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MEMORIA INTORNO AI DRUIDI E AI BARDI BRITANNI.
Malgrado la crescente celebrità d'Ossian e il concorso di lettori che la meravigliosa versione del Cesarotti procacciò a que' poemi in Italia, noi non abbiamo se non se poche ed insufficienti notizie, le quali, mostrandoci il genio de' tempi, le istituzioni civili e i riti religiosi de' Bardi e della loro nazione, aiutino l'intelligenza di poeti tanto stranieri al carattere della nostra letteratura, ed illuminino la storia di un popolo sì diverso dagli altri e quasi ignoto a' dì nostri. Forse la credenza, in cui molti si rimangono tuttavia, che i poemi di Ossian venissero foggiati da Macpherson, fe' parere inutili a' nostri letterati le indagini intorno ad un'età favolosa e oscurissima. Nel 1° volume di questi Annali, a pag. 284 e seg., abbiamo con gli Atti della società patriotica dell'Alta Scozia, pubblicati in Londra, evidentemente distrutti i sospetti sulla originalità de' poemi di Ossian. Le cure e i lumi di quella benemerita società vanno ognor più persuadendo con incontrastabili prove di fatto che il Macpherson, anzi che aver egli inventate quelle poesie le ha, con la sua traduzione (fatta con troppa fretta e con poco studio della letteratura e de' costumi di Scozia), spogliate assai volte del loro carattere e della loro sublime semplicità.
Ma per quanto riesca difficile il rimuovere i nostri letterati dalle loro opinioni, ove pure alcuni resistessero alle prove dell'autenticità delle poesie d'Ossian, speriamo ch'essi non vorranno contendere almeno l'antichissima esistenza de' Bardi, e la preponderanza ch'essi ebbero non solo ne' costumi e nel governo de' popoli di là dell'Oceano, ma ben anche presso i Galli e i Germani. Cesare, Tacito, Lucano e tutti gli antichi scrittori che trattarono delle guerre romane nella Germania, nelle Gallie e nella Bretagna, hanno a noi tramandati moltissimi documenti.
Ma due potenti ragioni rendono insufficienti per noi le testimonianze de' Romani. Primamente essi corsero e tennero come provincie conquistate i paesi che descrissero ne' loro libri. La geografia, i costumi, le leggi civili e l'indole natìa de' popoli conquistati potevano osservarsi con esattezza; ma le leggi religiose e i misteri del sacerdozio sono perpetuamente celati con somma cura alle indagini de' conquistatori, specialmente se i riti sono arcani e nelle mani di pochi, e se giovano soltanto a governare il volgo senza illuminarlo. E tale era nel tutto la religione de' Druidi e in parte de' Bardi. L'altra ragione si è, che tra l'età della romana letteratura e quella in cui le scienze e le arti rinacquero nell'Europa si frappone una notte di più secoli, ne' quali le istituzioni religiose e politiche de' Druidi e delle loro nazioni debbono (come tutte le umane cose agitate dal tempo) essere soggiaciute a notabili mutazioni.
In questi ultimi anni l'amore delle antichità caledonie e gallesi educò in Inghilterra una nuova setta d'antiquari emuli in tutto de' dottissimi indagatori delle antichità latine, greche ed egizie. Ov'essi non dessero le congetture e le remote induzioni per fatti indubitabili, somministrerebbero molta e sicura materia alla storia. Ma l'illusione di tenere per evidente ciò che appena traluce dalle tenebre dell'antichità alimenta insensibilmente e fa crescere la compiacenza di mostrarsi autori di sistemi e di attrarre, concatenare e concentrare in un unico principio non solo i ragionamenti fondati sui fatti probabili, ma ben anche quelli che si vanno architettando sui passi degli autori vetusti e che per la troppa oscurità non comportano interpretazione veruna, su le reliquie de' monumenti pio incerti e fors'anche foggiati posteriormente, e perfino su l'analogia de' vocaboli d'idiomi lontani e diversi tra loro, analogia che il più delle volte appena si sente nel puro suono. Ogni letterario sistema ha la sua prima radice nelle opinioni morali, religiose e politiche degli scrittori; e il modo di difenderlo più o meno acremente dipende non tanto dall'ingegno quanto dal coraggio de' combattenti, siccome poi la vittoria e le sue conseguenze dipendono dalla fortuna delle cose umane alla quale va talvolta soggetta fin anche la verità. Non crediamo ignote a' nostri lettori le battaglie di tanti dotti, i quali sostenevano essere la religione degli antichi pagani derivata dalle storie riferite nella Bibbia, e quindi provarono non solo l'antichità e la verità, che niuno contende, ma ben anche l'universalità della religione giudaica in tutte le parti dell'universo allora conosciuto. Anzi i più rinomati autori della Grecia e di Roma furono celebrati come partecipi e precettori de' misteri del cristianesimo; ed Uezio, nelle Questioni Alnetane (lib. II, cap. 3), ha creduto potersi dimostrare che Seneca avesse cognizione e credenza del mistero della Trinità. Questi esempi ammaestrarono poscia quei che professavano altre opinioni a fondare un nuovo sistema affatto contrario; e l'autore dell'Origine di tutti i culti ha svelata ad un tempo la forza e la vanità dell'umano intelletto, da che non si può non ammirare quel suo grande edifizio, che pur si conosce innalzato sopra deboli fondamenti.
Gli esploratori delle britanniche antichità, dopo d'essersi appartati dalla letteratura delle altre nazioni, avrebbero dagli annali oscurissimi di popoli sì dissimili nella religione, nella vita e ne' costumi da' Romani e da' Greci potuto desumere una serie di fatti co' quali poi, raffrontando le storie notissime delle altre nazioni, si giungerebbe per avventura a confermare e rettificare i principj che la filosofia aveva stabiliti su la natura dell'uomo. Ma per somma disavventura l'orgoglio e l'amor di nazione divise da prima questi letterati dalle opinioni di tutta l'Europa e li persuase ad anteporre Ossian ad Omero; quindi l'amor di città li pose in dissidio tra loro, da che gli Scozzesi contendono di preminenza coi Gallesi; finalmente il furor di sistemi derivanti dalle opinioni individuali li lusingò sì miseramente, che taluno nelle tradizioni delle poesie de' Bardi e delle istituzioni de' Druidi vide poste in pratica le teorie del deismo puro, della libertà e dell'eguaglianza assoluta, e tal altro i riti ordinati da Dio ai patriarchi e a Noè.
Un giornale di Londra nota che, ove si credesse a sì fatti libri, bisognerebbe rifare gli annali della Gran Bretagna, conformandoli a' documenti che si dicono lasciati da' Druidi e da' Bardi, e che gli antiquari moderni spiegano spesso secondo le loro opinioni più favorite. Il paese di Galles soprattutto, a quanto essi dicono, preservò nel corso dell'età tenebrose il sacro fuoco del sapere e del gusto, e quindi potè conferire ai barbari abitatori de' climi temperati d'Europa le scintille che illuminarono alla civiltà il genere umano. La cavalleria, il blasone, il sistema feudale, i versi, la rima, i romanzi, l'architettura gotica sono originariamente del paese di Galles. Anzi non vi è legge o costume che distingua particolarmente il carattere della nazione inglese anehe al dì d'oggi, che dagli antiquari non ne sia fatto onore a' Bardi gallesi.
Al sig. Guglielmo Owen il pubblico è debitore di un eccellente dizionario inglese composto d'innumerabili citazioni tratte principalmente dalla letteratura de' Bardi: quest'autore aggiunse la traduzione e l'edizione di molte poesie di que' secoli. Ma bench'ei sia riconosciuto dottissimo nella lingua antica gallese, pure il suo troppo amor di sistema e di patria fe' dubitare ch'egli avesse tradotto con poca fede, ed anche inventate, molte di quelle reliquie allegate da lui come documenti irrefragabili delle sue nuove dottrine. Ove que' documenti fossero veri, niuno potrebbe negare ciò che il sig. Owen crede provato; cioè che i misteri de' Druidi racchiudessero il principio metafisico del deismo puro, e le loro lezioni il paradosso politico dell'eguaglianza.
Un altro antiquario suscitò più forti sospetti contro di sè, benchè le sue opinioni lo traessero a difendere un sistema opposto del tutto al deismo e al giacobinismo. Il reverendo Odoardo Davies, ecclesiastico della contea di Glamorgan, conosciuto già pel suo libro intitolato Celtic Researches, pubblicò seicento sessanta pagine in-8 reale per provare che « la mitologia de' Druidi britanni non solo è accertata dai documenti nazionali, ma che, ove fosse paragonata agli usi e alle tradizioni del paganesimo, apparirebbe originaria anch'essa (com'è il paganesimo) da' riti e dalle tradizioni della religione degli Ebrei ».
Hutchinson nel secolo scorso e Briant dopo di lui, con l'aiuto delle antiche lingue orientali e delle loro etimologie desunte arbitrariamente, avevano fondata una nuova scienza, che noi chiameremmo volentieri Hieromanzia, nella quale si fonda il principio che tutte le cose umane, e in tutto l'universo noto ed ignoto alla storia ed alla geografia, scaturiscano dalla sacra religione di Abramo. Ma lo zelo del reverendo Davies trascende tutti gli sforzi de' suoi reverendi antecessori e coadiutori. Le credule congetture asserite come prove di questo sistema da Maurice nella sua Storia dell'Indostano, e da Roberts nella Storia del Cymry, sembrano al sig. Davies troppo moderate, e quasi accusa gli autori d'avere sostenuta la verità con tepido zelo. Ma egli negli annali, o, per parlare più esattamente, nelle tradizioni de' Druidi e de' Bardi, incomincia a vedere il diluvio universale, e con curiosissime metamorfosi trasforma gli eroi, i sacerdoti, i principi, i popoli, e persino i cani, le piche e gli alberi di cui si parla nelle poesie bardiche, in condottieri, giudici, patriarchi e profeti del popolo d'Israele; nè v'è nome o fatto che presso i Druidi non fosse allegorico, e non velasse le storie e i misteri del popolo del Signore.
Come dunque si potrebbe trovare la verità in un argomento sì utile per sè stesso, ove si eleggessero per guide gli autori che con tanta dottrina sostengono in molti volumi sì fatti ridicoli paradossi? Ma che è ella mai la dottrina ove sia destituta dell'amore del vero e di quella indefinibile facoltà, chiamata criterio, che la natura ha compartito spesso agl'idioti, ed ha assolutamente negata a tanti altri i quali presumono d'averla acquistata sui libri ?
Per più sciagura, anche da quelli ne' quali il criterio fu pari al sapere si cercano invano notizie sicure. Hume e Robertson, due de' maggiori storici inglesi, dissero poco storicamente su la religione de' Druidi e su le tradizioni de' Bardi; ma l'esame filosofico ch'essi ne fecero lascia incerto il lettore, poichè, mentre l'uno vanta come utilissimo alla società di que' tempi il predominio di quella religione e di que' sacerdoti, l'altro tenta di provare con ragioni egualmente speciose che la lunga barbarie e le calamità degl'Inglesi ebbero origine ed alimento nel terrore superstizioso ispirato fraudolentemente da' Druidi ed ereditato da' Bardi. Reputatissime in questo argomento sono le note con che illustrò le sue opere il sig. Mason, poeta, dopo Giovanni Gray, tenuto tra i pochi egregi lirici dell'Inghilterra; ma egli (pago di giustificare le sue allusioni e d'interpretare a que' suoi versi i quali, per l'antichità de' fatti in essi citati, potevano riescire oscuri a' men dotti) lasciò alcune notizie utili alla poesia, e forse mal sicure alla storia; da che il sig. Mason può forse parere fautore di un sistema politico, religioso e mitologico che conferiva sì altamente alla immaginazione de' poeti ed all'arte. Ad ogni modo, molti di questi libri sono assai poco noti fra noi. Al Cesarotti bastò di estrarre dagl'Inglesi le notizie che potevano giovare d'esposizione a' poemi dell'Ossian. Il sig. Pananti nelle note ad un suo poema intitolato Il Poeta di teatro e pubblicato da pochi anni in Londra, espose tutto ciò che gl'Inglesi sanno meno incertamente sulle pratiche de' Druidi e de' Bardi. Ma anche di questo libro scarsi esemplari abbiamo in Italia, e ciò ch'egli scrisse non è per avventura bastante a sì ampia materia. I Martiri del sig. di Châteaubriand somministrano intorno a' Druidi alcuna idea; se non che nelle poesie in prosa, e ne' romanzi storici, la verità de' fatti serve pur sempre alla immaginazione dell'autore, alle sue massime predilette ed all'obbligo principale di dilettare con le passioni anzi che d'ammaestrare con la ragione.
Adunque unico mezzo e sicuro a soddisfare prudentemente la nostra curiosità, e ad aprire un mondo forse ignoto a molti de' nostri lettori, ci parve questo, di raccogliere dagli autori che trattarono di tale materia quei soli fatti ne' quali tutti convengono, e di riferirli fedelmente, astenendoci da ogni amor di sistema, e contentandoci di frammischiare alla storia i ragionamenti e le induzioni necessarie a dilucidare sì tenebroso argomento. E dove le nostre congatture non giovassero ad altro, il lettore, ragionando da per sè stesso sopra que' fatti, ne inferisca le conseguenze che gli sembrassero meno improbabili, e che più consuonassero con le sue più care opinioni. Raramente un'idea nuova entra nel nostro cervello che non sia predominata dalle antiche; anzi avviene talvolta che queste la rigettano ostinatamente. Però non mancherà forse chi nieghi fede a ciò che siamo per dire.
De' Druidi.
Chiunque pensa al predorninio terribile de' Druidi su le menti de' loro seguaci e alle loro sanguinarie divinità, Eso, Teutate, Heder Norder, signore delle tempeste, all'eternamente taciturno Augberbole, alla Dea Oriller, messaggera del Dolore, al Dio degli orridi ghiacci, all'implacabile Hela, dominatore dell'imperio della Morte, al palazzo della Vendetta, al Precipizio; chiunque passa da' luoghi di tanta superstizione presso alle vaste moli dei Cromlek e dei Carneads, e ricorda gli altari fumanti d'umano sangue, cinti di vittime umane palpitanti sotto il coltello e di viscere stridenti nel fuoco; o immagina le funeste macchine inteste di vinchi dove s'accatastavano a migliaia le deplorabili vergini agonizzanti nel calor lento e nel densissimo fumo, non può considerare i Druidi se non se come sacerdoti d'inumanissimo culto, a' ginocchi de' quali la cieca superstizione strascinava i miseri popoli.
D'altra parte, ove si rifietta che i Druidi diressero per lunghissime età le opinioni, le passioni e le forze degli uomini in una gran parte d'Europa, e che, dopo ch'ei furono spenti, le nazioni a loro soggette ne serbarono lunga ed onorata memoria; e se nel tempo stesso si esamina la santità delle loro massime e la semplicità de' loro costumi, si propenderà a riputarli come una confraternita di saggi, amica del genere umano, e simile di molto ai Parsis, puri ignicoli della Persia, a' Magi caldei e agli antichi Gimnosofisti. Anzi nel loro governo domestico e nelle loro sentenze, che facevano veci di leggi, traluce il carattere augusto dell'aristocrazia familiare de' patriarchi, dalla quale, secondo la Scienza nuova del Vico, ebbero origine tutti i governi del nostro globo. È fama che Pitagora viaggiasse fra' Druidi; e taluni asseriscono come cosa avverata dal consenso delle tradizioni che Iperboreo Abaris, amico di Pitagora, fosse stato da essi istituito nella filosofia.
Druido viene da derwid, quercia, albero sacro al cielo, secondo que' riti. Se ne distribuivano al popolo i ramoscelli, e di quelle fronde si coronavano l'are. I sacerdoti, ad ogni sesto giorno di luna, accompagnati da numerosa turba, andavano a raccorre con gioia la gomma di quest'albero sacro, ch'essi chiamavano Mislatoe, e reputavano pregna di efficacia divina. Il Druido Massimo ascendeva su l'albero, ne troncava con una falce d'oro un ramo; quindi sagrificava due bovi bianchi, invocava le Deità propizie alla patria, e con pari solennità se ne tornava fra i canti del popolo esultante.
I Druidi abitavano grotte e recessi solinghi, ove, divisi dal rumore del mondo, instillavano ne' giovani la loro austera sapienza. Avevano boschetti cinti di pietre; la custodia n'era commessa a' Druidi minori, i quali contendevano l'adito agli stranieri, e sopra ogni cosa vietavano che niuno esplorasse le loro mistiche cerimonie. Differente era la forma de' boschetti, per lo più circolari; figura prediletta de' Druidi. L'area del mezzo conteneva grosse pietre vicine tra loro, e circondate da altre pietre più lunghe. Anche oggi a Stonhenge presso a Salisbury, e a Strommess in Pomora, una delle isole Orcadi, vedesi che le pietre poste nel centro de' boschi erano di straordinaria grandezza. Si enormi sassi, che pur furono sollevati e trasportati, e i pochi monumenti de' Druidi che ancora rimangono, poichè hanno resistito alle vicende di tanti secoli, fanno fede che la meccanica era per essi giunta ad un grado di perfezione sconosciuta forse agli scienziati moderni.
Nel bosco maggiore ardeva perpetuo ed inviolabile il fuoco sacro. Celebravano le cerimonie all'aria aperta; per lo più nelle spaziose pianure e talvolta negli altissimi monti, considerando di poca pietà e di minore decoro il confinare fra strette pareti il Creatore dell'universo, il quale doveva avere per altare la terra, e per tempio l'immenso padiglione del firmamento.
Aveano vestimenti candidi, simbolo della verità e della pura luce del cielo, lunghi e di un solo colore: accorciavano i capegli e nutrivano la barba.
Gl'insegnamenti erano auriculari, non mai scritti; bensì consegnati alla memoria ed al petto, che diveniva sacro per essi. Se da una parte gli uomini nati alla servità e all'ignoranza si rimanevano stupidi, dall'altra gli eletti ed educati al governo e alla religione reggevano i popoli con la giustizia e la sapienza. Ispiravano nobili sentimenti; deificavano i cittadini gloriosi alla patria; e negl'inni agli eroi la storia de' fatti illustri era unita alle sentenze della filosofia e della teologia. Quest'inni chiamavansi Englyn Milwir, canto de' guerrieri.
Si adunavano in assemblea nelle aperte e solitarie campagne; e poichè avevano deliberato, salivano sopra certe montagnuole appellate Gorsed, ove, assisi tacitamente, facevano pronunziare da uno di loro i decreti e le solenni loro sentenze. In un giorno anniversario comparivano ogni anno dinanzi al Druido Massimo i popoli e i principi a dar conto di sè. La voce del sacerdote giudicava e componeva i vassalli ed il re con giudicio inappellabile. Reputavano pernicioso l'oro e l'argento; e quello che predavano a' vinti era gittato in laghi profondi e in sotterranee caverne: il terrore della religione lo custodiva dall'avidità.
Dividevasi l'ordine de' Druidi in tre ceti distinti: Druidi, Bardi, Ovadi. I primi erano propriamente sacerdoti, che meditavano e serbavano per gli eletti gli arcani della sapienza. I secondi erano poeti, che cantavano alla moltitudine i precetti teologici, suonavano le arpe nelle feste nuziali e nell'esequie: ed animando col canto gli eserciti, celebravano le grandi azioni e gli uomini morti per la patria. Agli Ovadi spettavano le cure materiali della religione; inoltre ammaestravano i giovani alunni, e quest'esercizio era scala a maggior dignità. La quercia era l'arbore simbolica dell'ordine. I Druidi presiedevano alle radici ed al tronco; i Bardi alla cima ed ai rami; e gli Ovadi a' teneri rampolli. Troviamo in questa setta la stessa gerarchia, che si osserva costantemente presso tutte le nazioni governate da' sacerdoti: vedesi un'aristocrazia retta dalla oligarchia, e tutte due rette da un monarca non ereditario, ma potentissimo. Se alcuno dell'ordine cadeva in colpa, veniva per massima pena interdetto dalle cerimonie. Il noviziato durava venti anni.
Pare che s'intendessero di fisiologia, e che anzi fosse lo studio che più coltivassero: certo è che parecchi versi a noi pervenuti mostrano ch'essi esploravano i segreti della natura. Nondimeno quali e quante fossero le loro cognizioni chi può saperlo ? Non solo non erano affidate alla scrittura; ma venivano confinate nella mente di pochi. Quindi la tradizione non valse a serbarle. Se s'ha a credere a chi porge le congetture per fatti storici, Pitagora derivò da essi le sue dottrine dei numeri, e il mistico potere attribuito alla musica, formatrice di tutto il creato. Vero è che i loro alunni dovevano, come i Pitagorici, imparare a mente carmi sentenziosi, e spesso sino a ventimila; e questi versi erano a tre per tre, quasi a modo delle nostre terzine.
Computavano il tempo per notti, non già per giorni, uso serbato in alcune provincie dell'Inghilterra; anzi gl'Inglesi comunemente invece di due settimane sogliono dire quattordici notti. E così i Germani di Tacito.
Computavano all'uso di molte nazioni anche i mesi per lune. I trent'anni del ciclo druidico erano per avventura il grand'anno di Pitagora e la rivoluzione di Saturno. E ciclo de' Greci detto di Metone, e de' diciannove anni della rivoluzione sinodica della Luna era conosciuto da' Druidi. Plutarco scrive che i Druidi dell'isola iperborea avevano di trenta in trent'anni un dì solenne in onore di Saturno, quando quel pianeta entrava nel Tauro.
Il Druido Massimo aveva dopo la sua morte per successore il prossimo in dignità. In parità di merito il concilio universale eleggeva a voti. Nè l'autorita del Druido Massimo si limitava su l'ordine, ma estendevasi sovra l'intera nazione. Aveva sede ordinaria a Dreux nelle Gallie; ma egli era già prima stato, e mandava nella Bretagna ad attingere la pura ed arcana dottrina de' Druidi.
I Romani conquistatori sospettarono di tale potenza e di sì antico e terribile predominio. E poichè quelle nazioni non potevano più opporre la forza al vincitore, i sacerdoti si rifuggirono nell'isola di Mona, oggi chiamata Anglesey. Paolino vi andò con le sue legioni. La fortuna lasciò giungere sino a noi alcune tradizioni poetiche di questo fatto. Ecco il senso di un'ode: « I Druidi sedevano muti nelle foreste e aspettavano tranquillamente la morte: eccitati dalle ombre de' loro avi, s'alzano impetuosamente, e prorompono nel campo romano facendo lampeggiare nelle tenebre della notte i loro brandi sanguinosi. Ma le aquile dello straniero strideano fameliche, e le spade degli usurpatori trucidavano sulle tombe de' nostri padri gl'intemerati messaggieri del cielo. Il fuoco portato dalle regioni d'oriente vi divorò, o selve sacre di Mona, ultimo asilo alla libertà! Ululavano gemendo le vittime illustri immolate dalla vittoria; e ogni gemito consacrò gli oppressori alle malefiche deità che da' regni sotterranei scatenano la vendetta contro gl'ingiusti. » Il celebre Mason, da noi sempre citato, valendosi delle reliquie di queste odi, compose il Carattaco, tragedia altamente reputata dagl'Inglesi, rappresentando questo terribile evento. I pochi Druidi che fuggirono dall'eccidio dell'isola e dalla rabbia degl'invasori di tutta la terra trovarono scampo nelle isolette del mare d'Irlanda. Quindi ebbero sempre molta preponderanza nell'animo de' popoli, anche dopo lo stabilimento del cristianesimo, e il tempo fe' sempre più sacra la loro memoria. Veggonsi a' dì nostri a Lianidar nell'isola di Anglesey i vestigi delle Trer Dryn, ossia le abitazioni de' Druidi, delle Trer Deyrod, abitazioni de' Bardi, e delle Bod Owir, abitazioni degli Ovadi.
De' Bardi.
La rovina del governo de' Druidi trasse col tempo in dimenticanza l'esercizio della loro religione. Ma la letteratura, scritta o tradizionale ch'ella si sia, è però sempre necessaria alle nazioni, perchè in essa soltanto si mantengono i riti, le leggi e le storie de' popoli. Però i Bardi, i quali, come si è veduto, erano i soli poeti e letterati di quelle genti, sopravvissero agli altri Druidi, e continuarono per più di dodici secoli ad essere cari ed utili alle nazioni, a frenare i conquistatori e a procacciarsi talvolta il rispetto de' principi.
I Bardi, benchè dopo la distruzione de' Druidi non formassero più un corpo religioso e deviassero a poco a poco dall'antico sistema teologico, si divisero dalla universalità della nazione, e con tali ordini di gerarchia, che ciaúcheduno fosse distinto non tanto da' gradi ottenuti, quanto dalla integrità della vita e dalla fama che ei si era meritata nelle scienze. Il loro principio sociale, almen quello che praticavano tra di loro, era l'eguaglianza assoluta, principio caro a chiunque, avendo perduto ogni mezzo di comandare, tenta almeno di non obbedire. Esteriormente mantennero quasi tutte le forme de' Druidi: si compartirono anch'essi in tre ceti:
1°. Bard Brient, titolo proprio e generale dell'ordine; e questo ceto n'aveva la direzione. Nè potevano esservi ammessi se non se gli educati nella rigida disciplina de' ceti inferiori. Dopo di avere presieduto a tre Gorseddau (o assemblee, di cui parleremo), ciascheduno di questi Bardi assumeva il titolo di Gorseddigion, come tra' Romani chiamavansi a vita viri consulares quelli ch'erano stati consoli. Questi Bardi potevano d'indi in poi intimar l'assemblea, ammettere discepoli, andar ambasciadori ed araldi. Però il colore cilestro del loro abito significava la loro missione sacra, e simboleggiava la pace.
2°. Bard Derwid, o Bardo Druido. Questo era il secondo grado, perchè i membri non avevano ingerenza veruna negli affari dell'ordine: bisognava nondimeno che prima fossero stati Bard Brient. Ed erano più venerati, da che attendevano unicamente alla religione ed istruivano la gioventù; però si richiedeva in essi santità di vita e fama di dottrina. Avevano candido vestimento, simbolo della verità. Ciascheduno di essi doveva aver sede permanente nel proprio distretto.
3°. Bard Owed, o Bardo Ovado. Ed era un grado onorario, a cui il candidato poteva essere immediatamente ammesso senz'obbligo di passare per la lunga austerissima disciplina degli Avvenidion, o novizi. Qualità richieste erano profondità di sapere o nome illustre per grandi ed utili fatti. Nondimeno difficilmente gli uomini rinomati che aspiravano a questo grado potevano essere accolti se mancavano di genio poetico. Talvolta vi fu chi per la sua fama eminente venne privilegiato. Ed era poi più onore l'essere ammesso in tal guisa che per mezzo della regolare disciplina. Il grado si otteneva per voti o per acclamazione. Il candidato era proposto all'assemblea da un Bard Brient, che, attestando il proprio onore, lo dichiarava meritevole e degno; e se il candidato non era bastantemente conosciuto dal Bardo, supplivano le testimonianze del magistrato e di dodici uomini venerabili per età e per costumi. Ma, benchè ammesso, l'Ovado non era iniziato ne' misteri dell'ordine se non dopo l'anno. Se in questo spazio di tempo non sorgevano obbiezioni, egli facea la sua professione, ed assumeva gli uffici dell'ordine. Gli Ovadi vestivano di color verde, simbolo della scienza, da che ad essi principalmente erano affidate la letteratura e la poesia.
Malgrado questi tre ceti sì diversi, la massima da essi adottata dell'eguaglianza veniva praticata scrupolosamente in tutte le formole di disciplina, ed un ceto era obbedientissimo all'altro nelle cose proprie all'ufficio e alle prerogative di ciascheduno di essi ceti. In tutte le grandi circostanze della vita, in tutti i loro titoli i Bardi non dimenticavano mai di rammentare i loro gradi diversi, aggiungendo le parole legali secondo i costumi del paese in cui dimoravano, e le immunità ch'ebbero per tanti secoli nelle isole della Gran Bretagna.
Ma i discepoli veri de' Bardi, e quelli che propriamente esperimentavano tutta l'austerità della loro disciplina, erano gli Avvenidion, ossia gl'iniziati, e questi soli avevano abito di più d'un colore. Possono essere considerati come un quarto ceto; ma il solo che fosse essenzialmente sottoposto ed obbedientissimo. Richiedeasi in essi intatta probità e fama d'ingegno non ordinario. S'indagavano severamente i loro anda menti e i loro principj; si esaminavano le loro facoltà; non v'era tempo nè occasione in cui un occhio segreto e accortissimo non vegliasse sovr'essi. Secondo la cognizione avverata del loro ingegno e del loro animo, erano più o meno istruiti ne' misteri, ed assumevano l'ufficio che potevano adempiere meglio. La Compagnia di Gesù, che praticò con tanta perseveranza e felicità questo metodo, non fu dunque la prima a riconoscerne la mirabile utilità. Durante lo stato di disciplina e d'esame imparavano, e quindi componevano i versi e le sentenze che contenevano le massime dell'istituto e ch'erano più atti a difondere la filosofia che i Bardi volevano istillare nel popolo.
Con tanta cura dell'arcano i Bardi avevano per primo istituto che le loro azioni fossero pubbliche. Tenevano adunanze di tre sorte: 1° ogni quarto giorno per l'ammaestramento degl'iniziati; 2° ne' novilunii e ne' plenilunii, ne' quali tempi si apparecchiavano gli affari da presentarsi al concilio; 3° il Gorseddan o l'assemblea universale dell'ordine quattro volte all'anno, ne' due solstizi e negli equinozi. Avveniva che alcuni casi straordinari richiedessero il concorso e consenso dell'ordine; e allora si proclamava il concilio generale. Celebravano il Gorseddan solennemente a cielo aperto, in una pianura solitaria posta in luogo eminente, mentre era il sole su l'orizzonte, e stavano, secondo il loro detto, dinanzi alla faccia della luce di Dio. La pianura era cinta da un cerchio di pietre come i boschi de' Druidi; nel mezzo sorgeva un enorme sasso, cattedra del Bardo che presiedeva; il luogo chiamavasi Cyle Cyngrair, o circolo della federazione. La montagna che oggi ha nome Malvenn significa eminenza dell'assemblea. Ma poichè le istituzioni bardiche furono più diffuse, i Gorseddan si tennero nella parte più mediterranea dell'isola su le pianure di Salisbury. Quest'assemblea e federazione, benchè avesse origine e nome dai Cromleck, dai Carneads e dagli altari de' Druidi, non mirava per altro alle stesse teologiche istituzioni, e quanto più trascorreano i secoli, tanto meno le funzioni de' Bardi partecipavano di quella religione.
Nel Gorseddan si celebravano i riti dell'ordine, e si discutevano le cose da decretarsi. All'apertura dell'assemblea il Bardo presidente sguainava la spada, detta Maen Gorsedd; e pronunziati alcuni versi sentenziosi e gravi, recitava con contegno quasi che immobile un'omelia, mentre i Bardi, ravvolti nelle loro vesti di un solo colore, nudi i piedi e la testa, lo ascoltavano ritti in mezzo al circolo della federazione. Finalmente, deliberati gli affari e celebrato ogni rito, il Bardo, ripetendo gli stessi versi sentenziosi, riponeva la spada; e il concilio era sciolto.
In esso eleggevansi i discepoli e i candidati, come si è detto; e benchè tre Bardi uniti bastassero a ricevere un iniziato, riferendosi non pertanto al futuro concilio, il riconoscere e il nominare a' primi gradi dell'ordine era diritto esclusivo dell'assemblea generale. Si davano gradi superiori a chi li meritava, e il discepolo che dopo un triennio non avea profittato nella poesia e nella musica tanto da salire a più alto grado, perdeva quello che aveva ottenuto. Dinanzi a questo concilio si promoveano le accuse contro i Bardi, e il reo convinto era digradato. I Bardi si velavano il capo ed il volto; il presidente sguainava la spada, ed impugnandola nominava tre volte il condannato. Nè egli poteva più essere ribenedetto nè giovarsi d'alcuno de' privilegi, il principale de' quali si era il non andare alla guerra come soldato. Ma l'intento precipuo di quest'adunanza tendeva a conservare le patrie tradizioni ed a procacciare all'ordine l'amore e la venerazione de' popoli; onde si cantavano le antichissime poesie e quelle composte da' Bardi viventi. Perocchè le istituzioni bardiche ed ogni dottrina appartenente al loro sistema erano, come già per lo innanzi da' Druidi, mantenute per tradizioni in aforismi, strofe e poemi, non però enigmaticamente al modo de' Druidi, bensì in forma chiara e precisa. Dicevano di anteporre la tradizione alla scrittura, perchè, trapassando più facile e più immediata nella memoria e nelle lingue del popolo, preserva la poesia dall'impostura, dalla prevenzione e dalla violenza de' governi, che forse avrebbero vietati ed arsi que' libri. Se così è, l'accorgimento operato da' Druidi e da' sacerdoti di tutti i paesi ne' quali costoro aspiravano alla teocrazia, onde tenere i principi e i popoli ignari delle loro dottrine, fu praticato da' Bardi con opposto intendimento, cioè, per mantenere vive nella nazione le scintille di un fuoco che gli anni e la fortuna avrebbero forse riacceso. Certo è che per tutti que' secoli ne' quali i Bardi tentavano d'illuminare la loro patria, le incursioni de' Romani, e quindi le devastazioni de' Settentrionali e il sistema feudale avevano tanto imbarbariti gl'idiomi delle nazioni e manomessa ogni loro letteratura, che l'unico mezzo di preservare il genio, i riti ed i fasti de' popoli era l'uso delle tradizioni.
Inoltre ne' Concilii universali consisteva una tal quale legalità politica del loro ordine; però si tenevano con tanta solennità, e ne' poemi de' Bardi che ci rimangono udiamo spesso rammentarli con magnificenza e con religione. Queste pubbliche adunanze erano un appello tacito al popolo, il quale con la sua presenza ratificava il loro istituto; onde, quantunque talvolta non piacesse a' governi, il rispetto della nazione li conteneva dal perseguitarlo e distruggerlo. E quando le sanguinose vicende de' paesi della Bretagna frapposero ostacoli insormontabili al Gorseddan, i Bardi si congregavano ne' periodi regolari in adunanze provinciali, qualunque fosse il luogo dell'isola ove si trovavano, o il paese straniero nel quale la guerra e la persecuzione gli aveva strascinati a cercare ricovero. In tali casi assumevano il titolo di Bardi dell'isola britannica sulla faccia del globo.
Da' poemi d'Ossian e dalle reliquie degli antichi inni gallesi tradotti in più lingue gl'Italiani avranno potuto omai conoscere l'indole di quella poesia; e intendiamo di que' nostri concittadini i quali non possono indursi a supporre che la Società patriotica dell'Alta Scozia siasi per tanti anni raccolta in Inghilterra e s'affatichi anche al dì d'oggi onde spacciare con solenne menzogna per genuine e vetuste le poesie che taluno avesse modernamente inventate ed ascritte ai Bardi della Scozia e del paese di Galles. Però a noi basterà di dare alcuni saggi delle loro discipline filosofiche e letterarie, le quali non senza ragione presumiamo poco note in Italia.
E quanto alla loro filosofia, pare che i Bardi, abbandonando le scienze fisiche già coltivate da' Druidi, si fossero dati alle morali e politiche. Conservarono ciò non ostante sino dall'età de' Druidi il costume di racchiudere le loro opinioni in aforismi ed in versi: eccone alcuni.
– Dio vede ed è veduto da per tutto.
– L'uomo apparve nel mondo dopo la creazione. Prima di lui era notte perpetua: il sole nascente lo illuminò perch'egli, essendo libero di eleggere la sua via, potesse conoscere il bene e fuggire il male.
– Ogni Bardo dee sempre cercare i raggi del sole, e parlare e operare sotto l'occhio del cielo.
– La felicità del genere umano sta nella pace, e i Bardi debbono darne l'esempio, astenendosi non solo dalle guerre e dalle fazioni, ma ben anche dalle dispute e dalla pertinacia delle opinioni.
– Non lasciandosi sedurre dalle opinioni, la ragione propende all'esame; l'esame partorisce l'evidenza, e quindi la verità, la quale sola va sostenuta a fronte dell'universo.
– L'anima del saggio, nutrita nella verità, è nelle tempeste del mondo un cielo sereno che vede le nuvole sotto di sè.
– La donna ha per dote sua propria la bellezza; e questa è fatta perfetta dall'amore, dalla verecondia e dalla pietà.
– Propria dote dell'uomo è la forza, alla quale sono inerenti la libertà, la giustizia e la costanza.
– Ogni oppressore porta la maledizione di Dio sopra i popoli, e vive infelice perchè sente contro di sè l'esecrazioni del genere umano, non potendo egli dissimulare a sè stesso d'avere rotte le leggi della natura, che aveva fatti gli uomini eguali tra loro.
– Il soffrire con pazienza e magnanimità è indizio sicuro di coraggio e d'anima sublime; e l'abusare della propria forza è segno di codarda ferocia.
– Le anime che nella vita viaggiano nel sentiero del bene salgono a più alta esistenza, donde non decadono più; conservano tutte le loro belle passioni, segnatamente l'amor della patria; e tornano spesso nel mondo a nuova vita per raffermare la verità e per imprimere negli umani petti l'amore della virtù.
– Chi calcò il torto sentiero, immergendosi nel fango de' vizi, alla sua morte passa in più bassa natura d'animale pià o meno intelligente; quindi si rialza a grado a grado; fino al primo stato d'uomo, e fa la seconda prova, per la quale può essere nuovamente condannato a quella lunga pellegrinazione; e così con perpetua vicenda. Ma un castigo certo ed eterno non può stare nè con la natura dell'uomo nè con la clemenza e giustizia di Dio.
– La vera penitenza ottiene il perdono; ma il dare la morte a' colpevoli impenitenti, mentre giova alla società, apre più presto la via che quelle anime devono attraversare per ritornare purgate allo stato d'uomo atto alla virtù e alla vera felicità.
In questi principj coincidono tutte le sentenze della bardica filosofia. Degl'infiniti aforismi ch'essi doveano avere composti e insegnati, molti giunsero sino a noi, da' quali si può ricavare: ch'essi riponevano le virtù dell'intelletto nella cognizione della verità; le virtù dell'anima nel coraggio generoso e paziente; la umana felicità nella pace; i doveri politici nella giustizia e ne' diritti della libertà; i meriti e le colpe dell'uomo nel libero arbitrio; le pene e i premi nella religione; e la religione nell'esistenza d'un Dio provvidente e rimuneratore. Ma serbando la dottrina dell'immortalità dell'anima, rigettavano l'idea e la possibilità di un mondo eterno d'esistenza, da che, secondo essi, gli uomini come enti finiti non avrebbero potuto sostenere l'infinito piacere o l'infinito dolore nell'eternità. Laonde erano destinati a perpetue rinnovazioni, e trasmigravano, dopo convenienti periodi, in nuovi modi di esistenza. Ogni esistenza compartiva loro nuove cognizioni, lasciando ad essi l'intelletto e una tal quale memoria confusa che non valeva a rinfrescare la notizia delle cose già esperimentate, bensì a dare un avviso secreto di tutto ciò ch'era stato altre volte utile o dannoso a quell'anime. I vocaboli d'istinto nella scuola de' materialisti e d'idee innate nelle dottrine platoniche vollero esprimere l'ultima parte di questa dottrina, la quale, considerata in complesso, non è diversa gran fatto dalla pitagorica.
A dir vero, questo sistema di filosofia non si rinviene in tutte le tradizioni de' Bardi: quei del paese di Galles si contraddicono più di rado; ma gli Scozzesi, e segnatamente i poemi di Ossian, mentre nel carattere di Fingal e degli eroi serbano fedelmente, anzi con tutta l'evidenza, lo splendore e la passione della poesia ed idoleggiano la filosofia morale e politica da noi dimostrata, non hanno se non pochi ed incerti vestigi della teologia metafisica, che pur doveva essere più religiosamente serbata; della qual cosa si possono addurre molte ragioni. Non è probabile che tutti·i paesi delle Gallie, della Germania e delle isole britanniche avessero gli stessi riti: molte di quelle provincie nello stato di barbarie, deificando i loro eroi, avranno dovuto, nelle guerre che sovente le rendeano nemiche tra loro, essersi attenute più ostinatamente ai loro riti ed ai loro nuovi numi: anche i climi diversi conferivano alla diversità degli usi, e quindi al carattere delle religioni. Non è probabile che, quand'anche sotto il governo de' Druidi tutti que' popoli avessero lo stesso sistema di religione, potessero poi conservarlo durante i molti secoli della setta de' Bardi, da che, oltre alle mutazioni che il tempo reca per proprio diritto a tutte le cose mortali, i Bardi delle Gallie e de' paesi illuminati prima degli altri dal cristianesimo, avranno in gran parte rattemprate le antiche opinioni; e la forza del governo, la necessità di secondare il volgo per poterlo pur sempre dirigere e l'amore della novità gli avrà indotti ad abbracciare o fingere principj diversi. Inoltre, se i Bardi tutti convenivano nella stessa teologia, non per questo potevano diffonderla a' popoli ferocissimi dell'Inghilterra settentrionale e della Scozia, a' quali dovevano parlare secondo la loro intelligenza e con immaginazioni appropriate alla religione pratica de' loro avi: quindi ne' versi di Ossian la metempsicosi traluce qua e là; ma le ombre sanguinarie di Odino sono la macchina ordinaria di que' poemi. Queste nostre congetture sono avvalorate dall'osservazione perpetua di tutte le storie, le quali mostrano evidentemente che, dove prevaleva il governo teocratico, i sacerdoti, i principi ed i filosofi avevano due religioni, due dottrine, due letterature; l'una arcana e speculativa, l'altra pubblica e materiale per la nazione. Le reliquie della storia egizia e caldea, le epistole di Platone e Dionisio e gl'idiomi arcani che in tutta l'Asia (dove i principi sono ad un tempo pontefici massimi e dove le leggi sono incorporate alla religione) rendono le leggi, gli scritti de' giurisprudenti e i consigli della corte inintelligibili al volgo, aggiungeranno prove per avventura alla nostra opinione. Nè si dica che i Bardi non governavano: sì fatta asserzione è vera nella parte del governo dipendente dalla forza; ma circa l'altra dipendente dall'opinione, è certo che qualunque setta la quale sia moltiplicata e diffusa, e sia retta con leggi secrete, e fatta concorde da istituzioni perpetue e da indissolubili giuramenti, tende pur sempre per sì fatti mezzi a governare indirettamente; ed in qualche modo governa sempre.
Infatti il tempo, che tutto cangia e nulla distrugge, ha sempre, serbato il predominio segreto delle opinioni de' Bardi sul popolo inglese; predominio che, quand'era favorito dalle circostanze, sguainava la spada e si vendicava della passata servitù. Sì fatte tendenze delle sette al supremo potere si vestono di nomi propizi ai tempi; e chi esamina i Puritani che, secondo il celebre Swift, ordirono e consumarono il supplizio di Carlo I, vedrà ch'essi erano animati dal sistema de' Bardi, le cui faville, sopite ma non estinte in Inghilterra, ed alimentate dalle tradizioni e dalla indole sediziosa del popolo, furono rieccitate dal calvinismo e dalla democrazia di Ginevra, ove a principio i Puritani esiliati avevano trovato ricovero. Chi nelle vicende del mondo non cerca e non vede una progressione graduata, per cui anche i fatti d'oggi serbano alcuna fisionomia de' fatti antichi, quantunque sembrino affatto dissimili, pochissimo profitto potrà ricavare dalla storia. Oggi i principali articoli della filosofia de' Bardi somigliano a quelli d'alcune sette moderne, segnatamente de' quaccheri e de' fratelli Moravi. Anch'esse hanno per fondamento che la pace sia l'unico stato dell'umana felicità; ma la natura purtroppo non ha creato il genere umano alla pace, bensì a perpetua inquietudine sino alla tomba; e le sette rimangono pacifiche finchè sono deboli ed impotenti. Giorgio Fox formò il suo sistema, assistito da' due celebri gallesi William Erburg e Walter Craddok; e i quaccheri del paese di Galles si adunano anch'essi (diversi in ciò da' loro confratelli) all'aria aperta e, come i Bardi, sotto l'occhio del sole.
Rispetto alle discipline letterarie de' Bardi, abbiamo una specie di arte poetica in aforismi, ne' quali non si danno altrimenti precetti ed esempi, bensì si manifestano le doti indispensabili all'arte. Sono anch'essi in terzetti, o triadi, come tutta la loro poesia didattica; ciascheduno di essi contiene un'idea principale, e ciascheduna triade sta da sè. Eccoli.
– Tre qualità della poesia: genio donato dalla natura, giudizio che dà l'esperienza, fuoco che viene dal cuore.
– Tre fondamenti del giudizio: disegno considerato, pratica frequente, frequenti falli riconosciuti.
– Tre fondamenti della dottrina: veder molto, studiar molto e soffrir molto.
– Tre sorgenti della scienza: immaginazione, esperienza e meditazione.
– Tre requisiti al lavoro: arditezza, forza e costanza.
– Tre fondamenti del pensiero: perspicuità, giustezza e novità.
–Tre canoni della perspicuità: parola propria, quantità necessaria, maniera conveniente.
– Tre fini del canto poetico: arricchir l'intelletto, purificare il cuore, esaltar l'anima.
– Tre abbellimenti del canto: felice soggetto, ingegnosa invenzione, armoniosa composizione.
– Tre eccellenze del canto: semplicità di purgata lingua, semplicità di vago soggetto, semplicità di fina invenzione.
– Tre doti del canto: lode senza adulazione, censura senza malignità, amore scevro d'oscenità.
– Tre bellezze del canto: sonora lingua, luminoso pensiero ed ingegnosa combinazione delle idee.
– Tre doti attrattive del canto: eccellente novità, facile comprensione, corretta versificazione.
– Tre qualità indispensabili della lingua: purità, copia, facilità.
– Tre modi di rendere il linguaggio vago e copioso: diversificazione di sinonimi, varietà d'epiteti e ricchezza di frasi.
– Tre perfezioni della lingua: armonia di stile, sceltezza di termini, corretta pronuncia.
– Tre onori del Bardo: forza d'immaginazione, profondità di dottrina e purità di morale.
– Tre eccellenze del Bardo: profondo esame, completa illustrazione e luminosa composizione.
– Tre conduttori all'amore: grazia, avvenenza e libe- . ralità.
– Tre incitamenti all'eloquenza degli amanti: un giorno d'estate, il canto del cuculo e il messaggiero con amorose ambasciate.
– Tre incitamenti all'amore: un presente, un complimento, un bacio.
– Tre cose dalle quali il Bardo deve astenersi: ubbriachezza, crapula venerea e vita servile.
Quanto alla prosodia, oltre la terzina o triade ereditata da' Druidi, avevano versi dalle quattro alle dodici sillabe; e l'intreccio de' versi ineguali componeva, come nelle nostre canzoni, i diversi metri. Avevano pari a' Latini il dattilo, lo spondeo, il trocheo, oltre all'obbligo d'innestare con difficile artificio certi bisticci ne' versi, come troviamo talvolta in alcuni de' nostri poeti più reputati; nel che noi facciam bene a non imitarli.
Secondo i letterati del paese, e specialmente il sig. Owen da noi citato a principio, l'idioma gallese o velco è un inesauribile tesoro di varietà, di dolcezza e di maestà; e la sua sintassi arrendevolissima conferiva tanto alla pompa degl'inni, quanto alla precisione dell'epigramma. Ha trentotto lettere, sedici radicali e ventidue dette servili ed usate come inflessioni e mutazioni delle prime. I suoni aspirativi e gutturali, propri a tutte le lingue dell'Oriente antiche e moderne, alla greca, alla spagnuola, alla tedesca, e fors'anche alla latina, e serbati all'italiana, benchè inutilmente per noi, in qualche città di Toscana, si sentono perpetuamente nell'idioma velco, e ne accrescono la varieta e la dolcezza. I Bardi erano depositari e custodi della purità della lingua; ma dopo la stampa il latino e l'inglese prevalsero nella letteratura. Proscritti dal governo, avevano allora pochi e timidi successori; il volgo a poco a poco la imbarbarì; l'alfabeto della lingua, che non fu più letteraria, si andò perdendo; e senza gli studi degli uomini dotti di quella provincia noi non avremmo se non se la nuda memoria de' Bardi.
Tali erano le teorie, il metro, la lingua con che i Bardi professavano la poesia, arte loro principale. Ma il metodo d'insegnamento a' loro alunni è a noi sconosciuto. E poichè essi ammettevano una ispirazione senza la quale non credevano potersi dare nè poesia nè poeti, si può inferire che a' loro alunni non insegnassero se non dopo d'avere sperimentate le forze del loro ingegno, e più sui libri de' grandi originali e su la osservazione della natura vivente anzi che su le regole poetiche e sui canoni della rettorica. Certo è ch'essi invocavano e celebravano il sacro spirito, che chiamavano Awen; e avevano pur d'uopo di molta immaginazione propria, da che non potevano ammettere favole o pregiudizi volgari ne' loro versi. Massima radicale de' Bardi era di consecrare il cuore alla verità. Nè verun d'essi poteva descrivere una battaglia se non l'aveva veduta; laonde anche per questa ragione i Bardi, come quelli che eternavano le imprese degli eroi, erano inviolati anche dal vincitore.
E per dire alcuna cosa intorno a questa ispirazione poetica, da che molti la deridono (e questi sono i precettori di rettorica e i verseggiatori per arte), molti altri la presumono inviata realmente dal cielo ad infiammare senza bisogno di studio i poeti, noi su quest'antica lite, riarsa a' dì nostri, ci contenteremo di ripetere quest'antica sentenza: – Il fuoco poetico non è altrimenti soprannaturale, ma non è comune; non viene dal cielo, bensì percorre la terra, e passa di animo in animo, di mente in mente, di lingua in lingua, benchè non ecciti mai vivissime fiamme atte ad accendere ed illuminare se non in quegli uomini ne'quali trova le materie preparate dalla natura. Ogni poesia che derivi dal solo artificio e dalla imitazione servile frutta come i cedri e gli ananassi nelle serre a de' nostri giardini: la spesa è maggiore dell'entrata; il lusso e le vanità se ne appagano; ma il frutto è scarso, il colore fittizio ed il sapore n'è insulso. – Tornando a' Bardi, crediamo che, ciascheduno di essi dovendo servire interamente all'istituto dell'ordine, le forze intellettuali de' pochi prediletti dalla natura non potessero uscir mai dall'antico limite; e quindi il loro genio era come una luce elettrica guidata dal conduttore ad illuminare quel solo circolo di pensieri e di sentimenti.
Ma se mai setta nel mondo meritò della patria, fu certamente questa de' Bardi. Ove si consideri la condizione politica delle Gallie, e molto più de' Germani e delle isole di là dall'Oceano, si vedrà che per molti secoli il governo politico stava assoluto e ondeggiante ad un tempo nell'arbitrio delle spade romane; che la letteratura e la lingua del conquistatore avrebbero, fuor d'ogni dubbio, esiliata e distrutta la letteratura di quella nazione; che la loro religione si sarebbe anch'essa adulterata e perduta; e che i Bardi, conservando la letteratura e la religione, alimentavano i sentimenti nazionali contro i dominatori. Questo non era certamente il mezzo di stabilire la pace universale, fondamento apparente dell'ordine e della dottrina de' Bardi; ma essi rassodavano ad ogni modo la concordia tra provincia e provincia, tra popolo e popolo; concordia che spesso fu pericolosa all'impero di Roma. Ed è anche mirabile la prudenza con che si preservarono dalla ruina de' Druidi, e crebbero e si diffusero; giacchè non si sa che fossero perseguitati mai da' Romani, o perchè i Bardi non avessero mai direttamente o inavvedutamente sommossi i popoli, o perchè il dominatore reputava malagevole di distruggere la religione di queste provincie, la quale stava tutta ne' Bardi; poco temuti per avventura sì per la semplicità e la tranquillità della loro vita, sì pel loro stato destituto assolutamente di ricchezze e di forza.
Fino a tutto il secolo V scarse memorie abbiamo de' Bardi, e queste nelle storie dell'Impero romano. Lo stabilimento del cristianesimo nelle Gallie e le perpetue inondazioni dei barbari nella Germania, dove sovvertivano più che altrove ogni antico costume, indussero i Bardi a trasmigrare e fondare la lor sede nelle isole dell'Oceano e segnatamente nella Bretagna, antica sede del loro genio e dove si trovavano ancora alcune reliquie dei Druidi serbatesi col culto degli avi. E quando nel sesto secolo il furore dell'indipendenza armò varie nazioni della Bretagna contro i Romani, le istituzioni de' Bardi ridivenendo religiose, celebravano essi le antiche cerimonie ne' loro templi silvestri, animavano i popoli all'amor della patria e al valore guerriero, e ci tramandavano i poemi ammirati anche a' dì nostri. D'indi in poi i Bardi, frammischiando profezia e letteratura, furono depositari degli oracoli, delle storie e delle genealogie della nazione britannica. Ne' loro viaggi registravano l'egregie imprese, ed esaltavano gli uomini illustri con tanta religione verso la verità, che in qualche ode rimane memoria di Bardi biasimati per avere esagerato il vero, o puniti per averlo contaminato coll'adulazione e la falsità. Quindi ne' loro versi vediamo tante lodi alla virtù, tante censure al vizio e tanti affetti nobilissimi di amicizia, d'amore, di magnanimita, tanti quadri d'eroici fatti e di domestica felicità. Ogni capitano e ogni principe conduceva nelle imprese di guerra un Bardo eminente, e non come suddito e lodatore, bensì qual messaggiero del cielo. « L'occhio vigile del Bardo » dice un inno « ha fatto quest'esercito e 'l suo capitano degni del cielo: il fuoco delle sue pupille infiammava la loro anima e illuminava il loro intelletto, e non furono immemori mai dell'imprese a cui erano destinati e della gloria alla quale dovevano aspirare. » E in un'altra canzone: « Le anime sublimi de' nostri padri pendevano sopra di voi e vi contemplavano: vinti o vincitori, che rileva ? Bensì palpitavano per la vostra fama, temendo che avreste anteposta la servitù del prigioniero alla morte dell'eroe; ma io dissi a quell'ombre che, se la vittoria vi volgeva le spalle, la gloria vi avrebbe circondati pur sempre. Udirono i vostri congiunti le mie promesse; e le mogli, le madri ed i figliuoli vennero intorno a voi, o furono spettatori della battaglia: il nemico vinse e danzò sopra il sangue de' prodi; ma i loro cadaveri furono raccolti da mani amorose: i Bardi cantarono sovr'essi il carme funereo, e diffusero sul loro nome l'eterna luce della memoria. Sorrisero gli spettri di quegli eroi, ed aggirandosi sul campo di battaglia, infondono nel petto de' nemici lo spavento della sconfitta: – all'armi; tornate all'armi.»
Ma i Bardi non impugnavano mai la spada. Accolsero questa istituzione quando la teocrazia de' Druidi si spense, forse per menomare sospetti a' Romani; e fu da essi poi mantenuta per costituirsi pacifici mediatori tra i popoli della loro nazione, ne' quali la guerra era esercizio necessario e la vendetta era dovere sacro e passione feroce ed ingenita. Si è veduto che tra gli obblighi principali del Bardo era questo: di non ingerirsi in alcuna disputa religiosa, politica o letteraria che fosse. Quando egli appariva come ambasciatore od araldo tra gli eserciti combattenti, la battaglia si sospendea; e i nemici per allora convivevano tra di loro senza sospetto di tradimento. Attraversava sicuro e inerme le terre ostili; ed in ogni campo guerriero aveva una guardia più per decoro che per difesa.
Così i Bardi, rianimando il genio dell'indipendenza, lo spirito bellicoso e la concordia ne' popoli della Bretagna, fecero la poesia ministra di veraci e maschie virtù o della gloria de' loro concittadini. Però ebbero fama e favore presso i monarchi. Alcuni chiamavansi Bard Teulu, poeti laureati, e questi avevano grado d'ottavo ufficiale nella casa del principe; ricevevano in dono un cavallo e uno scacchiere dal re, ed un anello dalla regina, che li provvedeva di vestimenti. Partecipavano delle spoglie de' vinti, assistevano a' consigli militari, e le loro terre erano immuni da' carichi della guerra.
Ma quando la legge feudale corruppe le arti, le manifatture, il commercio e il genio marziale in tutta l'Europa, e manomettendo la libertà civile de' popoli, debilitò nello stesso tempo la forza della monarchia, e ne accrebbe i disordini, divezzò anche gl'Inglesi dalla ferma e nobile indipendenza de' loro maggiori e dall'ossequio fedele al trono legittimo; e fece che gli eserciti fossero non già di cittadini e di sudditi, ma di compri sicari e di schiavi pronti a ribellarsi sotto il vessillo di quell'aristocrazia militare dalle costituzioni dello Stato e dalle leggi del principe supremo. Allora i Bardi cominciarono a perdere la loro celeste missione, e la poesia non ebbe più l'antica efficacia; non però l'ordine fu distrutto. La religione, con che dirigevano il popolo, li fe' necessari; e l'omaggio ch'essi incominciarono a prestare a' potenti, li rese cari e favoriti a' baroni, i quali, affettando le prerogative del monarca, ne stipendiarono alcuni, chiamandoli Bardi delle famiglie. Questo obbligarsi a' tirannetti, violenti e spesso nemici tra loro, rallentò in parte l'antichissimo nodo che faceva sacra, potente e venerata la loro setta finchè ella si astenne dalla vanità e dalle brighe. Coloro a' quali non toccava d'essere stipendiati raramente tenevano stanza permanente presso una famiglia. Andavano errando di corte in corte e di castello in castello; appunto come i nostri letterati del secolo XVI si mercavano pane e favore nelle varie corti d'Italia. Quando un Bardo passaggiero voleva presentarsi alla corte, doveva essere proposto dal poeta laureato e scrivere due poemetti, l'uno in lode di Dio, l'altro in lode del principe. Se era accettato, il Bardo di corte componeva un altro poemetto, e lo introduceva al barone, che gli faceva certi regali d'uso. Ne' palagi de' baroni minori i Bardi erano accolti come ospiti per diritto; nè partivano senza doni, da che per prerogativa potevano chiederli; e l'indiscretezza, compagna sempre dell'impudenza, giunse a tal segno, che bisognò una legge per contenerla. Alle massime dell'arte, da noi riferite, furono aggiunte parecchie altre simili a questa : – Tre sono i doveri del Bardo: promovere la liberalità; scherzare con gentilezza, e partirsi ricco di doni. – Ma per quanto eglino si presumessero onorati, non potevano essere ad ogni modo stimati, nè usare nobilmente del loro ingegno poichè lo prostituivano e lo vendevano. Nè differivano, a nostro credere, dal buffone stipendiato per lungo uso in ciascheduna di quelle meschine corti se non in ciò solo: che la loro prostituzione era meno apparente, la loro satira più pericolosa e la loro adulazione più facile ad insinuarsi. Ma se è vero che Shakespeare nelle sue tragedie nazionali abbia religiosamente conservati i costumi de' tempi a' quali le riferisce, almeno il buffone di corte aveva diritto di dire satirescamente al suo signore molte durissime verità.
Vero è che, mentre molti Bardi si scostavano dall'antico istituto, l'ordine, benchè men operoso di prima, viveva ancor tollerato, segnatamente nelle montagne scozzesi e nel paese di Galles. Fors'anche la oppressione dell'aristocrazia militare indusse quella setta a starsi più occulta, e quindi più accorta e più pronta. Le societa, finchè il bisogno o l'occasione non le manifestino, vanno nel segreto acquistando vigilanza e fervore. Molti riti scozzesi e gallesi celebrati da certe confraternite de' dì nostri e de' nostri paesi, hanno origine da que' tempi; da che le forme delle umane istituzioni, generalmente parlando, sopravvivono al loro scopo. E che i Bardi del paese di Galles tendessero a far sommovere le provincie ed a ricoverare a sè medesimi il predominio ed al popolo la libertà, la storia dell'eta in cui i Normandi conquistarono e ressero l'Inghilterra ce lo dimostra. Poichè i Britanni, e segnatamente i Gallesi, non cominciarono ad obbedire se non nel secolo XIII, quando Odoardo I, con crudele prudenza facendo trucidare tutti i Bardi, spiantando le loro famiglie e disperdendone le reliquie, tentò di spegnere le ribellioni nella loro radice.
Non è da maravigliarsi che una setta la quale per tanti secoli diresse le opinioni del popolo in Inghilterra, secondò le idee religiose e rianimò le più dolci e le più generose passioni, eccitasse, benchè sagrificata alla politica tranquillità, le lagrime de' contemporanei, e lasciasse nelle età che successero tanto desiderio di sè. Per quanto sia giusta o necessaria la forza che distrugge gli uomini dannosi allo Stato e che reprime le arti e gl'ingegni pericolosi, la compassione e la rimembranza de' beneficj parlano pur sempre in favore de' perseguitati; onde pochi storici giustificarono Odoardo I, e molti poeti lo consegnarono alla esecrazione de' posteri. Le note del sig. Mason all'ode di Giovanni Gray intitolata Il Bardo somministrano bastante notizia di quel terribile avvenimento. In quest'ode, fra quant'altre mai nobilissima, il poeta immagina che un Bardo scampato alla strage ricoverasse ne' gioghi dello Snowdon, altissimo fra i monti d'Inghilterra ed ultimo asilo a que' tempi della libertà de' Gallesi. Veggendo da un ciglione sfilare Odoardo con l'esercito fra le radici del monte e le sponde del torrente Conway, l'infelice Bardo infiammasi di spirito profetico e di disperata ira magnanima contro il persecutore, e predice le sciagure e i delitti de' discendenti di Odoardo, e lo splendore del trono britannico sotto la nuova stirpe. Alle grida ed alle evocazioni del profeta sorgono le ombre de' Bardi trucidati, e tessono dinanzi a lui una tela ove sono dipinte tutte le vicende de' nepoti di quel monarca; il che presenta molti quadri diversi ne' loro soggetti, ma connessi per l'unità dell'argomento, e tutti pieni di pietà e di terrore. Compiuto il vaticinio e dileguatisi i fantasmi de' Bardi sagrificati, il profeta si precipita dall'alto ne' flutti del torrente per congiungersi alle ombre de' suoi compagni, esultando per la voluttà della vendetta scritta nei fati contro la posterità del tiranno. L'Alfieri nell'atto quinto della Maria Stuarda imitò la parte profetica di quest'ode, ed il sig. Monti la parte pittorica nel canto primo del Bardo della Selva nera. E vuolsi concedere che le tradizioni de' Bardi sono mirabili fonti di novità e di originalità nazionale alla poesia degl'Inglesi.
Le orme delle antichissime istituzionisono sì malagevoli a cancellarsi, che sino oltre la metà del secolo XVI parecchi Gallesi riassunsero le cerimonie e i diritti de' Bardi, e tennero un parlamento chiamato Corte d'Apollo e che fu l'ultimo in Inghilterra. Verso quel tempo la regina Elisabetta ha dovuto con severissime leggi reprimere certi cantori che, imitando i Bardi, andavano vagando e rianimavano con la loro musica feroce e co' loro versi le sedizioni inestinguibili in Inghilterra, ove il governo misto costringe la nazione a starsi in vibrazione continua, e sospinge gli spiriti da un estremo ad un altro. E s'è già notato quanto l'indole delle bardiche istituzioni prevalesse, sott'altri nomi, anche a' tempi delle guerre religiose e civili nel regno di Carlo I.
Ed oggi pure s'incontrano nel paese di Galles certe turbe di musici erranti, pari a' rapsodi della Grecia. Cantano versi e strofe, dette Panellion, sovente composte all'improvviso, accompagnandosi con le loro arpe. Molto popolo li circonda, e li ascolta con compiacenza e con gioia. Ma l'influenza della religione e delle lettere preserva il volgo dall'imbeversi di pregiudizi nocivi; e i progressi che la scienza del governo ha fatto in Inghilterra non concedono che siffatti cantori riardano le passioni ispirate dagl'imitatori de' Bardi ne' secoli ne 'quali quell'isola era campo di ribellioni e di stragi domestiche. Ma nè gli egregi poeti gallesi d'oggi patirono che il tempo seppellisse del tutto il genio e gli usi de' Bardi. Rimane memoria d'una specie di adunanza poetica, chiamata Eisteddvod, celebrata negli antichissimi tempi onde assegnare la lode e la palma poetica agli autori de' migliori poemi. Quindi alcuni gentiluomini gallesi rinnovarono, non sono molti anni, questo concorso. Argomenti della poesia furono l'amore della patria e il ristabilimento dell'Eisteddvod. Roberto Bafyd riportò la prima corona de' poemi scritti, e Tommaso Edward, soprannominato lo Shakespeare de' Gallesi, riportò la seconda. Nel dì seguente s'udirono i poeti estemporanei; nel terzo giorno i professori d'arpa e di canto, e fra questi Roberto Foulks e Guglielmo Jones ottennero il primato. L'adunanza, proclamata da un anno, si tenne nel 1790, verso gli ultimi giorni di primavera, a Caerwis, antichissima arena poetica, insigne per la memoria de' Bardi.