "Proletari di tutto il mondo unitevi!"- dice che la
rivoluzione sociale non può raggiungere il suo termine se essa
prima non siasi maturata nella coscienza dei lavoratori stessi,
colla visione chiara dei loro interessi di classe e della loro forza
immane quando siano uniti, anziché credere di potere svegliarsi
da un giorno all'altro in pieno regime socialista, sol perché
restando inerti e divisi per 364 giorni dell'anno, si mettessero
in testa il 365° giorno di abbandonarsi a qualche rivolta od a
qualche violenza personale.
È questa la psicologia che io chiamo del "terno al lotto" per la quale appunto i lavoratori e tutti i colpiti dalla miseria sognano di potere - senza far niente per costituirsi in partito cosciente di classe - un bel giorno vincere il terno al lotto della rivoluzione sociale, così come si dice che agli ebrei cadde la manna dal cielo.
Il socialismo scientifico rileva dunque come la
potenza trasformatrice vada scemando dall'uno all'altro
processo; di mano in mano che dall'evoluzione si passa alla
rivoluzione, da questa alla rivolta e da questa alla violenza
personale. Appunto perché si tratta di una trasformazione
dell'intera società nella sua base economica e quindi nei suoi
ordinamenti giuridici, politici e morali - appunto per questo il
processo di trasformazione di tanto è più efficace e adatto di
quanto è più sociale e meno individuale.
I partiti individualisti sono personalisti anche nella lotta
quotidiana - il socialismo invece è collettivista anche in questa,
perché sa che l'ordinamento attuale non dipende da questo o
quell'individuo, ma dall'intera società. Ed ecco perché, al lato
opposto, anche per quanto generosa, necessariamente personale o
la beneficenza, parziale, non può essere un rimedio della
questione, sociale e quindi collettiva, della distribuzione della
ricchezza.
Nella questione politica che lascia intatta la base
economica-sociale si capisce come l'esilio di Napoleone III o
dell'imperatore Don Pedro possa instaurare una repubblica. Ma
questa superficiale trasformazione non toccherà il fondo della vita
sociale e l'Impero Germanico o la Monarchia Italiana sono
socialmente borghesi come la Repubblica Francese o quella del
Nord America; perché, malgrado le differenze di vernice
politica, appartengono alla stessa fase
economico-sociale.
Ecco perché i processi dell'evoluzione e rivoluzione, i soli
completamente sociali o collettivi, sono i più efficaci; mentre la
rivolta parziale e tanto più la violenza individuale non
hanno in sé che una lontanissima energia di trasformazione
sociale e invece racchiudono tanta parte anti-sociale ed
antiumana, risvegliando gli istinti primitivi del sangue e del
fratricidio e insieme alla persona del colpito offendono il
principio stesso, da cui si credono animati: il principio del rispetto
alla vita umana e della solidarietà.
Poco importa ipnotizzarsi colle frasi della "propaganda di fatto" e dell'"azione immediata".
Come si sa, gli anarchici, che sono individualisti o "amorfisti"
o "libertari" ammettono, come mezzo ordinario di trasformazione
sociale, la violenza personale, che va dall'omicidio al furto
o estampage
Io infatti ho sempre sostenuto e sostengo, che il "delinquente
politico" di cui alcuni vorrebbero fare una categoria speciale, non
costituisce una varietà antropologica a sé, ma può invece
appartenere ad ognuna delle categorie antropologiche di
delinquenti comuni e specialmente ad uno di questi tre: o
delinquente nato, per tendenza congenita - o
delinquente pazzo - o delinquente per impeto di
passione fanatica.
La storia del passato e di questi stessi giorni ne offre esempi evidenti.
Come nel Medio Evo, le credenze religiose preoccupavano la
coscienza universale e colorivano quindi gli eccessi criminosi o
pazzeschi di molti squilibrati oppure determinavano realmente dei
casi di "santità" più o meno isterica: così alla fine del nostro
secolo le questioni politico-sociali preoccupando e con tanta
maggiore veemenza, la coscienza universale - che si esalta poi per
il maggiore contagio universale dato dal giornalismo, colla sua
grande réclame - sono esse che coloriscono gli eccessi
criminosi o pazzeschi di molti squilibrati o determinano anche dei
casi di fanatismo in uomini veramente onesti, ma iperestesici.
E sono le questioni politico-sociali nella loro forma estrema
assunta ad ogni momento storico, quelle che naturalmente hanno
più intensa questa energia suggestiva. Sessant'anni fa, in Italia, era
il mazzinianismo od il carbonarismo: vent'anni fa era
il socialismo; ora è l'anarchismo.
E si capisce quindi come delle violenze personali,
siansi verificate in ogni tempo e secondo il colore del tempo...
Felice Orsini, per esempio, è tra i martiri della rivoluzione
italiana.
Ora, all'infuori dei giudizi inevitabilmente erronei dettati
dall'emozione momentanea, in ogni caso di violenza
personale la decisione non può essere che il frutto di un esame
fisio-psichico sull'autore di essa, come per qualunque altro
delitto.
Felice Orsini fu un delinquente politico per impeto di
passione. Fra gli anarchici bombardieri o pugnalatori dei
nostri giorni ci può essere tanto un delinquente nato - che
colorisce soltanto la sua congenita mancanza di senso morale o
sociale, colla vernice politica - quanto il delinquente pazzo o
mattoide che atteggia il suo squilibrio mentale alle idee politiche
del momento, e vi può essere anche il delinquente per
passione politica, veramente convinto ed abbastanza
normale, in cui l'atto violento è determinato solo dal falso
concetto (che il socialismo combatte) di una possibile
trasformazione sociale mediante una violenza
individuale.
Comunque sia, trattisi di delinquente nato o pazzo od anche
di delinquente politico per impeto di passione, non resta meno
vero che la violenza personale, adottata dagli anarchici
individualisti, mentre è il prodotto logico dell'individualismo
spinto agli estremi ed è quindi il prodotto naturale dell'attuale
ordinamento economico giunto agli estremi - col relativo "delirio
della fame" o acuta o cronica - e invece il mezzo meno efficace e
più anti-umano di trasformazione sociale.
Ma, oltre gli anarchici individualisti o amorfisti o autonomisti, vi sono gli anarchici comunisti.
Questi ripudiano la violenza personale, come mezzo
ordinario di trasformazione sociale (ed il Merlino
recentemente lo dichiarò, fra gli altri, nel suo opuscolo
Necessità e base di un accordo, Prato
1892); ma però anche questi anarchici
comunisti dissentono dal socialismo marxista, non solo per
l'ideale ultimo ma anche e soprattutto pel metodo di
trasformazione sociale: dacché essi, combattendo come
"legalitari" e "parlamentaristi" i socialisti marxisti, sostengono
che il modo più efficace e più sicuro di trasformazione sociale sia
la rivolta.
Essi potranno con queste affermazioni, che purtroppo meglio rispondono alla nebulosità dei sentimenti e delle idee di troppa gran parte dei lavoratori, e dalla impazienza delle loro condizioni miserabili, averne un incosciente assenso momentaneo; ma la loro azione non può essere che transitoria, come spuma nell'acqua, così come lo scoppio di una bomba può produrre qualche emozione momentanea, ma non fa avanzare di un millimetro l'evoluzione delle coscienze verso il socialismo, mentre determina anzi una reazione del sentimento, in gran parte sincera, ma anche abilmente fomentata e sfruttata come pretesto di repressione.
Dire ai lavoratori che, senza preparazione non solo di mezzi materiali ma sopratutto di solidarietà e di coscienza morale, essi devono insorgere contro le classi al potere, è un fare piuttosto gli interessi di queste classi dominanti, perché esse hanno la sicurezza della vittoria materiale, quando l'evoluzione non è matura e la rivoluzione non è pronta.
Ecco perché, malgrado tutte le menzogne interessate, si è veduto nei moti recenti della Sicilia che dove il socialismo era più avanzato e cosciente non sono avvenute violenze personali né rivolte, come tra i contadini di Piana dei Greci educati al socialismo cosciente da Nicola Barbato; mentre tali moti convulsivi sono avvenuti o all'infuori della propaganda socialista, come rivolta contro le angherie e camorre municipali, o dove la propaganda socialista meno cosciente fu sopraffatta dagli impeti della fame e della miseria.
La storia dimostra che i paesi nei quali le rivolte furono più
frequenti, ivi il progresso sociale è meno avanzato; appunto
perché le energie popolari si esauriscono e si spezzano in questi
eccessi febbrili e convulsivi, ed alternandosi coi periodi di
accasciamento e di sfiducia - a cui risponde la teoria buddistica
dell'astensione dal voto.... che fa così comodo a tutti i
partiti conservatori - non rappresentano alcuna continuità di quella
azione cosciente, in apparenza più lenta e meno efficace, ma in
realtà la sola, che sappia compiere quelli che sembrano i miracoli
della storia.
Ed ecco perché il socialismo marxista, in tutti i paesi oramai,
ha proclamato che il principale mezzo di trasformazione sociale
deve essere la conquista dei pubblici poteri (nelle
amministrazioni locali e nei Parlamenti) come uno degli effetti
della organizzazione cosciente dei lavoratori in un solo partito di
classe; mentre di questa organizzazione, man mano che si
farà più intensa e più estesa, ben altri saranno gli effetti,
veramente rivoluzionari, nel senso positivo ora delineato. Di tanto
cioè progredirà nei paesi civili la organizzazione politica dei
lavoratori, di altrettanto essi vedranno realizzarsi, per evoluzione
fatale, l'ordinamento socialista della società, prima colle
concessioni parziali ma sempre più estese della classe capitalista
alla classe lavoratrice (esempio eloquente la legge delle .
ore), poi la trasformazione integrale della proprietà
individuale in proprietà sociale.
Che poi questa trasformazione integrale mentre ora, preparandosi per evoluzione graduale, si avvicina al momento critico e risolutivo della rivoluzione sociale, possa verificarsi con o senza il concorso degli altri mezzi di trasformazione - rivolta e violenza personale - è ciò che nessuno può profetizzare.
L'augurio nostro sincero è, che la rivoluzione sociale si
verifichi, quando l'evoluzione ne sarà maturata, pacificamente,
come tante altre rivoluzioni si sono pacificamente compiute senza
spargere una goccia di sangue: esempio, la Rivoluzione inglese
che precedette di un secolo col Bill of Rights
Ed è certo che la coltura più diffusa nel popolo e la sua
organizzazione cosciente in partito di classe sotto la bandiera del
socialismo, non fanno che aumentare la probabilità di questo
nostro augurio, e fanno quindi sfumare anche le viete previsioni di
un periodo di reazione dopo l'avvento del socialismo, che
solo avrebbero ragion d'essere quando il socialismo fosse
ancora utopistico nei mezzi di sua attuazione, anziché essere,
com'è, la fase naturale e spontanea e perciò inevitabile ed
irrevocabile dell'evoluzione umana.
E donde comincerà questa rivoluzione sociale? Io sono
fermamente convinto, che mentre i popoli latini, perché
meridionali, hanno maggiore facilità alle rivolte sussultorie, che
possono riuscire nelle trasformazioni puramente politiche; i
popoli settentrionali invece, tedeschi ed anglo-sassoni, sono più
disposti alla disciplina tranquilla ma inesorata della vera
rivoluzione, come una fase critica di precedente evoluzione
organica e graduale, che è il solo processo efficace per una
trasformazione veramente sociale.
Ed è dalla Germania o dall'Inghilterra, dove il maggiore sviluppo dell'industrialismo borghese accelera fatalmente i suoi inconvenienti e quindi la necessità del socialismo - è di là che si compirà forse la grande metamorfosi sociale, del resto ormai dovunque iniziata, e di là si propagherà per la vecchia Europa, come alla fine del secolo scorso dalla Francia partì il segnale della rivoluzione politica e borghese.
Comunque sia, resta ancora una volta dimostrata la profonda differenza, che esiste fra socialismo ed anarchismo - che ai nostri avversari ed alla stampa servile preme invece di presentare confusi agli occhi velati dalla emozione o dalla ignoranza - e resta ad ogni modo dimostrato come il socialismo marxista rappresenti un accordo vitale ed una continuazione feconda della scienza positiva; per questo appunto, che esso ha fatto della teoria dell'evoluzione succo e sangue delle proprie induzioni e segna quindi la fase veramente vitale e definitiva - e perciò l'unica ormai sopravvivente nella coscienza della democrazia collettivista - di quel socialismo, che era rimasto finora fluttuante nelle nebulosità del sentimentalismo, senza la bussola infallibile del pensiero scientifico, rinnovato per le opere di Darwin e di Spencer.
Un fenomeno veramente strano nella storia del pensiero dopo la prima metà del secolo XIX, fu questo: che la profonda rivoluzione scientifica determinata dal darvinismo e dallo spencerianismo aveva pervaso, rinnovandola di nuova giovinezza, ogni parte delle scienze fisiche, biologiche e psicologiche; ma giunta nel campo delle scienze sociali essa non aveva che superficialmente increspate le onde del tranquillo lago ortodosso di quella scienza sociale per eccellenza, che è l'economia politica.
Erasi, è vero, per l'iniziativa di Augusto Comte che è stato in parte offuscato dai nomi di Darwin e di Spencer, ma che fu indubbiamente una delle menti più grandiose e feconde dell'epoca nostra - erasi creata una scienza nuova - la sociologia - che avrebbe dovuto essere, colla storia naturale delle società umane, il coronamento glorioso del nuovo edificio scientifico, innalzato dal metodo sperimentale. E non nego che la sociologia, nella parte di pura anatomia descrittiva dell'organismo sociale, abbia recato grandi e feconde novità nella scienza contemporanea, ramificandosi anche in talune sociologie speciali, di cui la sociologia criminale per opera della Scuola positiva italiana è veramente uno dei risultati più fecondi e più vivi.
Ma quando si abbordava la questione politico-sociale, la nuova scienza della sociologia era presa come da una specie di sonno ipnotico e rimanendo sospesa in un limbo incolore e inodore, permetteva ai sociologi di essere in economia pubblica come in politica, o conservatori o radicali, capricciosamente, secondo le tendenze personali di ciascuno di loro.
E mentre la biologia darvinista collo studio dei rapporti fra individuo e specie e la stessa sociologia evoluzionista col rilevare nella società umana gli organi e le funzioni di un vero e proprio organismo vivente, riduceva l'individuo nell'organismo sociale alla proporzione relativa di una cellula nell'organismo animale, Erberto Spencer si affermava anglicamente individualista, fino all'anarchismo teorico più assoluto.
Era inevitabile quindi un ristagno nella produzione scientifica della sociologia, dopo le prime osservazioni più originali di anatomia sociale descrittiva e di storia naturale delle società umane. La sociologia rappresentava così un arresto di sviluppo nel pensiero scientifico sperimentale, perché i suoi cultori, scientemente o inscientemente, si ritraevano dalle conclusioni logiche e radicali, che la rivoluzione scientifica moderna inevitabilmente doveva portare nel campo sociale - che è quello che interessa di più, se il positivismo vuol fare della scienza per la vita, anziché arrestarsi alla formula onanistica della scienza per la scienza.
Il facile segreto di questo fonomeno strano sta non solo nel
trovarsi ancora, come rilevava il Malagodi la sociologia
nel periodo dell'analisi scientifica, prima di arrivare alla
sintesi; ma soprattutto sta in ciò, che le conseguenze
logiche del darvinismo e dell'evoluzionismo scientifico applicati
allo studio della società umana, conducono inesorabilmente al
socialismo, come ho dimostrato nelle pagine procedenti.
Il merito però di aver data espressione scientifica a queste
applicazioni logiche dello sperimentalismo scientifico nel campo
dell'economia sociale, - per quanto involuta in una farraggine di
particolari tecnici e di formule in apparenza dogmatiche - come
del resto è nei Primi Principii di Spencer dove i paragrafi
luminosi sull'evoluzione, sono attorniati dalla nebbia delle
astrazioni sul tempo, lo spazio, l'inconoscibile ecc. spetta
a Carlo Marx. E la sua opera scientifica, sebbene soffocata fino a
pochi anni fa da una specie di cospirazione del silenzio per parte
della scienza ortodossa, rifulge oramai di luce inestinguibile e lo
pone incontestabilmente con Carlo Darwin o con Erberto Spencer
a completare la triade della rivoluzione scientifica, agitante nei
fremiti di una nuova primavera intellettuale, il pensiero civile
della seconda metà del secolo XIX.
Sono tre specialmente le idee geniali colle quali Carlo Marx completava nel campo dell'economia sociale la rivoluzione portata dalla scienza positiva.
La scoperta della legge del sopra-lavoro, che ha però
un carattere prevalentemente tecnico, come spiegazione positiva
dell'accumulamento della proprietà privata dissociata dal lavoro e
della quale perciò, avendone già dato un'idea elementare nelle
pagine precedenti, non è qui il caso d'insistere.
Le altre due teoriche marxiste, interessano molto di più queste nostre osservazioni generali sul socialismo scientifico, perché esse danno veramente la chiave sicura ed infallibile di ogni segreto della vita sociale.
Alludo all'idea espressa, fin dal 1859, nella
Critica dell'economia politica, che il fenomeno economico
è la base e la condizione di ogni altra manifestazione umana e
sociale; e che quindi la morale, il diritto, la politica non sono che
fenomeni derivati dal fattore economico, secondo le
condizioni di ciascun popolo in ogni fase della storia e in ogni
plaga della terra.
E questa idea, che risponde alla grande legge biologica per cui la funzione è determinata dall'organo e per la quale ogni uomo è quale risulta dalle condizioni innate ed acquisite del suo organismo fisiologico, vivente in un dato ambiente, sicché si può dare una estensione veramente biologica al detto famoso "dimmi come mangi e ti dirò chi sei" - questa idea geniale, che realmente ci spiega dinnanzi agli occhi il dramma grandioso della vita umana, non più come il succedersi capriccioso dei grandi uomini sulla ribalta del teatro sociale, ma bensì come la risultante delle condizioni economiche di ciascun popolo, è stata - dopo qualche parziale applicazione del Thorold Rogers - così potentemente illustrata da Achille Loria, che stimo inutile aggiungervi nulla di mio.
Una sola idea io credo necessaria, per completare questa
teoria marxista, come già sostenni nella prima edizione di
Socialismo e criminalità.
Bisogna cioè svestire questa teoria inoppugnabile, di quella specie di dommatismo unilaterale, che nel Marx e più ancora nel Loria esso è venuto assumendo. Verissimo che ogni fenomeno ed istituzione sociale - o morale o giuridica o politica - non è che la ripercussione del fenomeno e delle condizioni economiche, in ciascun momento dell'ambiente fisico e storico.
Ma, per la legge di causalità naturale - per cui ogni effetto è sempre la risultante di molte cause intrecciate e non di una sola, ed ogni effetto diviene alla sua volta causa di altri fenomeni - bisogna completare quella forma troppo schematica di una idea vera.
Come tutte le manifestazioni psichiche dell'individuo sono la risultante delle sue condizioni organiche (temperamento) e dell'ambiente in cui vive; così tutte le manifestazioni sociali - morali, giuridiche, politiche - di un popolo sono la risultante delle sue condizioni organiche (razza) e dell'ambiente, in quanto queste determinano un dato ordinamento economico, che è la base fisica della vita.
Ma come poi, alla loro volta, le risultanti condizioni psichiche dell'individuo influiscono, sebbene con molto minore efficacia - da effetto diventando causa - sulle sue condizioni organiche e sull'esito della sua lotta per la vita; così le istituzioni morali, giuridiche, politiche alla loro volta da effetto diventano causa (non essendovi per la scienza positiva, nessuna differenza sostanziale tra causa ed effetto, se non in ciò che l'effetto è il susseguente costante di un dato fonomeno e la causa ne è il precedente costante), e quindi reagiscono sebbene con molto minore efficacia, sulle condizioni economiche.
Un individuo che sappia di igiene può influire, per es., sulle imperfezioni del suo apparecchio digestivo, ma sempre dentro i limiti molto ristretti della sua potenzialità organica - come una scoperta scientifica o una legge elettorale può influire sull'industria o sulle condizioni del lavoro, ma sempre dentro i cardini dell'ordinamento economico fondamentale. Sicché le istituzioni morali, giuridiche, politiche determinano assai maggiori effetti nei rapporti tra le varie categorie della classe detentrice del potere economico (capitalisti, industriali e proprietari terrieri) che non nei rapporti tra capitalisti-proprietari da una parte e lavoratori dall'altra.
Ad ogni modo, rinviando al libro suggestivo del Loria il lettore che volesse vedere come con questa legge marxista si spieghino positivamente tutti i fenomeni, dai più minuti ai più grandiosi, della vita sociale, mi basta per ora di averla qui ricordata - perché essa è veramente la teoria sociologica più positiva, più feconda, più geniale che siasi mai presentata e per la quale, ripeto, la storia sociale nei suoi drammi più grandiosi come la storia personale ne' suoi episodi più minuti, ricevono una spiegazione positiva, fisiologica, sperimentale - in pieno accordo con tutta la orientazione, che fu detta materialista, del pensiero scientifico moderno.
La storia umana ebbe due spiegazioni unilaterali, e
perciò incomplete per quanto positive e scientifiche - all'infuori di
quelle antiscientifiche del libero arbitrio o della provvidenza
divina - e sono il determinismo tellurico sostenuto da
Moutesquieu, a Buckle, a Metschnikoff ed il determinismo
antropologico sostenuto da tutti gli etnologi, limitanti ai
caratteri organici e psichici di razza la ragione storica degli eventi.
Carlo Marx col determinismo economico riassume e
completa le due teoriche, rendendole veramente psicologiche.
Le condizioni economiche - che sono la risultante delle
energie ed attitudine etniche operanti in un dato ambiente
tellurico - sono la base determinante di ogni altra
manifestazione morale, giuridica, politica nell'esistenza umana,
individuale e sociale.
Ecco la geniale teoria marxista, positiva e scientifica se altra mai, che non teme obbiezioni, suffragata com'è dalle più sicure indagini della geologia come della biologia, della psicologia come della sociologia.
Per essa sola, possono i filosofi del diritto ed i sociologi
determinare la vera natura e le funzioni dello Stato, il quale
non essendo altro che "la Società giuridicamente e
politicamente organizzata", evidentemente non è che il braccio
secolare di cui dispone la classe detentrice del potere economico -
e quindi del potere politico, giudiziario ed amministrativo - per
conservare e cedere il meno e più tardi possibile i propri
privilegi.
L'altra teoria sociologica, colla quale Carlo Marx ha veramente diradato le nebbie che finora oscuravano il cielo delle aspirazioni socialiste - che però dal solo fatto della loro persistenza millenaria hanno riconferma di rispondere istintivamente alla verità delle cose - ed ha fornito al socialismo scientifico la bussola politica per orientarsi con piena sicurezza nel dibattito della vita quotidiana: è la grande legge storica della lotta di classe.
Stabilito che le condizioni economiche dei gruppi sociali come degli individui sono il determinante fondamentale di ogni loro altra manifestazione morale, giuridica, politica - ; è evidente che ogni gruppo sociale come ogni individuo sarà tratto ad agire secondo l'utile suo economico, perché questa è la base fisica della vita e la condizione di ogni altra esistenza; e quindi è evidente che nell'ordine politico ogni classe sociale sarà tratta a fare leggi, a stabilire istituzioni, a consacrare costumi e credenze che rispondano all'utilità sua diretta o indiretta.
Leggi, istituzioni, credenze, che poi per trasmissione ereditaria e per tradizione velano e nascondono l'origine loro economica e sono quindi, assai spesso, sostenute e difese da giuristi e filosofi od anche da profani, come verità per sé stanti, senza avvertirne la sorgente reale; ma questa non resta meno la spiegazione sola positiva di quelle leggi, istituzioni, credenze. E qui appunto risiede la potenza geniale dello sguardo di Carlo Marx.
E poiché nel mondo moderno le classi sono
nettamente e sostanzialmente due sole, malgrado le loro varietà
accessorie; da una parte: lavoratori, a qualunque categoria
appartengano e dall'altra i proprietari non lavoratori - così
anche nelle conclusioni pratiche e nella disciplina politica la
teoria socialista di Carlo Marx porta a questo risultato evidente:
che siccome i partiti politici non sono che l'eco ed il portavoce
degli interessi di classe, così per quante varietà superficiali o
metodiche vi possano essere, sostanzialmente i partiti politici non
possono essere che due: il partito socialista dei lavoratori e il
partito individualista della classe detentrice della terra e degli altri
mezzi di produzione.
Può la differenza del monopolio economico determinare una
certa diversità di colore politico: ed io ho sempre detto che
per esempio i grandi proprietari della terra rappresentano le
tendenze conservatrici dell'immobilismo politico, mentre i
detentori del capitale mobile o industriale rappresentano spesso il
partito progessista, di natura sua più portato alle piccole
innovazioni di forma e di superficie, mentre, ad esempio, i
detentori del solo capitale intellettuale, professionisti liberi e
simili possono anche giungere fino al radicalismo
politico.
Ma nella sostanza vitale delle cose - cioè nella questione
economica della proprietà - conservatori, progressisti, radicali
sono tutti individualisti, carne e midollo della medesima classe
sociale e quindi sostanzialmente divisi - malgrado le simpatie
sentimentali ma poco concludenti - dalla classe dei lavoratori e di
quelli che, pure appartenendo per nascita all'altra riva, ne
abbracciano e ne propugnano esplicitamente il programma
politico, che risponde necessariamente alla loro primordiale,
imprescindibile necessità economica - cioè la socializzazione
della terra e dei mezzi di produzione, con tutte le innumerevoli e
radicali trasformazioni morali, giuridiche e politiche che essa
naturalmente determinerà nel mondo sociale.
Ed ecco quindi come la vita politica contemporanea non può che degenerare nel bizantinismo più sterile o nell'affarismo più corrotto quando si restringe alle battaglie superficiali dei partiti individualisti, diversi soltanto oramai per il colore e l'etichetta formale, ma confusi talmente nelle idee, da vedere spesso dei radicali o dei progressisti meno moderni nelle idee sociali di molti conservatori.
È soltanto col presentarsi e rafforzarsi del partito socialista che la vita politica sarà ravvivata e risanata, perché - scomparse dalla scena politica le figure storiche dei patriotti e le ragioni personali di dissidi fra i rappresentanti delle varie gradazioni politiche - sarà inevitabile la formazione di quel conglomerato dei partiti individualisti, che io annunciai nel Parlamento italiano nella tornata del 20 dicembre 1893 e che ogni giorno accresce i sintomi della sua formazione.
E il duello storico sarà allora impegnato e la lotta di classe spiegherà allora anche nel terreno politico, tutta la sua benefica influenza, non nel senso meschino dei pugilati o degli oltraggi, dei rancori o delle violenze personali; ma nel grandioso significato di un dramma sociale, che ci auguriamo con tutta l'anima possa risolversi, per la progredita civiltà e coltura, senza convulsioni sanguinose, ma che ad ogni modo è posto dalla fatalità storica e non è dato a noi né agli altri di impedirlo né di ritardarlo.
Come si vede, queste idee del socialismo politico, perché
scientifico, portano a quella stessa tolleranza personale
unita all'intransigenza nelle idee, che è l'effetto pure della
psicologia positiva nel campo filosofico e per le quali, mentre
possiamo avere la maggiore simpatia personale per questo o quel
rappresentante della frazione radicale del partito individualista
(come del resto per ogni rappresentante onesto e sincero di
qualsiasi opinione scientifica, religiosa o politica) - dobbiamo
però assolutamente riconoscere che di fronte al socialismo non
esistono i cosiddetti "partiti affini". O di quà o di là - o
individualisti o socialisti; non c'è via di mezzo; ed io ho dovuto
sempre più convincermi che l'unica tattica utile por la formazione
di un partito socialista vitale è appunto questa intransigenza nelle
idee e questo rifiuto di qualsiasi cosiddetta "alleanza" coi partiti
affini, i quali per il socialismo non possono rappresentare che una
"falsa placenta" per un feto non vitale.
Conservatori e socialisti sono prodotti naturali del carattere
individuale e dell'ambiente sociale, perché si nasce conservatore o
innovatore, come si nasce pittore o chirurgo. E i socialisti quindi
non hanno nessun dispregio né rancore verso i rappresentanti
sinceri di qualsiasi frazione del partito conservatore, pur
combattendone ad oltranza le idee. Se qualche socialista cade
nell'intolleranza o nell'oltraggio personale, non è che
vittima della emozione momentanea o di un temperamento meno
equilibrato e sereno; ed è quindi molto scusabile.
Ciò che move ad un sorriso di compassione è invece il vedere
certi conservatori "giovani d'anni, ma vecchi di pensiero" - perché
il conservatorismo nei giovani se non è calcolo di tornaconto è
indizio di anemia psichica - atteggiarsi ad un'aria di
suffisance e quasi di compatimento verso i socialisti,
considerandoli tutt'al più come "traviati" senza accorgersi che se è
normale che i vecchi siano conservatori, i conservatori giovani
invece, salve poche eccezioni, non sono che degli egoisti,
timorosi di perdere o l'agiatezza oziosa in cui sono nati o le
comodità della greppia ortodossa.
Essi sono, cioè, se non dei microcefali, certo dei microcardiaci. Il socialista invece, che ha tutto da perdere e niente da guadagnare sostenendo apertamente le sue idee, può contrapporre tutta la sua superiorità di un altruismo disinteressato, massime quando, nato di classe aristocratica o borghese, egli non cura le lusinghe della vita brillante ed oziosa, per difendere la causa dei miseri e degli oppressi.
Ma - si dice - questi "socialisti borghesi," lo fanno per amore di popolarità! Strano egoismo, ad ogni modo, questo che all'"individualismo borghese" degli stipendi e dei subiti guadagni preferisce "l'idealismo socialista" della simpatia popolare, anche quando questa non gli mancherebbe poi per altre vie e con altri mezzi meno compromettenti colla classe al potere.
Auguriamo ad ogni modo che la borghesia, quando dovrà cedere il potere economico e quindi politico, perché esso, nel nuovo ordinamento sociale, vada a beneficio di tutti - e vincitori e vinti, come diceva benissimo il Berenini, diventino veramente fratelli senza distinzione di classe, nella comune sicurezza di una vita degna di creature umane - auguriamoci, diceva, che la borghesia cedendo il potere dia esempio di quella dignità e rispettabilità di cui l'aristocrazia ha dato e dà prova nello spossessamento subìto come classe, per opera della stessa borghesia trionfante colla Rivoluzione francese.
Comunque, questa verità sostanziale del socialismo marxista e la sua perfetta ed intima rispondenza colle induzioni più sicure della scienza positiva, spiegano ad esuberanza i progressi immensi non solo di proselitismo - che potrebbe essere anche l'effetto puramente negativo di un disagio materiale e morale acutizzatosi in un periodo di crisi sociale - ma soprattutto nella unità concorde di disciplina e nella solidarietà cosciente, che nella sua manifestazione mondiale e periodica del I Maggio, presenta una grandiosità di fenomeno morale, a cui la storia umana non offre alcun riscontro paragonabile, se se ne toglie il movimento del primitivo cristianesimo, che però ebbe un campo d'azione assai più ristretto del socialismo contemporaneo.
Ed ormai - all'infuori dei conati o isterici o incoscienti di un ritorno della scettica borghesia al misticismo, come salvazione dalla crisi morale e materiale del momento, proprio come la donna licenziosa si fa bigotta invecchiando - ormai avversari e seguaci, sono costretti a riconoscore che, come il cristianesimo allo sfasciarsi del mondo Romano, così ora il socialismo rappresenta veramente l'unica forza che alla vecchia civiltà umana ridoni la speranza di un avvenire migliore - in nome di una fede, non più attinta agli slanci inconsci del sentimento, ma determinata dalla cosciente sicurezza della scienza positiva.