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Carissimo Foscolo – Niuno sente più di me la privazione della vostra presenza: ditemi che cosa fate in Venezia; ditemi se sarete presto di ritorno. Ho dimandato di vostre nuove ad alcuni: vi assicuro che mi dorrebbe se altri prima di me ricevesse lettere da voi. Scrivete al vostro amico.
Il pubblico parla sempre della Tragedia proibita. È voce di tutti che sia stata mandata a Parigi. Io non ho terrori d'Inquisizione, ma avrei bisogno di vedere la sicurezza del vostro Volto per quietarmi.
So che il
Addio, caro Foscolo! scrivimi. Non vedo più Monti, nè la Leccioli: passo le mie sere a parlare di te col tuo Odoardo e con sua madre; poi vengo a casa e leggo l'Ariosto prima d'andare a letto. Molti ti salutano, nominatamente mio fratello, Borsieri, e Gerosa. Io auguro a te il buon capo d'anno e a me il tuo ritorno.
Carissimo Foscolo – Senza di te i passeggi non mi procurano alcun piacere, non vedo più alcuna signora, non ho mai più veduto la Morandini. Ho visto in carrozza la Battaglia che mi ha detto di salutarti. Mia mamma ha fatto inquadrare il tuo bel ritratto. Gerosa che ha una bellissima mano scriverà sotto questi versi:
Io spero che verrai presto a Milano. Mia mamma ti raccomanda di scriverci: ella ti vuol bene ma non più di me. Io traduco il latino, ho quasi finito il secondo volume della Storia Romana: a me piace più il primo perchè vi sono più grandi uomini, io vo leggendo il Tasso che mi ha regalato Pellico mio amico.
Addio, io t'abbraccio.
Car.mo Amico – Ho comunicato a Rottigni ed a Chiotti la graziosissima tua lettera. Entrambi ti salutano e ti ringraziano: ma cosa dovrò dire io di una gratitudine, senza che io ti abbia fatto alcun benefizio, che tu vuoi professarmi e che io non merito. Caro amico, io ho diviso i tuoi dispiaceri, nè ho potuto far altro per te. Ciò dimostra che vi è analogia fra i nostri caratteri, di che io debbo essere lusingato perchè ti stimo.
Il gran Keller aveva promesso di darmi quest'oggi la copia della tragedia, e mi ha mancato di parola. Egli si è ingannato. Ridi.... un foglio bianco era stato posto fra il quarto e il quinto atto. Egli aveva creduto che terminasse la tragedia al foglio bianco, e vi mancava un atto. Dimani la manderò al colonnello Battaglia.
Desideriamo di rivederti qui. Tronca le dimore, che se in Milano hai de' nemici, molti di noi ti amano di cuore ed io caldissimamente.
Mio buon Amico – Solamente questa mattina ho inteso da Domenico, essere voi arrivato a Venezia il 2 del corr. e siccome sento che vi siete divertito e state bene, me ne congratulo di cuore. Vi mando il N.o 21 degli
Vi raccomando il mio povero Macbeth.
Ove credeste ch'io potessi esservi utile in alcuna cosa in vostra assenza, scrivetemi e disponete pienamente di me. Tornate presto e state sano.
Caro Foscolo. Vivo sempre con voi: la vostra lettera mi ha fatto molto piacere, tanto più che vi dice circondato d'amici e festeggiato. Nondimeno divido le afflizioni domestiche che m'accennate: di tutte le afflizioni sono quelle che stringono più il petto. Vi desidero felice; siatelo; e amatemi. Addio: scrivetemi; mi lusingo che vi riavremo al finire del carnovale. Intanto divertitevi. Addio.
Carissimo Foscolo – Io ricevetti con gran piacere la tua amabile lettera; io sto sempre bene, e nella notte non dormo, ma solo ti parlo. Io tengo nella mia stanza da letto il tuo ritratto. Io spero che tu avrai ricevuto la mia lettera; scrivo male ma è che scrivo allo scuro. Intanto addio; non veggio mai la Morandini, né nessuno.
Ti abbraccio con tutto cuore.
Carissimo amico – Rispondo un po' troppo tardi alla cara vostra 2 corrente: ma spero che me lo perdonerete e che non vorrete attribuirlo a mancanza d'amicizia e di stima, de' quali miei sentimenti verso voi vi prego ad essere sempre sicuro. Vi ringrazio pel buon capo d'anno che dato mi avete, e che vi ho ricambiato di cuore estendendolo a tutta la vostra famiglia, e segnatamente alla vostra buona Madre. Mi pare che voi mi siate divenuto più caro dopo la disgrazia che ho avuto di perder la mia, e ciò sicuramente per la tenerezza che voi avete per la vostra. Figuratevi quindi con quanto piacere abbia sentito che la vostra presenza abbia potuto rassicurarla dei conceputi timori, ed esserle di sollievo. Lodo pure sommamente il vostro divisamento di volervi sempre più dimostrare attaccato al governo, e riconoscente al Principe anche per non ingerire nuovi timori nell'animo de' vostri parenti; e vi loderò anche se, come voglio esserne certo, non avete più letto il vostro
La Sig.ra Luigia vi saluta, e così pure suo Marito, che, come ama estremamente Virgilio ed i suoi versi, così ama quelli che sono innamorati del Poeta; e che recitano a tratto a tratto qualche pezzo delle sue opere. State sano, non vi abbandonate troppo ai divertimenti, e ricordatevi degli amici fra' quali si pregia di essere annoverato il vostro affezionatissimo
Ugo carissimo e pregiatissimo Amico mio – Ti devo mille ringraziamenti per la bontà con cui ti piacque di rivedere que' miei versi e additarmi i luoghi principalmente degni di emenda, ma più di tutto ti ringrazio per quella benevolenza che in tal guisa mi dimostri, benevolenza a me dolcissima, che ti amo quanto ti stimo, e ti do in amore quanto tutti quelli che non conoscono che le tue opere ti danno in ammirazione e in lode, ammirandoti poi, e lodandoti sempre più d'ogni altro. – Ti prego di osservare, Amico mio, se questi versi che pongo qui sotto ti sembrino acconci al bisogno di maggiore chiarezza che mi additasti in quel passo dell'Epistola. Correggerò anche il verso della
Fa mille saluti ti prego a Petrethin per me. Senz'
Odoardo mio, e tu Pellico amicissimo – Siate benedetti da me, e ricompensati dal cielo per l'amore che mi portate, e per la consolazione che mi avete mandata co' vostri caratteri. Sappiate ch'io vi scrivo da letto dove un raffreddore mi tiene da tre giorni e tre notti, e ne' primi due giorni ebbi la febbre; ora ho soltanto la tosse. Vorrei pure scrivere alla gentile, ed amorosa, ed affettuosissima Emilia: so ch'ella è d'inferma salute e d'animo poco lieto. Le parti son pari, e noi siamo due poveri e
«Mille fiate, o dolce mia guerriera», io mi credo sì forte da intimarvi battaglia, o se non altro d'accettare quella che voi spesso mi presentate.
Signor Conte – Mentre Ella si stava al fuoco, noi tutti ci siamo nutriti di tepid' aura e di sole splendidissimo.
Bench'io m'allontani con dispiacere, dovrò pur tornarmi a Milano, e ci sarò verso a' primi di marzo: s'io potrò fare una corsa al Lario per le feste di Pasqua, io avrò il piacere di rivedere la dotta, la pia, e la bella famiglia de' Giovj. – Intanto
Cara Mamma – Scrivo da Padova ov'io mi fermerò tutt'oggi. Domani partirò, e giovedì a sera sarò in Milano; donde non potrò scriverti che sabbato, perchè l'ordinario non parte prima. Addio, mia cara Mamma; addio Rubina; addio mio caro Pippi. Dio Signore sia con voi. Tu Madre mia, mandami la tua benedizione.
Il vostro ritorno a Milano, cacciando mille paure dal mio cuore, mi consola; e solo duolmi che siate passato di qui, senza ch'io vi abbia potuto dare l'amplesso dell'amicizia: foste però galantuomo, scrivendomi almeno un viglietto, di che vi ringrazio, ed io fui galantuomo, chè corsi subito dalla Marzia ad eseguire la vostra commissione. Essa udì con piacere e i vostri saluti, e il vostro ritorno, e vi risaluta. Così fanno gli amici, e più di tutti Borgno, che vi raccomanda, affinchè vogliate dire una parola per lui al Ministro dell'Interno, o alla Direzione. Già le sue domande le innoltrò egli stesso. Mentre foste in Venezia ho stampato versi e prose, ma non vi mando niente, perchè nè di versi in lode di prefetti che partono, nè di produzioni di agricoltura non vi dilettate troppo, ed io soffrirei di mal grado la vostra indifferenza, o il vostro silenzio soprà una Memoria, che l'Ateneo premiò, e ch'io stimo utile, ed assai bene scritta.
Vi manderò nondimeno il Cesare a suo tempo, che saprà forse vincere il vostro restìo ad approvare le cose letterarie. Addio, mio caro Foscolo: vogliatemi bene, e confortatemi con alcuna vostra lettera la vita faticosa che traggo. Addio addio. Vi prego di scrivermi presto, e a lungo – Salutate D'Arras a nome del vostro
Signor Principe – Il dono di cui Vostra Altezza ha voluto onorarmi attesterà agli altri la nobile sua liberalità; ed io lo serberò religiosamente affinchè mi ricordi la gratitudine e l'ossequio ch'io le devo dal giorno che le fui presentato. Il dono acquista grandissimo prezzo dal modo e dal carattere del donatore.
Ho parlato pel suo raccomandato; e se l'affare pendesse in tutto dal Direttore io avrei forse ritratto alcun frutto più utile delle nude promesse. Ma la decisione spetta al Ministro; io non ho l'onore di conoscerlo; ho nondimeno cercato un intercessore; e per sabbato io spero di recarle a Belgioioso qualche notizia soddisfacente.
Trattanto io la supplico, Signor Principe, di considerarmi tra' suoi leali servidori.
Mia cara Amica – A chi vien da Venezia crede di trasmigrare alla villa: tuttavia Milano è turbolento per me che devo talvolta conversare con chi non mi alimenta nè l'animo nè la mente. Onde per Pasqua sarò a Belgioioso ove udrò a veglia le novellette, e godrò della primavera passeggiando per le campagne e parlando col passato e col futuro. E parlerò sovente con voi, mia cara Amica, accusandomi nuovamente e perpetuamente ed acerbamente di non avere goduto della vostra compagnia quant'io
Dionisio mio, e tu amabilissimo giovinetto, e tu Costantino amico della mia fanciullezza, siate salutati da me, siate felici, e memori talvolta del vostro amico. Penso a voi spesso dolcemente, e me ne ricordo spesso: so che voi mi amate lealmente, e sarei lietissimo se fossi certo che la lontananza ed il tempo non togliessero dall'animo vostro l'amicizia che sarà perpetua nel mio. E fra le memorie del mio viaggio a Venezia rimarrà sempre dolcissima l'ora nella quale vi ho abbracciati, e i giorni che ho passati con voi. – Dionisio mio, ho preparati i libri che m'avete chiesti: non già tutti, bensì la maggior parte ed i principali. Passate le feste, ne farò spedizione a codesto signor Fux, ed egli ve li consegnerà. Piacciavi di parlare appunto al signor Fux e di sollecitare la spedizione de' miei libri in Milano. Rispondetemi, e fate ch'io sappia esattamente il modo di scrivere il soprascritto: mando questa dubbitando pur sempre che il porta-lettere non vi trovi. Salutate il sig. Costantino Naranzi seniore, e gli amici nostri, e la famiglia Rossi, alla quale scriverò poichè mi sarò concertato con Mustoxidi, ed avrò alcuna cosa certa da scrivere. Addio, miei cari amici e concittadini: buongiorno, giovialissimo Stefano, buon giorno: io vivo col desiderio di te. – Addio addio.
Pregiatissimo Signor Foscolo – Non perdo un momento nel riscontrare l'ultimo vostro biglietto che trovo dettato con calma e con urbanità. Il signor Briche, che voi nominate per arbitro, è persona ch'io assai stimo, e sono soddisfattissimo della scelta in modo che in lui solo si potrebbe anche rimettere ogni cosa. Che se tuttavia vi piace ch'io nomini altra persona che a lui si unisca, vi propongo il signor Luigi Mabil. Riterrò il silenzio per un riscontro affermativo, ed allora mi farò sollecito di prevenirne il signor Mabil.
Vogliate accogliere le proteste della mia viva stima.
Avrei bisogno per pochi giorni di un Tacito chiaramente leggibile, nè grande nè piccolo. Io me la passo tra il bene e il male, chiaccherando sempre con le mie speranze. Mille saluti al vecchio, e due carezze in nome mio al cane.
Buona
Mio caro amico – Il signor Desgeorge mi trovò malato, nè mi lascia sano; ed oggi appena ho potuto camminare sino ai giardini a salutare la primavera venuta assai tardi: e se il freddo tornasse, chi sa quando mai guarirò dal reuma che m'infiamma le vene! E così malato, dissanguato da tre salassi e intisichito dai bagni dalla dieta e dal letto, ho nondimeno sacrificato a tutte quante le Grazie, che son più di tre, assai più di tre, perchè mi concedessero il più gentile tra i cappellini; e m'hanno, spero, esaudito. La mussolina è proscritta, e fu scelto di seta; le piume tanto invidiate sino a ier l'altro, son oggi, dalle elegantissime, guardate con certo sogghigno, e sono adornamento da verno; però vedrete il cappellino abbellito di fiori: la forma è un po' grande, e le quattro o cinque donne cospicue per eleganza ne portano di più grandi. Una d'esse lo ha scelto; tre lo hanno giudicato severamente, e lodato: le altre che l'hanno veduto nella bottega di madama Ribier sacerdotessa d'
Salutate la Contessa per me gentilmente – e quanto più gentilmente tanto più ve ne sarò grato, perch'io starò forse lungo tempo a vederla; ed ella non avrà frequenti occasioni di ricordarsi di me. Pregatela che quando rivedrà i figliuoletti della Porzia li baci e li ribaci; e più la ragazzina, ma senza dirle che la bacia in mio nome. Le mando que' baci in premio del rossore col quale un giorno venne a incontrarmi.
Addio per ora, mio caro amico. Pregate la dea Salute per me; io non so qual Dio pregare per voi, se la Fortuna, o l'Amore, – inesorabili tutti e due – così almeno gli ho sperimentati io. E non ebbi altri asili se non l'amicizia e le Muse. S'io vi fossi vicino, potrei forse giovarvi, o almen consolarvi. Ma se anche gli altri amici vostri fossero lontani, cercate rimedio se non altro nel vostro ingegno; e vi preparerete ad un tempo alcun conforto per gli anni avvenire. Sono pur tristi, mio caro, gli anni che succedono alla gioventù! L'amore li deride; l'amicizia li ha disingannati; la saviezza li raffredda, o l'ambizione, l'avarizia e le passioni inamabili li tormentano; la vecchiezza gl'incalza. E quando ci pare d'essere diventati filosofi e d'avere regolato ogni moto del nostro cuore, allora nulla ci piace nulla ci dispiace nel mondo, e siamo gelati dalla noia, sorella della morte; rimane la vanità dello studio, ma cara ed utilissima vanità. – Non so come, la mia lettera va pigliando i modi socratici, colpa forse della debolezza e della febbre. – Or addio dunque, e perdonate alla lunga lettera, ed a' consigli. Addio.
Mio caro amico – S'io non sono più in necessità di chiedere più nulla per me al Ministero della Guerra, ho un fratello che merita ch'io preghi per lui. Presenta egli una petizione nella quale chiede d'essere nominato istruttore della Scuola d'equitazione di Lodi. Siccome non si tratta già di meriti passati, o di buona riescita futura, bensì di abilità reale, così egli si offre all'esame, e si riferisce alle informazioni del Colonnello direttore di essa scuola. Ho anche inteso che il generale Balabio ispettore generale dell'arma abbia proposto il suo avvanzamento: se così fosse, egli potrebbe col grado di tenente ottenere l'impiego d'istruttore, e con l'idoneità d'istruttore il grado di tenente. Odo dire da tutti ch'egli sia un distinto ufficiale, e il più istruito di quanti oggi servono a Lodi: se al Ministero emergessero le stesse informazioni, voi nell'esaudire le mie preghiere concorrereste ad adempire alla giustizia, ed alla utilità del servizio. Io avrò l'onore di parlarne stassera al Generale. Da voi non desidero se non che vi occupiate per pochi momenti di questa faccenda, e mi suggeriate il modo di diriggerla. Perdonate intanto la mia importunità all'amore ed all'obbligo di fratello, e siate sicuro di tutta la mia riconoscenza, e della mia stima.
Borgno mio amico e fratello – Il diavolo mi fe' capitar la tua lettera giovedì soltanto, e giovedì la ho presentata al Ministro; nè ho mai raccomandato affare sì caldamente ed arditamente quasi; ma davvero non v'è persona ch'io stimi più di te, e che più di te meriti d'essere sovvenuta e premiata. Dissemi:
Sareste voi per avventura di quegli amici che sono migliori da lontano che da vicino? mi fareste sospettare che fosse vero ciò che io ho sempre creduto una bestemmia, io donna accarezzante quant'altra mai, affettuosa co' miei, bisognosa di vivere, e di pensare, e di sentire in loro compagnia? E come altrimenti accordare la soavità della vostra letterina che sta qui sotto ai miei occhi, con l'asperità della vostra passata conversazione, asperità ch'era sì grande che quasi quasi servia di compenso e conforte alla brevità e rarità delle vostre visite? Voi che avete tanta amabilità, quando volete averla, tanta dolcezza, tanta amorevolezza, dove mai avevate rinvenuta, per non parlar d'altro, quella intolleranza che sì dissimile vi rendea da voi stesso? Ma io vi ho ritrovato tutto intero nell'amabile vostra letterina, ed era questo il miglior dono che far mi poteste. Sono certa che il soggiorno di Belgioioso ove vivrete in mezzo alla dolce armonia degli augelli amorosi, delle piante che si risentono di nuova vita, e del zeffiro rallegratore che spira in primavera, avrete voi pure e nuova, e più tranquilla, e più lieta esistenza e più di voi degna, lontano da quell'aere denso, e più che denso maligno del caffè di Floriano, e del Ridotto a cui solo piacemi di attribuire quel non so che d'inamabile, che in voi amabilissimo pur si scorgea talvolta. Ringrazio l'egregio e gentilissimo Albertino Litta della sua dolce memoria, e lo saluto caramente. Gli amici tutti vogliono esservi ricordati, ed il nostro Ippolito particolarmente. Riceverete un abbraccio da Giuseppino, e credetemi con tutto l'affetto dell'animo che voi sì ben conoscete, e del quale affetto sono così gelosa che ho voluto con una ingenua confessione discacciar dal mio cuore ogni sentimento che potesse alterarlo o diminuirlo benchè in
Addio.
Signor Conte – Da ventitrè giorni io rivedo Milano; e se avessi potuto correre subito a Como ella m'avrebbe veduto
Mio Signore e Maestro – Perch'ella sappia com'io abbia eseguiti gli ordini che a Lei piacque d'ingiungermi, Le mando la risposta del signor Bossi; poichè quand'io giunsi egli era fuor di Milano, e gli scrissi.
Io frattanto ardirò pregar Lei e il Signor Don Pietro, a darmi alcuna notizia su l'
Signor mio River.mo – La ringrazio dell'attenzione usata nel raccomandare al sig. cons. Bossi l'affare del Marchi; ed ora mi favorisca di fargli sapere che il libro mi fu già spedito per ordine di S. E. il Sig. Duca di Lodi, cui ho fatto li dovuti ringraziamenti.
La lettera d'Eloisa ad Abelardo io credo benissimo che sia dell'ab. Conti, per averla già veduta come sua in un codice scritto cent'anni addietro, col nome di esso Conti come di autore, postovi col carattere medesimo della Lettera. Di questa io ne vidi un'edizione in-4o con questo titolo:
Alcuni esemplari di questo libro si troveranno ancora in Firenze nella stamperia del Sig. Traduttore de' primi due poemi. Osservai che il libricciuolo era di otto carte numerate da 71 sino ad 86 col registro K.L; sicchè apparteneva ad altro maggiore volume. Facendone qualche confronto, mi sono accorto che in più luoghi il senso stampato era alterato e guasto, facilmente perchè il componimento sarà andato in giro con molte copie, e la stampa sarà poi stata fatta sopra quello che era venuto alle mani dell'editore, senza farne il dovuto riscontro. Ora non sarei nel caso di riconoscere queste differenze, non potendo più usare nè di quella stampa, nè di quel codice. Forse di quell'edizione n'è copia un'altra in-8
Cara Madre – Bench'io avessi deliberato di scriverti assai più tardi, voglio e devo ad ogni modo darti quanto più presto posso una buona novella, e dirti che l'Angiolo è stato avvanzato ed è
Nulla, fratel mio, mi scrivi di nuovo di codesti letterari cabalisti: nello stesso modo che intrusero Arici nell'Istituto, lo manterranno sulla cattedra, in cui da prima lo posero. Già da qualche tempo aveva io scritto un memoriale pel Ministro, nel quale eravi un'esatta analisi di Arici, donde constava ridursi tutto il sapere di lui a poche frasi di lingua italiana, che va adoprando nel rubare i pensieri e gli studi altrui. Così fece il poema degli Olivi, e de' Coralli; così stordisce con Inni quanti Dei venerò l'Egitto, Grecia e Roma; così rubò la fama; così, e ciò che più gl'importa, ruba cinque mila lire al Governo. Persuaso però di ciò che possa la cabala letteraria non mandai al Ministro questo mio scritto, che ti leggerò costì ai primi di Maggio.
Tu mi dici, che non v'è paese nell'universo, in cui il Governo abbia migliori intenzioni, ed ove i ministri sieno più equi; ed io te lo consento; ma quando io ti soggiungo, che quest'equità lascia sempre, per esser debole, prevalere la prepotenza, e l'astuzia, forza è, che tu mi conceda essere questa equità peggiore dell'ingiustizia.
Va dal Bascià di Scutari a lagnarti, che ti fu rubata la borsa; presto al ladro sarà troncata la mano, ed avrai la tua borsa; o tu come impostore avrai cento bastonate sul deretano. Colla nostra equità non hai nè bastonate, nè borsa; e vanno così impuniti l'impostore, ed il ladro, e il galantuomo è bersaglio all'audace sceleratezza. Io amo il Bascià, che agisce, ed agisce giusta la sua coscienza; non amo Dario, che lascia agir dagli altri, e la tradisce.
Vengo a me. Se il Ministro mi ascolta non è possibile ch'ei non sia persuaso delle mie ragioni, ma non è possibile ch'egli mi faccia giustizia, però che i Magi, ed i Caldei mi vogliono nel laco de' Leoni, e non sulla cattedra.
Il ginnasio è il laco de' leoni, e di leoni che non s'amaliano come quelli che risparmiarono Daniele; io vi lascerei la pace, l'onore e la vita; ho tanti esempi, che lo sperare altrimenti sarebbe pazzia.
Tu tienmi raccomandato al Ministro per una cattedra anche nella Mesopotamia; chè ho diritto ad averla, e a vivere. Io ho lasciato gli affari a Bonafous donde aveva la sussistenza per avere un impiego pubblico, che la legge m'assicurava per tutta la mia vita facendo il dover mio; sicchè non è giusto che io sia lasciato in mezzo alla strada sopprimendosi dal Governo quest'impiego. Se il Ministro fosse equo e forte, avrei la cattedra d'eloquenza in Brescia, perchè non v'ha dell'equità che Arici abbia due impieghi, che richiedono diversa residenza; e perchè Arici non è, e non fu mai capace di adempiere i doveri della sua cattedra; e mai sodisfece a' medesimi; ma questo tasto non converrà forse toccarlo. Se la cosa così è, procura almeno che io trovi il Ministro proclive ad accordarmi qualche cosa fuori del Ginnasio di Brescia.
Ugoni ti saluta, attende lettere da te; e tu scrivimi – ond'essermi di conforto a lottare coll'avversa fortuna. Ti abbraccio di cuore.
Borgno Fratello – Dopo ciò che mi fu detto, e ch'io ti scrissi, il desiderio di farti ottenere la cattedra viveva, e vive in me sempre, ma non gia la speranza. Tuttavia ho tornato a ribattere. La segreteria dell'Istituto a Verona è impiego triennale, ed Arici può essere e confermato e cangiato: sarà confermato, i suoi numi incubi e sucubi lo aiuteranno; ma egli ad ogni modo ridice, che senza rinunziare all'onore deferitogli da S. M., vuole pur sempre attenersi ad un impiego che sia perpetuo: e l'argomento, se non è sincero, è certamente specioso. – E quando pure la cattedra fosse tolta all'Arici, sarebbe debito del Ministro di fargli succedere alcuno di que' tanti professori ex-professorati, come son io, e che più di me hanno meriti di lunghissime fatiche nelle Università e ne' Licei. Vero è che rari degli ex-professori, come rari tra' professori, sanno di belle e vere lettere; ma quando molti pregano e domandano e schiamazzano, il governo invece di cercare gli uomini per gl'impieghi, va cercando gl'impieghi per gli uomini. Tu vedi dunque che ti combattono con l'equità e con le leggi alla mano. Nondimeno se devi deporre la lusinga di insegnare eloquenza a Brescia, non però tu devi scoraggiarti; bensì venire, e parlare al Ministro liberalmente e liberamente, e com'uomo che sente il suo merito e la sua dignità. Or io ti lodo che tu non abbia mandata al governo la tua Filippica contro quel guercio ribaldo. E eredi tu che i suoi piaggi, le sue bugie, e le sue vigliaccherie possano essere ignote? Ma v'ha bisogno anche di sì fatti tristi; e tu accusandolo nuoceresti pochissimo a lui, molto al tuo candore. Serba quello scritto che certo sarà tutto verità condita di sale: serbalo per me e per gli amici, e rideremo; rideremo; a me basta di ridere su que' sciagurati, così mi vendico generosamente, pacificamente e lietissimamente. Ho veduto quel disgraziato ciarlatano di Nicolò Bettoni; e l'ho indotto una volta ad aggiustamento di conti. Egli elesse arbitro il signor Mabil, già professore d'eloquenza in Padova, or archivista del Senato in Milano; io elessi un amico mio, uomo giusto, forte, e pacifico. Esaminati i conti, e quella turpitudine stampata in cui io era accusato, e il sono pur sempre, accusato iniquamente per debitore ingrato e insolvibile; gli arbitri, conosciuta l'indegnità della calunnia, giudicarono che Bettoni si disdicesse in iscritto; e si disdisse in iscritto; e la palinodia più vile (se non più infame per lui) della calunnia sta nelle mie mani: e potrei stamparla: ma m'importava che quel vile s'umiliasse alla mia presenza e si disdicesse; non altro. Nè pubblicherò quella carta che lo infamerebbe; la serbo bensì perch'egli non pensi a me senza sentirsi avvilito, e perch'io rileggendola con gli amici possa ridere e farli ridere su la stoltezza, la malignità, e la bassezza di molti animali simili al ciarlatano Bettoni. Adunque serba tu pure, Fratello Borgno, la tua diatriba; e fa dolce l'ira tua nel tuo segreto disprezzando la ciurma letteraria, e confortandoti col sentimento della tua generosità e con la coscienza del vero. Fratello mio, fa le fiche alla fortuna facendoti amare e stimare da que' pochi che pregiano più il tuo sapere e il tuo cuore, che il titolo e le cinque mila lire del guercio e de' suoi numi incubi e sucubi. Addio addio.
Camillo carissimo – Il galantuomo che voi chiamate Francesco Treccani, e dottore, e ripetitore eloquente, e metafisico, portò o mandò il vostro libretto e la lettera mentr'io passeggiava per città; ma non s'è mai lasciato vedere: pochissimo avrei potuto fare per lui; ma non vedendolo, io non posso far nulla. E fors'anche, anzi senza il forse, l'essermi amico o raccomandato guasterebbe le sue faccende; da che gli ambiziosi e gl'ingordi che vanno circuendo la sacristia di
L'altra più recente mi accusa di svogliataggine. Ma se le cose alte, belle, e magnifiche in letteratura fossero scarse, certo che anche le mediocri andrebbero lette talvolta – invece la vita di vent'uomini non basterebbe allo studio delle dottrine e de' libri utili e grandi: a che dunque perdere l'età leggendo
A quest'ultimi giorni ho riletti e meditati e cantati i quattrocento versi delle Nozze di Teti e di Peleo: ed ho imparato nelle bellezze meravigliose e ne' difetti di Catullo più assai che nelle cento mila dissertazioni accademiche stampate a' miei tempi. Non crediate però ch'io abbia sdegnata la vostra: la ho letta, ed ho lodato lo stile che è proprio quasi sempre, lucido, ed adeguato al soggetto: e mi sono anche compiaciuto del premio da voi riportato. Pur mi dorrebbe assai che miraste a' premii delle accademie. Aspirate a lode vera, giusta, perpetua; se i vostri concittadini fossero ingiusti, voi sarete vendicato da tutta l'Italia, e da' posteri. E quand'anche tutti i mortali s'accecassero su' vostri meriti, voi avrete il nobile conforto d'avere disprezzata la vanità, ed amata la gloria sacrificando all'arte e alla patria tutte le vostre forze. Or ch'io povero romito ed infermo – e son cinque giorni che la tosse m'inchioda in letto e mi squarcia il torace – ho sermoneggiato per ingannare il dolore e la noia, voglio dirvi addio, ed abbracciarvi così da lontano, e pregarvi d'abbracciare Borgno per me, e di consegnargli l'annessa lettera. Gli ho scritto il vero, non per metterlo alla disperazione, bensì perch'egli, vedendosi assolutamente chiusa una strada, cerchi di spianarsene un'altra:
Mi rallegrai del di Lei ritorno a Milano, come rallegrato mi sono della di Lei gita a Venezia ov'ebbe il piacer sommo d'abbracciare la venerabile madre. Bell'epiteto d'Omero, bello e di verità perpetua per tutti i buoni cuori. E pruova del buon cuore suo è pur quella non solo di scrivermi ad onta d'un raffreddore, ma d'acchiudermi anche alcune righe di Benedetto, il mio primogenito, a Lei dirette. Oh quel figlio costa pure i gran pensieri a me, alla mia contessa, e le preghiere continue! Era anch'egli promosso, e dovea restare in Italia; ma l'amor di gloria ardente immoderato fece sì che implorasse ed ottenesse d'andarsene in Lamagna a farsi nodrire come migliaia d'altri dagli ospiù amici, e poi chi sa da....
I miei complimenti a Giulio suo. Ho piacer molto di sapere che abbia acquistato il grado di tenente. Egual piacere mi si recò dal di Lei pensiero d'una visita a Como. Erasmo di Roterdamo non per titolo d'umiltà avea per impresa il Dio Termine col motto
Mio caro Foscolo – Duolmi assai l'udirvi ammalato. Ammalato però soltanto il corpo; chè l'anima la veggo nelle vostre lettere sana e robusta, e fortissimamente temprata. Se non fossi inchiodato qui dal mio maladetto Cesare, verrei a Milano, e cercherei di porgervi nella malattia vostra quel conforto che per me si potesse. Dopo una lunga navigazione a voga arrancata, sto ora raccogliendo le vele, e già quasi veggomi in porto. Per entrarvi però ho gran d'uopo di voi. Rimane da stamparsi la dedica; e questa vorrei che voi rivedeste, e, come il
Veggo che con Bettoni metteste a profitto la favola di non dare al cane in presenza di molti altri il pane tinto nel sangue delle ferite che ti fece. Possa questo esempio frenare i morsi dei cani rabbiosi, e anche de' cagnolini che, temendo il tuo cospetto, ti assalgono e ti mordono furtivamente da tergo!
Del mio libriccino diceste più bene assai che non mi aspettava, onde ve ne ringrazio. Ed io pure mirerei più alto, siccome mi andate confortando di fare, ove forti e spase mi sentissi l'ali da tergo; ma la coscienza delle poche mie forze è quella che mi precide l'osare, nè voi provocatemi a stolte speranze: bensì io, se mi avvampasse nella mente quella fiamma di Genio che tanto invidio a voi, impennerei voli altissimi, nè mai dì nè notte tacerebbe in me il grido della gloria e della brama d'onorar la mia Patria; ma non mi sono de' pochi prediletti da Dio. Però col Cesare spero di levarmi un po' più da terra, vuoi per la fedeltà della traduzione, e per avere afferrata, parmi, la mente dell'autore ne' passi più ardui; vuoi per la dignità e concisione della lingua: ma di questo vedrete. Intanto raccomandovi di bel nuovo la dedica, che vi acchiudo; e, pregandovi salute, vi abbraccio di cuore e sono
Foscolo fratello – Ti darà questa lettera D. Antonio Bianchi mio amico, amico tuo, e galant'uomo. Egli ti dirà come Arici faccia credere vacante la cattedra d'eloquenza in Verona, e com'esso Arici desideri che io sia nominato per la medesima. Siccome Bianchi, ed io, e tu abbiamo una ragione sufficiente per non credere ad Arici, guarda se ciò è vero; se pure la tua tosse il consente.
Bianchi ti parlerà pure del mio onorario, che da quattro mesi,
Se D. Antonio ti parla di cose letterarie, chiudigli la bocca, perchè non ti dica la scena di ieri nel nostro Ateneo; dove io sapendo che leggevasi il primo libro delle Georgiche di Virgilio, portai scritti gli errori che senza aver mai sentita o veduta la traduzione enunciata, indovinai che vi s'incontrerebbero. Sapeva che era una traduzione di traduzioni, ed io era contro i traduttori; bestie i più.
Addio, Foscolo mio; manda via la tosse; e se un inno a Giove pluvio, o a Giove sereno, o ad Esculapio dalla barba ti potessero giovare, scrivimi che qui ne sono magazeni, e a buon mercato. Addio.
Mia cara Amica – La vostra lettera e Tomaetto mi trovarono maltrattato dalla tosse che mi tormentava sino da' primi giorni del mio ritorno in Milano, dove la primavera (e siamo a' 28 d'Aprile) non mi ha per anche regalata un'unica rosa. Però non sono andato, com'io aveva prima risolto, a Belgioioso per non farmi imprigionare dalla pioggia e dal freddo; e molto più per non istrascinarmi tristo e malsano in casa d'un vecchio infermo che cerca di rendere men solitaria e men malinconica la sua vita. E perchè la mia tosse era ostinata e insidiosa, cercai di vincerla con la dieta, il caldo, e le medicine. In quel tempo capitò Soranzo; dimorò poco a Milano, ed io lo vidi pochissimo; nè l'ho trovato in casa quel dì che, come ho potuto, sono andato a vederlo. Venne egli bensì; e vivrò memore della sua gentilezza, e voi mia cara amica, ringraziatelo, ringraziatelo quanto mai. Partì all'improvviso, nè ho potuto consegnargli la risposta: nè avrei potuto scrivere perchè in quel giorno stesso, e fu sabbato, caddi a letto, e così peggiorato che ci vollero due larghissimi salassi, senza de' quali io non avrei potuto trarre il fiato. Da indi in qua io vivo, non saprei dir come. La febbre è lenta, ma perpetua: la tosse mi sbrana le viscere: la testa intronata sempre; e sono estenuato dai salassi, dai bagni, dalla dieta, dall'acqua infinita ch'io tracanno per medicina e per sete, e dal letto perpetuo dove non amo nè i libri nè la compagnia. Dicono i medici ch'io guarirò; lo credo; ma non per essi, bensì per la soave e sacra luce del sole tutta pregna di spirito vitale e d'ambrosia; ma ora il sole è pallido, e incerto; e ieri mattina io vedeva la neve mista alla pioggia che affliggeva i poveri fiori del mio picciolissimo giardinetto: e solo mi conforta che Maggio non è lontano. Isabella mia, io sospiro Venezia; non ch'io ci stessi bene: mi mancavano i comodi e la solitudine di cui pur troppo son fatto schiavo. Bensì mi pare che s'io potessi piazzarmici io provederei a vivere quanto più comodamente e liberamente si può. E vado spesso con la fantasia passeggiando su per le fondamenta, e fermandomi di ponte in ponte a contemplar quelle dolorose reliquie di tanta e sì maravigliosa città, e giro in barca con que' due ragazzi, e viaggio da Venezia a Treviso e da Treviso a Padova. Ma poi mi trovo confinato a letto, e contentandomi della
Mio caro Foscolo! – Una pendenza, per me sostanziosissima, m'ha fatto trasferire a Genova. Fui a Parma, come sapete; indi profittando dell'opportunità di amico, feci una scorsa fino ad Ancona. Ivi trovai la compagnia Pellandi e Blanes, disperata perchè la censura non le permette la rappresentazione neppure di que' componimenti teatrali che poterono essere approvati per la capitale. L'una e l'altro mi hanno incaricato di salutarvi, come fo, ardentissimamente.
«E dell'
Passando per Urbino, mi si disse da amico mio aver esso letti alcuni giorni prima due sonetti di Raffaello, in casa del marchese Antaldi a Pesaro, e, passando per Pesaro, volli recarmi a leggerli io medesimo. Sono essi scritti di proprio pugno dal Sanzio, a tergo di un suo disegno di due teste trovantisi nel suo famoso quadro – la disputa del Sacramento. – Il carattere è autenticato da diverse note di Raffaello stesso ad altri disegni di lui medesimo, esistenti presso i signori Antaldi stessi, in numero di oltre a 30, ereditati da Timoteo Viti scolare di lui; ed oltre ciò, la famiglia Antaldi potè, col favore di monsignor Marini, riscontrarne il carattere con altre carte scritte da Raffaello, e singolarmente colla lettera che possedeva il cardinale Borgia. Pensando di farvi cosa gradita, ve li compiego, precisamente quali si trovano nel manoscritto originale, senza farmi lecito di cambiar nulla. Potrebbero essi dare argomento di un articolo per le
Addio, mio caro Foscolo, continuatemi l'amicizia vostra, e credete alla mia caldissima.
Come mai il diavolo si sia pigliata la lettera e la minuta ch'io vi mandai, egli solo potrà saperlo. Nè io risposi alla seconda vostra, essendo quasi certo che la mia si fosse incagliata ma non perduta. Or poi che il signor Dall'Acqua insiste ch'io vi risponda, eccovi le mie postille alla seconda minuta, ed il modello d'Epistola. Io ve ne aveva proposto uno simile, non finito; [se] vi è giunto o se vi giungerà con la lettera, ch'io non credo ancora smarrita, potrete giovarvene; altrimenti eccovi in quest'altra prova i miei consigli. E bisogna pure ch'io v'ami per durare e ridurare la fatica e la noia di fantasticare concetti, e armonizzare paroloni di dedica. Dio perdoni a voi, ed a me; da che io lo aveva altre volte pregato di punirmi severamente ogni qual volta io mi dilungassi dalla strada ch'io e la natura vogliamo percorrere. E nella nostra strada non vi sono teste coronate: bensì le veneriamo dalla lunga; ma sì dalla lunga che se parlassimo non potrebbero intenderci. – Or addio. E addio anche a Borgno di cui mi professo amico, e difensore, e procuratore, e discepolo quando per altro egli non si ostini ne' suoi sofismi per giustificare il paralogisma d'Orazio nell'Epistula
Sire,
* Il maggior Capitano dell'antichità, grande o la penna trattasse o la spada, dopo avere con questa il mondo a Roma assoggettato, volle con quella i suoi gesti eternare: e in sì fatta impresa riuscì per modo, che il sommo Orator d'Arpino ebbe a dire, che collo stesso animo scrisse con che guerreggiò.* E veramente chi ignora, non esservi opera tanto accuratamente per altri compiuta, la quale dall'eleganza non venga superata de' Commentarj di Cesare? Di questo libro tuttavia modello, e delizie di tanti illustri guerrieri, o
Il Maggior Capitano dell'Antichità, secondo il Mecenate a cui dedicate la vostra fatica, non è Cesare, bensì Alessandro; e bisogna o non dedicare, o andar a' versi dichi accetta la dedica.
Tutto il tratto fra i due asterischi lo muterei.
Il periodo da me cancellato andrebbe ommesso, dice cose rettoriche e vecchie; rappiccherei col periodo seguente così:
Direi
Tutte queste parole a che pro? bastava dire:
Direi
(Nelle dedicatorie non si deve sì fatt.te parlare di sè).
Tutto questo parvemi di notare ove siate deliberato di rifare la dedica co' medesimi pensieri e con l'ordine stesso. Ma s'io dovessi provarmici, scriverei così:
Sire,
Nel tradurre i commentarj scritti dal maggior de' romani con lo stesso Genio con cui guerreggiò, io mi credeva assai volte di scrivere le imprese del mio Re. Ma procedendo nel mio lavoro m'accorsi che Voi, Sire, andavate aggiungendo, come aggiungerete pur sempre, novelli allori alla vostra corona, per cui la Storia vi ha già conceduto la palma che fino all'età nostra pendeva tra Cesare ed Alessandro. Onde in me nacque il pensiero di pubblicare la mia traduzione affinchè anche i men dotti fra' miei concittadini possano conoscere di quanto Voi, Sire, sopravanzate gli Eroi più illustri del Mondo, e di quanto maggior frutto riescano a' popoli le glorie di Vostra Maestà la quale non tende alla vittoria che per convalidare la giustizia. Nè io avrei osato offerire a' piedi del trono questa mia fatica se non avessi sentito in me stesso che la speranza del compatimento di Vostra Maestà avvalorava il mio ingegno che per sè forse non sarebbe bastato.
Prego la Signora Mariannina di presentare i miei rispetti al signor Conte Senatore, ed ai commensali co' quali non avrò il piacere di trovarmi per alcuni giorni ch'io passerò a Belgioioso. – Se la signora Mariannina prega il Cielo per tutti quelli che le vogliono bene, io sono sicuro che lo pregherà anche per me.
Io partecipava della sollecitudine del Principe per la salute di madama Botta; ed egli ripeteva i miei voti per la di lei guarigione. Ed io anche sperava ch'Ella si sarebbe talvolta ricordata di me; ma io non osava lusingarmi di ricevere i suoi saluti. Quantunque io tema d'appressarmi al tempio delle Grazie, io qualunque sia il pericolo ch'io corra, m'appresserò nondimeno a presentarle i miei ringraziamenti. Fra pochi giorni m'assicurerò personalmente della salute di Madama, e ne riporterò le nuove al mio ospite che le aspetta e le chiede sempre con ansietà. Frattanto io La prego d'accogliere l'omaggio della mia rispettosa riconoscenza.
Mio caro Mangili – Io non ho potuto darvi finora prova veruna dell'amor mio; e la colpa è in parte della fortuna, ed in parte è anche vostra, dacchè non mi avete mai mai offerta occasione. E solo mi conforto che voi crediate ch'io v'amo; e v'amo davvero e siatene sicuro, sì perchè voi lo meritate, sì perch'io ve lo dico, nè son tale da simulare amicizia. Ma che voi, mio caro Mangili, mi amiate, è pur gran tempo ch'io non me lo sento dire da voi; forse perchè viviamo lontani l'uno dall'altro, e fors'anche perchè il tempo avrà facilmente potuto cancellare gli affetti che io non ho saputo scolpire nel vostro cuore, come voi gli avete impressi nel mio. E però io voglio, poichè mi si porge l'opportunità, conoscere per prova quant'io possa o non possa fidare nell'amor vostro. Un giovine vostro discepolo il quale nel cimento dell'esame deve dipendere principalmente da voi, vive da più giorni nel batticuore; e il batticuore e il timore lo faranno forse parere da meno di quello che egli è. Pur troppo la servitù si pasce di paura; e la paura rode tutte le potenze della vita. Incoraggiatelo dunque, mio caro Mangili, e fate ch'egli si presenti all'esame con libertà d'animo e d'ingegno. Sostenetelo e diriggetelo, ove egli andasse vacillando e traviando nelle interrogazioni de' professori; e raccomandatelo anche agli altri della facoltà vostra in mio nome: parlo di quelli che non sono sì farneticanti nella vanità e nella venalità (vizi letterari!) da tenermi per uomo scomunicato; e sono uscito, e mi starò assai volentieri fuori della lor comunione; ed ho perdonato e perdonerò a' lor vizi, purchè non me li attacchino. Il giovine ch'io vi raccomando sì caldamente ha nome Stefano Perroni. Desidero ch'egli torni a casa ringraziandomi di questa lettera: perch'io sarò sicuro d'essere ricompensato da voi dell'amore leale ch'io nutro e nutrirò perpetuamente per voi. Intanto addio, mio caro Mangili; e vivetevi lieto.
Gentilissima signora Marianna – Io voglio in primo luogo pregarla di baciare in mio nome la mano a suo Padre, e di salutare la signora Ghitina. E mi credeva di rivederle a Milano dopo otto giorni, ma vedo omai che pochi dì mancano al mese, e chi sa forse s'io potrò ritornar così presto. L'ospite mio è solo, affatto solo; perchè i suoi parenti ed amici temono a questi mesi l'aria troppo umida di Belgioioso; ed io sono stato accolto da lui sì amabilmente che non ho cuore di abbandonarlo nella sua solitudine: è cieco, cadente, mezzo sordo, e poco lontano dai novant'anni; nè gli resta se non se la serenità della mente e la gioia dell'animo, ch'egli per altro perde ad un tratto quando rimane senza compagnia. Eccole, pregiatissima amica, le ragioni della mia dimora; ed in parte me ne duole; perchè, tra lo star a Venezia, e poscia a letto, ed ora in campagna sono omai passati sei mesi di quest'anno senza ch'io abbia potuto godere pur sei settimane della compagnia di casa Veneri. Spero ad ogni modo ch'io verrò accolto con lo stesso animo col quale io tornerò: e questa speranza mi dà qualche compenso. Ella saluti e risaluti gli amici di casa sua; e perdoni al mio carattere tutto di gieroglifici: Dio signore le conceda occhi e pazienza. Dica alla signora Ghittina che qui per antico sistema di casa si va a tavola sempre dopo le ore otto; ci si sta per lo meno tre ore; l'ospite poi s'addormenta su la sua seggiola fino all'una dopo mezzanotte. Allora incomincia la conversazione, e termina a giorno chiarissimo. Nè si parla già di novità, nè di guerra, nè d'opera, nè di poeti; ma di cose assai più sicure, più oneste e più allegre. Io poscia mi bagno, mi sbarbo, e passeggio sino all'ore calde; poi vado a letto e mi sveglio verso le due: studio sino alle sette; e poi si va a trottare in carrozza col buon vecchio, e così tutti i giorni. Se questa, signora Marianna, non è la più bella vita del mondo, è certamente la più tranquilla e la meno invidiata. Ed io la farei tutto l'anno se potessi almeno una volta per settimana desinare con suo padre e con que' pochi che non fabbricano la propria interna infelicità sul poco bene che il cielo concede agli altri. Ma sia così poichè non può essere altrimenti; e il mondo fu ordinato così da chi ne sapeva e ne sa e ne saprà assai meglio di noi poveretti mortali. Intanto Ella mi voglia bene, e si ricordi talvolta di me.
Siate ringraziato, mio caro Mangili, del beneficio da voi prestato in mio nome allo scolare Peroni; siate ringraziato dell'amor vostro per me sì nobilmente ed affettuosamente espresso nella vostra lettera; siate finalmente ringraziato del libro dov'io ho imparate assai cose ch'io non sapeva, ed ho imparato – non già ad amarvi perch'io vi ho amato sempre assaissimo – bensì a stimarvi ognor più. E ho letto e riletto quel libro; nè credo che l'amicizia m'inganni: ma fra quanti elogi uscirono a questi giorni, questo di Mascheroni mi pare il mignore sì perchè l'eloquenza deriva più dalle cose che dalle parole, sì perchè voi nel discorrere dello Scienziato fate che i lettori s'innamorino della Scienza. Ond'io me lo serberò religiosamente per farlo leggere a que' giovani ch'io prediligo, e che tento di stornare dalle vie troppo battute a' dì nostri, della livida pedanteria, e della laida ciarlataneria. – E nel leggere il vostro foglio ho quasi anche ringraziata la Fortuna, poichè mostrandosi a me sì nemica fa che le anime buone e pari alla vostra congiurino in mio favore. A me basta trattanto d'essere amato da voi; non più. Contro la Fortuna basterò da me solo, e quanto più infierirà tanto più la farò arrabbiare, perchè non le darò la compiacenza d'udire le mie querele. – Ho veduto a questi dì in un palazzo di campagna una impresa feudale col motto:
Ramondini amico del mio cuore, e medico del mio povero corpo; – e il mio cuore e il mio corpo lottano perpetuamente con quel biricchino di Amore; e per quanto io faccia del Gradasso contro di lui, io prevedo che un dì o l'altro egli trionferà della magra e malinconica mia personcina. Or io voglio che tu sappia che, malgrado la dolorosa previdenza della mia sconfitta, io trattanto mi sto benissimo; e mi vedresti liscio, paffuto, abbronzato dal sole come un cacciatore, ed errante come un capriolo per le campagne, stracco morto, e senza aver mai fatto nulla, propriamente nulla. Beatissima vita, s'io potessi far sempre così; e se Madama Venere non mi adescasse a tornare dove si vedono l'eleganti fanciulle, e Monna Pallade non mi sgridasse ad un tempo cacciandomi nel cervello gli scrupoli d'avere abbandonate senza ragioni le vergini Muse, verginissime e poverissime meco, ma puttane sfacciate e imperlate, e dorate, brillantate con tanti e tanti miei dilettissimi confratelli. – Frattanto, Ramondo mio, godi tu quanto puoi per amor tuo e per amor mio delle belle donne e delle gentili giovinette che incontrerai per Milano; e sono sicuro che tu ne goderai castamente, e soavemente e delicatamente, appunto com'io fo sempre, amando la bellezza e le grazie, ed ammirando la Natura che le ha create. Salutami casa Veneri, dove se non v'è bellezza, v'è un po' di grazia, e sopra ogni cosa, v'è molta bontà di cuore; e la bontà di cuore abbellisce anche le persone più brutte. Salutami le due Radici, alle quali farai con l'eloquenza e la dolcezza che hai una preghiera, acciocchè le non guardino sempre a tramontana, ma le si volgano talvolta anche a mezzogiorno.
e ci tornerò nel prossimo carnevale se incontrerò su per le feste da ballo fanciulle che mi piacciano, rassegnandomi di non piacere ad esse nè punto nè poco, purchè ad ogni modo ballino meco. – E per accaparrarmi una ballerina di più, prega le signore Radici di salutare la brunetta vivace, in cui è et sarà
Non ch'io voglia da lei altro fuorchè un paio di monferrine, perchè so già ch'ella è doppiamente piagata d'Amore; e quand'anche il Dio volesse darle la terza ferita per me, a me non basterebbe l'anima di vedere così straziato quel povero cuoriccino che sarà per avventura piccino come il piccino corpiccino della brunetta.
E ti ho, mio Ramondo, scarabocchiate arabicamente queste chiacchiere per metterti in buon umore affinchè ti pigli, senza maladirmi, la noia che sto per darti. Sappi che un galantuomo chiamato Criminali vive assiduamente con l'ospite mio, e ha un fratello in Ferrara col titolo di Cancelliere del Censo. E fu anche, per intercessione di donna Giuditta Sopransi, raccomandato altre volte da te; beneficio di cui tutta la casa de' Criminali si loda. Or questo Cancelliere aspira ad esser nominato Direttore dipartimentale del Censo; e m'hanno tanto pregato e ripregato ch'io mi sono risoluto a scrivere, Dio sa come, una commendatizia al consigliere Brunetti. A te mando la copia della petizione già presentata al
Signor Principe – Non sono lietamente partito da Belgioioso ma se vi fossi dimorato più a lungo, io non avrei forse potuto staccarmene. Onde la stima e l'amore ch'io ho concepito di V. A. accresce la mia gratitudine per tante e sì cortesi accoglienze; e solo mi duole di non poter ricambiarle. – Il dispiacere con che sono partito diventò più amaro al mio arrivo: il Curatino mi raccolse piangendo, e quasi certo di essere da noi separato dalla notte del sepolcro, e dall'eternità. È tristo sempre; veglia le notti; appena può muoversi; ed appena sente bisogno di nutrimento. Mi dicono nondimeno ch'egli prima ch'io ritornassi stesse assai peggio. E pare anche a taluni ch'egli possa tornare allo stato d'infermità in cui trovavasi nei mesi passati, e lontano del pari dalla salute e dalla morte. Io lo desidero vivamente, ma porto poca speranza.
Molti m'hanno chiesto di V. A. e tutti si sono rallegrati udendo ch'Ella se la passa
Intanto V. A. m'abbia sempre per servidore leale e riconoscente.
Signor Principe – Spero ch'Ella avrà letto a quest'ora la mia lettera precedente. Lo stato del mio ospite non peggiora, nè migliora; egli vive intanto come appeso alla croce; se non che è confortato dalla speranza. E la speranza gli riscalda l'anima che forse senza di ciò sarebbe a quest'ora agghiacciata. E bench'io non partecipi di questa illusione, tento ad ogni modo di confermarla nell'immaginazione del nostro povero amico. – Io avrei desiderato di mandarle il tabacco; ma disgraziatamente non è ancora stato rapato; le avanie e le pedanterie della Finanza sono tali, che gli uomini tutti, anche quelli più in grazia del governo, temono di cadere in fallo. A far rapare del tabacco non manipolato dalla Finanza, bisogna una persona fidata; e questa persona non è per ora in Milano. Ecco la cagione del ritardo; ma non può stare [molto(?)] che il solito [rapatore] ritorni, e V. A. sarà servita sul fatto. – Intanto piacciale d'accogliere le proteste del mio ossequio, e di considerarmi sempre
Signor Principe – Mi giovo della mezz'ora in cui m'alzo perchè mi rifacciano il letto, e le scrivo per ringraziarla della lettera di V. A. e della gentilezza con cui fu dettata. – Milano non mi vuol più; ond'io sarò costretto all'esilio o per lo meno all'ostracismo onde preservare la mia povera persona. Appena tornato, io mi sono sentito in certo stato d'infermità. Da quattro giorni in qua mi sento addosso la febbre che cominciò lentissima: ma ieri mi tenne sdraiato sopra un soffà, ed oggi m'inchioda a letto, e m'inchioderà, sa il cielo per quanto tempo! – Ma non sì tosto potrò movermi, ch'io andrò dove mi porteranno i cavalli, e l'Angelo mio Custode. Oltre all'infermità, questa stagione mezzo arrabbiata, questa casa dov'io abito, le noie che mi dànno gli altri, l'ozio a cui sono costretto, e peggio ancora il povero curatino, che sta tra la vita e la morte, sono tutte cose che mi fanno tristissimo e mal contento di me e di questa città. E vorrei oggi poter farmi compagno dell'abate Chiassi, e fermarmi nella tranquilla, beata e magnifica villa di Belgioioso. Ma il medico, a cui non credo gran fatto, e a cui, per non acquistarmi il titolo di pazzo, devo obbedire, mi dice assolutamente di no. Or dunque, Signor Principe, piacciale di pregare il cielo per me, ch'io non cesserò mai di vivere e con l'immaginazione e col cuore presso di Lei. I miei rispetti al conte Ercole e alla Contessina che nacque certamente quando la natura sorrideva, e che porta la gentilezza, la grazia e il buon naturale in tutta la Sua persona. V. A. si degni anche di ricordarmi al signor Criminali e ed al Giudice ed al sacerdote giuocator di tarocchi, ed a tutti i suoi commensali, ma segnatamente al Signor Prevosto, ed al dottore Strambio. – Ella mi consideri sempre di V. A.
Miei cari – Dal signor Spiridione Naranzi riceverete un libro, ed è quello raccomandatomi dall'amicissimo Della Torre; ed oltre al libro vi darà esso Naranzi dieci napoleoni d'argento per sovvenire alla vostra povera economia: due di essi napoleoni gl'impiegherete per compiere la somma dell'affitto di casa; e gli altri otto vi basteranno, spero, a pagare alla signora Rosa il vostro debito: – pel resto continuerete a ricevere mensilmente dal signor Vitali no 18 napoleoni soliti: spero che nè cesserà nè tarderà questo pagamento: ad ogni caso fatemene avvertito, ch'io riparerò subito. – Madre mia, benedici il tuo figliuolo, e con me tutti gli altri tuoi figli e nipoti, i quali, spero, vivranno per te, e m'imiteranno se non altro in questo di amarti, d'onorarti, e di aiutarti nella tua vecchiaia. Ier l'altro l'Angiolo è venuto a vedermi; e Spiro Naranzi ch'era in casa mia lo ha veduto, e lo ha trovato grande, bello e savio. Il matrimonio è andato all'aria; nè se ne parlerà più, perchè tanto l'Angiolo quanto il padre della fanciulla si sono formalmente sciolti dalla parola. Spero che non passerà l'anno che Giulio sarà capitano di cavalleria: il Ministro della guerra e i generali hanno preso a volergli bene; oltre di che gode buon concetto di ottimo ed istruito ufficiale. Dodici giorni fa sono andato dal Ministro della guerra a raccomandargli un impiego che mio fratello desiderava. Risposemi: «Dite a vostro fratello ch'io lo stimo, che sarà presto avvanzato e che non uscirà dalla scuola d'equitazione che col grado di capitano». Ond'io ora sono sicuro; Dio voglia che ciò sia anche presto: allora tu, cara Mamma, vedresti il tuo figliuoletto giunto, prima de' 25 anni, ad un grado onorato, e sufficiente ad una comoda vita. – Fra un mese al più tardi io lascerò Milano e partirò per la Toscana ove spero di ritrovare la mia salute, che, a dirvi la verità, ho quasi perduta in questa acquosissima Lombardia. Prima di venire a Venezia sono stato malato per una settimana a Milano: appena tornato, sono ritornato malato altre tre settimane, e sono ricaduto con la febbre: in campagna mi sono trovato piuttosto bene: ma ritornato a Milano, ecco nuove febbri; e tanto Naranzi, quanto l'Angiolo mi trovarono a letto. Ora mi sono rimesso, ma temo che l'odio che ho pigliato a questo paese sì avverso alla mia salute, e il timore di recidiva mi farebbero stare poco bene per l'avvenire. Onde ho chiesto la licenza di fare un viaggetto; e spero che l'otterrò. Addio; salutate Milonà, il quale spero avrà fatto giudizio. Naranzi avrà una mia lettera pel Dottore. Dite a Bisbardi che cerchi una lettera che dev'essere
Michele fratello – Io ti amo: ti desidero: parlo spesso meco di te; e vorrei poterti veder sempre, o almeno imitarti. Fa di poter leggere il mio
Costantino fratello – Non t'ho mai scritto su l'affare del Non si deve far privilegi; chi favorisce uno, deve favorire anche gli altri, e la legge riesce ridicola.
– Io avrei voluto parlare allo stesso Ministro; ma i suoi impiegati a cui mi sono raccomandato, m'assicurarono ch'io avrei speso vanamente i passi e le intercessioni, da che in sì fatte sentenze egli è irrevocabile. Eccoti tutto; e non mi resta che a gemere teco su la poca fortuna di quella famiglia. Or, Costantino mio, viviti lieto; e la benedizione del Cielo t'accompagni: io ti desidero ogni bene, perch'io mi ricordo e mi ricorderò sempre che tu sei stato l'amico e il confortatore della mia disgraziatissima gioventù. E so che mi ami e mi amerai, com'io t'amo e t'amerò finchè avrò anima e mente. – Addio addio.
Miei cari – Non più da' signori Vitali, bensì, dal primo d'agosto in poi, riscuoterete i diciotto napoleoni dal signore Spiridione Naranzi di mese in mese sino a nuovo ordine. Esso signor Naranzi ebbe da me altri dieci napoleoni che vi conterà appena tornato a Venezia; nè può tardare, da che partì la notte del 26, e benchè sia andato per Bologna e Ferrara non può non trovarsi in Venezia verso il giorno 4 o 5 d'agosto. Spero che avrete ricevuta a quest'ora la mia lettera di sabbato, ov'io vi parlava della mia salute, e del mio divisamento di andare in Toscana: e così farò: perchè questo star poco bene e sempre col timor della febbre mi fa perdere l'allegria, la pazienza e la volontà di studiare. Ma prima ch'io lasci Milano vi scriverò. Addio, miei cari. L'Angiolo sta bene. Desidero che Pippi studii, e si procuri con gli anni alcun onesto mezzo a vivere ed a soccorrere sua Madre, che fa tanto per lui.
Isabella mia – Vi dirò cosa che vi dorrà assai, ma la è vera pur troppo. Da che vi lasciai non ebbi dieci giorni di buona salute, nè un'ora di gioia. Da mezzo Marzo in qua vado tossendo. Soranzo in Aprile, e poco dopo Naranzi, mi trovarono a letto. Allora sostenni non so quanti assalti di febbre, e un mese lungo di noia. Andai finalmente a Belgioioso dove l'infermità mi diè alcuna tregua: ma tornato appena, ricaddi a letto, con le solite febbri, che non sono nè terzane, nè infiammatorie, nè maligne – ma febbri veementi che incominciano a sera, mi levano il sonno, e mi fanno delirare sovente: cessano per più giorni, e poi, malgrado la dieta e le cure religiosissime, tornano e m'incalzano con maggiore violenza. A' giorni scorsi Naranzi mi tenne compagnia quasi sempre a letto: e ieri l'altro Metaxà che passò per andare a Parigi, non ebbe da me veruna accoglienza ospitale, perch'io era già ricaduto. Dicono i medici che le mie sieno febbri reumatiche; ma temo che non abbiano conosciuto il male, poichè vedo che non sanno a qual rimedio ricorrere. Ho dunque pensato di rimediarci io, fuggendo da questo paese ove l'aria è crassa, molle, umidissima, e dove l'anima mia non trova conforti: e soglio dire ch'io abito da tanti anni in Milano senza amare nè il paese nè gli abitanti, e senza simulare d'amarli. Andrò dunque in Toscana, ove spero di rivivere; starò in Firenze sino al verno, e poi me n'andrò a Roma ch'io non ho veduta mai, e di ciò mi vergogno. S'io potessi movermi, partirei subito; ma appena la febbre mi darà sosta, lascerò, spero, la Lombardia e le sue paludi. Certo che io farò ogni potere per trovarmi verso i venti d'Agosto in Firenze: di ciò, mia cara Amica, vi avverto perchè bramerei che mi mandaste una lettera con la quale io possa presentarmi alla Contessa d'Albania; se pure voi siete tanto sua da raccomandarle un amico vostro. Diversamente vi assolvo; perchè voi scrivereste contranimo, ed io ci andrei freddissimamente; e sapete che brutta faccia si fa quando l'uomo non si presenta con fiducia. Mi sono inoltre deliberato di vivermi quanto più solo; e senza vedermi obbligato a ricevere e restituire visite, e far di cappello ad ogni terz'uomo che incontro, e affiatarmi con nuovi volti, noie tutte per le quali lascio più volentieri questa città. Onde benchè il conoscere la Contessa d'Albania, come amica d'Alfieri, e come donna d'elegantissimo ingegno, mi sarebbe cosa assai cara, anche il non conoscerla non mi riescirebbe discaro; sì perchè sarei compensato dalla libertà – da che ogni conoscenza aggiunge pur troppo un anello alla nostra catena – sì perchè non mi troverei con que' molti che ciarlano intorno a quella Signora: e di sì fatti oziosi e ciarlieri n'ho veduto più che non basta a sfuggirli; tanto più che se Firenze è bellissima, i Fiorentini non sono già l'anime più schiette del Mondo. Or, Isabella mia, tocca a voi di decidere; ma sopra ogni cosa vi supplico di fare in ciò quello che sta meglio a voi. – Trattanto pregate il cielo ch'io riabbia miglior vita ed anima più serena.
Pregate il cielo; così non avrete in me un cavaliere rotto, sbattagliato, sparuto, magro, e tristissimo come Don Chisciotte da cui forse io discendo; e davvero io l'amo, e mi pare di somigliargli in moltissime cose. E comincio anche a trovar ragionevoli le meste fantasie del Cavalier Pindemonte: un povero infermo, quand'anche si trovasse in mezzo alle Grazie, all'Armonia, e tra le Baccanti, ha sempre la Morte che malgrado di lui gli sussurra all'orecchio; ed egli solo l'ode e la vede. Non la vedo io già, nè la ascolto; ma la tristezza, la noia, il freddo, l'amor del letto, e l'odio d'ogni società, tutti corrieri che precedono la veneranda Parca, mi vogliono spesso persuadere che la vera, forte, ardita vita è omai trascorsa per me. Ma qualunque sia per essere la mia salute e la mia fortuna, l'avervi amata e l'esservi amico conforterà spesso il mio cuore. Vero è che voi non avete a lodarvi di me; io non posso se non confessarlo, e dimandarvene perdono, e dolermene dentro di me, quand'anche m'avrete voi perdonato. Sino dalla fine d'Aprile scorso io aveva incominciato a scrivervi, ma la è pure una bizzarria ch'io non possa lasciare la penna, s'io la piglio per voi, se non quando non mi resta più carta. Onde ho tralasciato, sperando di poter poscia riempiere il foglio: ma non ho potuto, non ho voluto, non ho saputo: l'ozio e la negligenza d'ogni cosa si sono unitamente all'infermità impadroniti dell'anima mia, del mio cervello, e di tutto il mio corpo. Vi mando ad ogni modo quel poco ch'io vi aveva scritto: e l'ho riletto poc'anzi, e mi sono sentite le viscere strette da una mano gelata. Povero Foscolo! io in aprile sperava salute dalla state, ed ora sono più infermo, ed ho l'autunno ed il verno che mi stanno alle spalle. Ma fuggirò da questo paese, dove sarei seppellito coi ladri – «Possa vedere, udire, e dir parole:»
purchè non m'impacciate con letterati: non voglio averci a che fare. Io aveva fame di conoscerli; poi n'ebbi indigestione; ed ora sono alla nausea. Dio li aiuti anche quando mi strappazzano, purchè io non sia condannato a conversare con essi. – Baciatemi Pippi, col quale vi prego e per amor mio, e per amor suo, e per amor vostro d'essere alquanto indulgente. Baciate per me la mano a vostro Padre; e fate che Soranzo, se pure non va posteggiando ed errando, si ricordi di me; avrete, spero, ricevuta per lui l'
Signor Principe – Vostra Altezza deve dolersi d'assai cose di me: io era in obbligo di mandarle il tabacco, di trascriverle i passi del Cronachista fiorentino, di risponderle e ringraziarla della lettera di cui mi ha onorato: ma Vostra Altezza deve anche perdonarmi e compiangermi. Sono infermo d'una malattia che produce in me un male peggiore; e questo è il tristo languore della speranza protratta. Spero sempre e m'illudo; guarirò oggi, domani; ma l'oggi e il domani non passano che per tradirmi e dissipare crudelmente le mie illusioni. Queste mie febbri or veementi, per lo più lente, e quasi sempre continue, questa tosse fideicommissa al mio polmone; questa veglia e inappetenza perpetua mi fanno venire a noia il tempo, il paese e me stesso. Non ch'io tema; ma soffro assai più; soffro la noia, e mi conforto talvolta pensando ai pacifici miei giorni in Belgioioso, ov'ebbi sì liete e generose accoglienze; nè per ora posso tornarci; o tornarci tutto [al] più per un solo giorno a farle omaggio del mio rispetto ed a pigliare i di Lei comandi. Credo che troverò salute in Toscana, e appena ristabilito, appena appena padrone del mio povero corpo, m'avvierò di là da' nostri monti. Vivrò l'autunno sotto quel cielo asciutto di Firenze, e a gennaro andrò a cercar verno men rigido a Roma. E sono sì sparuto, sì pallido, sì malinconico e burbero, che se avessi l'abito spagnuolo, que' Fiorentini mi piglierebbero per uno de' veri e nobili discendenti di Don Chisciotte, ammirabile Cavalier della Mancia, e terrore di Siera Morena, e di tutti i barbieri. – Ma in qualunque luogo e in qualunque stato di vita io sarò, vivrò sempre memore delle gentilezze di V. A. e della di Lei amabilità, e mi lusingherò ch'Ella vorrà pure talvolta ricordarsi di me. Farò frattanto di trovare un giorno onde venire a farle questa professione di venerazione e di amore in persona; e se mai non venissi, la colpa sarebbe tutta delle circostanze le quali governano sempre tutto il corso della mia vita. Ma ad ogni modo verrà tempo ch'io la rivedrò, e la rivedrò lieto di corpo, di cuore, e di mente ultra vires sortemque senectae
. Eccole una bella frase virgiliana; le mie sono men belle d'assai: ma sono calde perchè m'escono dal cuore.
Amico pregiatissimo – Eccovi annessa una memoria del signor Gherardi. Fate, per Dio! che egli sappia a che deve appigliarsi, e sopra tutto fate ch'io non sia incolpato del ritardo. A voi importerà poco, a me nulla, ma al Gherardi importa assaissimo questa faccenda, alla quale ora non vorrei aver mai data nè opera nè parola, perchè appunto non importandomi nulla mi reca grandissime noie. Perdonate dell'insistenza mia; ma il Gherardi ricorre sempre a me come mediatore. Gli ho per altro dichiarato ch'io non so, non posso, non voglio averci a che fare, e se la intenda con voi: ma se voi lo sfuggirete non v'intenderete mai. Un bel NO intero val più di mille SÌ dimezzati. – Trattanto io me ne lavo le mani, perchè fra due settimane al più tardi sarò in Toscana, nè vi rivedrò se non se forse alla primavera futura. Intanto ricordatevi ch'io vi stimo e che mi professo e mi professerò sempre vostro servidore ed amico
Mio caro Criminali – Da S. A. avrete udito e udrete ch'io non ho un giorno di salute; ho nondimeno qualche ora di gioia, e non ho perduto, nè il coraggio nè la pazienza. Nè voi perdetela, ora ch'io devo annoiarvi per un affare non mio, ma per me importantissimo, perchè, come vedrete, m'è raccomandato dal dottor Ramondini; egli è mio amico, e mio medico, medico sollecito ed affettuoso al mio letto. Si tratta dunque che voi leggiate l'annessa lettera, e v'informiate dal signor Imbaldi, o da chiunque può esserne informato, cosa si debba o si possa ragionevolmente rispondere a chi l'ha scritta. Nè Ramondini, nè io desideriamo, nè possiamo arrogarci tanto, che malgrado le viste che può avere l'Agenzia del Principe di Belgioioso, si accordi la domanda fatta in essa lettera. Bramiamo bensì alcuna certa e definitiva risposta; e ve la chiedo sollecita, tanto più che la mia infermità m'ha impedito di scrivervi prima d'ora. – Frattanto, mio caro Criminali, vivetevi lieto, ed amatemi come io v'amo e ricordatevi talvolta di me.
Mio caro amico – Non t'ho risposto perch'io ebbi la tua lettera in villa, ov'io amava di starmi
Tornato in Milano appena, caddi prigione della febbre che da un mese mi tiene in clausura. Or io sto per andarmene a cercar salute in Toscana; e trovandomi su la strada, camminerò fino a Roma, città sacra per me, e che non ho mai veduta; e di ciò mi vergogno non poco. Però non voglio solamente vederla come i
Foscolo fratello – Dopo tanto silenzio ricevo una tua lettera, che mi annunzia la tua venuta qua da me tanto desiderata: Voglio anch'io sperare che questo cielo ti renderà ciò che in codesta valle lombarda hai perduto, cioè salute, libertà, quiete. Mi offendi domandandomi se i miei libri saranno tuoi. Puoi tu dubitarne? Avrai da leggere a sazietà perchè io sono bibliotecario dell'Accademia delle Belle Arti, e nel Convento di S. Marco, ove ho raccolto i più bei classici dei Conventi soppressi godrai di quella solitudine che sempre, e più adesso, si cerca dagli animi generosi. Quanto alla casa, il trovarla come la brami non è così facile. Vorrei che la fortuna mi accordasse il piacere di averti per ospite: ma io sono perfidamente alloggiato, e costretto per ora di sacrificare ogni comodo alla vicinanza dell'Accademia ove porto quel giogo a cui mi ha condannato la povertà, e che quantunque sia lieve, per me è sempre giogo. Ma odi le difficoltà che vi sono per contentarti nel tuo desiderio. Bramando una casetta lontana da ogni romore, e quindi in un luogo appartato, si trova, ma senza mobili. Aggiungi che le migliori fra queste sono occupate da monache, da frati cacciati dal loro nido, o dall'Arpie venute dai boschi oltramontani a divorarne. Non puoi credere come questa mala pianta sia barbicata, e folta in questo terreno: tu non vai per una strada che a squarciarti l'orecchie non oda il fischio dell'uì francese. – Questa frequenza di claustrali, e di Francesi oppone molti ostacoli alle tue brame. Puoi credere se cercherò di superarli. Ho dato già voce a molti dei miei amici, e non rifino per contentarti. Ma senti il mio consiglio. Tu vieni nell'Agosto mese in cui si mette l'
Io intanto prendo le necessarie informazioni, e spero quanto al prezzo, che tu spenderai molto meno di quello che credi. Godo che la fortuna ti abbia fatto libero: io provo ogni giorno quanto sappia di sale questo pane degli impieghi. So l'altrui malignità, e le tue sventure: oh mio caro amico in che tempi viviamo! Ringrazia Iddio che le cabale dei tuoi nemici siano andate a vuoto. Qua troverai uno dei vili tuoi persecutori che per nostra disgrazia vuole allignare in questa terra che si vergognava di averlo prodotto, ed era lieta d'averlo perduto. Assicurati che ancor qua non si può vivere nè abbastanza soli, nè abbastanza cauti:
Non vi lasciate, mio caro Scalvini,
Eccoti, Sigismondo mio, le commissioni e la mostra: fa che io possa scrivere sì o no a quella povera vecchia galante. Dirai a tua sorella che io la ringrazio della restituzione, ma che rido e riderò spesso di que' suoi
Signor Conte –
Frattanto non abbandono questi paesi senza volgermi addietro e lasciare un sospiro e uno sguardo. Vero è ch'io penso di tornarvi fra otto o dieci mesi, ma!...
Nè io sono forte; che anzi
«Fioca ho la voce, e il piè debole al corso» –
e la morte ci seguita dappertutto finchè giunge il tempo che ella ci ordina di seguitarla; e da per tutto v'è una casetta per l'uomo morto, senza bisogno di andare ramingando di locanda in locanda; onde i vivi in questo, come forse in molte altre cose, si stanno peggio. – Ora, signor Conte, io pria di partire verrei a Como, e la corsa e l'aria mi gioverebbero: non posso; onde le scrivo, e le desidero dal Cielo ogni felicità. Oggi scrivo anche a Benedetto perchè diriga le sue lettere in modo – se pur le dirigerà – che non si smarriscano. Di lui so buonissime nuove, perchè in due recenti lettere del 13 luglio fu da' suoi commilitoni nominato com'uomo
Lodai l'imitazione di Pindaro, che anch'egli libava e beveva alla salute di molti Numi; ma pregai il poeta, Nettuno, e Marte che con loro buona licenza mi scusassero dal troppo bere, perch'io appena avrei potuto far un brindisi al solo Giove; non già perchè muove i cieli, ch'io non vo' sapere, uomiciattolo com'io sono, ciò che si faccia in sì alte regioni, bensì perch'egli ama le arti leggiadre, ed è padre delle Muse, con le quali anch'io mi diletto di far talvolta all'amore.
Eccole lungamente scritte alcune di quelle cose che io bramerei di dirle vedendola parlandole ed ascoltandola. Nè ella, spero, si noierà delle mie chiacchiere; e le proveranno ch'io ripiego come posso alla lontananza. Piacciale di dire alla signora Contessa ch'io le bacio ossequiosamente la mano; di consegnare l'annessa lettera; e di tenermi sempre per servidore ed amico.
Non già di quindici in quindici giorni, ma tutti i sabbati io vi scriverò, miei carissimi; perchè quant'io son più lontano tanto le nostre lettere devon essere più frequenti. E voi siete le sole persone per le quali vivo e bramo di vivere. Or io partirò per Firenze oggi otto al più tardi, onde queste sono le penultime nuove che riceverete per parte mia da Milano. Bensì vi scriverò da Bologna ove mi fermerò una notte, e vi parlerò anche dell'Angiolo che abbraccerò a Lodi passando. La mia salute è buona, ed in Firenze, aria dolcissima, e simile quasi a quella dell'amabile Zacinto io mi troverò meglio. – Ti sei pure spaventata, mia cara Rubina, per avere riscossi i danari dal signor Vitali; e che male vi è? Il signor Naranzi, invece di contarli a te, li conterà a' signori Vitali, e così sarà tutto pari ed accomodato. Avresti fatto bensì malissimo se tu, invece di servirti del tuo, ti fossi avvilita a incomodar gli altri. Or che l'affitto è pagato, io vivo quieto per altri sei mesi; e Dio ci assisterà anche per l'avvenire; da che (senza prosunzione di salvarsi senza merito) noi siamo tutti gente buona, e meritiamo d'essere assistiti, anche per compenso del tanto male che abbiamo patito. E spero che il Naranzi sarà a quest'ora arrivato, e che voi avrete ricevuti i dieci napoleoni, ed il dottore il suo libro e la lettera. Salutatelo assai assai, e ditegli ch'io l'amo, e che l'amerei quand'anche non fosse vostro medico ed amico perchè le sue qualità degne di stima e d'amore risiedono tutte in lui, e non ha bisogno di sforzarmi con la gratitudine, che pure è caldissima e sarà eterna dentro di me. – Di te, caro Pipi, non sono molto contento; forse non hai colpa: ma il tuo carattere è informe, stentato, e non mi pare che tu in questi mesi abbia fatto molti progressi. Vedi dunque di riparare per l'avvenire. – Di te poi, madre mia, sono contentissimo; tu scrivi giovenilmente e meglio assai di me; ma spero che la Rubina saprà leggere questi miei scarabocchi. Fatevi leggere la mia lettera da monsignor Bisbardi, e riderete: gli ho risposto di trionfo: sarà un po' in collera, ma si placherà, perch'io gli voglio bene, ed egli ha bonissimo cuore, ed io non ho fatto altro che dargli sale per aceto. Ma io non poteva a Milano incaricarmi dell'affare di quel povero Bacolo; avrà ragione; ma appena giunto qui, seppi ch'egli era invigilato dal Governo: e s'io avessi pigliata la sua causa, i miei nemici avrebbero detto ch'io congiuro anche coi vescovi nemici di Sua Maestà. Oltre di che, l'affare era di poco momento: e quando per giovar debolmente ad altri si corre rischio di nuocere gravemente a se stessi, l'intricarsene è pazzia da bastone: ed io sono omai negli anni della prudenza; a gennaro sentirò suonare il trentesimo quinto. Quanto alle altre commissioni le ho tutte bene o male eseguite: l'affare della Brunetti e quello della Bronza è andato felicemente; quel della povera Pastori? è ancora indeciso. Il signor Pastori non era in Milano al mio arrivo: tornò ed io era allora in campagna: ed appena io rividi la città, seppi ch'egli era stato avvanzato e che risiedeva a Verona. Gli scrissi dunque, e mal mio grado, perchè a me non piace di tentar i cuori di macigno, ma gli scrissi includendogli la lettera di quella misera sua Cognata. Non vedo ancora risposta: ma se verrà prima ch'io mi dilunghi da Milano, ve la manderò. Dubito ad ogni modo; perchè di quel signore non mi fu detto, in quanto alla delicatezza e alla generosità, molto bene. Ma chi sa che Dio non lo commova! – Quanto all'affare della cugina Isabella ecco ciò che ho potuto dopo molti passi e parole ricavare: 1o che essendovi stata negli anni addietro una Commissione del Governo italiano in Venezia per definire gli affari delle pensioni, ed essendo stato assegnato un termine perentorio a' pensionati, Isabella Furlani non si presentò, quindi fu esclusa dal ruolo; 2o che il signor segretario Hoffer presentò alla Prefettura del Monte Napoleone una domanda, ma che questa fu rimandata coine innattendibile, non essendovi fondi stabiliti per pagare le pensioni scadute, e perdute; 3o l'unico mezzo sarebbe di presentare una petizione al Vice-Re il quale potrebbe ordinare il pagamento alla Vedova, per atto di clemenza e di grazia. Finalmente se la Furlani desidera nuove particolarità su questo affare che mi ha costato mille passi e mille noie, potrà far scrivere al signor Gaetano Zanetti
Pregiatissimo mio signor Ugo – In una delle scorse sere il Prefetto cav. Tamassia porse a me ed alla famiglia mia i di Lei saluti ed anzi mi lesse una di Lei lettera. Quanto mi compiacqui della preziosa memoria, che di me Ella conserva, mi dolsi altrettanto nell'intendere, come poca e gracile sia la di Lei salute. Ma dia Ella qualche tregua a quella sua potente anima: volentieri le ripeterei un proverbio, che mi pare francese «
Nella guerra ultima di Germania, scrissi per qualche mio conforto quell'
Orsù Ella si fortifichi in salute. E che nuove del povero Brunetti? Da lui mi fu raccomandato il conte Alessandro Zelli di Viterbo; il poveretto non ricuperò la vista tra noi con l'oculista Donegani. Sono con tutto l'animo il suo obbl. aff.mo serv.
Mio caro Dionisio – Avrete per la posta, e diretto al signor Pietro Mercatelli e compagni in Ancona, l'Atlante del SaintSauveur, rimastomi in casa per mia balordagine; ma se tardo a rispondervi accusatene le poste, perchè la vostra de' 31 luglio da Bologna mi giunge in questo punto, ed io vi rispondo sul fatto. – Stefano vive lieto, e tranquillo meco; non dirò che studi, ma legge molto, ed attentamente, e sta sempre in casa, da che piglia amore alla lettura. Parla teneramente di voi: scrive spesso a Venezia; non so se a Naranzi; ma gli farò scrivere. Martedì prossimo ci porremo in viaggio per Firenze, e quindi per Roma; la vita solitaria ch'io farò lo obbligherà sempre più allo studio; e le osservazioni che faremo insieme viaggiando, gli gioveranno più d'una biblioteca. Impazzisce per scrivere correttamente; ed io lo lascio impazientare, perchè sfogli il dizionario; e quando non riesce da sè, allora correggo io le sue lettere, ma gli fo quasi imparare a memoria le mie correzioni. Qui non ho pigliato maestro, perchè si tratta di quindici giorni; da che per oggi a otto saremo senza dubbio a Firenze, e Stefano berrà un bicchierino di aleatico alla vostra, ed alla mia salute; perchè, mio caro, la mia salute non va molto meglio. Dio m'aiuterà. – Baciami Costantino; saluta gli amici miei Greci, e manda un inno per me alla mia terra natia, dove non vorrei vivere, ma dove vorrei morire ed essere sotterrato. – Chi sa! – Cavalletti non è ancora partito, nè credo che parta. Addio addio dalle viscere dell'anima.
Miei cari – Eccovi le mie nuove promessevi mercoledì scorso. – Io sto assai meglio, e la sola idea del viaggiare, dell'istruirmi, del vivere solo, libero, quieto, mi ha ridata la salute. – Martedì prossimo, 11 del corrente, partirò. Giovedì vi scriverò da Bologna – Sabbato desinerò a Firenze; e vi scriverò di nuovo. – Andate alla posta, e avrete al solito indirizzo
Signori – Rimando il
Le nostre lettere potevano quasi salutarsi per via. Io non so bene qual cosa precisamente sieno per le anime spazio, o tempo, ma i nostri pensieri affettuosi corsero da Milano a Como, e da como a Milano quasi al tempo medesimo. Ieri Le scrissi, ed oggi replico dopo aver letto per almeno due volte, come un amante, il di Lei amorevole foglio pieno del solito suo spirito e cuore.
Ma deh Foscolo mio, come mai questa febbre reumatica incostante va pascendosi delle sue membra? Io temo, che il troppo ingegno, e la troppa irritabilità di quello, urti e scolvolga la macchina, in cui s'annida. Quantunque spiacevami assai ch'Ella per questo incomodo suo pensi di trasferirsi per alcuni mesi al più mite cielo di Toscana, pure applaudo fin quasi a tal sua risoluzione.
Il muovimento, e quell'Arno e quelle gallerie, e que' monumenti, e quell'aere respirato già da tanti grandi uomini potranno col sollievo dell'animo suo bandire quella febbricciatola
Non ancora sorsero i miei muratori, da' quali feci allargare in quest'anno il cortile interno e porvi un portico in giro. Ma quest'alba è pur bella! E ne' primi momenti d'essa mi volsi a quell'Onnipotente, che all'aurora
Oh che i miei occhi servendo all'anima tranquilla restano più (?) volti
E la di Lei lettera m'anticipò ieri questo piacere dandomi buone nuove di Benedetto per relazione de' suoi compagni d'arma, in data del 13 scorso luglio. Molte tenebre involgevano l'animo mio, e que' fiumacci, que' Cosacchi, quella penuria di vittovaglie e fra quel temporale stranissimo di trentasei ore mi tenevano in angustia, e forzavami di nasconderla a mia moglie. Il cuore mi diceva ad ogni momento, se i Francesi nel lor foglio militare mi narrano, che per quella intemperia perirono parecchie migliaia de' loro cavalli, che sarà degli uomini?... Che ne sarà?...
Ma quel figlio in due sensi
Anche le di lui maniere e la fisionomia si cattivavano la grazia degli uomini. Ma i tempi e le leggi me lo tolsero, e dopo varj anni di milizia egli è difficile che un giovane si adatti alla quiete di Como. Sebbene ripeterò il verso da Lei citatomi
ed obbliando Orazio ricovererommi in sagristia, m'abbandonerò alla Provvidenza, e tornerammi a memoria quel terribile e vero
Contuttocciò pregherò sempre ciò che parmi onesto, ciò, che il cuore d'un Padre di famiglia detterammi.
E che sarà di
Frattanto che i miei pensieri paterni s'aggirano sulla Dwina, e sul Nieper, non si stancheranno già del viaggio, e seguiranno il mio signor Ugo all'Arno, e nel paese dove il sì suona. Ella vedravvi quel giovane cui diresse «La chioma di Berenice». E che vedrà Ella in Roma, dove pensa di recarsi nel prossimo verno? Le architetture dei palagi e de' templi quanto Le parleranno di ciò che manca? Per consolare Cicerone sulla morte di Tullia, un amico, Servio Sulpizio, gli ricordava che in Grecia ed in Asia v'erano
O se Napoleone almeno facendosi Re d'Italia non avesse all'Italia nostra tolta la Toscana, il Genovesato, il Piemonte, Parma e Piacenza! Io allora gli farei tutti tre que' brindisi, che il giovane poeta di cui mi scrive, fece a Nettuno a Marte a Giove imitando Pindaro. Serberolli in vece pel di Lei felice ritorno. Se' fra pochi mesi potrò avere Lei e i due figli guerrieri alla mia mensa,
Mia moglie Le ricambia i complimenti, e Le augura pronto ristabilimento. La Vincenzina Le risponde Ella stessa.
Vi ringrazio, mio caro amico, della vostra lettera; così ho potuto farla vedere al signor Gherardi, che n'è interessato, ed a cui lascio queste poche righe, raccomandandovi caldamente la sua faccenda, tanto ch'ei sappia una decisione definitiva.
Io parto domattina; piacciavi di salutare Criminali e di presentare i miei ossequi a S. A. Spero di tornarvi a vedere lietissimo,
Signor Guidi Pregiatissimo – Quando S. A. avrà terminata la lettura della
Carissimo Amico – Piacciavi a norma della nostra intelligenza di contare a Domenico Frigerio mio antico domestico lire d'Italia 20 (venti) ossia di Milano 26 – e queste di mese in mese incominciando dall'ultimo d'agosto, e continuando all'ultimo di settembre, e così di seguito. Queste somme le porrete a mio debito, facendo fare di pugno del detto Frigerio un'annotazione di mano in mano che riscuoterà. – Siate avvertito che non potendomi egli seguitare nel mio viaggio, io l'ho licenziato lasciandogli questo soccorso in premio dei suoi lunghi e fedeli servigi, e fino a che egli siesi provveduto meglio. Onde non gli pagherete che le suddette lire 20 italiane di mese in mese, sino a mio nuovo avviso. Intanto vivetevi lieto, e credetemi pieno della più viva riconoscenza, e dell'amicizia la più leale e la più affettuosa. Addio.
Mio caro Ugoni – Mi fermo un po' più che non abbisogna a cambiare i cavalli, per dirvi che poche ore prima ch'io partissi, mi è stato detto: «Mancano alcuni professori d'Eloquenza ne' Licei: vero è che vi sono molti professori di Fisica e Chimica ex-professorati i quali chiedono per compenso la cattedra d'eloquenza; ma perchè non pare che tutti abbiano capacità pari al buon volere, s'eleggerebbe o almeno si proporrebbe il signor Borgno: chiedetegli s'ei si contenterebbe di uscire di Brescia». – Ciò serva di norma a Borgno, ed a voi: trattatene secretissimamente, ed io vi ammirerò
Ma sovra ogni cosa rammentate a Borgno di scrivere al signor Poggiolini, francando la lettera, e ponendovi sopra il
Mio Signore – Io mi partiva di Milano, col pensiero di soffermarmi a Parma e solo per rivedere lei, uomo egregio, e per dirle ch'io la ho sempre amata e onorata, e per ringraziarla delle accoglienze ospitali ch'io ebbi da lei, ogni qual volta negli anni addietro,
io passava da Parma. – Ma un accidente fracassò quasi il mio legno su la riva del Po; e mi fu forza di perdere sette lunghe ore a farlo racconciare in Piacenza. Corsi poi tutta notte; e giunsi a Parma in ora inopportunissima poco dopo le cinque della mattina: nè io poteva fermarmi sì lungamente perchè io era stato preceduto a Bologna da persona a me cara, e che si sarebbe affannata del mio ritardo. Onde per onorare, come posso, l'illustre Tipografo ardisco scrivergli; e le includo la lettera consegnatami aperta dall'amico nostro Remondini, e ch'io avrei desiderato di consegnarle personalmente. Partirò domani per Firenze dov'io dimorerò sino al freddo, e poi me n'andrò a Roma: la mia salute, e molto più il desiderio di quiete mi allontanano dalla Lombardia, dov'io (benchè, come figliuolo d'Adamo, abbia la mia dote di difetti) non posso ad ogni modo vedermi
Silvio mio – L'Emilia sta bene, ed ha pieno il cuore di gratitudine per tutto l'amore che voi portate a Odoardo; e certo che senza di voi, non avrebbe potuto starsi lontana sì lungamente. E bench'ella si trovi contentissima di Bologna e de' Bolognesi, vorrebbe ad ogni modo rivedere la sua casa; ed io pure la vado persuadendo; ma se quel rospo di Briche non le manda danaro come mai potrà ella pagare la prima posta? – Del padre di lei ha già disperato; può ancora strascinarsi sovra la terra, ma sempre verso il sepolcro; nè potrà rialzarsi da letto più omai nemmen per un giorno: onde in ciò pare rassegnatissima. – Oggi tutta Bologna è in baldoria per Santo Napoleone; ma il cielo è piovoso, e potrei dirti ciò che il nostro povero Ortis scriveva da Bologna:
piacque moltissimo agli occhi miei. – Ma partirò domani, e viaggerò più felicemente, spero, che da Milano a qui. Non che io non sia venuto prestissimo, perchè corsi quelle
Mia Signora – Al signor Leopoldo ed alla gentile Antonietta dissi che avrei scritto a lei di cosa che m'importava e m'importa moltissimo. Ed avrei anzi desiderato di poterle parlare; ma ella promise e non venne a' Giardini pubblici; porterò con rassegnazione anche questa disgrazia; ella ad ogni modo ne faccia qualche penitenza per non doverne render conto al Signore Iddio. Or io che ho tante colpe maggiori delle sue, mi guarderò almeno da questa del mancar di parola, e le scrivo; quantunque sia passata l'occasione a ciò che voleva pur dirle: ond'ella permetterà ch'io per adesso lo taccia, promettendole, s'ella n'avesse curiosità, di soddisfarla al mio ritorno. Io compatisco cordialmente le persone curiose, perchè ad onta delle mie brache e della mia barba foltissima, e del mio orgoglio virile, pecco anch'io di curiosità. Frattanto questa lettera servirà se non altro ad accertarla ch'io le sono servidore ed amico, e che non dimenticherò mai le sue gentili accoglienze. E servirà anche a salutare la bella persona e il signor Leopoldo, e il mio medico, o per dir meglio, l'amico del mio corpo e del mio cuore, che è più malato forse della mia magra e malinconica persona, per cui paio il
Il sottoscritto è partito dall'albergo di S. Marco di Bologna lunedì 17 Agosto
Ed arriva ora all'albergo delle Quattro nazioni in Firenze alle ore 18 m. 20.
Ha dunque speso nel viaggio
Dal qual tempo s'ha a sottrarre min.i 23 perduti a Lojano battagliando col mastro di posta che voleva a torto farsi pagare un cavallo di più, dunque
Mi dicono, mia gentile amica, che la posta parta o stia per partire; e appena ho tempo di scrivere in questo mezzo foglio e di mandarvelo alla ventura. – Trovo nel mio portafoglio un bigliettino scritto stamattina tra il sonno e la veglia a Mad.a Briche; il servitor Cicerone se l'è dimenticato, e Stefanino (che vuole ad ogni modo ch'io sia innamorato di voi) lo ha fortunatamente raccolto. Piacciavi di mandarlo in casa Albergati. – Domani vi scriverò lungamente; se però avrete occhi da diciferare questi gieroglifici, e pazienza da leggere le mie fantasie. Addio addio, donna gentile; sapete che questa corsa non mi ha fatto bene, e che il troppo caldo, unito al troppo, vento della montagna m'hanno irritata la tosse in modo ch'io posso respirare appena? – Ed io aveva ricovrata tanta salute in sì pochi giorni a Bologna! – Ma quanta non ne avrei perduta? seppure non l'ho perduta. Addio; Stefanino mi chiama a tavola; e l'ora della posta fugge. – Addio. Love watch over your beauty and you «
Mio Signore – Pochi dì innanzi ch'io lasciassi Milano, un libraio mi consegnò un involtino per Lei. Lo raccomando a' signori Landi e Comp.i a' quali non mancheranno incontri spediti e sicuri di farglielo ricapitare. E a me fu grata questa commissione; non già ch'io mi presuma d'averle, mio Signore, rese, con sì lieve servigio, le grazie ch'io le debbo per la lettera da Lei con tanta gentilezza scrittami gli anni addietro; bensì perchè posso ora offerirmele in ciò ch'Ella vorrà comandarmi. Dimorerò in Firenze sino a Gennaro seppure il freddo, mio capitale nemico, non mi forzerà ad affrettare la mia partenza per Roma. S'Ella farà una corsa a Firenze, o s'io verrò a Livorno, le protesterò a voce la mia stima e la mia gratitudine per l'amore ch'Ella, quantunque non Italiano, porta alle lettere ed all'Italia. Molti invece tra' nostri che dovrebbero nella loro arte e nella loro patria rispettare se stessi, vanno più sempre contaminando e vendendo Parte, la patria, e se stessi. Ma questa sciagura gioverà almeno a fare che i pochi giusti e magnanimi seguano a perseverare con più religione nel bene. – Ella trattanto, mio Signore, mi tenga sempre per uomo pieno di stima e d'obbligazione verso di Lei.
Sigismondo mio – Ho fatto un tal viaggio che è miracolo s'io ti scrivo. Presso al Po l'ostinazione d'un carrettiere mandò mezzo a pezzi il mio legno, ed ho perduto sette lunghe ore a farlo racconciare in Piacenza. Sono ripartito prima di mezza notte; e perchè la fiducia nella calda stagione, e la poca mia previdenza m'aveano fatto riporre nell'imperiale il tabarro, ho dovuto per tutta la notte or chiudermi ed affannarmi nel troppo caldo; or aprire e gelare, ed arrivare a Bologna col polmone sbranato dalla tosse, che d'allora in poi, e sono sei giorni, appena mi lascia riposo. Finalmente tra il Covigliaio e Filigare, il postiglione e i cavalli si lasciavano portare da' diavoli; que' mezzi macigni preparati per rassettare la strada, incontravano le mie ruote sì fieramente ch'io raccomandava l'anima mia alla benedizione di mia madre, e la mia memoria a te, e a tua sorella: io aveva un bel dire al postiglione ch'io lo ringraziava di tanto zelo; volgevasi alle mie grida, mi rispondeva appena con un'occhiata non lieta, e continuava trattanto a scendere a rompicollo per l'erta. Giunti finalmente al piano, mi domandò perdono, e mi mostrò che il cavallo di mezzo non era stato braccato alle stanghe, per cui bisognava o correre a precipizio, o rovinare, perchè il legno e tutto il suo peso sarebbero caduti sul cavallo, e sarebbe andata ogni cosa sossopra. Tientelo a mente; e bada tu che vai posteggiando sempre, a non fidarti della diligenza delle poste.
Or odi anche le cose liete, e più per te che per me. La Michelini, che ha il bel nome d'
Ho un bel temperare la penna, mia cara amica; temo che voi ficcherete gli occhi in questi scarabocchi, come Dante facea nelle bolge infernali: scriverò ad ogni modo; e se voi non potrete leggere, io avrò almeno soddisfatto al mio sommo bisogno di scrivervi. – Dalla notte di domenica in poi, voi mi siete compagna perpetua; non so se ciò vi piaccia; ma io vi terrò meco anche a vostro dispetto. – Cornelia mia, sono malato; malato davvero. – Ieri sono uscito appena per visitare que' miei santi amici e Maestri nelle loro casette di Santa Croce: e si vede che l'Alfieri era un poeta ricco, perch'egli dorme l'eterno sonno in un magnifico albergo: ma che mai gli avrebbe giovato la sua e la ricchezza della Contessa se ei non fosse stato contemporaneo del grande Canova? Ed è pur bella l'Italia! Bella! ma sta ad ogni modo sopra un sepolcro. – Or io m'impaccio nelle malinconie; colpa forse di questo mio stato d'infermità e di solitudine; perch'io non ho cercata e non ho veduta se non una sola persona di mia conoscenza: ho tempo a veder tutti gli altri. – Eccomi trattanto sempre in casa più infastidito che tormentato da una febbricciuola ch'io credeva d'avere lasciata a Milano. Dio m'aiuterà. Ma s'io mi fossi rimasto in Bologna, Dio forse m'avrebbe a quest'ora aiutato. Oh! a quest'ora fors'anche sarei malato di peggior febbre. – E mi sto qui sopra l'Arno guardando il cielo, le sponde, e le colline lontane; e quanto più s'avanza la sera, che fu sempre l'ora più amica all'anima mia, io perdo dagli occhi tutto quello che mi ride d'intorno.
io che in mezzo a tanti guai della vita, sono stato ognor sordo alle minacce dell'avvenire, prevedo con amarezza quest'unica cosa
Non ne so più; nè so s'io gli abbia scritti a dovere. Ma certo che questo
Io sono stato in forse per più di mezz'ora s'io doveva lacerare, o trascrivere almen per correggere tutte le fantasie che vi ho scritte ier sera: non che non siano vere per me; ma quando s'è pazzi, v'è se non altro qualche compenso nel non far ridere chi vi ascolta. Ma sia pure; ridete: ridereste assai più s'io vi dicessi che vi amo, e che spero d'essere riamato, e che ad un tempo io nel fondo del cuore non vorrei nè darvi, nè ricevere da voi mai una scintilla d'amore; ma la mia
Addio di nuovo, gentile Cornelia; addio bella giovine. Ah vorrei pur darvi alcun altro titolo più caro assai per voi e per me; temo assai di mentire: perchè confesso – e la confessione vi farà forse adirare – che per quanto io da' primi giorni che vi conobbi abbia pensato sul vostro carattere; per quanto io, dopo tanti anni, abbia ne' dì passati esaminata la vostra fisonomia, gli atti vostri, le vostre minime mosse, io non ho potuto se non rimanermi in un ondeggiamento perpetuo. Vorrei potervi chiamare affettuosa, candida, e schietta; e così vi chiamo spesso, e tale vi credo.... – ma poi. – Se non che forse gli occhi miei furono sempre affascinati dinanzi a voi; e il mio cuore troppo pieno – io tremava e tremo d'amarvi – e questo terrore non mi concederà forse mai di giudicare sinceramente il vostro carattere.
Ma qualunque voi possiate essere, non vi sarà forza di tempo nè di fortuna che valga a farmi perdere il piacere d'avervi veduta, d'avervi udita, e d'avere sentito in tutto me stesso la soavità del vostro sorriso. Nè rinunzierò alla speranza di rivedervi, se non quando il mio cuore non batterà più, ed io non sarò più ricordevole delle cose che sole mi fanno parere men trista la vita. Addio con tutta l'anima, addio. – E perdonatemi quest'indiscretissima lettera. Addio.
Miei cari, cos'è di voi? Noi siamo in Firenze da lunedì, e tutti i giorni andiamo alla posta; ma invano. E non vi abbiamo noi raccomandato di spedirci a Firenze le lettere? – o non avete voi ricevute le due nostre inviatevi da Milano, l'una con un involto contenente l'
Brava! ho un bel pregarvi e scrivere: brava Isabella! – ma sia così. – Sono già in Firenze, ed ho aspettata a Milano la vostra risposta; brava davvero! –
Quand'io tornava di Francia vi ho parlato d'un ritratto che il Duca di Rochefoucaul autore delle
Traduzione letterale dal latino.
«Qui presso giace Giovanni Locke: se chiedi chi egli si fosse, ti risponde, ch'ei visse pago della sua mediocrità; educato alle lettere, non le coltivò se non quanto bisognava a sacrificare unicamente alla verità. E ciò imparalo da' suoi scritti, che ti faranno fede assai migliore degli elogi sospetti d'un Epitafio. S'egli ebbe alcune virtù non sono sì grandi ch'ei possa ascriverle a sua lode, nè proporle a te, o passeggero, in esempio. I suoi vizi restino seppelliti col suo cadavere. Che se tu cerchi esempi di costumi, tu li hai nel Vangelo: voglia il cielo che tu non possa trovar altrove esempi di vizi! – Ma l'esempio che tu sei mortale (e ciò ti giovi) lo troverai sovra questo sepolcro, e sovra tutta la terra. – Ch'ei nacque l'anno 1632, e che morì l'anno 1704 te lo ricordi questa lapide che anch'essa fra non molto dovrà perire». –
Or vi porrò il mio in latino, come breve.
HUGONIS. PHOSCOLI
VITIA. VIRTUS. OSSA
HIC. POST. AN.....
QUIESCERE. COEPERUNT.
«Di Ugo Foscolo i vizi la virtil, e le ossa, qui dopo anni.... cominciarono a riposare».
Nel resto, Isabella mia, io me la passo assai men male quanto al corpo; e sto gaio assai di cuore, e svegliato d'ingegno; e scrivo più in un'ora qui che in tutto un giorno a Milano. – A gennaro andrò a Roma dove stamperò un
– Vo' dire del nostro mondo letterario; perchè dov'è ingegno manca dignità d'animo; e dove trovo costumi, spesso manca l'ingegno. E s'io sottraggo dalla città letteraria il Cavaliere, e due o tre altri (forse), trovo la malignità, la venalità, l'adulazione, la pedanteria, l'invidia, la codardia, la ciarlataneria, l'impostura, e la vanità – Contatele, e le son nove Furie per l'appunto – le quali tutte si vestono da Muse e vanno in maschera per le città capitali e le accademie d'Italia.«Però che altrove un raggio Non vedo di virtù che al mondo è spenta».
Quanto alla lettera per la Contessa d'Albania, non importa più. Ci andrò presentato da Niccolini amico suo e mio: ma temo ch'io ci tornerò di rado; perchè tiene conversazione diplomatica, cioè composta di gente d'ogni lingua ed usanza.
Mi congratulo della
E questa era l'ora ch'io oggi a otto vi rivedeva per la prima volta nel vostro giardino. Ma che pro ch'io vi scriva? Non potrei dir tutto; non vorrei forse: – insomma a che pro?
E ripenso all'eterna leggenda su la quale avrete perduti gli occhi e la pazienza a quest'ora. Non mi pento d'averla scritta, perchè mercoledì sera e giovedì mattina ho almen agitato il mio cuore, che aveva davvero bisogno d'agitarsi; bensì mi duole d'avervela mandata: s'io trovava conforto alla febbre, io doveva serbarmi il rimedio per me; ma voi non siete malata. Ad ogni modo, poichè ridete volentieri, troverete un nuovo e bizzarro motivo di ridere nella lettera febbricitante, d'un malinconico febbricitante. – Del resto la tosse che lungo il viaggio s'era adirata, comincia da due giorni a far pace col mio polmone; e mi sento assai meglio. Ma il vostro ridere gioverà a guarirmi anche dell'altre mie malattie.
E se voi riderete anche delle mie lettere frequenti, io guarirò dalla pazzia di scriverle. Ma io in qdesto momento mandava a impostarne parecchie: e il mio oriuolo mi dice, che questa era l'ora ch'io sabbato scorso vi rivedeva nel vostro giardino; nè posso resistere alla tentazione. E' mi pare che le mie lettere viaggeranno meglio se saranno scortate dal vostro nome. Così a trentaquattr'anni divento superstizioso: ma non v'è religione la quale non faccia che certe anime pecchino nella superstizione, o nel fanatismo. – Mio Dio, mio Dio! preservami almeno dal fanatismo! – E mando a Dio un'altra preghiera: Conceda a voi l'angelo – che aspettate dal cielo!
Rispondetemi, e torno a ridirvelo, – spartanamente – su la dedica del viaggio di Sterne.
Consegnate o spedite l'annessa cartuccia a L. Turini – leggetela prima.
Addio, mia cara amica; ma sapete voi ch'io non vorrei lasciar bianco questo avanzo di pagina, e che d'altra parte non ardisco riempierlo di ciò che vorrei? – Le mie lettere vi giungeranno elle preste, ed inviolate da ogni occhio vivente? Voi mi avete assicurato che sì: – ma io in sì fatte cose m'assicuro difficilmente. – Or, eccovi, se non altro, un pensiero ch'io ho letto non so quando, nè in quale scrittore; ma di cui mi ricordo come se mi fosse caduto sotto gli occhi in quest'ultima settimana. È pensiero più passionato che gentile; ma tratta di cosa gentile; onde a voi, nata alla giovialità, lascerà tranquillissimo il cuore, ma sveglierà un grazioso sorriso su le vostre labbra graziose. – «Il mio labbro adegna d'essere omai profanato; il respiro della tua bocca sta sempre odorosissimo su la mia; e il mio sangue e il mio spirito è tutto tuo ne' miei sogni». – Io potrei sentire così, ma non oserei esprimermi così. – L'autore prosiegue: «Gli occhi miei videro in te le grazie ingenue e amorose d'una vittima sorridente dell'Amore». – Qui io non posso dir tanto; e appena vedo da lontano sì bella vittima con le mie speranze fantastiche che sono poi dissipate ad un tratto. – Ma la pagina è piena; l'ora fugge: addio.
Ma voi non potete essere morti tutti: anzi voi mangiate, dormite; e pregate Dio vivi e sani, perchè se uno di voi tre stesse male, me ne avreste già scritto. Perchè dunque mi fate sospirar da più di due settimane, anzi da quasi tre, vostre lettere? Due ve ne scrissi da Milano prima di partire; una da Lodi; una da Bologna; due da Firenze; e questa è la settima; e da voi aspetto ancora la prima di risposta. Avreste voi trascurato per avventura di
Addio, miei cari, addio. Tu, madre mia, benedici i tuoi figliuoli: ma se non mi scrivi tu, o non mi fai scrivere, io davvero non posso sapere se tu, benedicendo gli altri tuoi figliuoli, benedici anche il tuo Nicoletto.
αιρετε, αιρετε.
Mio Signore – Non m'è toccato di vedere il libro del signor D'Orelli; bensì vidi l'autore che venne a visitarmi cortesemente in Milano; e dal suo aspetto – nè io fo il sordo mai a ciò che dice l'aspetto – mi parve ch'io lo avrei amato e stimato: trattanto io lo pagherò di gratitudine per le vigilie ch'ei spende in onore degl'Italiani. E' mi duole ch'io non so di tedesco: onde non potrò dare giudizio sicuro nè dell'opera ch'egli apparecchia, nè di tanti nobili libri della Germania. Leggo tradotte alcune tragedie e la
Della ristampa de' testi di lingua non presagirò nè bene nè male. Ove si tratti di raccorre, di esaminare, e di scernere, e di
Vocabolario sicuro, abbondante, spregiudicato – filosofico insomma – non avremo in Italia se non quando un letterato non bisognoso, non pedante, non provinciale, non accademico; bensì metafisico, italiano, ed indipendente, e sopra tutto più premuroso della gloria della sua patria che degli applausi de' giornalisti, piglierà sotto di sè con buoni stipendi parecchi uomini dotti, e ciascheduno in un'arte o scienza dello scibile, e parecchi altri che siano grammatici, chi praticamente, e chi teoricamente nelle lingue dotte dell'Europa antica e moderna. Con questi consiglieri ed aiutatori, a' quali egli comandi come Dittatore, potrà compilare un vocabolario che ad ogni modo vuol essere fatto a Firenze o a Siena, dove la lingua spira fresca eleganza, ed antichissima purità. Richiedesi anche, oltre a questi dotti, un uomo esercitato (almeno speculativamente) nelle arti meccaniche, ond'ei possa alle sue idee applicare i vocaboli usati in Toscana da' vari artefici, ma raramente tramandati a noi dagli autori. Dato questo apparecchio, e moltitudine di soccorsi, ed unità di volere, io, oltre a molte utili regole ch'altri saprà forse immaginare meglio di me, consiglierei le seguenti. – Definirei, quanto è possibile, ogni vocabolo – Mostrerei, dove veramente vi sieno, le origini greche, latine e provenzali del vocabolo; perchè dall'etimologia bene usata derivano assai notizie storiche, e quindi la maggiore proprietà della lingua scritta – Noterei accuratamente l'idea propria, quindi le metaforiche annesse al vocabolo – Noterei il valore più o meno alterato dal corso degli anni e dalle mutazioni de' governi e degli usi; e queste note dovrebbero farsi gradatamente di cinquanta in cinquant'anni; però ad ogni vocabolo citerei gli esempi progressivamente di scrittori dal 1200 al 1800. – Distinguerei la famiglia delle voci in gradi; cioè poetico, oratorio, cittadinesco, pedestre, plebeo, e ribobolo; e ciò in grazia de' non Toscani che in fondo costituiscono l'universalità degl'Italiani, e che fidando ne' testi di lingua e ne' lessici affastellano senza discernimento le frasi, e confondono i generi: onde vedo storie gravissime scritte con le lascivie de' novellieri, e panegirici con modi carnascialeschi; e peggio. – Finalmente ad ogni volume aggiungerei per appendice un vocabolarietto
Vero è che l'antica Accademia di Firenze o non vide, o trascurò come inutili tanti sussidi, ch'io ad ogni modo credo indispensabili e capitali. Questa lingua, Signor mio, è da considerarsi mezzo viva e mezzo morta; vive ne' libri, ma è combattuta, e con diritto, dalle idee nuove alle quali bisogna concedere vocaboli cittadini, perch'esse s'appiglino agli stranieri: vive in tre o quattro città toscane, e nella bocca degli uomini ben educati d'Italia, ma la è ad un tempo sì varia ne' significati, sì abbondante ne' suoni, sì incerta ne' modi e nella sintassi, e quindi sì difficile, che a ben parlarla bisogna lunghissima pratica; nè la pratica basta a scrivere: vive, è vero, nelle carte di alcuni scrittori miei contemporanei, ma o timida, o affettata, mentre maggiore è il numero e più quotidiano il bisogno de' libri, giornali, leggi, romanzi dove le voci italiane sono stemperate in fraseggiamenti francesi. Ecco dunque perchè i sussidi grammaticali, inutili forse a' tempi degli antichi accademici, diventano indispensabili in oggi.
Se non che a me pare ch'io proverei che l'Accademia della Crusca non seppe conseguire nemmeno il fine a cui per tanti anni tendeva. Tendeva a o D'intensione di sentimento doloroso o piacevole: Bocc. Dio il sa che dolore io sento!
Petrar. Oh che dolci accoglienze e caste e pie!
e noi moderni diciamo: o Di minaccia: Caro,
Che sì; che sì.... 3
Che Gionata? che David? Duce è Saul. Questi ed altri modi parecchi meritavano, parmi, d'essere notati e raccomandati in una grammatica, invece del
Que' molti che hanno ingegno, dottrina e pazienza maggior della mia avranno adunate. molte altre voci e maniere mal vedute da vocabolaristi e grammatici: onde bisognerebbe che ciascheduno inviasse le sue schede (ma senza vanità nè nome nè puntiglio d'autore) al mio Dittatore del Vocabolario, perch'egli se ne valesse. – Di ciò basti; io ne sono stanco, ed Ella ne sarà certamente noiato. Quanto alla grammatica, non conosco quella del Fernow ch'Ella loda; bensì confesso che non l'abbiamo; ma quand'anche la vi fosse, io credo fermamente che la grammatica s'abbia ad insegnare a chi sa praticamente la lingua; s'impara a combinare infinitamente prima su lo scacchiere, e poi sul libro; datemi il libro prima dello scacchiere, ed io diverrò dottore e ignorante ad un tempo: la teoria insomma deve nella lingua, come forse in tutte le discipline, succedere alla pratica; perchè non s'hanno mai nozioni generali e quindi regole sicure, senza risalirvi per le particolari.
Bench'io scriva lettere a' soli amici e con l'unico intento di spassionarmi, ho voluto, oltre l'uso mio, scrivere a lei di letteratura per darle prova ch'io desidero di compiacerle in quello che posso, e per non lasciare senza alcuna risposta le domande ch'Ella mi ha creduto capace di scioglierle. Ed Ella perderà l'ore e gli occhi su questa leggenda; ma le sta bene: – e taluno mi confessò che non poteva rispondermi perchè non aveva potuto indovinare con quale alfabeto io gli avea scritto.
Alla richiesta che a lei piace di rinovare in nome dell'Accademia, io debbo con mio rincrescimento dar la stessa risposta che scrissi a lei, mio Signore, or è quasi il terz'anno. Non è cosa decente per me, nè prudente per l'Accademia, che le mie opinioni siano adottate da essa: non ho scritto venti pagine che non siano state o proibite appena stampate, o per lo meno malignate. Perch'io stampi senza pericolo bisogna che i tempi, o i miei principj si mutino: la prima mutazione non è da sperarsi sì presto; l'altra succederà forse, ma quando io non sarò più memore di me stesso. – Tuttavia, per non parere ritroso e villano, io m'esibisco di mandare un succinto discorso sulla
Ella, mio Signore, trattanto mi consideri suo servidore
Rispondo due giorni dopo; ma ho voluto rileggere la lettera vostra per impratichirmi, se mai potessi, di quello stile pieno di calma e di logica. Ma v'imiterò, se non altro, nel rispondervi punto per punto.
1. Come mai due lettere, l'una impostata a' 18, l'altra a' 20, vi sieno capitate nel medesimo giorno, sappianlo i corrieri, seppure lo sanno. Quanto alle
2. Le febbricciuole se ne sono ite; la tosse mi fa compagnia; il mal umore non dipende tanto dallo stato del corpo, quanto dalla tardità o velocità della mia fantasia, però va e viene.
3.
4. Tento di trattar
5. La vostra profezia che promette la
6. Non mi pento più dunque (da che non vi spiacquero) d'avere lasciate correre sino a Bologna le mie fantasie. Mi pentirei bensì – e n'arrossirei – se d'ora in poi non le tenessi ben custodite nel mio cervello, o per lo meno nel mio scartafaccio. Chi ha
7. Poi che siamo d'uno stesso parere su l'amore
8. Letta e notomizzata la vostra lettera, comincio a ondeggiare un po' meno sul vostro
9. L'altra ragione:
(Siccome le poche linee che seguono non hanno a che fare con la vostra lettera, io le lascerò senza numero, e le porrò tra parentesi. Ier l'altro appena veduto il vostro no, ho posti gli occhi e il pensiero a persona che vi somigliava in moltissime cose. Era diversa affatto da voi in ciò solo, che quella gentile giovinetta mi amava: ma io era allora men savio. – Essa dunque non rifiuterà la mia dedica e avendola scritta col cuore, la ho bella e finita ier l'altro sera: e voi la vedrete,
10. Il galateo, e i vostri galanti e cicisbei mi perdonino, s'io vi dico ch'io rileggo un passonellavostra lettera sì triviale e
11. Stefanino sta bene; e vi vuol bene; e vi loda finanche pel vostro nome romano; e vi ringrazia de' vostri saluti: e vi manda un bacio – su la fronte.
12. La Cicognara giunse martedì sera. Disse che mi vedeva in pericolo; non negai. Dissemi che m'avrebbe compianto; risposi, che io sono una vittima che insanguina il sacerdote. Dissemi ch'io vi nominava spesso; risposi, ch'io nelle forti passioni soglio tacere.
13. Avrò cura di me: – qui la prima lezione diceva,
14. Non si scrive in imperativo,
15. Al poscritto dedicato in parte al Collini rispondo: ch'io lo conosco da quindici anni; che venne or son dieci giorni a vedermi; ch'io sono stato da lui vanamente; perchè quand'io sono alzato egli dorme; quand'io lavoro egli lavora; quand'io sono a letto egli è a veglia. Ma in un modo o nell'altro sarà salutato, e mi vorrà un po' più di bene. Ringraziovi del biglietto spedito a Milano alla Briche.
Non ne posso più: – eccovi categoricamente quanto ho saputo, freddamente quanto ho potuto, ma candidamente quant'io devo, eccovi alfine risposto – e noiosissimamente per me. Non so se riesco ad imitarvi; spero nondimeno che questa lettera essendo un po' simigliante alla vostra, quanto alla pacatezza, la vi sarà più gradita d'ogni altra mia. – Ma non mi ci proverò più: sudo di noia; ho dovuto farmi crepar nel cervello tutte le mie bizzarrie, e nel cuore tutti i miei affetti perchè non venissero su questo foglio. E poi, a scrivere come voi, bisogna avere il vostro carattere – parlo del carattere della penna – grande, sottile nelle aste, oblungo, a righe larghissime: ci si mette più tempo; e il tempo lascia pensare: vien la ragione, corregge e raffredda ogni idea; quindi la posatezza. – Ma chi scrive a caratteri minuti, corre; dita, testa, cuore, lingua, occhi, penna tutti s'affrettano scambievolmente; chi poscia legge ride, perchè non sente come me; non m'intende perchè i miei pensieri sono accumulati e confusi; e mi maledice, perchè spesso non può discernere di quali lettere dell'
Addio, donna gentile.
Silvio mio – Tranne da Bologna – e m'insidiano il cuore, – e da Parigi con afflizione della mia borsa, – io non ebbi in Firenze lettere fino ad oggi da verun angolo dell'Italia nè della terra. E s'io non guardo verso Milano se non per amore de' pochi che mi amano, perchè mai tu mi lasci senza tue lettere, Silvio? e tu sei più in debito verso di me, da che a te solo, quasi, scrissi, ed a te solo riscrissi. – E mi morde il dubbio che tu non abbia
Or ricordati quest'altra cosa: i fratelli Fournier librai di Parigi mi scrivono che hanno già spedito o che stanno per spedire cinque esemplari del I volume del Montecuccoli in foglio al signor Giegler. Vedi di recare al signor mi 60 ch'io devo per certi libri ai Fournier; fatti rilasciare una ricevutina di questa piccola somma; e tu rilasciane a Giegler un'altra de' volumi. – Poi – e anche prima, se vuoi – passa lì presso dal do volume dell'opera stessa: così avrò cinque esemplari perfetti, e tu, sino a nuovo mio avviso, ne rimarrai depositario. –
Mi scrivono da Bologna che giorni sono morì il padre dell'Emilia, quaranta ott'ore da che ella si partì per Milano; rimane essa, a quanto odo, unica erede; non di molto, ma unica ad ogni modo. – Salutala assai assai m nome mio, e bacia Odoardo in nome anche di Stefanino. La notte ch'io partii di Bologna lasciai alla Locanda un biglietto per la Briche; non fu mandato; ma lo ricuperò una Signora, la quale spero che ve l'avrà a quest'ora spedito. Quel biglietto non diceva nulla; ma mi dorrebbe che l'Emilia credesse che dopo sì gentili accoglienze io me n'andassi senza dir buona notte agli ospiù.
Or, Silvio mio, voglimi bene; scrivimi; e parla di me co' pochi nostri; io vedo di consolarmi parlandone e desiderandoti ogni giorno col povero Stefanino al quale io (per lo più curvo su' libri, e taciturno) non posso far quella lieta compagnia che vorrei. Ma! – siamo sì diversi d'età – Addio addio
Io mi sapeva che tu se' uno di quegl'inquieti sfaccendati i quali se vogliono non possono, e se possono non vogliono scrivere. Ond'io non m'inquieto se tu non rispondi. Sappi per altro o ghiottoncello, che questa lettera viene a te, ma va alla Contessa: ed ho tardato perchè la Sabina tarda anch'essa a tornare: s'aspetta oggi, e s'aspettava anche ieri e ier l'altro; se verrà riaprirò il foglio, da che il corriere non parte sino a domani. V'è bensì in questo albergo la famiglia de' Cicognara, con animali umani e ferini e quadri e cavalli; e la sera esco appena; perchè a trovar da far chiacchiere basta ch'io scenda trenta gradini, e ne salga altri trenta; e se esco, mi movo per altri trenta passi sino alla casa della contessa d'Albania che
Mio signore e maestro – Ho tardato a scriverle perchè, dopo d'averla ringraziata del dono, voleva poterla ringraziare anche degl'insegnamenti del libro. Ma fino a ieri non aveva potuto mai leggerlo in piena pace; ed oggi la ringrazio davvero, perchè dal modo con cui le idee sono ordinate ed esposte ho potuto trarre molto costrutto: se i suoi colleghi scrivessero tutti così, non temerei, come pur fo, d'approssimarmi al tempio delle loro Muse severe. Ed intanto mi sto con Erato, con Melpomene, con Talia, e con tutti gli amabili Genii delle belle arti, e nella più amabile città dell'Italia:
e vorrei sempre potere così,
ma non già
Che s'ella non mi tiene per suo, io la terrò ad ogni modo per mio: però desidero di sapere talvolta come ella si sta; e, scrivendo, ne chiedo agli amici, perchè io non mi lusingo ch'ella perda l'ore a rispondermi; e mi terrò contento s'ella intenderà volentieri ch'io l'amo e la stimo. Or vorrei darle notizie letterarie, ma io vivo esule dalla repubblica; e, se non fosse per non parer ottimate e presuntuoso, mi piglierei pubblicamente l'ostracismo per una ventina d'anni. Due sole cose posso dirle: primamente che la Riccardiana mosse a pietà il governo francese, onde il ministro ordinò che non si venda; e che i creditori si paghino altrimenti; ed in caso disperato, ci penserà S. M.: l'altra notizia si è, che Cicognara è in Firenze, e viaggia soffermandosi più giorni in ciascheduna città di Toscana a esaminare e far disegnare i monumenti antichissimi della nostra architettura e scultura per la storia ch'ei sta apparecchiando, e di cui ella avrà già letto il manifesto stampato nelle gazzette.
Gentil mia donna, sappiate che io sono evangelico, e picchio; e a chi non mi apre io perdono; ma non ripicchio perchè non ho mai saputo perdonare al mio cuore le umiliazioni. E se Ugoni non mi avesse portate dianzi quelle vostre dieci righe scarse, io credo che non ci saremmo omai più parlato che da vicino; – seppure, gentil mia donna, il cielo non ha destinato che noi due ci vediamo sempre come persone che s'incontrano su la locanda, e che ripartono, ognuno per la sua strada. Ma forse meglio così. – Ma voi, perchè mai non avete risposto alla quarta mia lettera? e son dieci o dodici giorni che l'ho impostata. Or eccovi cinque mie congetture che sono avvalorate da cento gradi di probabilità. – 1a o la mia quarta lettera si è smarrita: – 2a o vi ha fatto andare in collera: – 3a o vi siete dimenticata di me: – 4a o la pigrizia supera la buona intenzione di scrivermi: – 5a o la vostra risposta si è smarrita. – Alla prima di queste congetture assegno tre gradi di probabilità; alla seconda gradi trenta; alla terza gradi uno; alla quarta gradi sessantaquattro; alla quinta gradi due. – Somma: gradi cento.
Al poco studio morale e al pochissimo fisico da me fatto sulle oscillazioni del vostro cuore ondeggiante, ho applicato (secondo l'uso di questo secolo tutto aritmetico) quel po' d'abbaco che ho imparato nella mia adolescenza insieme con l'abbiccì. – Ma i computi, e specialmente questi, m'annoiano in modo, ch'io, dopo questa operazioncella aritmetica, mi sento freddo; sbadiglio; e non so raccapezzare più sillaba. Dunque addio; e.... se pure questa noia non mi rimanesse addosso anche per tutti gli altri due giorni ch'egli resta in Firenze, Ugoni vi darà un'altra mia lettera dove vi ringrazierò .... – di che mai vi ringrazierò io? – non so davvero. – Ma credo ch'io dovrò quindi innanzi ringraziare soltanto me stesso, e la mia buona memoria che mi consola con la rimembranza di persone che certamente si dimenticheranno di me. Addio.
Donna gentile – Ugoni mi sta addosso perch'io vi scriva; ma non la vincerebbe, se non mi stesse più addosso la mia promessa scrittavi ieri, o ier l'altro, se ben mi ricordo; – e non ho nemmen carta come vedete; ma la Providenza che mi manda oggi (giorno di festa e di botteghe serrate) questo mezzo foglio, mi manderà, spero, anche tanto da farlo tutto nero. – E comincerò a scrivervi, se non altro, di Ugoni. Gli voglio bene, ed ha ottimo cuore, nè manca d'ingegno; e se alcun poco gliene mancasse, ei vi supplisce con molta perseveranza sui libri: ma ciarla troppo, ripete troppo, m'interroga troppo; – e per sua disgrazia e mia, non sono in questi giorni molto disposto nè a parlare a mio modo, nè a rispondere a modo d'altri. Per carità, Cornelia gentile, ditegli anche voi che un'altra volta non m'interroghi tanto; e, detto da voi, non gli escirà dalla mente. – Sai tu anche, bellissima giovine, ch'ei per fervore di letteratura ha perduto per sempre un'altra bellissima giovine, meno spiritosa, ma più amorosa di voi? Era bella assai! ed avea la verginità su le labbra, e la verecondia del desiderio negli occhi: e la ho veduta ballare, e me ne ricorderò finchè le Grazie accompagnate dalla Memoria vorranno venire a consolarmi nelle ore mie solitarie. Or il povero Ugoni se ne innamorò; ma aveva pigliato a tradurre un librone latino che finalmente, dopo più anni di studio giornaliero e notturno, tradusse; e si lasciò allora scappare di bocca che avrebbe sposata quell'amorosa fanciulla, purch'ella aspettasse ch'egli avesse finita e stampata la sua traduzione. La fanciulla, benchè mezzo innamorata anch'essa, non ne volle più sapere, e s'appigliò subito ad altro partito: Ugoni se ne afflisse; se ne affligge ancora; non però se ne pente: – or vedete s'io posso non adirarmi sovente con un carattere così fatto, bench'io voglia bene davvero a quel giovine? E in questi tre giorni mi ha fatto adirare almeno ventisei volte; e mi ha fatto per impazienza gridare in prosa ed in versi: –- Dio gliel perdoni; e Dio protegga quella bellissima giovine che questo disgraziato ha perduta per sempre dalle braccia, ed io per sempre dagli occhi! – Ma io ne ho trovata un'altra in Firenze, e con persone che non le somigliano punto nè poco. Sappiate dunque ch'io nelle sere che non passeggio fantasticando col fiume e con gli alberi e con le nuvole, o che non mi chiudo nella mia stanza, vado a passare tre quarti d'ora dalla contessa d'Albania, e ci vado perchè mi sta vicina di casa, perchè va anch'ella a dormire dopo le dieci, perchè parla spesso d'Alfieri, e m'ha anche talvolta parlato assai graziosamente di voi. Ma la sua società è diplomatica, varia, severa; e tutti stanno seduti perpetuamente: – a quattr'occhi ci si sta bene, quantunque la Contessa
Intanto io mi dimenticava dell'unica cosa che mi premeva di dirvi: Collini è venuto stamattina a colezione con Ugoni, con Nicolini e con me; e fino che si apparecchiasse, ho letto un capitolo di Sterne ch'io aveva appunto finito di ricopiare; e non è de' più affettuosi: e mentr' io leggeva, gli occhi del Frate godente e ridente Collini si gonfiavano di lagrime, e pianse. Ah! A patti anche di rifar quella traduzione, vorrei vedervi lagrimare per cancellar con quelle lagrime le lodi accademiche di cui m'avete cortigianescamente adornato. – Addio, mia cara, addio.
Camillo carissimo – Cicognara ed io ti preghiamo che appena smontato a Bologna tu faccia, senza perdere un minuto, impostare le qui annesse lettere – Vedi anche di salutare per me caramente, affettuosamente, dolcissimamente il nostro Bianchetti. – Dirai a madama Martinetti ch'io Sabbato – ieri – le ho scritto – Dirai alla Marzia che le bacio la mano, ed ammiro ed ammirerò sempre – poichè non mi è conceduto di baciarlo – il suo voluttuosissimo braccio. – Dirai a Borgno ch'io l'amo; e a Bianchi che gli voglio bene; ed a Lechi che si ricordi di me; dirai ad Arrivabene che non impazzi per vanità letteraria, e che piuttosto s'impicchi per una donna, quand'anche la fosse bruttissima. Dirai a Scalvigni che cerchi d'una lettera da me spedita ieri a Brescia, e che probabilmente leggerà prima di riabbracciarvi. – Dirai a te ed a tuo fratello ch'io vi sono e sarò amico; e che vi ho forse trattato alquanto ruvidamente perchè mi sono posto per penitenza un cilicio intorno al cuore, pur mi sono da più giorni mezzo tristo, mezzo arrabbiato – Dio vi benedica.
Domenica, ore 7, min.i 30; poco dopo che vi ho abbracciati. – E la pioggia intanto torna a sospendersi sopra Firenze; e l'Arno rugge; ed io me n'andrò a letto. –
Ti parlerò dunque di lei – di lei che mi nomini nell'ultime sillabe della tua lettera. – Sigismondo mio, quella gentile fanciulla è cresciuta piena di freschezza, che passerà; e di grazie, che siederanno forse anche su la sua tomba. L'ho veduta ier l'altro sera presentarsi alla Contessa d'Albania, e m'accorsi che la sua maggiore bellezza consisteva in un soave pudore che le si diffonde (come una delle impercettibili velature pittoriche d'Andrea del Sarto) sovra il suo volto. Non dirò già che il volto della Matildinina sia perfettamente finito, ma la Madre Natura l'ha certamente abbozzato con mano maestra. Serba ancora certo carattere più vivace che passionato; e non pare che le circostanze de' suoi parenti abbiano avuto ancora verun potere sul suo sorriso. Ma, Sigismondo mio, tu sai che le speranze vestite di fiori danzano sempre dinanzi a' passi della gioventù. – Per me poveretto non danzano più! – Dicono che la si possa maritare. Ma la Contessa non me ne parla; nè io posso chiederne. Orosco, appena potè star solo con me, si dolse altamente della fortuna, e de' Fiorentini. Io non voglio esigere, se non se da pochissime anime d'acciaio, quel nobile silenzio che insulta alla Fortuna nel momento medesimo che le opprime; e il caso di un padre di famiglia che vide tempi migliori, e che si trova nell'incertezza e nella oscura mediocrità merita una rispettosa compassione. – Ma quanto all'astio che Orosco mostra pe' Fiorentini, parmi ch'egli agisca con poca prudenza, e con pochissima cognizione del cuore umano e de' tempi. I Fiorentini, è vero, non vi esibiscono pranzi, nè cortesie cordiali; ma visite quante volete, passatempi poco costosi, conversazioni con musica, e gentilezze di modi: or che si può egli sperare di più da una città ove tutti son poveri, e molti vivono in diffidenza perpetua? – Orozco esalta Milano; io vorrei che dall'Ambasceria di Spagna in Firenze, fosse andato a rifugiarsi poveramente in Milano, e vedreste ch'ei sospirerebbe le Bellerio toscane, ed esecrerebbe tutti i Lombardi. Del resto, malgrado tutti i suoi lamenti che m'hanno afflitto, ho risaputo ier l'altro dal mio banchiere che Orozco si consultò con un avvocato per comperare degli stabili per 20 o 25 mila scudi del paese; tu vedi che importerebbero 150.000 lire milanesi. Vorrei che fosse vero; e questa notizia mi ha riconsolato; perchè mi si struggerebbe il cuore se potessi immaginarmi che questa famiglia fosse in bisogno. – Ecco per te, e per tua sorella un processo di fatti altrui ch'io non soglio indagar nè ridirei ma si tratta di persone sì care a voi due, che m'è sembrato bene di uscire per questa volta dalla mia consuetudine. – Madame Orozco non è molto lieta; ma sta meglio assai di salute: riceve parecchie visite, e ne fa parecchie: ma per lo più suole passare le ultime ore della sera in casa di certe Prussiane dove mi voleva condurre; ma io vedo pochissima gente, e vado a letto quando alcune dame in Firenze si rivestono per andare a veglia. E frequento una botteguccia d'un vecchio venditore di stampe dove trovo chiacchiere con tre o quattro vecchioni da me conosciuti nella mia adolescenza, e che m'accarezzano come loro figliuolo. Tal altra sera, – ma non sovente – la passo dalla Signora delI'Alfieri, perchè è mia vicina, e si ritira anch'essa appena suonate le dieci; e vedo in quella casa una fiera perpetua di visite femminine, e di donne belle e brutte – per lo più vecchierelle – ch'io osservo silenziosissimamente da capo a piedi, e le mando a casa contente ascoltando con compiacenza i loro discorsi. – E solo quando cominciano a dar nel maligno, rispondo sacerdotalmente:
Io vorrei poterti dir quant'io t'amo, Silvio mio; e s'io t'abbracciassi – s'io potessi abbracciarti, e fissare ne' tuoi gli occhi miei, gli occhi miei nuoterebbero nelle lagrime. E sempre più m'annoio del mondo; e sempre ringrazio la natura della propensione che mi ha dato alla solitudine, – nè io vivo solo, Silvio mio; perchè penso a te, e leggo le tue lettere e le rileggo e ti scrivo, e sento tutta la soave agitazione di quegli affetti che avvivavano la mia gioventù, e che ora consolano raramente la mia vita, perchè ho imparato a forza di sciagure a dissimularli con gli altri, ed a reprimerli dentro di me. Or ti ringrazio, Silvio mio; poichè me gli hai ridestati. Ho ricevute due tue lettere a un tempo, la prima per mezzo di Luigi, l'altra dalla posta; ma scrivi d'ora in poi per via della posta; avrem meno obbligazioni. Chateaubriand se l'è meritata: ad ogni modo non se ne parli; non si può essere mai cauti abbastanza. – E la povera Emilia! mel prevedeva io che tu presto o tardi usciresti di quella casa dove trovavi guardando gli alberi le montagne ed il cielo qualche conforto alle ore tue solitarie; ah se Briche non fosse padre d'Odoardo! Un mare di ghiaccio ci dividerebbe per sempre, ed andrei dove non intendessi più mentovare il suo nome. – Stefanino fu consolato dalla letterina di quel ragazzo; ed io ne godo, perchè il povero Stefanino mi vuol bene come a padre, e ad amico, e par ch'egli non viva che per me solo; e studia, e si compiace di tutti i libri ch'io leggo: non gl'intende le più volte; ad ogni modo me ne interroga, e gli scartabella, ed io gli rispondo come posso, e lo lascio fare. Ho trovato anche un buon maestro per lui; alquanto freddo, ma diligente; e poi ci attendo io benchè non paia.
Sai tu chi mi ha sino ad ora interrotto? Lo Svizzero marito della sorella d'Odoardo, che dimora da due settimane in Firenze, e mercanteggia di grano; che, non so come, mi ravvisò per istrada – io presumeva ch'el fosse in campagna – e venne gentilmente a vedermi; e andò in visibilio quando seppe da me che il padre dell'Emilia era morto: e non so cosa mi bisticciò d'un credito ch'egli come sposatore della figlia dell'Inglese ha verso la ditta del padre dell'Emilia, e che però vuole andare a Bologna e sequestrare – che gli vengono per carte cedutegli dal suocero trentamila lire, – ma infine del conto ei se ne va con Dio, concludendo che per ora non andrà a Bologna: io l'ho per ciarliere vano; non vorrei dir ciarlatano perch'io sono un po' corrivo a dar questo titolo. – Ma ciarle o fatti, vero o falso, va bene che l'Emilia lo sappia, e si governi: vedi ch'essa poi non mi nomini, perchè quella buona Signora, dicendo le sue·cose in secreto a molti, le fa diventare di pubblica giurisdizione: così dianzi lo Svizzero mi parlava interrogandomi dieci volte su la faccenda delle perle – risposi ch'io non sapeva nulla. – Or addio, Silvio; la posta parte. – E voleva pure scriverti una lunga lettera; se non altro, le quattro facciate piene; ed empirne una tutta per
Mio Signore – Avrei avuto caro di consegnar la mia lettera ad un Signore non italiano dal quale per sorte intesi parlare con molto onore di lei; e ne lo pregai; ma alcune faccende m'impedirono di valermi delle sue gentili proferte, ed a quest'ora egli è forse tornato in Livorno. Or io darò questa lettera al signore Amici professore nel Liceo modonese, e felice ritrovatore del modo di fabbricare gli specchi de' telescopi del vigore e della grandezza degli
roba probabilmente da vendere: ma bastava ch'egli avesse interrogato il dizionario latino, e gli avrebbe risposto che Alex suona pesce salato, e la radice sta nella voce greca
Io mi credea, la mia donna, di non più riparlarvi fuorchè quando v'avessi incontrata lungo la via; perchè il mandar lettere ed aspettar finchè Dio vuole una mezza risposta è la più spiacevole a me tra le tante spiacevoli cose che annoiano la mia svogliatissima vita. E mi sarebbe assai assai rincresciuto di ricordarmi dolcemente e dolorosamente talvolta di voi, e non potervelo dire: – ma omai da gran tempo io mi sono avvezzo, o Cornelia, a stringermi
Lunedì mattina – La bell'alba! mia cara Cornelia; ma voi dormirete a quest'ora, ed io vado cantando certi versi che mi venivano dianzi per fantasia mentr'io stava alla finestra a guardare il sole che sorgeva mezzo nascosto da una macchia di cipressi su la collina rincontro a me: –
e via discorrendo: – son versi che somigliano a quei del poveretto
«Ciò che tu puoi mi dona, «E poi lascia ch'io sogni e che deliri».
Addio, mia donna gentile: ti mando un altro bacio, e poi un altro; e poi chiudo la lettera mormorando altri tre versi, non miei ma fatti credo sino dall'età del Petrarca tutti per te. Addio addio.
E sai tu, Sigismondo, che la tua lettera, – ed è la seconda – la quale incomincia ti scrivo con un mal di capo fortissimo
, mi trova con la testa sopra i guanciali tutta intronata dalla flussione? – E mi sta bene. Una terzina di Dante ch'io leggeva ier sera m'invogliava ad andare fuor di città sopra un colle un po' erto a visitare una chiesa della quale egli parla. Io sapeva che un corpicciuolo di carta pesta come è il mio ora, non deve sfidare le flussioni, e l'aria umida dell'alba, e le salite difficili – tanto più che la tosse non mi dà pace, mio caro amico; pur troppo! – Ma la terzina di Dante mi mormorava ogni sempre sul labbro, ed ho fatto il pellegrinaggio dalle cinque e mezzo alle otto suonate. – Tornato a casa, mi si è detto che la Ruga si lasciava vedere dinanzi alle mie finestre; – non per questo ho voluto aprir le persiane, nè far due passi per sentirmi strofinar mollemente ne' ripostigli della mia immaginazione amorosa la bella lanugine che le corona l'orlo del labbro: – considera tu s'io sto male! E mi sono gittato sul letto finchè la tua lettera m'ha destato. Eccomi dunque qui sorseggiando
m'assicurò, che due di que' fratelli sono perdutamente perduti per la fanciulla; io lasciai correre; nè credo che giovi a quell'amabile figliuoletta di riandare cose vere o false che siano, ma dannose sempre al suo collocamento. Ma io, se v'è nel matrimonio felicità – e la vi dev'essere qualche volta – o se non altro non vi sarà l'infencità che noi verso i trentacinque anni cominciamo a trovare nella solitudine fredda delle nostre stanze – credo che la Matildina possa recarla a chi la sposasse: ed è educata dalla sventura; ed avvezza a obbedire ad un padre fantastico; ed a piegarsi soavemente a' consigli di una madre amorosa: ed è anche temprata per l'allegria; se non che ora mi pare che penda un po' alla mestizia, ed a cert'aria di meditazione che non pare dell'indole sua: ma forse n'avranno colpa le circostanze, o qualche piaghetta recente nel cuore. – Eccoti parlato di due delle quattro donne che ti premono in Firenze; la terza, arrivata da ventiquattro ore col suo figliuoletto, l'ho veduta ier sera, e la ho salutata in tuo nome, e mi ha raccolto a braccia aperte – non mi ha per altro baciato – povera donna! se avesse peccati davanti a Dio, ella ne fa ora penitenza col sommo dolore che risente per quel figlio malato, per le cure assidue che gli presta, sino a non escir mai di casa, e a non alzare la voce presso al suo letto, ed a svegliarsi sovente per fargli da infermiera: ella mi disse quasi piangendo che fa a contr'animo questo viaggio di Napoli, e che teme di tornar
e scriverebbe bene, se non si fosse cacciato in testa di scrivere benissimo; così non essendovi che lo sforzo, guasta quel poco di naturale che avrebbe; e invece di volare, egli salta, e si rompe le gambe. Nondimeno ha molto sapere, ed è di ottimo cuore, benchè un po' debole: e bisogna perdonargli la piccola vanità di poeta la quale non fa male che a lui. – Delle Lucchesini non ti voglio più dire parola; tu lascia stare il signor Giulio; o almeno tientelo tutto per te, e non nominarmelo. – Addio: oggi la mia testa mi lascia in pace; e vorrei che questa letterona ti trovasse sano, lieto, e pronto alle soavi carezze. – Addio addio, Fulvia mia, io ti bacio e ti acocarezzo le mani. Addio.
Mia carissima Madre – Lodo che Dio Signore mi ti abbia ancora conservata, ed io avrei senza di te passati i giorni che mi rimangono in dolorosissimi desiderj ed in pentimenti per non aver fatto quanto era in mio potere, e più ancora, onde farti nella tua vecchiaia rivivere quella salute che tu, mia cara Madre, hai logorata in patimenti pe' tuoi figliuoli, e specialmente per me. Le tue otto righe in greco mi hanno rimesso l'animo in corpo, ed io ti ringrazio assai d'avermele scritte. Anch'io a' giorni scorsi sono stato un po' incomodato da que' maledetti dolori di testa che mi pigliarono due volte anche a Venezia: questa volta sono stati più lunghi e meno acuti; ma la colpa è tutta mia, perchè ho voluto alzarmi troppo presto, e pigliarmi addosso l'aria, prima che il sole l'abbia scaldata; ed in questa stagione d'autunno la mattina è pericolosa. La vita troppo pacifica e ritirata de' letterati li preserva da molti mali e li mette a pericolo di molti altri: così tutto si compensa nel mondo, e Dio sa quello che fa. – Per mezzo ottobre, come ti scrissi, ti manderò dieci napoleoni onde paghiate i debiti che senza dubbio vi saranno occorsi nella malattia. S'io non faccio quanto vorrei, accusatene l'impotenza. – La Rubina ha fatto benissimo a fare a suo modo per la frangia, ed anch'io vedeva che andava regalata. – A Bisbardi, vescovo di
Io t'avea mezzo scritta una lunga lettera; ma la mia infermità s'è esacerbata in modo ch'io appena posso scrivere costretto dall'estremità del mio bisogno; reca l'annessa lettera a Ramondini; leggila prima; anzi aiutalo s'egli mai non intendesse il mio carattere. Fa presto cercalo per mare e per terra; e se mai non fosse a Milano, presentati tu stesso con la lettera e falla vedere in mio nome al signor Zanoli Segretario Generale del Ministero della Guerra fatti insegnare il modo di scrivere la petizione, raccomandala a lui perchè la· raccomandi al Ministro. Vedi che ho bisogno che i danari siano consegnati almeno per il dì 15 ottobre alla ditta fratelli Bignami. Di ciò poi non parlare a nessuno. Se Ramondini non vi fosse, presenta tu stesso l'annesso biglietto al signor Barinetti, pagatore di Guerra in Casa
Caro Barinetti – Anche qui sono obbligato a letto per quattro giorni almeno di ciascheduna settimana. – Ramondini, mio antico amico, riscuoterà per ordine del Ministro un'anticipazione di mille lire italiane (1000) da scontarsi con tutto il mio soldo da novembre inclusive sino all'estinzione del debito. Quando sono partito ti ho lasciato un bono di lire italiane 300, o poco più se ben mi ricordo. Co' mesi da te riscossi di agosto, settembre spirante, ed ottobre prossimo questo debito è rimasto estinto, o se non altro ti dovrò poco a che dare. – Tu inoltre hai pagate, secondo l'ordine mio, lire d'Italia sessanta (60) – in tre volte al mio domestico sino a tutto ottobre inclusive. Dunque tu dalle mille lire che consegnerai al dottor Ramondini, o al signor Pellico che ti porterà questa lettera e l'ordine del Ministro della Guerra, devi tenerti queste lire sessanta, più il residuo ch'io ti dovrò (oltre i trecento franchi) come vedrai dal buono, che restituirai. Rilascia a chi riscuoterà una fatturina perchè me la spediscano: spirato ottobre non pagherai più nulla al mio servo Domenico; di ciò siine avvertito. La ragione di ciò ti sarà spiegata dalla trista situazione della mia salute, di cui avrai notizie da chi ti consegnerà questa lettera. Intanto ama e prega Dio per il tuo povero amico. Addio addio.
Mio caro Amico – Io non so cosa sarà della mia salute: perchè davvero io mi sento sempre peggio: la tosse or più or meno si ridesta tutte le mattine, e tutte le sere; ne' giorni tempestosi – e Firenze ne abbonda – si unisce l'affanno di petto che partecipa dell'asma: ho provato i tonici, cominciando da due sole dita di vino di Chianti, ed ho fatto peggio; ho lasciato per sei giorni il caffè, e mi sono sentito gradatamente crescere l'irritazione; sono tornato al caffè, ed ho abbandonato il vino, e l'asma sotto all'azione del caffè cede sul fatto; ma la tosse non cede mai: l'unico mezzo perch'io mi senta men male, si è di starmi la mattina un po' tardi nel letto, e di pigliare de' bagni nè freddi nè caldi: ma così, pur troppo, non s'uccide benchè si plachi la malattia. – Quanto al negozio brutto delle merci virili, la gonorea era cessata; ma dopo otto o dieci giorni, senza occasione veruna, senza disordini, senza la menoma provocazione in natura, mi si sono arrestate ad un tratto le orine: s'è dovuto usare la candeletta; anche questo mi pare un palliativo: il fluore è tornato abbondantissimo; la retenzione or più or meno ostinata durò dodici giorni; finalmente sotto l'uso delle candelette alla retenzione successe una perpetua e dolorosa difficoltà sul primo sgorgar delle orine; ed a ciò il rimedio locale non ripara. Il chirurgo, che è il signor Giuntini, ha un bel dirmi che in quattro mesi di uso delle candelette sarò bello e guarito: sì lungo tempo mi spaventa; e poi ho voluto leggere de' libri su la materia, ed ho imparato che infiniti disgraziati hanno incominciato con la candeletta, hanno continuato, ed hanno finalmente dovuto portarsela per tutta la vita: e il peggio si è che la candeletta per mia propria esperienza irrita la parte, richiama il sangue, e separa moltissimo inessicabile muco. Un'altra circostanza che mi ha fatto diffidare del signor Giuntini si è, che un giorno e la notte seguente mi sgorgò dall'uretra quasi mezza libbra di sangue; il Chirurgo se ne spaventò; io invece mi sentiva liberato, i dolori si calmarono; il muco si diradò; la parte smarrì la tinta infiammata; e il signor Giuntini continuò a dire ch'io aveva pur sempre bisogno di quattro mesi per lo meno di candelette. Mi sono ricordato di te e della china che nel novembre dell'anno scorso mi ha guarito del renne della vescica, perchè in fondo tutto il mio male sta lì. Ma la china mi mise in burrasca subito il petto; la tosse mi bolliva senza poter uscire; l'affanno s'accrebbe; onde ho dovuto desistere benchè non avessi pigliato che un 8vo d'oncia in mezzo bicchiere d'acqua in fusione fredda al solito. Io mi trovo in questo stato, esacerbato anche dalla circostanza di non averd un medico amoroso ed amico al cui cuore io possa fidarmi. E qui non puoi immaginarti con quanta fina venalità tutti questi Fiorentini ti attorniano quand'hai bisogno di loro. Mi hanno fatte pagare trenta candelette incirca di cera, che ho consumate, trenta due paoli; i bagni quattro paoli per volta, e tutto così; e v'è persona di mia fiducia la quale mi assicura che il mio chirurgo trafica su la lunghezza delle malattie: non credo ma non discredo affatto. Un altro medico da me consultato mediante due francesconi mi ha consigliate le acque
Piaccia alla signora Contessa di gradire questo libricciuolo, giuntomi finalmente, ma sì malconcio dalla posta che ho dovuto farlo lavare nel frontespizio: però mi rincresce ch'io non posso presentarcelo così nitido com'io sperava.
Il Conte Cicogna di Milano vorrebbe avere l'onore d'essere presentato a Lei. È uno de' men freddi e de' più notabili signori di Lombardia: parte fra non molto per Roma, e tornerà a gennaio a soggiornare per uno o due mesi in Firenze. Gli ho mezzo promesso: – ma basterà ch'Ella mi faccia avvertire prima di sera, ed io dipenderò in tutto da' suoi cenni.
Or io vorrei renderle infiniti ringraziamenti per la bontà con che Ella si degna d'accogliermi, e domandarle perdono – ma io sono sì malcontento di me, che non so com'altri possa perdonarmi poichè non posso perdonare a me stesso: e omai non so sperare fuorchè nel perdono d'Iddio.
S'io non avessi, Sigismondo mio, veduta e guardata per più di due anni la tua disgraziata sorella, io giurerei che i suoi dolori sono tutti quanti mentiti. Ma, per amore del cielo, non è forse la sua mano il primo stromento delle sue piaghe? A tutte le molestie della vita, ella aggiunge da se stessa il veleno che le esacerba e che le rende insanabili: ella ella si fa schiava di se medesima, e degli uomini, e della sciagura; ella vuol servire – non importa come, nè quanto, – ma servire pur sempre come lavoratrice mercenaria del dolore. Almeno non tormentasse che se medesima! ma non pensa ella che il sangue del suo cuore gronda su l'anima delle persone che l'amano e che la ameranno davvero? Non so quanto non avrei dato per ricevere la tua ultima lettera; ma mi innondò di tanta afflizione ch'io stentava anche adesso a pigliare la penna e risponderti. Dunque dopo la mia partenza le sue tribulazioni sono diventate Ora
dic'ella, io sarei libera, ed avrei tutto l'agio di venire in Toscana e di cercare men trista salute sotto cielo più lieto; ma
.... – Indovina un po' la grande difficoltà! – ma ora per l'appunto mi tocca il mio trimestre a palazzo
. – Ti confesso che a questa bella ragione mi strinsi nelle spalle, chinai gli occhi e la testa sul petto, e non dissi parola alla Sabina, la quale giurava che se in quel momento avesse potuto volare a Milano, avrebbe ben bene bastonata la Signora Contessa Dama di Palazzo per darle qualche ragione migliore di starsi a letto almen fino che le passassero le lividure.
Ecco trattanto un altro verno perduto per essa e per la sua incerta salute: ma s'ella vuol tormentarsi anche il corpo, – ed è la via più sicura e diritta a sommergere l'anima nell'amarezza – fa bene a starsi tra le nebbie, il gelo, ed il freddo arrabbiato della valle lombarda. – Per Dio! Sigismondo, fa ch'ella senta pietà una volta di se stessa, e di voi, e di me; – io, senz'esserne innamorato, sarebbe l'unica donna per cui piangerei con inconsolabili lagrime se mai la perdessi. Vedi almeno di non lasciarla per ora, da che tu sei l'unico consolatore al quale si possa fidare: ma tu pure mi sembri della sua setta. Che diavolo mi vai scrivendo che tua sorella è perseguitata dalla malignità e dall'ignoranza, e dalla tristizia di chi la circonda? e me ne parli come di cosa·irremediabile! – Sappi che la malignità, la cattiveria, e l'ignoranza sono bestie ferocissime perchè sono codarde; e perchè sono codarde s'avventano sopra il debole, e tremano dinanzi a chi si difende. E tua sorella abbandona tutte le difese che la natura la fortuna ed il cielo le diedero. Ma che serve? s'ella vuole patire a ogni patto! – Dio l'aiuti; non so dir altro; da che vedo che umano aiuto e consiglio non potrebbe giovarle. –
Il matrimonio della Matildina con quel Lucchese par mezzo guastato; così mi disse sua madre, a cui, se il matrimonio avvenisse, parrebbe di toccare il Paradiso. Altri altro dicono; e la compiangono sul dubbio ch'ella si seppellisca in Lucca; ed in una casa d'uomini mezzo fantastici; e tra fratelli quasi tutti innamorati della cognata futura; e con una suocera sorda, imperiosa, avarissima, ombrosa, e che so io. Bench'io non creda a' pettegolezzi, segnatamente a' Toscani, ho voluto dire ogni cosa alla madre, la quale crede tutto inventato dalla invidia e dalla calunnia. A me pare nondimeno ch'ella e tu v'inganniate altamente immaginando che la tranquillità della madre dipenda da queste nozze della fanciulla. E chi resterà più a consolare la madre? e chi mai le acqueterà il palpitare per le disgrazie d'una unica figlia lontana, maritata in paese straniero, ed abbandonata alle passioni di tante persone? – Ma vogliono accasarla a ogni modo quasi che l'anno trentesimo le stesse alle spalle.
Or lascia ch'io ti parli anche di me poveretto. Mi sono alzato tre volte di letto per finir questa lettera, tanto son poco padrone del mio misero corpo. Non parlo della tosse e di certi affanni fortissimi di respiro, a' quali comincio già a rassegnarmi perchè son giornalieri; nè il moto esperimentato per più di due settimane; nè la quiete; nè il letto – anzi il letto gli aggrava – nè i bagni diligentissimamente fatti; nè i debilitanti; nè i tonici – nulla insomma nulla mi fa migliorare, e s'io non peggioro, non sarà poco: ma torno a dirti ch'io son rassegnato. Ben mi turba assai più una forte palpitazione improvvisa di cuore per cui divento pallido, e quasi morente ad un tratto; passa dopo mezzo minuto, ma torna dopo mezz'ora: onde, anche quand'io posso lavorare, io mi sento fieramente interrotto. E sì ch'io credeva di poter per dicembre farvi udire a Milano la mia
E' mi pare, Signora Contessa, che s'io non potrò avere la casa Dazzi, io non potrò finire in Firenze la mia povera
O Silvio, Silvio mio – e tu se' mio, tutto mio: – scrivi sempre, e quanto più sai, e lunghissimamente. Tu stai meco dall'alba alla sera, ma quando mi capita una tua lettera io mi sento pieno di mesta dolcezza per tutto quel giorno. – Ah s'io potessi vivere e morire ed essere seppellito con tè! questa solitudine, fratello mio, mi spaventa: non posso vivere con mia madre; e quando pure – i nostri cuori batterebbero l'un sopra l'altro, come battono da lontano, ma la mia mente resterebbe pur sempre sola: – e l'amore mi spaventa ancor più della solitudine, – e corro verso i trentacinque anni. Ier l'altro sera io leggeva nella Bibbia: Dixitque Dominus Deus: non est bonum esse hominem solum
– e in un altro luogo: Vae soli!
Mi sono notati questi passi per inserirli non so dove: e trattanto quando passeggio, o siedo guardando verso sera la campagna mormoro sempre fra me la trista e pur troppo vera minaccia di Dio. –
E son dieci giorni oggimai ch'io aveva incominciato a scriverti sin qui; ma Dio appunto ha voluto farmi provare quant'è più amara la solitudine sopra il letto dell'infermità. – Sia così. – Oggi (sabbato 4 ottobre) comincio a star meno male, e ad alzarmi e ti torno a scrivere. Avrai già saputo il mio stato da quella che martedì scorso scrissi al dottor Ramondini; e te la ho spedita aperta perchè tu possa leggerla, ed adoperarti per me poveretto, caso che il Dottore fosse fuor di Milano. Dio m'aiuterà! – Vedi ad ogni modo che senza il danaro, neppure Dio stesso (quando per altro non piovesse oro) potrebbe liberarmi dal disonore, poichè ho rilasciata una cambiale, ed i fondi devono essere fatti in Casa Bignami a Milano per [il] giorno 15 d'ottobre corrente. Per più sicurezza ne ho scritto anche all'amico mio Sigismondo Trechi, a cui in caso di necessità ricorrerai; – ma non vi sarà bisogno; son certo. – Il danaro, in fine del conto, mi viene; il Segretario generale del Ministero della guerra me l'ha offerto spontaneo; nè il generale Fontanelli avrà il cuor di negarmelo. – Per dicembre, gennaro, e mesi seguenti ho provveduto tanto che basta, se pure l'infermità non torna tale da scorticarmi. – O Silvio mio! In paese straniero, e con medici ignoti, e con venalissimi speziali, pur troppo! non v'è nulla che basti. – S'io stessi almen tanto bene da poter finire questa mia disgraziata ed amabile ed affettuosa
Or io devo dirti in poche parole anche a nome di Stefanino, e scongiurartene, che tu chieda licenza per un mese al tuo Direttore, ed a que' signori dell'Orfanotrofio; pigliati una vettura: al sesto o settimo giorno tu sarai in Firenze; ci starai due o tre settimane: abbiamo casa grande, ed un letto di più espressamente per un amico. Abbiamo servo e serva che mangiano, onde ove stanno quattro, può starvi senza spesa anche il quinto; e ciò ti si dice affinchè tu non creda di essermi di danno al borsiglio. – Quantunque, quanto, o mio Silvio, io non darei per averti! – Se l'Emilia e l'orso domestico di suo marito te lo lasciassero potresti condurre teco Odoardo. Oh facesse il cielo! mi pare ch'io guarirei. Vieni e conducilo per carità; ma se non puoi condurlo, vieni tu: tra tutti e due il viaggio e il ritorno e ogni cosa vi costerebbe dieci luigi: tu solo spenderesti meno: vieni dunque: – consegna l'annesso biglietto a Briche; forse si risolverà. – Tu vedi d'indurre la Madre; parmi che meco quel ragazzo profitterebbe; ed io starei molto meglio. Ma mi duole di te che lo perderesti. – Ah! perch'io non sono men povero! – Ad ogni modo rispondi; e vieni almen tu. – Allora ti condurrò a vedere i manoscritti e la libreria dell'Alfieri. La Contessa ha pigliato a volermi assai bene: abita poco lontana da me; va anch'ella a letto alle 10; onde la sera vo a ciarlare tra que' pochi che frequentano la sua casa. M'ha offerte le tragedie della edizione principe di
Io vorrei, mia Signora, poter essere in questo momento a Milano, perchè io qui dove sto col cuore tutto solo, temo non tanto i pericoli, quanto lo spavento de' pericoli che assedierà certamente le anime delle persone a me care. Sono sicuro che ciarlando, politicando, ridendo, or sul sofà del bigliardo, or presso al telaio di madama Battaglia, potrei di quando in quando distrarle dallo spavento che è mille volte peggiore della sventura. E se non credessero a' vaticinii di un poeta stordito, potrebbero se non altro, Ella e la Battaglia, spassionarsi con me, perchè anche il timore si guarisce o si mitiga almeno a forza di palesarlo. Ma con pochi, purtroppo con pochi, si può in queste circostanze e in questi tempi parlare, ed io sto muto che paio il Sacerdote del Dio Silenzio e del Sonno; e sto peggio perchè sono taciturno per forza di riflessione, ma la madre natura mi ha fatto ciarliere. Però così da lontano parlo anche con Lei, mia Signora, e trovo qualche conforto; ma non mi sarei attentato di farlo se il signor Ministro non si fosse degnato di scrivermi ch'Ella si piglia a cuore la mia povera e melanconica persona, e tanto a cuore da fare alle volte stare malinconici quei poveri diavoli che non mi vogliono bene. Or io, per la compassione che io ho verso tutti i poveri diavoli, la supplico e la scongiuro di non nominarmi mai in loro presenza, e di [non] pigliarsi, con l'impresa di difendermi, anche il pericolo della lor colleruccia segreta. E le sono pur gravi, per quanto paiano misere le passioni dissimulate di quei signori! Una delle mie consolazioni è il poterli non vedere nè udire: quantunque dall'altra parte quest'esilio volontario, e lo stare lontano da tante eccellenti creature, mi pesi sì fortemente che io sto tutti i dì sulle mosse per ritornarmi a Milano: starò a vedere; e se le cose pubbliche saranno felici, mi contenterò per ora della mia pace malinconica di Firenze; diversamente, io verrò a partecipare delle inquietudini degli amici miei. Frattanto prego il Cielo che questa lettera trovi Lei, mia Signora, con animo, se non lieto, almeno tranquillo. Non ch'io tema su l'evento finale di questa guerra; ed Ella può essere facilmente consolata di questi timori dal signor Ministro, il quale può sapere meglio degli altri che la debolezza o la malignità diffondono mille stolte novelle. Ma Ella è madre; e quanto è più lunga la guerra, tanto più le riescirà amara l'assenza de' suoi figliuoli. Non le rincrescerà di darmi notizie di loro, e segnatamente di Gigione che dev'essere, se non mi inganno, all'esercito del Vice Re. Ma, torno a dirle, è impossibile che io aspetti sì da lontano e per sì lungo tempo, gli avvisi che, tardando, mi tengono in una mortale incertezza; tutta la pazienza e la forza che io aveva nell'anima la ho consumata l'anno passato.
Alla Signora Marianna Veneri scrissi già da più giorni; o non ebbe la mia lettera, o non rispose; piacciale dunque di dirle che attendo gli
Or sono tentato di ricopiare questa lettera, ma correggerei di poco questo inumano carattere. Dio le conceda occhi e pazienza. E se Dio non provvederà, provvederà almeno il signor Ministro, il quale, dopo tante volte ch'io l'ho importunato, e dopo tanti anni che si logora la vista a decifferar gli scritti altrui, potrà aiutarla a intendermi. Intanto Ella, mia Signora, mi perdoni, e sarò certo del di Lei perdono, se mi considererà sempre per suo servidore riconoscente, e pei amico in tutti i tempi e in tutti gli incontri.
Je vous envoys les Tragedies de Vittorio Alfieri imprimées sous sa direction. Vous en êtes digne. Gardez les pour souvenir de Louise d'Albany qui a eu le bonheur d'etre son amie pendant 25 ans.
Signor mio – La lettera che a lei piacque d'inviarmi verso i primi del mese scorso a Milano, m'è capitata ieri appena in Firenze ov'io soggiorno da più di due mesi: ella dunque non ascriva a villania questa tarda risposta: ed io sono in debito di ringraziarla non tanto della stimai ch'ella fa de' miei scritti, quanto della fiducia con cui ella mi partecipa la sua disgrazia, e mi crede degno di compiangere il suo dolore. Mi rincresce bensì ch'io non possa compiacerla de' versi che ella sì gentilmente mi chiede. Le pochissime poesie da me pubblicate le faranno prova ch'io m'accosto assai raramente all'altare delle Muse, e con un certo religioso ribrezzo. Inoltre io meno da più d'un anno sì malinconica vita e la mia salute si va tanto struggendo ch'io attendo più ad andar girando di paese in paese ed a mutar aria che alle lettere ed ai versi. Però io la prego d'accusare, s'io non posso servirla, la natura del mio ingegno e lo stato presente della mia vita. Spero frattanto che il tempo e il cielo le compenseranno o rattempreranno almeno il dolore della perduta felicità: e credo anche men misero l'uomo che, sdegnando di servire alla fredda e fastosa filosofia, alimenta la propria afflizione, e ricorda con desiderio perpetuo la persona che con amabile compagnia gli rese men aspro il cammino incertissimo della vita. Piaccia a Lei, signor mio, d'accogliere le proteste della mia gratitudine.
Mia cara amica – A rispondervi m'alzo da letto, tanto son vere le novelle della mia buona salute! nè so chi abbia potuto parlarvene, dacchè l'avvocato Collini m'ha trovato egli stesso un chirurgo ed un medico. E voi riderete forse s'io vi dirò che sono malato, nè più nè meno della medesima infermità di vostro padre: non è paralisi, ma
«Sua cuique placet Helena».
Or mi tocca, – e vorrei che non m'avanzasse più foglio, – ma mi tocca pur troppo, e tremando – nè io sono facile a tremare – parlarvi della Venere del Canova. Che dirò?, che non dirò? Io, la mia donna gentile, non sono artefice; e sogghigno quando questi nostri
La contessa d'Albania ebbe i vostri saluti ad onore, e ve ne ringrazia cortesemente: ringraziatela voi pure per la cura ch'ella ha di me poveretto: – m'ha trovato casa vicino alla sua, e s'è studiata di farmi con mille conforti dimenticare le noie dell'infermità. M'ha lasciato esaminare la biblioteca del Tragico, ed i suoi manoscritti, da' quali trassi molte notizie su l'arte: mi presta tutti i libri de' quali ho bisogno, e mi racconta infinite particolarità taciute nella
Come mai, Silvio, la tua del dì 10 mi promette che tu almeno verrai, mentre nella seguente che or leggo tu non fai più motto di questo? e così tu m'hai distrutta la speranza, che mi lusingò in nome tuo, e che in questi tre giorni mi consolava. Sia pure così; non per questo non t'amerò con tutta la fede e il calore dell'anima mia; ma se tu venissi t'amerei con maggior gratitudine; vieni dunque te ne scongiuro: e per quanto piova, tu non per questo sarai costretto a bagnarti; le vetture vengono e partono quotidiane; e sì che anche qui da più di due settimane diluvia; il sole si lascia, poco o molto, vedere ogni giorno; ma poi mille nuvole nere lo seppelliscono, e per tre o quattro volte tra il dì e la notte le cataratte si rovesciano sopra Firenze: l'Arno, fiume bassissimo, soverchiò gli argini, e parecchie case vennero ier l'altro sera allagate. Non per questo tu non potrai viaggiare; nè questa tribulazione d'autunno durerà sempre. Vieni dunque, Silvio mio: la tua camera è apparecchiata. Se Odoardo non viene, pazienza: salutalo e bacialo almeno, e digli che mi ami e che si ricordi di me; possibile per altro che non gli lascino fare sì piccolo viaggio! e teco! – Ma vieni tu almeno. – Della mia salute non so dirti nulla di certo; ma certo è ch'io mi vergogno di parlarne sì spesso, e di dolermene sì vilmente. Farò quanto potrò, e come meglio saprò per guarire; ma lascerò che la
–
La pioggia e la spilorceria – poichè la guerra non mi permette la carrozza nemmen per un giorno – mi hanno tenuto prigione; e tutto ier sera ho avuta per compagna la mia sola lucerna: e m'imprigionai anche per certa sinistra vergogna ch'io non mi posso levare d'addosso: il signor Corsi m'aveva invitato ieri al suo ballo; e a me non premeva d'andarvi, tanto più che dovevano esservi le due sorelle milanesi; l'una, malgrado gli occhi lunghi un gran dito, mi mette non so qual dissonanza nel cuore, e il mondo si regge per simpatie; l'altra avrebbe fatto sapere o a Milano o in campagna a r Forbin se mai partisse domani di rimandarle quel volumetto: m'aveva fatto vivere tutto ieri nella speranza che l'avrebbe riportato egli stesso; ma la pioggia, e più assai che la pioggia, i due «In nuda maëstade il mio bel nome».
Ieri il sig. Tenente Giulio si spiccò da Crevenna villa del sig. Ceriani in faccia ai bei laghetti Briantei per farmi un'amorevole visita. Ella, mio signor Ugo, può ben comprendere come io accogliessi nel
Ma questa mia Famiglia ora non ha più maschi. Anche al Cecchino venne dopo lunghe malinconie l'entusiasmo di farsi soldato e si cacciò tra' Dragoni Reali nella settimana scorsa. Non so s'Ella sappia già che Renedetto fu dichiarato Capitano nel medesimo suo reggimento ai primi d'agosto dopo prove d'un valor singolare presso Weliza. Ebbe il cavallo morto d'otto baionettate. Si fece largo colla sciabola, afferrò un altro cavallo e proseguì la zuffa. Allora fu colpito di tre lanciate, ma le ferite furono non gravi. Ora si dice chiamato allo Stato Maggiore del Vicerè. Paolino poi nella battaglia del suo nono reggimento sofferse una contusione d'un pezzo d'artiglieria caricafo a sacchetto, ed una schioppettata lo ferì sotto l'ascella senza toccargli l'osso. Medicato appena volle tornare alla mischia e gli fu data l'insegna della Legion d'Onore e il diploma di Tenente.
Ma si figuri Ella, signor Ugo mio, come la loro madre, e come io ci troviamo.... e v'aggiunga poi la determinazione di Cecco!... L'inquietudine, la malinconia lo divoravano... Fu grande il nostro sagrifizio.... ma forse la Provvidenza vorrà guardarlo, e consolarne.
Oh mi fu pur cara la visita di Giulio, e quanto egli mai parla assettato! Ben può Ella figurarsi, che molto si ragionò di Lei. Domani recherommi a Verzago per disporre di ricevervi tutto il mio mondo femminile, ed anche da quel mio ameno ritiro i miei pensieri correranno a Firenze, e saluteranno l'ingegnosissimo Ugo, cui sono e sarò sempre obbl.mo e aff.mo
A Ferdinando Arrivabene, Antonio Bianchi, Camillo Ugoni, Luigi Lechi, Gaetano Fornasini, Giovita Scalvini, e Girolano Federigo Borgno –
Leggete, amicissimi, l'annessa polizzina, e cantate quanto più, e quanto meglio potete. – Amatemi, e ricordatevi ch'io vivo dell'amor vostro. E Dio vi benedica.
Prego il signor Prezziner di consegnare al latore uno paio di calzette di seta nera, delle migliori, e di notarle a mio debito. – Ma prego assai più che mi sia definitivamente indicato il giorno in cui potrò sloggiare da questo albergo dove io per mille ragioni mi trovo assai male. – Suo servidore ecc.
Mio Signore – Parmi che spiegandoci chiaramente non insorgeranno più le difficoltà che sono riescite spiacevoli a Lei ed a me.
Dovendo io, secondo l'intenzione ch'Ella me n'avea data, entrare nell'appartamento a' 10 d'ottobre, ed essendo al contrario scorso quasi l'intero mese, Ella vede ch'io non posso addossarmi la pigione di un intero semestre, da che, e quando io intavolai quel contratto, ed oggi, io era, e sono per le mie faccende determinato di lasciare Firenze a' primi d'aprile. Adunque la pigione non si stipulerà che per mesi cinque; cominciando dal primo Novembre; ed io La rifarò della pigione di questi cinque o sei ultimi giorni di ottobre da domani in poi.
Quanto al prezzo, dandomi ella due stanze terrene per la servitù, è giusto ch'io in cambio di dieci le paghi undici zecchini al mese.
Oltre a' mobili da me veduti, l'appartamento ha bisogno di un soffà largo e comodo; di due sedie a bracciuoli; d'un
Ecco le condizioni dalle quali io non posso recedere: – piacciale di onorarmi d'una pronta risposta: e qualunque siano le di Lei decisioni ella mi creda sempre – Suo servidore
Non so, mia gentile amica, a qual libro ricorrere; io n'ho potuto portare assai pochi, e questi in cifre greche e latine che corrugano i muscoli gentili de' bei volti; nè voglio che voi li leggiate. I sei o sette poeti italiani che ho meco, gli avrete già letti e riletti. Credeva che la povera Cloe potesse bastarvi almen per tre giorni; ma vedo – e l'aveva già prima osservato – che voi vi compiacete presto di tutto, e ve ne infastidite prestissimo. Eccovi – non ho altro per ora – l'Iliade tradotta mirabilmente dal Monti. – Lunedì verrò forse a una
Certo, mia cara Isabella; Iddio e la Madre Natura convertono providamente le fibbre carnee del cuore de' medici in cornee; e come mai reggerebbero a' gemiti dolorosi e a' martirj e alle agonie de' malati? però non mi meraviglio d'Aglietti. Ma come mai d'altra parte può egli immaginare che se qui si lavora egregiamente la cera pe' gabinetti anatomici, si debba perciò fare anche delle candelette migliori di quelle di Venezia? Fatto sta che tutti gli speziali fanno fare in Venezia sì fatta merce per tanti disgraziati che in Firenze patiscono di vescica: ma perchè sì gl'infermi che i medici si lasciano sgomentare dalle candelette di maggiore grossezza, i mercanti ne fanno venire pochissime: – ed io solo – e ce ne vuole una al dì – le ho consumate quasi tutte a quest'ora; e però, se voi non mi soccorrete, mi porterò lungamente o lascerò incancrenire con palliativi l'infermità. E quando Aglietti facesse il sordo, fate chiamare nel vostro stanzuolo il dottor
Sia dunque così; io mi sentiva mezzo malato d'impazienza, e talvolta mi consolava che le tue lettere non venissero; ed era omai certo d'abbracciarti, e di leggere e scrivere e passeggiare con te: – ma sia così. Vivo sotto la sferza della Rassegnazione alla quale sono omai costretto a obbedire; ne gemo; ma non per questo voglio avvilirmi con vane querele. – Silvio mio; vivi dunque a Milano. – Tu mi parli della tua infelicità: a dirti il vero, la tua lettera è scritta con tal carattere e spirito d'ilarità e di contentezza di cuore, ch'io – se pure lo studio che fo da tanti anni su gli uomini non m'inganna – giurerei quasi che tu vivi assai meglio di me. E lo desidero; tu se' in quello spazio della vita ch'io percorreva guidato dalla beata imprudenza, ed allettato da mille lusinghe dell'avvenire; guai a te, mio caro Amico, se tu lascerai fuggire questi anni! giungerai a' miei e non avrai la consolazione ch'io ho di guardar nel passato e di pascermi di rimembranze: il futuro non mi dice più nulla. Abbracciami affettuosamente Odoardo, e fa che anche il fratello suo mi conosca affinchè io non gli giunga nuovo se mai tornerò a Milano. Saluta l'Emilia, e la Gina; e l'Emilia troverà almeno alcuna contentezza vedendosi tra le braccia un figliuolo che quasi temeva di perdere. A tuo fratello, a Calepio, a Banfi, e a Borsieri dirai ch'io vivo spesso con essi e per essi: – restituisci lo scacchiere a Banfi; e da che tu non mel rechi, m'importa assai poco che quell'esercito di legno viaggi sino a Firenze. Alla tua Laodamia farò accoglienza amorosa, e le darò avvisi leali. – Pregherai Ramondini che dal danaro avvanzato paghi quattro napoleoni d'argento (lire italiane 20) al disgraziato Domenico. S'io potessi aiutarlo anche più, io risparmierei al mio animo la molestia e la vergogna che prova ogni qual volta è dalle circostanze costretto all'economia. Ma come fo? sono malato, e di tale infermità che esige spese infinite e lunghe, – e chi sa forse! perpetue, perch'io non mi sento nè meglio nè peggio. Addio dunque mio Silvio: Stefanino ti abbraccia, e manda un bacio a Odoardo. Addio.
Mio Signore – Siccome io non aveva dato verun ordine al signor Bicchierai, egli doveva mandarle indietro la ricevuta.
Quanto all'affitto, io lo tengo apparecchiato qui da più giorni, unitamente al mio debito d'un paio di calzette di seta, e di due camiciole di lana: io inoltre le pagherò, se le pare, anche questi sette giorni d'ottobre; e così salderemo la pigione anticipata ad ogni primo del mese.
La ragione per cui sino ad ora non m'è sembrato di dover pagare si è; che tanto le scritture di pigione, quanto l'inventario vanno ordinati in regola, e la consegna d'ogni cosa va fatta dal locatore al conduttore capo per capo, e da due persone fidate da parte e d'altra.
Inoltre, alcune delle cose da me specificate nel foglio ch'ebbi l'onore d'inviarle sabbato scorso, non mi sono ancora state somministrate. – Tuttavia, se a lei preme il pagamento, io, dopo d'averle dette le ragioni che mel fecero ritardare, sono pronto a farlo dentr'oggi, pregandola ad un tempo di sollecitare la consegna in regola, e di provvedermi delle cose che mi bisognano. Suo devotissimo servidore
Signor mio caro – E le sono, pur troppo, debitore d'una risposta: ma dal dì 24 settembre – e allora ebbi l'ultima sua – l'infermità mi diede assai ore tristissime: e mi duole ch'io ho il verno alle spalle: ma ricavo se non altro il vantaggio d'avvezzarmi alla salutare disciplina della Rassegnazione. – Quanto a quel Siciliano che magnifica la lingua francese sopra la nostra, Ella, Signor mio, saprà forse che non fu il solo nè il primo. Un
Principiis omen inesse solet
. – Or ecco, poich'ella mel chiede, il catalogo delle cose da me scritte tra bene e male. –
1.
Ecco tutto quello che ho fino ad ora pubblicato col mio nome. Nel corso del 1810 e 1811 diedi agli
L'Orazione
Il discorso
Mia donna gentile – E quasi impossibile ch'io possa vedervi dentr'oggi, ed appena, – per non lasciar vanamente fuggire un giorno di sole, – potrò strascinarmi sino a porta al prato; tanto il mio tristo incomodo s'esacerba; e sto a letto, pur troppo, senza poter far nulla. Consegnate, vi prego, al latore un di que' bassi tavolinetti; e ve lo renderò quando me ne faranno uno simile. Intanto addio addio. Il vostro FOSCOLO.
Mia cara Amica – Nè ieri sera, nè stamattina, nè oggi, nè domani forse – insomma non so per quanto starò in casa: sono malato che nulla più; e peggioro sempre – e grazie al mio chirurgo: – addio mia Quirina. – Stassera non venite; perchè il sabbato sogliono venire alcune persone a desinare, e non vorrei che vedendovi si scandalizzassero per fare scandalizzar gli altri – Addio; non mi regge in mano la penna.
Rendo alla signora Contessa mille ossequiosi ringraziamenti e l'Ovidio; e dovrei invece ridarmi al libro di Job: i freddi hanno esacerbata la mia infermità, e appena ho refrigerio ne' bagni, che mi sariano mortali se non mi stessi tutto chiuso la sera nella mia stanza. Così m'è tolto di far riverenza più spesso alla signora Contessa; e avrei anche da dirle una cosa di poca importanza per Lei, e che a me importa assaissimo; vedrò ad ogni modo d'uscire fra tre o quattro giorni; quando i bagni non mi saranno sì necessari: per ora le basti di sapere
Pellico mio; quando Dio Signore e la tua pigrizia te l'hanno conceduto, io poveretto ho potuto leggere una trentina delle tue righe; e te ne ringrazio, nè t'accuso dell'avermi fatto aspettare questo conforto; ch'io so, com'uomo mortale, quanto impossibile sia di resistere a Dio, e quanto difficile alla pigrizia. Or io t'abbraccio caldissimamente, e bacio Odoardo a cui Stefanino risponderà col corriere di sabbato; e non potendo nè abbracciar nè baciare onestamente l'Emilia, le mando mille saluti apostolici i pieni di tenerezza, di carità, e di castità. Parla di me al primogenito, te ne prego, perchè verrà forse giorno ch'io starò con lui sì amorosamente e sì lungamente com'io stava teco e con Odoardo. Anderai alla posta ove si francano le lettere; chiedi del signor Francesco Gandini, giovine amorevole mio, e che tu già conosci; avvertilo ch'io gli scrivo diriggendogli una lettera pel Ministro dell'Interno, e pregalo o che la rechi tostamente egli stesso a un
(
Signor Piatti – Non trovandovi scrivo: «che pel vostro mancamento di parola, considerando io sciolto il contratto intavolato per la stampa della
Aglietti amicissimo – Siate assai ringraziato, quantunque le candelette mandatemi non fanno al caso: primamente sono sottili al mio bisogno; qui gli speziali danno il nome di
Prega il Cielo per me povero Giobbe. Addio addio.
Di me che poss'io dirti o non dirti, mia donna gentile? Sto male; e Dio sa per quanto tempo dovrò dir ch'io sto male! ed ora il mio stato peggiora, poichè neppur tu, mia cara amica, stai bene: – io non avrei osato chiedere una tua visita; eppure io già ne godeva sperandola: e pur troppo sto in casa, nè posso muovermi nemmeno per venirti a vedere! e bisogna ch'io non possa davvero; m'ucciderei; trovo unico refrigerio ne' bagni, e guai a me s'io non mi stessi tutto chiuso nella mia stanza, e le più ore nel letto: nè domani uscirò. – Faccia il cielo che s'io non ti vedo, possa almeno sapere che non hai peggiorato. Addio addio.
Stefanino è stato rimeritato della pazienza di star a letto tutto ieri, ed oggi si sente assai meglio, ed è fuori di stanza: e consegnerà
Mio caro Amico – S'io ti dicessi ch'io non ho forza nel cervello – non che di scrivere o di pensare – ma nè pure di leggere le novelle di Franco Sacchetti, tu o piangeresti, o non crederesti. Ma perch'io credo che questa mia imbecillità non durerà lungamente, tu potrai, Pellico mio, prestarmi fede e non piangere. Molti celebri medici dissero che non sapeano come l'uomo possa morire in tempo di state in Firenze, e come viverci nell'inverno: da che l'aria punge crudissimamente i nervi, e a chi guasta lo stomaco, a chi il cranio, ed a me – che sono venuto assai malandato – percote tutte le facoltà attive e passive, visibili ed invisibili della vita. – E solo per amore ti scrivo e per necessità, e fa che Borsieri mi scusi se non gli ho sì prontamente risposto; vedrò ad ogni modo ch'egli abbia la commendatizia ch'ei mi domanda; e digli ch'ei, tre o quattro giorni dopo che tu avrai ricevuto questo mio foglio, ne cerchi alla posta. Agli altri amici non parlar tanto del mio star così male. – Bensì non perdonare nè a tempo nè a passi perchè De-Capitani e Vaccari m'aiutino: a Decapitani parlerai tu, e se non potessi vederlo, scrivigli; – a Vaccari parlerà Ramondini. – Questo solo voglio che tu sappia e tu dica a que' Signori ch'io non ho un soldo per questo mese di dicembre e che se vivrò non so come vivrò; ma va bene anche ch'io morendo abbia tanto da pagare i miei piccoli debiti, e da far coprire di terra il mio piccolo corpo, piccolo sempre, ed ora per l'estrema magrezza piccolissimo. Torna dunque e ritorna a Decapitani, e fa ch'egli presto prestissimo mi soccorra. – Il mio Sterne si stampa a Pisa; e n'ebbi
Ego vir videns paupertatem meam; – queste parole della Santa Scrittura scrissi intendendole secondo lo spirito al nostro Borsieri, a cui dirai che riscuota la lettera, dalla posta; – ora le scrivo a te, scongiurandoti di commentarle letteralmente a Decapitani e al Dottore; perchè se non mi mandano que' tali quattrini, io sarò abbandonato da Chirurghi, da Medici, da Farmacopoli – idest
Eccellenza – Due volte scrissi alla signora Marianna pregandola d'ossequiare V. E., e di dire agli amici nostri, segnatamente all'ispettore Asalini, ch'io vivo assai volte col cuore in casa Veneri. Ma le mie lettere sono poco fortunate nel loro viaggio: nè De-Capitani, nè il buon Rottigni risposero a quelle ch'io scrissi; e forse non le avranno mai ricevute; onde mi rincrescerebbe assaissimo s'io fossi senza mia colpa tenuto per uomo ingrato e villano. Manderò dunque questa a Borsieri il quale si farà un pregio di presentarla a V. E. – E desidero ch'Ella sappia ch'io vivo non lieto nè sano, ma vivo a ogni modo, e confortato dalla speranza perch' io sono certo
, come dice S. Paolo, d'avere una buona coscienza
, la quale, benchè falli e pecchi assai volte, non però dissimula a sè medesima i falli e i peccati commessi. E ho letto a questi ultimi giorni un egregio discorso dell'illustre Locke
Signorina mia – Stassera io sarò da lei – s'ella non va al teatro starò lungamente con lei – s'ella ci va, starò poco – s'ella non sarà in casa bacerò l'uscio piangendo.
Mia cara Amica – Poichè il tempo è coperto, ed io sono
Sono malato, mia cara Amica – e improvvisamente – e con tutto il bellissimo sole non potrò movermi; ma se la lunga e tristissima esperienza non m'inganna, passerà presto, e potrò vedervi stassera. Fate ch'io sappia se starete in casa.
Appena uscito di letto il mio dolore s'è tanto esacerbato ch'io ho il braccio destro impedito – Ad ogni modo mi sono obbligato di desinare in casa Orosco, e Stefanino da tre dì va contando l'ore; nè uscirebbe s'io stessi in casa. –
Dunque:
Dovendo escire, ed essendo poca la strada da Via de' Martelli a Via de' Servi, e molto il mio desiderio di rivedervi, verrò prima d'andare a desinare a prendere perdonanza da voi: – e Stefanino verrà poi da sè a ringraziarvi.
Buon giorno, donna mia: piove; non pigliarti quest'acqua; appena spiovuto sarò da te; tu preparami il caffè; preparami insieme il tuo amabile sorriso – Addio Addio. –
Signor mio – Rispondo appena poche parole per ringraziarla dell'amorosa sollecitudine per la mia salute, e per dirle che parte la mia infermità esacerbata dal freddo, parte l'edizione che si fa a Pisa del
Rispondo, miei cari, all'ultima vostra data il dì 16 corrente, e mi affliggo nelle viscere udendo la mia povera sorella sempre malata. Dell'Angiolo, da quasi tre e più settimane non ho nuove; ma fa così; sì per imitarmi, sì perchè chi lavora a cavallo teme la penna, e sì perchè le spese postali asciugano oggi le borse di noi poveretti. Ma Dio ci conceda la sanità a noi tutti, e l'Angiolo ha sortita una tempra di ferro. – Con quest'ordinario scrivo al signor Spiridione Naranzi perchè oltre i soliti 18 napoleoni consegni prima che gennaro spiri altre lire 100 (cento) alla Rubina per la pigione: onde sono quieto per questa parte. Voi, miei cari, vivete quieti su la mia salute, da che mi sento forte e d'ingegno, e di cuore, e di corpo. Per l'anno venturo sono quasi certo che le circostanze seconderanno il mio cuore, e verrò a stare nel tempo delle feste un altro paio di mesi con voi, perchè ho già finita una nuova tragedia che voglio per la prima volta far recitare in Venezia. – Sappiate ch'io mi ricordo spesso del reverendo Bisbardi, e ho tanta volontà di baciarlo, che vi prego assaissimo di baciarlo per me. – Addio miei cari; e tu cara Madre mandami la tua santa benedizione.
Miei cari – A quest'oggi avrete dal signor Naranzi ri cevuto le lire 100 italiane per l'affitto, e doman l'altro (perch'io vi scrivo il dì 30 genn.o) avrete accomodate le faccende con la Municipalita: fatemelo sapere per mia quiete. Penso anche che l'affittanza scade alla fine dell'anno venturo come oggi; onde voglio ad ogni modo trovarmi a Veriezia perchè, a dirvi il vero, quella casa, benchè piaccia a voi, piace pochissimo a me, non essendovi quanto mi basta per alloggiare comodamente; tanto più ch'io ho intenzione di passare alcuni mesi tutti gli anni a Venezia, sì per piacer mio, sì per attendere anche a' vostri interessi e vivere alquanto con voi. Onde farò di venire verso le feste di dicembre di quest'anno per trovare casa migliore. – Dall'Angiolo ebbi lettera a' giorni scorsi, e di salute sta bene; si duole bensì di parecchie piccole disgrazie avvenutegli, perchè un soldato gli fece un furto; ma la somma non è rilevante. Sta per ora sempre a Lodi, e gli scrivo oggi. – Anch'io sto bene, miei cari, e me la passerei allegramente malgrado il freddo straordinario, se non fossi sempre secretamente afflitto e sollecito per la salute della povera mia sorella. Dio la consoli; povera giovine, ha patito abbastanza. Addio miei cari; salutatemi Bisbardi, e gli amici; e tu Madre mia, mandami la tua santa benedizione perchè mi conservi sempre, fino che tu vivi, per te. Addio addio.
Silvio mio, vorrei pur sapere quando e come hai spediti i due manoscritti della burletta e della tragedia; mando e rimando e vado e torno alla posta, ma vanamente: e ho aspettato ogni dì di riceverli per poterti rispondere. Ho bensì avuti i libri spediti da Borsieri, e le lettere di tuo fratello, e quelle che m'hai poscia scritto; ma de' manoscritti non ho mai saputo novella. Sospetto che la Polizia, la quale mi crede o un gran dappoco o un gran
do Reggimento de' Cacciatori a cavallo Italiani vive. Ne sono sollecito come della mia vita.
Buongiorno Quirina – Buongiorno, – prega Dio per me, perchè questo freddo mi fa male davvero, e m'irrigidisce il corpo e la mente; ed avrei irrigidito anche il cuore se destandomi non me lo sentissi sempre riscaldato da te. – Stefanino ti saluta sorridendo. – All'Aiutante di campo puoi consegnare ogni cosa. Buongiorno.
Miei cari – Ricevo l'ultima vostra oggi, e vi ringrazio assai assai dell'amore vostro per me: e s'io non pensassi sovente a voi ed alla vostra salute, io avrei più pace nell'anima mia; ma anche le inquietudini sono care quando si comportano per le persone più care che abbiamo. Aspetto lettere con impazienza da mio fratello, perchè sono più di due settimane che non ne trovo alla posta; non che io non sia avvezzo a questo e più lungo silenzio, ed anzi a dir vero gliene do l'esempio io medesimo, ma ora non so cosa sarà di lui in questo gran movimento di soldati. Vero è che egli partirebbe con la buona stagione, e che frattanto è quasi certo che si farà la pace. – Con tutto ciò vorrei sapere il suo destino con qualche certezza. Se avete nuove scrivetemi. – Qui finalmente il freddo è cessato; e fu tanto, o almeno di tal qualità, ch'io non ho mai patito come quest'anno. Spero che anche a Venezia la stagione si sarà mitigata; poverette tutte due! voi non meritate che il tempo e le infermità vi tormentino. – Baciatemi Pippi. Salutate il Bisbardi, e ditegli che a suo tempo avrà le calzette ed il fazzoletto sacerdotale; ditegli che, se vuole venire a veder Firenze, io lo albergherò meco, e desineremo insieme, e lo condurrò dalle signore che io conosco, purchè si contenti di cantare solamente, e si ricordi che se
Amico, fratello e figliuolo mio Silvio – finalmente oggi 12 febbraio ricevo – ben sigillato nondimeno e senza indizio veruno di inquisizioni – il tuo involto spedito, come pare dalla data a' 26 di dicembre, e potevano anche leggere a loro posta, ma dovevano ad ogni modo farmelo avere assai prima. Della tragedia non ho letto nè pure un verso, da che io scriveva pel corriere d'oggi; e questa è l'ultima delle lettere che spedirò fra mezz'ora a impostare. Bensì delle parole o Trionfo d'Amore, se non m'inganno:
e delle altre parole scomunicate da quel povero cascavivo abate Gironi ti troverei esempi se il servo non fosse qui ritto chiedendomi le lettere, e dicendomi che l'ora è battuta. E sono anche stracco dal lungo scrivere d'oggi, e te n'avvedrai da questi scarabocchi. Ma per Dio vieni in Firenze; per Dio! – Bacia Odoardo, e sua Madre; ma Odoardo tre volte, e sua Madre una volta sola; abbracciami anche l'altro figliuoletto, e Borsieri e tuo fratello a cui domanderai perdono se non ho per anche scritto. – Scriverò. – Ora sto assai meglio, Pellico mio ¡ e vado anch'io tragediando, perchè Yorick è ito a farsi stampare a Pisa e mi sono tolta dinanzi quella seccaggine: non tradurrò più; Dio guardi me e te e gli .amici nostri da tutte le servitù. Addio. Fra giorili avrai le
Domani la Signora Massimina e suo marito e i bambini desineranno
Silvio fratello – Innanzi a tutto, perch'io non me ne dimentichi, come poco fa quando scriveva a tuo fratello, gli dirai, che il Manetti mi recapita diligentemente le lettere; che lo Sterne appena stampato – ed è a Pisa, e chi sa quanto tempo ci vorrà – appena stampato, ve lo manderò ad ogni modo con alcuni esemplari per Torino: e perchè tuo fratello mi richiede anche del mio parere su la tua
Silvio mio, la prima scena mi fu prospettiva di bellissimo edificio; ma quella d'Ificlo con Laodamia, alla parlata: Il cielo ci prostrò nel dolcre
ecc. – e all'altra: Sepolta! oh il caro viso
; e sopra tutto a que' versi: A parlar chi mi sforza?
le lagrime mi grondavan dagli occhi; ed ho lasciato quasi a forza il tuo manoscritto. – È vero che omai io sono fatto sì discepolo del dolore che poco ci vuole a farmi piangere quand'io sono solo: e forse la bella e certa speranza che m'hai improvvisamente dato dell'ingegno tuo – perch'io conosceva già l'anima tua – furono anche eccitamento al mio pianto: ad ogni modo, senza la profonda verità della passione di Laodamia io non avrei certo mai lagrimato. Ho poscia ripreso a leggere, posatamente, per quanto ho potuto, la tragedia; ed eccoti – finchè il cielo mi conceda di riabbracciarti e di esaminarla teco verso per verso – eccoti distesamente il mio giudizio: – e schiettissimo, perchè sono amico dell'arte, e tuo, e della verità di cui mi pasco, e addolcisco ogni amarezza.
Or ricordami d'averti detto che, secondo l'opinione mia – la quale perchè è tutta mia non affermerò che sia certa mancando essa della sanzione del tempo – la tragedia è un'azione operata da uomini i quali denno dalla madre natura avere sortiti caratteri forti d'anima: e questi caratteri l'autore deve desumerli dalla esperienza quotidiana del mondo e dalle storie, e alla realtà aggiungervi la bellezza, grandezza, deformità ideale, come fanno i sommi pittori e scultori, i quali ci rappresentano volti d'uomini che noi confessiamo essere perfettissimi della specie umana; e nondimeno non troviamo tra' mortali viventi verun modello che somigli quelle figure: con che si viene a conseguire il nuovo, il mirabile, e il sublime, senza i quali non si danno arti d'immaginazione. – Trovati i caratteri, l'autore dovrà dare ad essi passioni conformi alla loro indole, persuadendo allo spettatore che quelle passioni le avevano nell'anima già da gran tempo e che bollivano secretamente e operavano: il che conferisce al verosimile e al vero; nè lo spettatore crederà esagerate quelle passioni ove s'accerti che sieno state alimentate dal tempo in anime forti. – Finalmente, dati questi caratteri e queste passioni, l'autore deve nel breve spazio dal principio alla fine della sua azione far nascere tali accidenti che, quantunque naturalissimi e quasi minimi, ridestino quelle antiche passioni, le facciano operare fortemente in que' forti caratteri, e sciolgano pietosamente e terribilmente l'azione. Tu vedi che in questa teoria – che ad essere ben dichiarata avrebbe bisogno di ragionamenti lunghi e d'esempi – si comprende il
Adunque, quanto al soggetto, una donna che con anima sovrumana e per lunghe sventure di amore santissimo s'avvelena e cade fra le braccia del marito ch'essa credeva morto, è soggetto di bella tragedia d'amore. Ma l'amore nelle tragedie, quand'esso sia la passione principale, deve regnare tuttoquanto e solo da sè; e tutti i caratteri, gli avvenimenti e le parole devono tutte rivolgersi a infiammar quell'amore. Se non che avviene per lo più che il soggetto amoroso sia sterile di fatti, e quindi, come nella Mirra, l'autore dovrà alimentarlo di passione e così gradatamente e perplessamente che non occupi troppo dal principio alla fine, o troppo al principio e poco alla fine della tragedia; e che abbia vicende di dolor lungo e di gioia e speranza passeggera affinchè il tristo suono della medesima corda non riesca stucchevole. Può anche il poeta, come nel Tancredi di Voltaire, pascere lo spettatore d'avvenimenti straordinarii e cumularli su la passione d'amore onde rieccitarla; ma in questo caso farà più battere le mani che il cuore il quale vuol regnar solo, e non piange liberamente quando ha la mente confusa e abalordita dalla tela della tragedia. Or poichè la tua Laodamia è soggetto d'amore, ed essa è il protagonista come appare anche dal titolo, tu cadi sotto questa censura, che il protagonista e la sua passione sembrano accessorii, o se non altro sono misti ad altre passioni che primeggiano nella tragedia. Il Protagonista è quello che
Quanto a' caratteri vedo che bisognerebbe una lunga dichiarazione di questa parola, e mi manca per oggi ed il tempo e la freddezza d'ingegno a svolgere in dimostrazioni didattiche il concetto che ho ben radicato nella mente ma che non si può interpretare senza noiosissime definizioni. Ma perchè dall'esecuzione vedo che tu pure sai che cos'è
Di
o perchè, alla vendetta contro Ificlo par che aggiunga e quasi gratuitamente l'odio contra tutto il genere umano. 2do perchè sprezzando Podarce e abborrendolo come tiranno, e mostrandosi di più alto ingegno che Podarce, termina ad essere servo, e macchinatore stolto delle trame che fanno Podarce re, e al quale Callante ubbidisce. 3zo perchè – quantunque sì fatti caratteri e le loro azioni e parole debbano essere tenebrose –·il poeta non lascia vedere nè come nè perchè nè quando nè a qual fine determinato si faccia col consiglio e consentimento di Callante quella congiura che riducesi poscia al nulla. 4to Pecca finalmente questo carattere perchè unendosi a quel di Podarce accresce l'orrore: ricordami d'avere assistito all'Ottavia dell'Alfieri ch'io aveva letta e riletta con somma pietà e meraviglia; ma vedendo vivi e parlanti Nerone, Tigellino e Poppea scellerati mostruosi accaniti contro l'innocente figlia di Claudio, sono fuggito al terz'atto compreso di ribrezzo noioso e nauseante, quasi vedessi un bambino sbranato vivo da un tigre; e mi sono tanto più confermato nella mia sentenza che i caratteri senza armonia tra di loro, e senza contrasto graduato riescono male.
Oh come forvo mi sogguardi
.
Da questi caratteri adunque, e prescindendo da' loro difetti, deriva che la tua tragedia è una lotta di scelleratissimi avveduti e forti, contro i virtuosissimi incauti e deboli: e quindi da una parte ispira orrore e non terrore, e dall'altra pietà senza nobile ammirazione degli sventurati: il che t'è accaduto perchè il contrasto de' caratteri non è graduato nè armonico.
Quanto al o del matrimonio violento di Laodamia con Podarce; e sino a tutto l'atto terzo non si opera nulla: bensì nel 4to e nel 5to atto gli avvenimenti si affollano e s'incalzano, e Femia, e la congiura, e Protesilao inopinatamente apparso, e l'evocazione dello Spettro, e tant'altre circostanze non ben preparate nè graduate confondono la mente dell'uditore: così prima tu hai peccato nel
Quanto all'
Lo o di ciò che si deve dire; 2do del modo con cui ciò che si deve dire è concepito e sentito; 3zo del modo con cui sono disegnate le idee tra di loro; 4to del modo con cui sono colorite cioè della frase; 5to finalmente della proprietà del vocabolo, cioè della lingua, – osservandolo in tutte queste parti io non ti direi cose che tu non abbia altre volte udite da me, ed allungherei questa lunghissima tiritera. Andrebbe bene ad ogni modo che queste teorie si potessero applicare oggi al tuo stile, ed esaminare da te ed approvarle o correggerle. Ma riserbandosi ad altro tempo dirò; che: quanto al 1o capo, tu dici ciò che ogni personaggio deve dire. Quanto al 2do tu concepisci chiaramente e fai sentire fortemente. Quanto al 3zo capo tu non hai sobrietà nè esattezza di disegno, e spesso l'idea accessoria spicca più della principale. Quanto al 4to la tua frase è quasi sempre poetica e il colorito vivissimo e risentito; bensì ti manca certo raffinamento di gusto; e l'acquisterai con l'esercizio di scrivere molto e con la meditazione dello stile de' pochi grandi scrittori, e segnatamente de' Latini e di Virgilio. Quanto al 5to la frase perchè è, come deve sempre essere in ogni vero scrittore, tutta tua propria, ti fa alle volte violare il carattere della lingua italiana, e le critiche del Gironi che sono per lo più pedantesche e stolte ne'
sono versi mal fatti anzi non sono versi. E per darti un esempio anche delle frasi che non mi piacciono citerò queste due: Sotto l'idolo non nacqui io del timor
. Che vuoi tu dir qui? Che tu non adori il timore? o che non ti fai adorare dal timore? Il luogo dov'è detto questo pensiero produce amfibologia; senza che la stessa metafora la produce da sè. L'altra frase pecca d'improprietà ed è questa: Governator d'Antrone
. Governatore d'una città è frase moderna; bensì gli antichi Greci dicevano governatore di una o più navi: ma per comandante guerriero, o prefetto, o magistrato d'una città va cercato altro vocabolo che non mi viene ora in mente. Bensì bellissimo e per la frase, e per la sentenza e per l'armonia è quel verso,
E di questi n'hai molti.
Dopo queste severe censure dico: che la tragedia mostra un'anima alta, un cuore ardente, un'immaginazione abbondante ed un ingegno insomma che fa sperare moltissimo, appunto perchè sbaglia per troppo vigore e per ardite imprudenze: ti dirò anche che tu ti mostri poeta anche a chi non vedesse fuorchè soli cento de' bei versi di quella tragedia: ti dirò; ch'io non la farei rappresentare perchè con poche settimane di nuove vigilie sovr'essa, o in parecchi mesi nel lavoro d'un'altra potresti mostrarti più sicuramente al giudizio del pubblico; e il primo giudizio il
Silvio mio, ora ti vo' dire che fui, mesi addietro cortesemente dal Direttore di polizia o Commissario generale di Toscana richiesto delle mie ragioni d'
Ugoni amicissimo – Voi da più mesi aspetterete lettere da me; e ve ne sarete omai dato pace; tanto più ch'io non sono accreditato di diligenza tra gli autori d'epistolarii. Saprete ad ogni modo ch'io mi ricordo di voi, perchè sapete ch'io non mi dimentico degli amici se non quando sono dimentico della vita; però non mi siete affatto uscito di mente se non nel sonno, e sol m'uscirete per sempre quando chiuderò gli occhi; e questo mio cuore inquietissimo gelerà nelle mani della Morte. Intanto questo mio cuore, mio caro Ugoni, è piagato dalla morte di tanti amici miei militari; e la memoria di queste perdite cresce con gli anni, da che si vanno desiderando quegli amici che la gioventù sola può eleggere e la lunga consuetudine radicare nel nostro cuore. Or sono a' trentacinque anni: e se m'abbandonano i piaceri da me apparecchiati per questa età, pochi omai posso raccoglierne per l'avvenire. Onde quanto più piango gli amici perduti tanto più amo que' pochi che mi rimangono. Salutatemi dunque e baciatemi Borgno, e Bianchi, e Lechi, ed Arrivabene, e Scalvigni assai; gli scriverò un giorno forse. Ma di Borgno verrei vedere stampata la dissertazione e la versione ed il carme; fate omai di spedirmela per mezzo di alcun libraio corrispondente di Molini e Landi in Firenze: piacciavi anche di pagare a Borgno i due esemplari a' quali mi sono associato; ve ne rimborserò o di qui, o quando tornerò in Lombardia, o come vorrete. Lo Sterne si sta stampando a Pisa; e la Ricciarda sarà presto finita: ma ho spesso certe angosce di cuore preparate forse dalla natura nell'utero di mia Madre, ma esacerbate dalla fortuna in questa valle di lagrime; per cui non posso lavorare nè quanto nè come vorrei. Salutate la Marzia, e vostro fratello in nome mio e di Stefano. Appena stampato manderò tre o quattro esemplari dello Sterne per voi e gli amici nostri: ma ci vorranno forse due mesi ancora.
Madre mia – Ricevo oggi una lettera dall'Angiolo che mi reca infinita consolazione, e quanta non n'ebbi forse mai da che tu m'hai dato de' fratelli. Non già del suo avvanzamento, benchè oltre l'essere Capitano egli sarà senza dubbio o aiutante di campo del Generale comandante la cavalleria, o aiutante maggiore d'un Reggimento: tanto Dio ha benedette le mie cure, ha premiate le fatiche di quel buon giovine, ed ha ascoltate le tue calde preghiere, la mia consolazione più vera deriva dal vedere che il tuo figlio al primo raggio di lieta fortuna pensa a te ed alla sua famiglia. Mi scrive che malgrado alcuni debiti che gli restano da pagare, e parecchie spese vistose che deve fare prima della sua partenza, s'è ad ogni modo concertato col Ministero della Guerra perchè ti faccia puntualmente pagare ogni mese lire cinquantadue di Milano, che fanno otto napoleoni, i quali aggiunti a quello che avete ed alla pigione di casa ch'io voglio che ad ogni modo continui ad essere pagata da me, vi farà, miei cari, vivere meglio assai, e sostenere con men dolore le vostre tante infermità, e sopra tutto – e di ciò scongiuro te Madre mia, e la Rubina – sopra tutto vi facciate meglio servire, perchè nell'età dell'una e nello stato infermo dell'altra avete bisogno di servitù. Ecco in due voi avete ventisei, e compreso l'affitto di casa, trenta talleri al mese, oltre i regalucci che sicuramente io che sono il vostro fattore v'andrò facendo: e per ora ho meco un bel velo da testa di bionda elegantissimamente e riccamente ricamato, lungo braccia quasi tre, e largo uno, per la Rubina; ed insieme una tabacchiera di tartaruga con un bel mosaico sopra dov'è un cardellino, e una vera da dito fatta co' miei capelli e legata in oro per la Mamma. E se fra due o tre giorni non troverò occasione, vi manderò l'involtino per la posta. Trattanto per onore dell'Angiolo, desidero che voi partecipiate gli effetti del suo buon cuore e del suo amore figliale agli amici e parenti, e sopra tutto a casa Naranzi; e dite al signor Costantino vecchio, che que' figliuoletti educati da te madre mia, con tanti sudori e con lagrime, e in mezzo a tanti pericoli e i vizii de' tempi sono stati e saranno benedetti dal Signore. Or addio: e tu, Pippi, studia ed impara da' tuoi zii ad amare e aiutare tua Madre: tu, Madre mia manda a noi tutti la tua santa benedizione.
Esco di casa a vedere una villetta; e m'era impegnato da ier l'altro. Prima delle quattro verrò ad ogni modo.
Ho messo ier sera a soquadro tutta la festa perchè ho titillate con epigrammi le giovani, e con lodi le vecchie, e tutte correvano addietro il mio Domino Lombardo.
Or addio mia donna addio.
Mio caro amico – Non so a chi raccomandare la persona che ti recherà questo foglio se non a te che hai cuore e volontà e mezzi forse da compiacere alla tua umana natura e alla preghiera dell'amico tuo. Ho condotto meco in Firenze un uomo dell'età mia per domestico; nè io posso dolermi della sua fede; posso bensì lodarmi della sua abilità. Ma tu sai che il genere umano vive sempre d'antipatie e di simpatie; ed il suo carattere un po' troppo riservato e tristo meco, e un po' troppo risentito con gli altri m'obbliga a rimandarlo, benchè con grave mia spesa, a Milano, e a cercarmi persona forse men abile ma più omogenea a me, che ho bisogno di essere rallegrato e di non udire liti e pettegolezzi domestici. In altra casa dove il padrone sia men povero di me, e men occupato di libri, di pensieri e d'infermità, e dove vi sia un maestro di casa o un vigilante padre di famiglia, e sopra tutto in una casa senatoria o ministeriale, quest'uomo può riescire utilissimo agli altri e a se stesso. Vedi dunque di far per lui tutto quello che puoi. Dell'altre mie cose ti parlerà una lettera che manderò a Pellico per te.
o 6 napoleoni a Domenico mio vecchio servo.
Mia cara Amica – Ecco ciò ch'io ti voleva dire ier sera, se fossi restato solo con te. – Io non ho preso da Bicchierai il danaro ch'io doveva pigliare a' primi di marzo sì per risparmiare una mezza dozzina di zecchini di frutti, sì perch'io credeva che non n'avrei più di bisogno. Ma da tre ordinari non ricevo lettere; alle dieci era già stamattina venuto il corriere d'Italia, e non vedo novelle nè cambiali da Milano nè da Venezia. Prevedendo questo accidente ho scritto a Molini perchè venga oggi, e verrà fra mezz'ora; ma egli non vorrà forse recedere dal 12 per 100, al qual prezzo mi offrì più volte danaro contro cambiali. Se dunque tu puoi darmi 80 zecchini, parte de' quali dovrò pagare il dì 15, io te ne sarò grato: ma non li prenderò che a questi due patti, e ricordati ch'io soglio essere irremovibile: primamente tu piglierai una cambiale pagabile in sei mesi; in secondo luogo io ti darò il cinque per 100. Senza queste due condizioni, io sarò obbligato a dipendere dal Bicchierai o da Molini, col quale contratterò definitivamente a norma della tua risposta. Addio in fretta perchè ho qui innanzi a me gente d'ogni tribù. Alle una o poco più tardi ti vedrò. Addio addio.
Io era certo, Silvio mio, che le mie censure ti sarebbero riescite più grate delle altrui lodi: solo mi rincresce d'averle scritte sì in fretta e d'avere più ciarlato che detto sopra un argomento che tanto importa a noi due; ed ora m'importa assai più; poichè dal tuo ingegno e dalla tua fama dipende in gran parte quel po' di contentezza ch'io spero nella mia vita. Non mi venne fatto, o mio Silvio, d'indurre Blanes a leggere la tua tragedia, per sapere da lui s'egli l'avrebbe recitata e a che patti: qui faceva da comico e da impresario – ed anche un po' da
Dionisio mio – io non sapeva più oramai che sperare; e il mio più amaro pensiero era che voi non foste arrivati; e benchè l'unica tua da noi ricevuta sia del 12 settembre; e d'allora in qua non sappiamo novelle di te, la certezza che tu sei in patria ristora l'afflizione cagionataci dalla tua lontananza. Or noi stiamo aspettandoti, Dionisio mio, aspettandoti sempre: e trattanto passeremo la state in campagna sopra una collina presso Firenze; e spero che la campagna sarà più propizia alla mia mente, al mio cuore, e al mio corpo; – tu m'hai lasciato infermo, e non sono ancor ben guarito. – Inoltre la solitudine e i piaceri campestri gioveranno maggiormente agli esercizi di Stefano, preserveranno i suoi costumi nell'età più pericolosa dell'uomo, e aiuteranno i suoi studi, poichè in campagna il maestro abiterà insieme con noi. All'autunno, se la mia salute potrà tollerare il viaggio, andremo a Roma ed a Napoli; ed a primavera del 1814 torneremo a Venezia per pochi giorni, e poscia a Milano. Questi disegni ad ogni modo dipendono dalla tua tornata; e Dio faccia che tu possa tornare presto; e farcegli cangiare, o a secondarli, viaggiando quietamente economicamente ed utilmente con noi. Dobbiamo dirti che dal signor Spiridione Naranzi, tuo fratello ed io abbiamo ricevute molte e spontanee e cordiali assistenze: toccherà a te a compensarle, come a noi ad essergliene grati per tutta la vita. A Milano farà sapere tue nuove. Abbraccia Costantino, Giorgetto Rossi e gli altri amici miei, e ricordami al mio maestro canonico Reynaud. Addio, mio Dionisio; noi amando te ci amiamo più cordialmente tra noi due. Addio con tutta l'anima – addio – L'amico tuo
Ti rimando, mia donna gentile, – e tu li rimanderai con mille ringraziamenti al signor Domenico, – il
Non scenderò per oggi, Quirina mia; il vento forse mi farebbe male; e peggio il moto: e devo anche aver l'occhio a mille cose che si vanno accomodando. Nel resto non mi trovo malcontento; e la pace ch'io provo mestamente quassù, sarebbe invece lietissima s'io potessi avere in te vicine le due persone che mi sono sì necessarie, l'amante e l'amico. Ma io verrò a cercarti, perchè quanto più lungamente starò a rivederti, tanto più il mio cuore e tutti i miei pensieri sospireranno te sola, mia cara Amica – Domani, senza fallo, dopo mezzodì sarò teco; e solo potrebbe rattenermi la grandine o un diluvio di pioggia. Ma non pioverà spero. – Addio addio, Quirina mia; amami perch'io t'amo davvero. Addio addio.
Silvio mio – Intendeva di scriverti lungamente, come ti promisi sabbato scorso, ma da lunedì sino a ieri io ebbi la noia e i dolori delle varici che mi si rigonfiarono nel collo dell'uretra, e che ho guarito con le mignatte, ed ora tento di sanare del tutto co' bagni freddi. Sto in una villa dove Galileo veniva a conversare con le stelle: io converso con le mie malinconie; sono ad ogni modo libero e solo. – Ti scriverò dunque presto liberamente, e con l'amoroso desiderio dell'uomo solitario che sdegna gli uomini che non conosce, benchè gli sieno vicini; e che sospira i suoi pochi amici lontani. – Or vorrei che tu tornassi ad avvertire Ramondini che oggi consegno il piego alla posta; e pregalo di riscuoterlo, e di eseguire, amandomi e perdonandomi, le commissioni con le quali sono dalla fortuna costretto a noiarlo: se mai non potesse ben leggere i miei brutti caratteri, aiutalo; e se tu potessi pigliarti in sua vece alcuna delle noie ch'io gli do, tu farai sommo piacere a me, e forse a Ramondini, e certo a te stesso. – Finalmente, caso che Ramondini non fosse in Milano, riscuoti la lettera sua che ha il mio carattere, aprila, e fa per me quello che puoi. Addio in fretta, ma con tutta l'anima. Addio.
Presto, Silvio mio; perchè ho dovuto copiar questa lettera, tanti scorbi ho fatto nella prima minuta; e poi ho dovuto ricopiarla per umanizzare s'io poteva il mio gattesco carattere; ed ho perduto sei quarti d'ora. – Dunque questa è la lettera per Fontanelli. – Dàlla a Ramondini; la pieghi e la sigilli; ci aggiunga una petizione bollata, e la raccomandi: ne parli al segretario generale Zanoli, ed all'aiutante Provasi a cui scrissi diriggendo la lettera
Miei cari – Oggi otto vi scrissi; eccomi esattamente con la mia lettera settimanale a farvi sapere ch'io vivo, e benissimo; perchè la primavera di questo clima è beata, e mi fa più lieto d'animo e più vivo di mente; e il corpo in me suole sempre secondare lo spirito. D'Angiolo so buone e freschissime nuove; non partirà per ora; ma quand'anche partisse in quest'anno, noi dobbiamo star quieti sul suo destino; perchè la guerra non sarà viva, nè Sua Maestà la ricomincerà se non quando avrà apparecchiate nuove forze che la finiscano una volta per sempre. E poi l'Angiolo come aiutante di campo avrà meno fatiche e minori pericoli. Frattanto quello che mi consola tutti i giorni si è che l'Angiolo è contento, e che la sua contentezza ridonda pienissima nell'animo vostro; e voi, miei cari, ora anche per l'economia state bene, e la Rubina potrà finalmente attendere alla sua disgraziata salute: e la sua salute è l'unica cosa che mi affligge. – Io sto ora in campagna, poco lontano dalla città sopra una collina; e vivo più quietamente, e studio più assiduamente. La state di Firenze rende l'anima a' moribondi; ma il verno è così maligno che la toglie anche a' più sani: e fu veramente una benedizione d'Iddio ch'ebbe pietà di voi e che mi tenne sano ne' brutti mesi passati. Vorrei sapere se avete ricevuto ciò che vi ho spedito per mezzo del signor Petrizzopulo, e se i miei poveri regalucci riescirono di vostro gusto. Temo bensì che la vera non sia troppo stretta per la Mamma: in questo caso la Rubina può tenerla per sè, e cangiando o raschiando la lametta dove dice
Signor Capitano, riscontro il vostro foglio corrente, prevenendovi di avervi accordato la chiestami proroga di otto mesi, cogli appuntamenti di mezza attività.
Mi compiaccio di avervi in tal modo procurato i mezzi per consolidare la Vostra salute, e perchè possiate utilmente occuparvi degli ameni vostri studi, onde dare alla letteratura nuove ed interessanti produzioni.
Ho il piacere di salutarvi, Signor Capitano, distintamente.
Mia cara Amica – Non ho voce da parlare tanto sono raffreddato, nè forza di scrivere, tanto sono arrabbiato. – Ah domani voglio vivere tutto tutto il giorno dalla mattina alla sera con te. – Eccoti la lista – e perdona al tuo Amico. – Addio addio. – Per carità mandami il tuo Giuseppe senza del quale non so come potrò fare. – Addio. – Ah aspetto domani. Addio.
S'io non avessi la certezza che domani – tutto domani – t'avrò vicina, e starò solo, tutto solo, con te, io non sopporterei con tanta rassegnazione l'infiammazione che mi arde tutto dentro e fuori. – Sono stato male tutt'oggi – male davvero – e benchè i miei ospiù sieno stati oltre ogni mia speranza benissimo – ed è tutto tuo merito, mia Quirina, – la loro soddisfazione e i loro ringraziamenti non m'hanno servito di rimedio: il tuo Giuseppe – e ti ringrazio anche di ciò – s'è portato da Eroe; ma io gli sarò più grato domani perchè t'accompagnerà. Non so, poveretta mia, se tu mi farai domani più da ospite che da infermiera; ma s'io starò anche morente vicino a te, non sentirò nè il dolore nè il languore dell'infermità. Or addio, Quirina mia; vado a letto; ardo tutto, e appena ho respiro: ma sinchè ne avrò sarà tutto tuo. Addio addio.
Signora Contessa – Ieri sono venuto in ispirito a venerare passando il ritratto del Conte; e ad ossequiar Lei; e a dare un'occhiata d'amore spirituale alla bella Musa che presiede tacita alle nostre conversazioni, – ed oggi più di ieri il mio spirito vola sino a Firenze, e torna per avvertirmi che ode suonare, e vede molte gentili ragazze che ballano. – Ma lo spirito ha un bel tentarmi; il mio disgraziato corpo è costretto a resistere mal suo grado alle tentazioni – insomma sono malato d'una infiammazioncella di petto e di gola, e da ieri in qua mi sento la febbre; e se fra tre giorni la molt'acqua, e la dieta, e il perpetuo e muto riposo non mi guarissero, verrò ad assaporare la infermità in Firenze, perchè non si dica ch'io voglio essere irregolarmente malato. -Ed ecco, Signora Contessa, le ragioni per le quali io sono necessitato a starmi qui tutto solo; – ma nessuna necessità potrà mai obbligarmi a non serbare verso di Lei l'animo di un servidore devoto e leale.
J'avois bien appris, mon cher Monsieur, que vous aviez donné un banquet magnifique à un
Je regrette de ne pas vous voir, j' m'habitue facilement à jouir de votre aimable et instructive conversation qu'il est difficile de remplacer. Quand j'ai reçu votre billet hier au soir vos anciennes belles m'ont para inquiètes de votre santé, surtout la R. et l'Isabelle a demandé de vos nouvelles avec empressement. Vous êtes l'enfant gâté des femmes, votre enthousiasme pour elles les ravis. Pour moi, qui me pique de connoître vos belles qualités morales, car je vous crois aussi bon que spirituel, je m'interesse sincèrement et solidement à vous. Disposez donc de moi si je puis vous être nécessaire et comptez sur mon tendre intérêt. Descendez de votre Montagne pour vous faire soigner et qu'on puisse savoir plus facilement de vos nouvelles.
Au plaisir de vous voir.
Buvez du lait sucré si vous pouvez le digérer, tâchez d'éteindre le feu de votre poitrine avec laquelle vous ne devez
Avrei voluto risponderle ieri sera – ma fosse l'avere lungamente scritto, o l'aria che al cader del sole si fa più acuta, io non aveva più forza vitale in me stesso, e cercai ricovero sotto le coltri. E in quel lunghissimo affanno mi fu conforto il pensare ch'Ella, mia Signora, e le poche persone che hanno
Questa leggenda non partirà stassera – la Luna s'alza assai tardi, e non vorrei che questo buio e la via solitaria facessero apparire gli spiriti al mio servo, che è buon cristiano – ma che forse non mi perdonerebbe nel suo cuore s'io lo esponessi in ora sì inopportuna a questo scendere e salire faticosissimo. – Domani dunque la mia lettera verrà alcune ore prima di me. Ella frattanto, mia Signora, mi creda suo servidore ed amico leale.
La Signora permetterà ch'io stassera non passi le mura della città per tre ragioni – Oggi io, non so per che colpa, sono malato, non tanto da stare a letto, ma tanto da non sapere come trarre il respiro; ed oggi il vento quassù è così forte che Stefanino s'è rivestito di panno – 2o Domani parte la posta ed io ho da scrivere molte lettere che mi premono assai – 3o La Signora mi ha espressamente ordinato che, quand'io mi sentissi male, non venissi a Firenze; ed oggi più che mai sono obbligato ad obbedirla perchè invece di tenerle compagnia, la obbligherei, senza ch'io volessi, a far da infermiera. – Fra queste ragioni si poteva prima supporre che c'entrasse la Ricciarda; ma la Ricciarda m'ha invece tanto seccato ieri ed oggi, che avrei bisogno di cercare per un po' migliore e più lieta occupazione.– Dunque domani verso le 12, perchè sino allora dovrò scrivere lettere, verrò col sole, ma volentierissimo, a Firenze.
Ieri ho mandato Lorenzo con un biglietto dal mio banchiere, ed era in campagna. Stamattina l'ho rimandato e trovò chiuso; lo mando domattina, e se mai avesse la stessa sorte, ti prego di ritirare il biglietto, a scanso di pericoli se mai Lorenzo lo perdesse, e di consegnargli il danaro che potrai; ti avverto che a conto della cambiale lasciata a te, ho ricevuto 132 monete: ti chiedo scusa di tante noie, mia cara amica. È un'ora da che tu sei partita, e ch'io sono a letto e mi sento affannato peggio che mai. Domattina ti scriverò per mezzo di Pietro. – Addio.
«Amico mio, e non della ventura» – Amico mio vero – Ebbi in grazia delle tue cure paterne, oltre il denaro di cui m'hai avvisato, anche una lettera del conte Vaccari, e un'altra del Ministro della guerra con la proroga della licenza: onde s'io fossi sano, e potessi rivederti e ciarlare lungamente teco, una volta almeno alla settimana io mi loderei della fortuna, quanto a me e alla mia famigliuola e agli amici miei che mi restano, – perchè quanto alla fortuna dell'Italia, io ne vivo sollecito, e mando sempre voti per la vita del Vice-Re ch'io non ho lodato mai, ma che amo ed onoro assai – assai più di tanti suoi lodatori. A' due Ministri dunque tu renderai quante grazie saprai, e quella tua mite e leale eloquenza le farà parere più care. Dall'amico De-Capitani non ebbi lettera; ebbi ad ogni modo beneficii taciti e pronti; e so ch'egli ha l'anima piena per tutti d'umanità, e per me piena di amore. Il Barinetti rispose subito e mi mandò il conto che mi è utilissimo, poichè so con quanto biscotto andrò navigando: tu, se mai lo vedi, ringrazialo cordialmente della sua diligenza amichevole. Se talvolta accadesse il discorso su di me col Gran-Giudice, piacciati di farti mallevadore della mia stima schietta e scevra di speranze venali, e della mia gratitudine pel bene ch'egli spontaneamente ha voluto farmi, e molto più ti farai mallevadore della mia devota amicizia per tutti quelli che governano con saviezza e con nobile mansuetudine la mia patria.
Alla famiglia Radice ricordami talvolta, e godo di sapere accasata «La bella giovinetta che ora è donna»: – ne godo – perchè quantunque a me piacesse moltissimo, io non voleva piacere a lei, da che oggimai la poca felicità ch'io posso sperar sulla terra consiste nel non far miseri gli altri. – Vo' dire insomma ch'io non sono più in età da far star allegra una moglie, e bench'io sia svisceratissimo partigiano del matrimonio, m'acqueto al triste partito di vivere e di morir solo. Ma per la madre dell'Antonietta serbo tuttavia un lungo discorso ch'io le terrò quando Dio vorrà ch'io ritorni. – A tante persone nominate in questo foglio tu sai che cosa devi dire per me; ma il mio cuore, perchè è troppo pieno e confuso per tanta e sì nobile e umana benevolenza, non sa suggerirti parole che esprimano tutta la mia riconoscenza verso il signor senatore Veneri. Sappi solamente ch'io fra quante nature d'uomini privati e pubblici ho considerate in mia vita, non ho trovato verun mortale che come il Veneri sia temprato di tanto vigore e di tanta umanità d'animo, di tanta indulgenza e di tanta religione ad un tempo, e che abbia più di lui affratellati i doveri del Ministro di Stato con quelli del cittadino – e tu sai che sono quasi sempre insociabili, tra di loro. Però io, ripensando a lui, derivo qualche conforto col persuadermi che la natura crea in tutti i paesi alcune persone le quali siano d'ornamento alla patria, d'esempio a chi tende a farsi migliore, e di consolazione a' mortali che non son felici. Però s'egli sente nel suo cuore il bisogno di beneficarmi, io per essergli perpetuamente amico ed estimatore non ho bisogno d'essere beneficato; e s'io non mi vaglio delle sue cordiali proferte, non lo ascriva ad orgoglio, bensì al non essere io stretto dalla necessità; nel qual caso io mi volgerei piuttosto a lui che ad altro uomo sopra la terra, – te eccettuato, Ramondo mio; – ma per ora son provveduto; e quel poter riscuotere anticipatamente il trimestre mi trae di gravissimi imbrogli. – Salutami assaissimo e sorridendo il mio Compagnoni, a cui penso spesso sorridendo; e giurerei quasi, se nol conoscessi da tanto tempo, giurerei ch'ei non sa leggere, tanto è lontano dalla venalità, dall'invidia, e dalla malignità che adornano, essenzialmente quasi, quelli che professano letteratura in Milano. – Appena rivedrai Pellico nostro, bacialo e ribacialo; e mi rallegro trattanto ch'egli corra le poste con Luigi perchè potrà farsi conoscere, e Luigi ha occhi nell'intelletto, e credo anche ch'egli abbia viscere umane nel petto. All'altro Pellico scrivo oggi. – Della mia salute posso darti migliori nuove: bensì la tosse cominciò a mezzo aprile a ritormentarmi; e le si aggiunge certo affanno di petto che somiglia all'asma, ma che si placa con la libazione d'una tazza di caffè senza zucchero; la tosse per altro è implacabile, e ha seco un ardore quasi febbrile che mi occupa la testa e le membra. Ma quest'aria sottilissima ed acremente vitale di Bellosguardo mi guarirà o m'ucciderà; spero l'uno, nè temo l'altro; – ma finchè ho fiato di vita sarò il tuo
La signora Rosellini, che mi lascia ora, mi ha detto ch'Ella, Signora Contessa, ha la bontà d'avere a cuore la mia salute; ed io non so come mostrarle la mia riconoscenza, se non se col darle alcuna novella della mia magra e malinconica persona. Stamattina io non aveva quasi speranza di potermi alzare da letto; ma la febbre andò declinando verso le cinque; ed ho assistito al desinare; e lasciando parlare gli altri, mi sono rallegrato – ed ora mi pare di star assai meglio: vero è che la febbre mi visita a notte avanzata; nondimeno – se pur verrà – verrà con intenzioni più miti; perchè non ho nè l'affanno nè la tosse che ier sera mi sbranavano il petto. – Ma trattanto come va la sua infreddatura? La Rosellini mi disse che Ella non era per anche libera: e ne sono sollecito. Se domani starò meglio, verrò a informarmene io; – diversamente, piacciale di lasciare qualche ordine affinchè il servo che verrà a portarle domani a sera un altro biglietto possa riferirmi esattamente il di Lei stato. Ella riderà forse de' miei spessi biglietti – e fors'anche della brutta edizione – ma non ho altra carta, nè posso impetrare dalla mia penna miglior carattere – e purch'Ella si degni di perdonarmi, io mi contenterò ch'Ella rida di me. Ed io trattanto con questo compenso dello scriverle appago almeno in parte il mio desiderio d'ossequiarla e di conversare con Lei. E posso anche professarle di nuovo i sentimenti di rispetto e di stima co' quali io vivrò sempre Suo Lealissimo Servidore
Bien loin que vos billets m'ennuyent je vous en remercie. Je suis charmée que vous êtes mieux; ne sortez pas trop tôt, sans cela vous rechuterez. Ayez soin de vous. Vous verrez demain matin que je vous avois écrit le matin, mais votre servo était déjà parti pour votre Montagne.
Je regrette pour vous le premier jour de l'opéra, surtout pour voir la
Je suis seule grâce à l'opéra; mais je ne regrette que les gens que j'estime et qui m'apprennent quelque chose, ainsi je vous regrette. Je me porte mieux, ayez soin de vous et donnez-moi de vos nouvelles demain.
Mia cara Amica – M'alzo di letto per risponderti e ringraziarti. – Sto meglio assai; e se non altro mi sento meglio assai: ho avuto sino alle 3 della notte spesse ed abbondanti evacuazioni, e dalle 3 alle 10 ho dormito d'un lungo e pacifico sonno: e mi credo sì ben guarito, ch'io alla barba del vento che mi fischia per le finestre verrò a vederti prima di desinare. Il povero Lorenzo è malato, ed oggi non verrà, se pure vorrà essere più obbediente che zelante: tuttavia per oggi s'è provveduto, e domani forse Lorenzo starà bene, o io starò meglio venendo a chiederti da desinare. Ne parleremo oggi. Addio addio mio cuore; addio. Sai tu ch'io t'amo t'amo t'amo?
Mia cara Amica – Ieri mattina non ti scrissi per la speranza di vederti ier sera; ma quando ho abbandonato questa speranza, ti scrissi raccomandando a Lorenzo di recarti il biglietto, appena giunto a Firenze. Dall'amico del tuo Giuseppe vedo che quell'ipocrita non s'è ricordato nè delle mie raccomandazioni nè delle sue promesse, e che se l'ha pigliata comoda: avrai dunque questo biglietto quasi contemporaneamente con l'altro. – Io, Quirina mia, a dirti la santa verità, sto peggio di ieri; e (rara cosa in mia vita) ho passata l'intera notte senza mai chiudere occhio; appena su l'alba ebbi certi sopori. – Ma mi sento affannato, debole; e mi viene quasi in capo che ciò possa derivare dal mio lungo star seduto a far la tragedia e ad impazzire col cuore e col capo. Tuttavia non si tratta di vivere ma di lavorare. – Ma mi propongo sempre di scendere stamattina per vederti; – e solo, mia cara Amica, per vederti. – Se mai non venissi, argomenta che o io sto peggio, o che la pioggia che pende me l'ha impedito. Addio addio. Tu puoi pensare ch'io moia, ma non ch'io non t'ami. Addio.
Stassera sto su la montagna, a sentire il o, e preparare alcune lettere per la posta di domattina – ma domattina io sarò prima delle 9 e mezzo senza alcun dubbio, in Firenze Via de' S. sopra il calzolaro.
Donna mia – Mi sento assai meglio; ma non posso sperare di guarire senza l'aiuto del tempo perchè bisogna estinguere lentamente ogn'infiammazione. – Lorenzo non viene; e non so quando potrò vederti. Ad ogni modo sappi ch'io sto meglio. Sai tu che lo stordito di Pietro a cui consegnasti ier mattina la tua lettera, me la diede – indovina quando – ier sera verso le dieci; quando andando a letto se ne ricordò; e venne a bussare al mio uscio per ricapitarmela. Però non ti risposi sillaba ier sera alle 8 quando ti scrissi. Circa al venire in Firenze, s'io non fossi malato più di quello ch'io sono, ho parecchie difficoltà, e te le dirò: ma poi farò come tu vorrai....
Quirina mia – Non so se tu sia arrivata; ma so che tu sei disagiatamente partita, e n'ebbi notizia dal signor Nelli che s'è compiacciuto di farmi una visita nel mio romitorio: ringrazialo per me, mia donna gentile, e i ringraziamenti saranno più accetti. – Ier sera mi fu impossibile di scendere; e non me ne sono curato perchè o non t'avrei trovata, o non saresti stata sola. Ma stamattina la mia buona volontà fu impedita dalla fosse che non so per quale capriccio – io non l'ho provocata – mi sbrana le viscere: e alla tosse s'è aggiunto il solito affanno di petto. Scenderei, ad ogni modo malgrado anche il vento che quassù fischia minaccioso, e malgrado la pioggia che ora viene, or promette di venire: ma oltre al lievissimo dubbio di non trovarti, ho la sicurezza ch'io non potrei stare nè come nè quanto vorrei con te; ed inoltre rischierei di scendere sudato, affannato, e come dice il povero Vulcano d'Omero:
Dunque mi contento di scriverti e di pascermi della certezza ch'io ti vedrò domani mattina prima delle ore dieci, perchè partirò verso le nove. Ti mando frattanto i due anellini che vedrai purtroppo inutilissimi perchè quel boia d'orefice ha sbagliate le misure: e bisognerà rifarli: vedrai ad ogni modo, ch'io ci aveva pensato. Addio addio.
Oh di quanto starei meglio, mia cara amica, se non avessi avuta e la casa, e gli occhi, e le orecchie, e la testa intronati da importuni; oltre il bizzarrissimo scultore, che oggi era più ciarliere del solito, venne un certo Pagnini, che Dio gliel perdoni! e Rosellini e un poeta detto
Mia cara Amica – Il tempo minaccia ma non percote; e fra non molto discenderò: avresti fatto malissimo a salire; e non te l'ho contradetto perchè tu non mi contradici mai: non sono due passi benchè il piacere della campagna li faccia parere brevissimi: e i danni della stanchezza nel saliscendi si risentono dopo. Mi dispiace assai che tu sia malata. A rivederci fra un'oretta. Addio addio.
Mia Signora – Stamattina io mi struggeva d'avere notizie sicure della sua salute; non già ch'io ne tema: ma non posso non affliggermi vedendo che da più e più giorni Ella patisce; e la lusinga di poterla per alcuni minuti distrarre dalla noia, che in quella specie di malattia investe anche gli spiriti più vivaci, m'aveva guidato sino alla sua porta. Ma io scrissi altre volte di me, che
Vous avez donc, mon cher Monsieur, encore plus de discrétion que d'esprit, et c'est un défaut dont je me plains. Tous jes excès sont mauvais! Croyez-vous donc que je m'occupe de la manière dont sont habillés mes amis? surtout le matin que le suis seule. Le soir ce serait pour les autres qui sont quelquefois difficilles (
Mr. Louis m'a dit comme d'un air d'étonnement,
Dionisio mio – S'io ti mando questa lettera una settimana dopo, da che fu scritta da Stefanino, incolpane me solo; o piuttosto il desiderio e l'obbligo ch'io ho di terminare un lavoro che mi fa, come dice Dante, per più mesi macro
, e per cui
Esco ad andare più per forza che per amore al Monte Oliveto; e scenderò tardi
«Tacito, stanco, cadente di sonno»
perchè qui la notte appena chiudo mezz'occhio, e di giorno i furori del caldo e di Guelfo mi esanimano. Domani dunque sarà a collezione,
Donna mia – Non mi sento migliorato quant'io ieri sperava: tutta notte mi sono sentito riardere senza poter mai sudare – e stamattina al dolor di capo è succeduto un torpore che mi tien gli occhi socchiusi, e i pensieri assopiti: a forza di tossire ho sputato un po' di sangue; – non ti spaventare – era sangue limpido, vivo, ed usciva dalla laringe per qualche venetta rottasi nello sforzo della tosse. – Oggi gli ospiù miei desineranno senza di me: ed io vedrò di nutrirmi
Gli ospiti miei, donna mia gentile e amorosa, – hanno bastato a se stessi, lessero e giuocarono senza di me: – e solo m'alzai da letto per assistere al loro desinare, e per tagliarmi da sventato un dito della mano sinistra – uscì molto sangue – ma il dolore fu lieve, e la guarigione sarà pronta – e poi mi resta la mano diritta per poterti scrivere – e quando t'avrò detto
Donna mia gentile e amorosa – Ier sera non ho potuto lodarmi dell'aria della collina; ma stamattina mi sono alzato meglio che ieri a Firenze; e l'affanno di petto non mi si fa sentire, e la tosse par più placabile. Oggi alle sei, o pochi minuti dopo, sarò teco; perchè ho qui quel della
Non so se a Firenze si arda come quassù; ma bench'io sia partigiano in vita ed in morte del caldo, me ne rimerita molto male, perchè mi liquefà i versi della povera Ricciarda dentro il cervello: ad ogni modo lavorando la mattina sulla terrazza, e il giorno invocando un fiato di tramontana nel gabinetto, sono riescito a cangiare la parlata signorile di Ricciarda, ch'era alquanto freddina. – Or io spero – anzi sono certissimo di vedervi stassera; ma tornerò quassù a dormire, perchè il sole della mattina mi spaventa solo a pensarvi; e piango ora il povero Pietro che scende e ch'io chiamo il mio
Ugoni carissimo – Poichè voi fate incetta de' miei ritratti, e farete da savio mettendoli in lazzeretto, finchè possiate ragionevolmente dar loro il passaporto per la gloria, – io vi manderò gittato in scagliola candidissima la copia d'un mio busto regalatomi da un artefice – perch'io non ho tanto da pagarlo, e gli artefici vanno pagati o di molto oro, o di caldi e schietti ringraziamenti. Ma voi dovrete pagare le spese del trasporto che non saranno forse lievi, e la dogana che per sì fatte inezie non domanda gran che. Ditemi dunque se dovrò mandarvelo, e come. – Ma voi dovrete mandarmi (e perchè non è cosa mia mi direte appuntino lire e soldi e quattrini della spesa) uno schioppo da caccia di que' vostri bresciani che abbia lunga passata, nè pesi di molto, più buono che ornato, e di non molto prezzo. Fate che sia consegnato a un corriere, il quale lo depositi in mano de' signori Molini e Landi in Firenze. – Voi trattanto scrivetemi sempre a Firenze dove mando a riscuotere e ad impostare le lettere. – Lo
Cara Isabellina – forse uscirò. Ma non prima di mezzo giorno. Non ho dormito, tale è stato il dolor del piede offeso. Rimettiamo a dimani la visita d'oggi. Scuse, complimenti, riverenze, e saluti. Addio cara e amabile creatura.
Carissimo – Vi do tre notizie: la prima ch'io, ho in questo punto terminata la Ricciarda; e che ne sono contentissimo. Pel giorno
La seconda che io non ho lettere da Venezia, nemmeno da mia Madre; e ne sono sollecito.
La terza ch'io scenderò (dopo che avrò dormito sino a mezzodì) a Firenze a segnare una cambiale di lire italiane 533 c.i 40, che con la somma di 66 c.i 60 pagati al signor Teseo, faranno lire italiane
Stefano sta bene; non può mandarvi i suoi saluti, perchè giace in sonno profondissimo; ma desto e svegliato vi saluta sempre.
Addio dunque a voi; e il malanno alla maladetta Contarina; e che invece dello Spirito Santo, che come domani scendeva negli Apostoli, le venga nell'ora appunto
Prego la signora Contessa di dirmi se l'Amore anima questa tragedia, e con tanta progressione di sentimenti dilicati ed ardenti da sciogliere passionatamente e naturalmente l'azione. Chiedo a lei questo giudizio perchè più che dagli uomini si può aspettarlo dalle donne che al cuore atto a sentire altamente aggiungono una mente [che sa] osservare con verità.
Dal signor Fabbre desidero ch'egli esamini se le quattro fisonomie dell'anima de' quattro attori principali siano sì precisamente distinte, e sì armonicamente congiunte insieme, da poter dare ad un pittore l'idea di quattro personaggi parte dissimili in fondo (?) per l'indole lor naturale, e in fine (?) rassomigliantisi (?) per le loro comuni passioni; il che partorisce secondo me l'armonia (?) della composizione tragica.
Quanto alla condotta apparente richiesta dalle regole dell'
Lo stile è più che italiano, perchè dovendo far parlare italiani del XII secolo, mi sono scrupolosamente astenuto d'ogni maniera latina o greca che pur sogliono dare vigore ed eleganza alla nostra poesia.
Mia cara Amica – Dovete primamente sapere, e voi lo proverete forse in voi stessa, che quanto io meno parlo o scrivo alle persone che mi sono carissime, tanto più me ne ricordo e le amo, e ripenso ad esse con caldo ed impazientissinio desiderio di rivederle. Lo scrivere per me è uno sfogo che m'acqueta e mi consola: ma come mai poteva ora io consolarmi e consolarvi parlandovi della perdita vostra? Non so consolare, mia cara amica; non so consolare; e temo anzi di esacerbare la piaga. Oh se sapeste a quanti e quante da molti mesi io non ardisco mandare mie lettere! se sapeste quante perdite d'amici, in poche settimane, io ho dovuto e devo piangere nel mio secreto senza poter nemmeno dolermi pubblicamente della loro morte! Molti ch'io aveva conosciuti militando, molti ch'io aveva per così dire educati ad amare la loro patria, molti co' quali io aveva assai volte confuse la gioia e le lagrime, mi sono stati tolti improvvisamente, e acerbissimamente nel fiore della loro gioventù. E la mia gioventù intanto è sparita. L'età mia non è più atta alle amicizie; e pochi, o nessuno forse, pochi e lontani mi resteranno per la vecchiaia, se pure la morte e l'infermità non trionferanno di me. Non parlo più della mia infermità; e non voglio più perdere i giorni a curarla, perchè omai si tratta per me più di lavorare che di vivere; ma non sono guarito; e nell'autunno venturo, epoca degli assalti, n'aspetto il quarto. Frattanto molti mi scrivono e mi tornano ad avvertire di quello ch'io so; e chi ha perduto l'amante, il marito, i figli, i parenti domanda consolazione a me, che non posso se non affliggermi per tutti; e voi vedete che, dopo tanto tempo ch'io non vi scrivo, rincomincio strappandovi il pianto ch'era forse rasciutto.
Lo Sterne non è per anche uscito; si stampa in Pisa, e si perde assai tempo nel mandare e ricevere le prove del torchio: inoltre s'è dovuto spedire a Parigi le mie note per l'
Or addio addio. Baciatemi assai Pippi. Salutatemi Soranzo, Aglietti, e i due carissimi Cicognara co' quali ho il peccato che fino ad oggi aveva con voi. Io saluterò Chateauneuf. – Addio, Isabella mia. Diriggete per ora le lettere sempre a Firenze. –
Or son qui teco, Sigismondo mio; da Novembre in qua tu aspetti mie lettere; anzi non te le aspetti più, nè io sono teco; – bensì tu se' meco sempre; e quando meno tel pensi, e quando non ti scrivo, e quando mi dai dello smemorato e mi scomunichi in nome dell'amicizia delusa, e quando tu credi ch'io non abbia pensiero di te.... – allora, mio Sigismondo, io sono con la mente e col cuore pieno di te, e di tua sorella; e tremo per voi due; da che non ho lasciata persona cara in Milano la quale non m'abbia fatto piangere con le sue disgrazie, e la sciagura di casa Bignami, e la morte di Battaglia, e la famiglia Giovio, – Giovio più degli altri mi sta nel mezzo dell'anima, e me la contrista perpetuamente ed invano. Non è vero, mio caro Amico, che il tempo rimedi a questi dolori, come dicono tutti; io sarò diverso dagli altri forse anche in questo: ma certo è che quanto più so che ho perduto un amico, tanto il dolore diviene in me certo ed immedicabile: oramai pochi amici mi restano: non siamo più, fratello mio Sigismondo, in età da vincolarci con persone nuove: la gioventù ha sola i mezzi di contrarre l'amicizie; il disinganno, la diffidenza, il disprezzo, il fastidio, e tutti i guai, che vengono addosso ad un uomo che ha troppo vissuto tra gli uomini, ci levano tutta la colla cordiale per cui l'uno s'attacca fortemente all'altro: e l'anima mia è sì attaccata a' pochi che mi restano, ed anche a quelli che non vedrò più, ch'io ingannerei chiunque si facesse conoscere da me sperando che gli divenissi amico davvero. Vivi dunque tu per me, com'io vivo e vivrò sino all'ultimo sospiro per te: e vivi meno infelice che puoi, ed io risentirò almeno negli altri la felicità che non trovo per me. – Or tu vorresti (ed io pure dovrei) che t'assegnassi le cagioni per cui da tanto e tanto tempo non ti ho più scritto: ma io consumerei in discolpe il tempo e la carta che voglio spendere a dirti cose che m'importano molto più. Ma vera, e principale cagione del mio silenzio si fu, ch'io non ebbi mai tanta libertà di mente e d'animo da stare con gli amici miei quanto e come io voleva. Tu riderai: ma io non posso scrivere a chi amo se non sono certo che non avrò altri pensieri che per quella sola persona; lettere brevi non so scrivere, se non se per affari, o per diplomazia, il che m'occorre di rado. Ti confesso che mille volte ho lasciata a mezzo la lettera incominciata per te; e vi fu persona da Milano che, contro ogni mia aspettativa, mi scrisse per sapere mie nuove, da che nessuno a' quali io scriveva (e forse n'avrà chiesto anche a te) ha potuto più dargliene. La lettera non era soscritta; ed a bella prima l'ho pigliata per una improvvisata della Fulvietta: così gli uomini si lusingano! – ma ripensando alle cose scritte, ed esaminando il carattere m'accorsi della vera persona. Oh da quanto tempo io non poteva scrivere ad anima nata! Mia Madre sola n'era eccettuata; e mio fratello sapeva da Venezia a Lodi per lo più le mie nuove. Non credere ch'io fossi innamorato: è vero ch'io ho sempre qualche Dulcinea per la testa; ma tu sai che l'Amore è forse la sola delle grandi passioni che sia
nato, come dice la Bibbia,
per operare sopra la terra; ora ti dirò come me la passo da animale paziente. Sappi che la tosse prestatami dalla pallida persona, da tua sorella, e da un terza donna gentile, con la quale per altro non ci fu neppure una scintilla d'amore, m'è restata perpetuamente: ed oltre al capitale, ne pago l'usura: questo star lungamente curvo a scrivere m'affanna mortalmente il petto; inoltre ho perdute tre ore del mio sonno ordinario, ma ciò forse deriva dall'aria men grave che in Lombardia, e molto più da questa della collina dove abito, e dove non mi starei se non volessi in aria sì fine e quasi mordente fare una decisiva esperienza del mio polmone, e sapere di che morte dovrò andarmene da questa terra dove, se non perdessi il tempo scrivendo e leggendo, non saprei più a che rimanerci, se non se a risparmiare il lutto di chi sarebbe inconsolabile sul mio sepolcro: e sarebbe mia madre sola, la quale perderebbe tutto, e fors'anche la vita, perdendomi. – L'altro mio incomodo della vescica fu più esasperato che guarito da' medici e da' chirurghi; gli ho finalmente persuasi che mi curavano male, ma non ho potuto insegnarci come si cura meglio. Li ho dunque ringraziati col mio danaro; e mi son messo a curarmi da me. Il metodo è semplicissimo: la vescica s'infiamma sul collo per certe emorroidi che si chiamano varici; bisogna romperle; n'esce il sangue: per due o tre giorni si rimane indolentiti, poi si sta bene per un mese o sei settimane finchè le varici si rigonfino; per impedirlo bisogna poter sopportare i bagni freddi. Io ora li tollero, ora non posso; perchè anche i semicupi di pochi minuti m'irritano la tosse. Proverò i bagni di mare in Livorno; il sale agisce meglio, ed il freddo dell'acqua agitata è più temperato. Se non che sono tentato di dare prima una corsa a Milano, se mai in luglio si rappresentasse la
(Diriggi le lettere:
Signor Fabbrichesi pregiatissimo – La
Mia Signora ed Amica pregiatissima – Il non aver io più frequentemente a Lei scritto non dev'essere attribuito nè a poca memoria, nè ad animo sconoscente. Ma Ella mi chiedeva, anche in nome di suo padre, alcuna notizia sicura della mia salute: ed io non ne aveva nè di sicure, nè di liete da scrivere; e come il troppo lamentarsi non è cosa virile, così il troppo affliggere gli altri de' propri guai è un abuso crudele dell'amicizia. Non sono mai stato bene davvero, ora sono più quieto che sano perchè vivo in campagna, e solo sono turbato dalle disgrazie e dalle morti degli amici miei: la guerra me ne ha tolti parecchi; e fra questi, tre che mi erano carissimi.
Leopoldo amicissimo –
La saggia Isabella mi scrisse ier l'altro che l'opera vostra era fuori, e perchè sono sicuro che voi, come parco di lodi a chi non le merita, sarete defraudato di quelle che meritate, ho tentato di aggiungere alle armi che avete contro a' giornalisti, anche questa della mia prosa in versi, affinchè non siate tentato mai di combattere, bensì vi disponghiate a disprezzare gli assalitori – S'io non vi ho fino ad ora mai scritto, non merito scusa, Leopoldo mio; merito bensì pietà, da che la madre natura ha decretato per me ch'io non possa avere il cuore, lo spirito, e il corpo divisi in più luoghi, nè a più persone o faccende ad un tempo. È vero che lo scrivere una lettera è cosa da poco; ma se in que' minuti che mi bisognano a scriverla io non sono pieno e caldo della persona che dovrà riceverla, commetterei un tradimento che il mio stile svelerebbe sul fatto. E d'altra parte io benchè veneratore degli antichi, non posso scrivere lettere brevi, fuorchè per affari; ma quando si tratta d'amicizia e d'affetti, io alla viltà del complimento antepongo il rimorso del silenzio: rimorso che mantiene in me più sacro l'amore e il desiderio di farne ammenda, perch'io non odio quelli che offendo: non odio nessuno, Leopoldo mio; bensì dispregio un po' troppo. – Fuorchè a mia madre, io non aveva da più tempo scritto ad anima nata; e mio fratello sapeva a Lodi ch'io non era morto; ma per la via di sua madre. Quali faccende letterarie mi facessero
la saggia Isabella, a cui finalmente ho risposto, ve ne renderà conto: da lei avrete una copia dello
Ma nè le sole vergini Muse – perch'io le mantengo vergini sempre – hanno posseduta per tanti mesi la vita mia. Sappiate – ma queste notizie vanno dette soltanto alla gentile Lucietta – sappiate che io sono, e sarò forse innamorato; e se l'amore mi diventerà in Firenze insopportabile, mi disporrò alla meglio a lasciarlo qui dov'è nato in me; ed io co'miei libri andrò chi sa dove? Forse a Roma, ma senza l'amore in carozza, perchè m'incanterebbe il legno sul ponte della Carraia. E non crediate che la gentile poetessa m'abbia vinto davvero. Dio volesse! Ma l'amore, il cuore e l'ingegno di quell'amabile femminetta è amabilmente anacreontico; ed io son nato, per mia disgrazia, donchisciottescamente tragico. Le donnine piccine m'hanno fatto invaghire spesso, ma non mai impazzire da che vivo; e impazzisco sette volte al giorno. S'è dunque restati amici dopo due settimane. – Ma pur troppo! una di quelle altere e disdegnose come le amava il Petrarca, mi vinse in casa della Contessa. Non ci viene se non di rado, e voi certamente, come mezzo Fiorentino, la conoscete; ma non vi siete mai incontrato seco in quel crocchio. È pur bella! bella non solo per me, ma per la città che giudica spesso bene, e per voi che con l'occhio avvezzo alle Grazie e alle Veneri delle bell'arti giudicate assai meglio. Insomma ne sono innamorato: e per vederla tremando, sono obbligato a passare per
sono tutte belle cose ch'io adoro, ed a cui non posso, se non col desiderio accostarmi. È vero anche, ch'io, più che il viso dell'amata donna, ho scritto nel cuore il verso:
ma credo, e creder credo il vero, d'essere tanto quanto riamato. Amo davvero, e son tornato timido; inoltre io come discepolo, amico e fors'anche discendente da Don Chisciotte, ho sempre temuto per la fama delle persone che mi amano. Però, quando non faccio all'amore con Melpomene, vado col mio illustre antenato per fantasia, errando per questi poggi. Ed ecco per la Lucietta una cantata ad imitazione dell'Eroe della Mancia; il pensiero vi sarà noto, perchè si legge nella sua storia, e nelle canzoni di un amabile poeta Siciliano; e voi, Leopoldo, avete viaggiato in Sicilia.
Ma se la canzone di Don Chisciotte è finita, non però io finirò la mia lettera, tanto più che vedo bianche altre due colonne di questa edizione
Addio tutti e due, addio carissimi e stimati, quanto mai credete, da me: della stima non ne dubitate, son certo; ma quanto mi siete cari, lo conoscereste forse meglio se sapeste ch'io quanto più amo tanto so meno mostrarlo. Scrivetemi a Firenze ferma in posta; bench'io da tre mesi e più mi stia volontierissimo a Bello-Sguardo, scendo pur nondimeno frequentemente, anche a raccorre le mie lettere. Addio addio.
Dionisio mio – Tuo fratello non solamente per la propria ragione è
Il signor Trenta, il quale nondimeno fa in tutto e per tutto un unico uomo, poco più, poco meno – vi recherà questa letterina a raccomandarmi alla vostra pietà; perchè non credo ch'ei possa raccomandarvisi in nome suo. – E quand'anche le gentilissime veneziane volessero provarsi d'inghirlandarlo come le sacerdotesse de' tempi antichi facevano co' giovenchi per ucciderli poscia, sono obligato d'avvertirle che perderebbero i fiori ed il tempo; il mio raccomandato è già svenato, benchè paia vivo; e squartato, e arrostito alle graticole di una fresca bionda, che lo arde co' languidissimi raggi di due occhi cerulei. Tutto questo vuol dire che alle gentilezze ch'io vi prego di fargli, e che voi, più ch'altra, sapete fare a chiunque vi si presenta, aggiungiate anche il consiglio
Quand'anche tua Sorella avesse toccate le falde dell'Apennino, non avrei sperato di rivederla; bench'io desideri molto di rivederla; ed io solo so dentro di me quanto quella gentilissima donna mi è cara. Bench'io non ami le opinioni del fatalista Paini, vedo nondimeno che v'è sempre in tutto un certo che di
Sigismondo mio; se non hai avuta per anche la tragedia, incolpane la
Mio Signore e Maestro – S'ella domenica prossima vorrà degnarsi di fare un brindisi meco alle Muse, bench'io beva acqua schietta, non anderò a desinare finch'Ella non viene. Manderò anche un servidore che le faccia da fido Acate sino a Bellosguardo. Il latore ha ordine di aspettar risposta da Lei. Intanto le bacio la mano come a sacerdote ed a Maestro.
Miei cari – Bisogna ch'io torni bambino, perchè da tre o quattro giorni mi sento il male de' vermi: – siccome mi veniva dopo desinare, l'ho creduto a principio effetto d'indigestione; ma ora mi sento pizzicore alla gola, e un certo peso su lo stomaco; mi dicono che siano vermi; onde ho cominciato da stamattina a pigliare certo
Sigismondo mio – Chiedi conto del signor Silvio Pellico impiegato presso Luini: ad esso mando a brani la
Signora Contessa –
Non so mai com'io mi posso ricordare di questi versi; oramai non mi ricordo più quasi di nulla. Ella, mia Signora, partì lasciandomi tra le Grazie; il dì dopo per l'appunto le Grazie ingratissime m'abbandonarono, e mi assalirono tre disgrazie. La prima ch'io caddi malato di languore impotentissimo; poi di febbre; hanno a forza voluto ch'io veda un medico, il quale a forza mi fece ingoiare oppio, china, e limatura di ferro; e la febbre è cresciuta oltre modo, e con la febbre il dolore di capo; scrivo da letto, e appena mi regge il polso. – S'aggiunge per seconda disgrazia che la
Je suis très-fâchée, mon cher Monsieur, de tout ce que vous me dites dans votre lettre que je viens de recevoir. Je crains bien pour vous que vous ne brûliez la chandelle par les deux bouts. Quand on travaille beaucoup de tête, il faut être raisonnable pour d'autres choses.... Soit dit en passant! Les Muses demandent la continence, ainsi le voyage de Milan vous fera du bien. Je ne suis pas étonné que vous deviez y aller. Dans ce moment il ne faut inspirer ni haine, ni envie, et tâcher qu'on vous oublie, sans cela il y a toujours des frelons qui viennent vous piquer au moment où on y pense le moins. Je suis fâchée de ne plus vous retrouver dans la capitale de la langue italienne, à mon retour des bains, qui jusqu'à présent, vu le mauvais tems, n'ont pas été heureux, ni fréquents dans la mer. Aujourd'hui il commence à faire chaud, vous vous en trouverez bien aussi pour votre santé, que je vous conseille de soigner, si vous voulez continuer de sacrifier aux Grâces. – Il est fâcheux pour votre valet de chambre de passer de Bellosguardo au bivouac, c'est un saut un peu violent, et il est désagréable pour vous de perdre un jeune homme qui vous convenait. La vie est remplie de peines, et de contradictions, on la passe outre cela à se défendre contre les méchants. Mr. Fabre, qui vous fait ses compliments, est cloué dans son lit par la goutte, il combat contre elle sans pouvoir la vaincre. Je [le] soigne le mieux que je puis: c'est quand on est malade que les amis sont le plus nécessaires. J'espère que les vôtres, mâles et femelles, ne vous laissent pas solitaire perché sur votre montagne. Revenez bien vite dans la belle Florence, pour ceux qui aiment l'étude et les Grâces, et donnez-moi de vos nouvelles, et de ce qui vous arrivera; un mot me suffit pour deviner le tout. Portez-vous bien, soignez-vous et souvenezvous qu'on ne vit qu'une fois, et lorsqu'on veut laisser un nom après soi, on a besoin de toutes ses facultés pour y réussir. Il ne faut donc pas user l'enveloppe. Comptez sur
Mia Signora – Appena ho tempo di ringraziarla della lettera che le piacque di scrivermi: me la portano ora (mezzodì), e fra non molto il corriere riparte. E la ringrazio anche, nè potrò mai perderne la memoria, de' suoi consigli. È vero ch'io stimo la vita – per usare del gergo geometrico – più in ragione dell'intensità che della quantità. Ma non è poi vero ch'io faccia prove d'Ercole: poveretto! appena mi reggo. La febbre pare impaurita della china; ier sera non s'è lasciata vedere; ma stamattina mi sento debolissimo: fors'anche l'aria troppo vivace della
Votre exactitude, mon – cher Monsieur, mérite une prompte réponse de ma part pour vous remercier d'avoir employé une partie de vos forces à me rendre compte de désagrements que vous éprouvé pour votre belle production. Je dois vous dire que je l'avois prévu sans cependant trop me rendre compte du pourquoi. Je crois que vos censeurs ne pouvant chicaner le fond attaque[nt] la forme – ils imaginent toujours que dans tout ce que vous écrivez vous y entendez malice. Sont-ils les plus forts, et s'ils finissent pour vous dire – si ce n'est toi c'est done ton frère – aurez-vous quelque chose à leur répondre? – Comptez sur ma discrétion ainsi que sur celle de M. Fabre, qui vous fait ses compliments. – Pensez sérieusement à votre santé, ménagez-vous en passant les Apennins, et revenez bien vite achever votre poème des Grâces que vous ne pouvez terminer
Mia Signora – Non le risposi subito perch'io non aveva nè spiriti nè nervi, e la mia magra e malinconica persona andava peregrinando senza poter dire ch'era guidata da un'anima pensante e
Mia cara Amica – Vorrei pur vedervi prima di partire – e parto fra un'ora – ma sono impicciato da mille noie; e il passaporto pel mio cameriere, che ho finalmente ottenuto, mi ha fatto perdere il fiato e le gambe. Addio dunque, donna gentile; tornerò fra un mese, e verrò a dare un bacio a Lorenzino, e a condurre la cagnetta alla Signorina. Per ora vi mando a tutti a tutti i miei saluti, e i miei ringraziamenti al signore Stiozzi. Egli mi ha regalato due bottiglie di vino navigate, ed hanno rallegrata davvero la mia magra e malinconica persona. In contraccambio, gli lascio alcune
Accogli, Amicissimo mio, il signor Michele Leoni uomo di svegliato e coltivatissimo ingegno, traduttore felice del
Mia cara Amica – Ho patito meno di quanto io temeva; ma m'è toccato il peggiore de' quattro corrieri che vanno per l'Apennino da Firenze a Bologna; Pietro è stato malissimo collocato, e ho pagato tra lui e me quanto se avessi viaggiato in posta. Da tre ore sono a letto cercando il sonno che da ieri in qua non è mai venuto nemmeno a tentarmi; m'addormenterò, spero, quando sarò fuor del pensiero di scriverti; la posta riparte stassera a quanto mi dicono. Domani continuerò il mio viaggio: ti scriverò da Parma ove mi fermerò mezza giornata a riscuotere, se potrò, almeno in parte un mio credito; ma il debitore è tanto eloquente, ed io patisco tanto certa sinistra vergogna in sì fatte cose, che forse anche questa volta me ne andrò a mani vote. Spero che a quest'ora Andrea e Lorenzo avranno adempinto alle mie commissioni. Piacciati di spedire al Molini l'annessa per mezzo del tuo Giuseppe quando passerà per gli Uffizi. Addio, mia donna gentile, e mia dolcissima amica, Addio. Ti rivedrò presto, e frattanto vivrò sempre con l'anima piena di te. Scrivi a Milano. – Addio.
Giuseppe carissimo – Al signor Pompilio Pozzetti Professore e Bibliotecario a Bologna spedirete una copia dello Sterne per vostro conto, quanto più presto potete, ed egli vi farà pagare paoli 5, da che la compera per la Biblioteca. Ho viaggiato comodamente, ma dispendiosissimamente quasi quanto se fossi venuto in posta, il ...... è sì tristo, sì subdolo per avidità, sì spilorcio che perfino al nuo povero servidore ha negato di rendere 4 paoli e 1/2 che gli doveva di resto; promise bensì di restituirceli, ma
Scrivetemi a Milano, e rendetemi conto con quell'occasione delle copie date alle persone scritte nella lista, più una, al signor Trenta per la Marchesa Gerini. Addio.
Miei cari – Vi scrissi da Firenze ch'io veniva in Milano; una delle ragioni si era d'unirmi all'Angiolo, per venire ad abbracciarvi insieme, e poscia condurlo meco a Firenze. Quel
Fratello mio – Oggi 28 Luglio alle ore otto della sera giungo in Lodi, e poi che non ti trovo, puoi immaginare s'io me ne resto contristato e confuso. Ma se tu, Giulio mio benedetto, fai le cose a rovescio. Mi scrivesti o d'Agosto, o che almeno io senza dubbio sarei qui. Odo dall'amico tuo Visconti che ti fermerai alcun giorno da Ugoni; ti mando un uomo a dirti ch'io sono a Milano; – se mai tu non fossi più in Brescia, questa ti troverà certamente a Venezia; ti dico dunque d'aspettarmi a Venezia, se non ti scrivo altro; perchè se finirò le cose mie presto, verrò a trovare la Mamma anch'io e andremo poscia in Toscana insieme sino al tempo che spiri il tuo permesso. Or addio in fretta, perchè io sento fame e stanchezza; domattina per tempo sarò a Milano.
Ho la soddisfazione di parteciparvi che S. A. I. il Principe Vice Re con rescritto del giorno 27 corrente si è degnato di secondare i vostri desideri col permettervi di comprendere nel vostro Poema alle Grazie i versi da voi presentati che alludono alle imprese militari dello stesso Principe, e alle virtù dell'Augusta Sua Sposa.
Mi pregio di attestarvi
Cara Mamma – Da Lodi vi ho scritto mercoledì sera. La lettera fu impostata dal signor Visconti, amico dell'Angiolo: ve ne ho inserita una anche per l'Angiolo, che sarà a quest'ora con voi, o tarderà poco. Oggi è sabbato ed ho quasi finite bene le faccende per le quali io era venuto. Mi fermerò qui per due settimane, poi verrò a vedervi a Venezia: fate dunque che l'Angiolo mi aspetti assolutamente; lo condurrò meco a Firenze. Per ora addio. Dovete ricevere dal signor Naranzi lire italiane 240 per l'assegno, la pigione e le medicature. Mandami, madre mia, la tua santa benedizione. Addio.
Signora mia – Bench'io ami o di non iscrivere affatto, a di scrivere lunghe lettere, non posso per oggi soddisfare al mio desiderio: e sì ch'io avrei da dirle di molte cose; ma se ne parlerà più piacevolmente e più sicuramente a quattr'occhi; e mi pare mill'anni di trovarmi seduto dinanzi a Lei presso a quel tavolinetto rotondo. La Ricciarda fu ribenedetta un giorno dopo il mio arrivo: e tutte le mie faccende furono raggiustate mediante una mia gita a Monza. Ma la corsa da Firenze a Milano mi ha ridate le forze; ed oggi, s'io fossi ippocondriaco, temerei di morire di troppo vigore, come quindici giorni addietro io mi sentiva uccidere dalla debolezza. Fra dieci o quindici dì partirò per Venezia a vedere mia Madre; e dopo una settimana di visita, tornerò in Firenze a sacrificare alle
Di cose politiche io non so mai nulla; bensì chi crede di saperne va dicendo che s'avrà la pace: ma in pace o in guerra, i Milanesi vivono splendidamente, lietamente, e riccamente, dolendosi delle sciagure pubbliche e godendo frattanto della propria fortuna. Que' pochi che hanno alto animo, mi parlano con religione e dell'Alfieri e di Lei, e mi credono più atto a far buone tragedie da che sanno ch'io sono onorato della sua benevolenza; ed io sarei ingrato se non dicessi, che quella benedetta casa Lungarno e quella sala con quella Musa e con quel quadro del Saule, e dove io era accolto da una ospite sì gentile m'hanno infuso spirito e nervi a far meglio. I miei complimenti al signor Fabre, e agli altri della conversazione. Ella, Signora mia m'abbia sempre per Amico ossequioso e Servidore leale
Donna mia gentile – Quanto più vivo lontano da te, tanto più desidero di rivederti; e ti rivedrò donna mia ti vedrò presto. Ma e come mai la lettera ch'io domenica scorsa, ed oggi sono otto giorni, ti scrissi da Bologna, non t'è capitata il dì 27 quando scrivevi la tua? Fanne inchieste alla posta: vi troverai inclusa una per Giuseppe Molini; e ti prego di farla ricapitare quanto più presto. Le cose mie si sono mutate d'aspetto al mio primo mostrarmi; la
Or Addio, donna mia, addio; vivi certa sempre del mio tenerissimo amore, e della mia riconoscenza a tanta cordialità, ch'io non ne ho incontrata mai altrettanta in mia vita. Addio Addio.
Scrivimi per carità, sempre de' portamenti di Stefanino, e fa che sia da lontano invigilato da Andrea, e che me ne scriva, perchè io [ne] vivo o molto sollecito. – Addio addio.
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre de Florence au moment de totre départ, je n'y pas répondu d'abord parce que j'étois au moment de quitter cet horrible séjour de Livourne; et j'allois prendre la plume quand j'ai reçu dans ce moment la vôtre du I. Je vous remercie de votre très-aimable souvenir que je prise beaucoup. Si j'avais plus d'amour propre et moins d'expérience du monde je serois très flattée de tout ce que vous me dites; mais je mets tout cela aux pieds de celui qui a habité, si peu de temps pour moi, la maison que vous fréquentez, et où on vous voit avec plaisir; parceque, laissant à part vos qualités supérieures de votre esprit, votre bonté attache. Je puis vous assurer que je vous regrette tous les soirs, ce que je ne laisse pas ignorer à la societé. Je conviens aussi que vous valez mieux pour ami que pour amant; mais comme à mon âge on est au port, vous me convenez fort.
J'ai vu hier votre première
La première de vos
Vous ne me dites pas si on représentera ma chère
Ce pauvre ruiné de Molini ne m'a pas encore donné vos exemplaires de Sterne; il a voulu les nier et puis il m'a dit qu'ils n'étoient pas arrivés de Pise. Je suis curieuse de les lire, comme tout ce que vous faites. Il y a toujours le cachet de l'originalité. L'abbé de Caluso est ici et va partir bientôt. Mr. Fabre toujours goutteux vous présente ses hommages. Je me porte bien, vous attends avec impatience pour causer autour de la table ronde, sans cependant les chevaliers. Conservez-moi votre amitié je la mérite par celle que vous m'avez inspirée. Je n'ai d'autre qualité que d'être une bonne femme très-attachée à mes amis, et sans autre prétentions. Revenez vite achever votre hommage aux Grâces, et me laisser jouir de la lecture, ainsi que de votre conversation gaye, instructive et spirituelle.
Quirina mia – Ricevo la tua seconda lettera: la posta riparte fra un'ora, e ti scrivo assai brevemente. Ti ringrazio dell'amor tuo, e te ne corrispondo con tutta la tenerezza e la riconoscenza dell'anima mia. Ma non ti posso perdonare il dubbio che le
Signora Contessa – Oh come io vado sospirando un'ora di quiete, tanto ch'io possa scrivere a Lei; scrivere in modo da spassionare il mio cuore ch'io sono costretto a nascondere per quanto me lo permettono i muscoli della mia inquieta fisonomia! – non ne posso più; e se non fosse ch'io stando per altri quindici giorni in Milano m'apparecchio altri quindici mesi di dimora libera e riposata in Firenze, io sarei già fuggito a quest'ora in campagna; – non ne posso più: visitare; essere visitato; ascoltare chi mente; mostrarmi obbligato a promesse di cose che m'ucciderebbero se mi fossero concedute; sapere d'essere tradito da chi mi loda; dover tacere – e questo non è il peggio – ma dover parlare malgrado mio; perdere mezz'ora a rivestirmi ora in fibbie, ora in borsa, con un impotentissimo spiedo al fianco; or soldatescamente; infastidirmi sedendo a' desinari illustri per un paio d'ore, e spesso con commensali che sono e da più e da meno di me; – oh, come volo e rivolo col pensiero in Firenze, quand'anche dovessi starvi malato: è vero; il signor Fabre ha ragione; la libertà è più necessaria della salute:
Son versi del Petrarca; e beato lui che si ravvide per tempo del faticoso ozio delle città capitali. Le
Fra due settimane dunque partirò per Venezia; alla fine d'agosto sarò in campagna, dove mio fratello che è andato anch'egli a trovare sua Madre, m'aspetta; e se la guerra non rompe apertamente, lo condurrò meco a udire la Ricciarda a Bologna, e poscia avrò l'onore di presentarlo a Firenze a Lei, e di vederlo prostrato meco su le tombe di Santa Croce. Allora io le riferirò schiettamente l'effetto che avrà fatto in me la recita della tragedia, e gli errori che v'avrò scoperti; e se non potrò correggerli in questa, l'esperienza mi gioverà almeno per l'altre. – Io non sono stanco di scrivere; ma Ella certamente, benchè aiutata da Mr. Fabre, si sarà stancata di leggere tre pagine fitte di sì arabesco carattere; onde domandandole perdono, e ringraziando e mandando mille cordiali e rispettosi saluti a Mr. Fabre, la prego di credere ch'io da che la conobbi, imparai ad educare meglio l'animo mio ad essere nobilmente generoso ed indipendente dalla Fortuna, e dagli stolti applausi e da' vani biasimi degli uomini venduti alle ricchezze e agli onori. –
Miei cari, e tu Giulio mio carissimo – Prima ch'io abbia sbrigate le faccende della
Donna mia gentile – Questa è la quarta lettera ch'io ti scrivo; e questa è la millesima volta ch'io mi ricordo amorosamente di te, e sospiro l'ora di rivederti. Quante noie, Quirina mia, quante ore consunte in visite, in desinari ed in complimenti! appena ho tempo di pigliare la penna: l'affare per cui venni in Paneropoli sonnolenta fu spicciato poche ore dopo il mio arrivo; ma si tratta ch'io possa stare quietissimo d'ora in poi teco, e dove e come vorrò; e s'io mi contentava d'una promessa e d'un ravvedimento, le brighe al mio partire sarebbero state riordite, e m'avrebbero forse costretto ad un nuovo fastidiosissimo viaggio. Però mi sto qui operando deliberatamente e diplomaticamente: ma, per quanto vigore io ci ponga, la diplomazia è lentissima sempre, perchè non si può affrontarla a viso aperto, e i miei alleati sono affettuosissimi, ma deboli come per lo più sono tutte le anime affettuose. Mi starò qui dunque sino a' 22 o 24 del mese: andrò a vedere mia Madre; da Venezia andrò poscia a Bologna ad assistere i comici·a imparare la mia Ricciarda; e poichè avrò veduta la prima recita, e notate le correzioni da farvi, tornerò in fretta a Firenze, mia donna gentile abbracciandoti e baciandoti. Frattanto voglimi bene; e ricordati ch'io sarò teco con tutti i pensieri finchè vivrò. – Ti raccomando Stefanino, a cui scrissi l'ordinario passato; informami per mia quiete de' suoi portamenti: raccomandagli che mi scriva: non ho mai saputo nulla di lui nè di Andrea: gran poltroni, per non dir altro. Ma io non mi lagno della ingratitudine de' mortali. – Affretta Ciampi a incassare il busto, se pur non lo ha incassato e spedito a
Carissimo – Spero che avrete ricevuto a quest'ora il busto speditovi da Firenze verso gli ultimi giorni di luglio – Molini spedirà a Brescia lo Sterne che è già bello e stampato – Non ho potuto recarne meco molte copie, perchè quando partii di Toscana l'ultimo foglio non era per anche rasciutto. – Potrò mostrarvi l'edizione fra due settimane; passerò verso il dì 20 o 24 d'agosto per Brescia; e abbraccerò voi e gli amici vostri. Intanto vivetevi tutti lieti ed amatemi. –
L'articolo m'è arrivato ieri soltanto; oggi riparte il corriere; e lo consegno con alcune postille a vostro fratello. Vi ho compiaciuto, e ho trascritto il capitolo del carcerato; benchè se ne potessero paragonare di quelli, dove l'anonimo traduttore moderno non ha inteso una sillaba del povero Yorick: gran vitupero per altro! meraviglia che il Poligrafo non l'abbia lodato: ed oggimai il Poligrafo loda ogni cosa, sino a chiamare ariostesche prette le Croniche del disgraziatissimo buffone detto l'Anelli. Credo che Lamberti si stia morendo d'idrope al polmone: però i Poligrafici paiono ravveduti. – Del resto la traduzione stampata dal De-Stefanis è peggiore d'assai di quella antica uscita in due volumetti a Venezia. – Quanto all'articolo, vorrei che in esso parlaste più brevemente e più argutamente intorno a Didimo; e se a voi pare, aggiungete: «
Al Fabbrichesi ho consegnato ier sera la vostra tragedia: – la reciterà in autunno; ma quanto al danaro, non pare ch'egli abbia
Je viens, mon cher Ugo, de recevoir votre lettre sans date. Je vous remercie de votre aimable souvenir et des assurances de votre intérêt. Je vous le rend bien sincèrement, car je vous connois bon et noble dans votre manière de penser. J'ai trèsbien compris votre lettre, parce que j'ai éprouvé le même effet à mon dernier voyage de Paris, aussi j'en suis revenue plus éloignée que jamais du commun des hommes, et chérissant d'avantage mes amis et les personnes qui pensent comme j'ai toujours pensé. Il faut cependant se servir de son indulgence, et se rappeler la situation particulière d'un chacun.
Nous causeront de cela à satiété autour de la table ronde; car c'est un sujet inépuisable. J'aime mieux que vous différiez de revenir pour pouvoir rester ici plus librement et sans devoir retourner chez vous que lorsque vous en aurez envie. Je serois curieuse de voir réciter votre Tragedie; c'est dommage que malgré mon indépendance, et mon âge je doive penser au qu'en dira-t-on. Sans cela j'irais à Boulogne l'entendre. J'espère que vous la ferez donner à Florence, où elle a été composée et achevée. – J'ai reçu Didimo et j'ai lu avec plaisir les justifications du Chierico. J'en ai ris. Sterne me paroit bien traduit; et vous avez rendu en italien l'esprit et la naiveté de l'anglais. – Je doute que les Florentins en goûtent le sens, et la finesse. Ils sont si matière pour certailles choses, tout leur esprit est tourné au commérage, et à ses puérilités. – Vous verrez probablement encore l'abbé de Caluso à Milan. Je conçois que la manière de vivre de ce pays-là, quand on a été accoutumé à s'occuper de choses utiles, doit être ennuyeuse, les discours du vulgaire sont fatigants. Lorsque on aime l'étude on ne peut voir que des amis (des grâces) ou des personnes qui enseignent quelque chose. On dit que la première de vos Grâces doit aller a Boulogne voir sa mère. Je m'imagine que vous en êtes informé. Je l'ai vue dimanche passé, elle étoit très-jolie et très-sugosa, car elle est un peu engraissée. Vous avez raison de la chanter. Il faut un objet distingué pour réveiller l'imagination et animer la verve d'un poète, – et il faut une amie raisonnable à qui pouvoir tout confier, et vous la trouverez en moi. Je serai charmée de vous revoir, vous animez mes soirées par votre esprit et votre gaité, et vos belles qualités sont pour moi. Stiozzi vous aime aussi pour la même raison que moi. Il me l'a dit souvent. Il a donné l'autre jour un concert dans son jardin, j'y ai été passer une heure. L'Isabelle se porte bien, et je crois que nous avons fait un
J'ai vu ici Mr. Alario qui m'a dit être votre grand ami. – La famille Trivulzia et sa soeur sont allés aux Bains de Lucques. Je serai charmée de connaître votre frère, surtout s'il pense comme vous. Tout le monde est encore a Lucques, il y a peu de monde de la societé. Je vois beaucoup Mr. Millin qui est trèsamusant et très-gai. Il m'a raconté des drôles de choses dont je vous ferai part, et que peut-être vous aurez entendu aussi.
Portez-vous bien, soyez sage, et revenez bien vite. Mr. Fabre, qui a toujours la goutte, vous présente ses hommages. Il est furieux de ne pouvoir courir; il a été plusieurs jour à ne pouvoir aller que de son lit à son canapé. Je dois aussi vous faire mes excuses de vous écrire des bibles; j'espère qu'à mon exemple vous continuerez à m'écrire longuement. C'est un dédommagement de votre conversation, qui me manque. – Adieu à vous revoir; en attendant croyez-moi votre amie pour la vie.
Non so, mia cara Amica, se quel disgraziato di Molini v'abbia per anche mandato tre copie d'
Donna mia gentile e tutta cuore – Sabbato io aveva la buona intenzione di scriverti; la posta part[iva la sera, ma un] amico troppo ufficioso conducendomi in campagna per poche ore, volle ad ogni modo ch'io desinassi cenassi e dormissi fuor di Milano; io aveva bel tempestare; ma io, povero diavolo, non aveva cavalli che m'aiutassero a rifare dieci e più miglia sino a Milano. Ti ringrazio, mia dolcissima amica, di tante tue cure per me; ti ringrazio dell'ultima tua; la lessi, e la rileggo e la rileggerò. Le mie faccende sono quasi finite; e lunedì prossimo potrò andare a Venezia. A mezzo settembre sarò senza dubbio in Firenze, e ti darò novelle della Ricciarda, che si reciterà la prima volta a Bologna. Innanzi d'uscir di Milano ti scriverò, e ti manderò una cambiale a vista, da che il signor Taja mi mosse non so quali difficoltà dicendomi «ch'egli non poteva ricevere danaro
Madre mia – Dirai a Giulio Angiolo Capitano Aiutante di campo, fratello mio, figlio tuo: che:
1o Lunedì prossimo partirò per Venezia.
2o Che se mai fosse richiamato all'esercito, stante questi movimenti, mi scriva a
3o Gli dirai finalmente che s'egli torna per ora a Lodi, me lo faccia sapere a posta corrente; e passando per Padova domandi di me alla Croce di Malta; a Vicenza al prefetto Magenta; a Verona al prefetto Mancini e a Brescia al barone Ugoni: così in qualche luogo c'incontreremo.
Madre mia non ho altro da dirti se non ch'io sto bene, ti amo, ti rivedrò, abbraccerò te, e la mia cara Sorella e l'Angiolo; e frattanto mandami la tua benedizione che m'accompagni. – Addio.
Pochi libri ho letto scritti a' dì nostri che possano gareggiare col buon senso, e col profondo e modesto calore dell'Elogio al Saluzzo; e il buon senso e il calore producono necessariamente i pregi dello stile, il quale ove sia secondato dalla castità dell'idioma riesce perfetto: però vi ringrazio di quel vostro libretto, ch'io rileggerò, e lo scevrerò dagli opuscoli che molti autori mi regalano, e ch'io regalo al mio barbiere affinchè leggendoli e compitandovi sopra si distolga da' vizi del suo ozioso mestiero. Alcune affettazioncelle di lingua – sono ad ogni modo assai poche, – vorrei tolte qua e là; le noterò al margine, e ve le mostrerò quando il cielo mi concederà di abbracciarvi: e oggimai voi sentite sì addentro nella lingua da conoscerle per voi stesso. Fors'anche m'inganno, e quelle che a me paiono affettazioni, sono grazie per altri meno severi. – In contraccambio del libretto vostro, n'avrete uno mezzo mio mezzo del Parroco
Foscolo è venuto con l'
Ricevo ora la tua brevissima del 21. Tu scrivi a Venezia, ed io frattanto volere e non volere andai ramingando da Milano su per tutti i laghi che confinano con gli Svizzeri. Ritorno ora, stanco, sfinito, e con gli occhi afflitti dal sonno e dal sole, perchè credendo di star fuori un dì solo, io aveva lasciati a Milano i miei occhiali azzurri. Ti dirò poi, – davvero non posso scrivere, e la posta parte fra un'ora – ma abbracciandoti ti dirò le ragioni non prevedute di questo mio pellegrinaggio d'undici lunghi giorni. Non so dirti quando potrò partire per Venezia, m'è venuto tra capo e collo un affare per cui ci vorrà mezza settimana: ma ad ogni modo pel giorno 12 dovrò trovarmi a Bologna dove la Ricciarda farà la sua prima comparsa; e non posso lasciarla abbandonata agli attori. Non posso più; ho bisogno di pace. – Al banchiere Ciani ho consegnato mille franchi che fanno ottantasette zecchini poco più; mi prometteva che essendo oggi assai tardi, ti farà spedir la cambiale per mezzo del corriere di doman l'altro; cercane dunque alla posta: intanto addio, mia dolcissima amica; mi struggo di rivederti, addio. – Quanto alle spese tu devi contenerti come per agosto. Per carità, fa che incominciando da ottobre io abbia la casa. Addio addio.
Caro Cataneo – Ieri è stata delusa la mia speranza di desinare con voi; e m'è rincresciuto: e fu preludio d'una febbre che mi venne addosso col freddo,
Or addio.
Mia cara Amica – Eccoti una cambialetta sopra Giuntini; riscuoterai monete d'argento fiorentine 183 (cento ottantatrè) ed alcuni paoli. Mettine a parte pel mio debito centotrenta; – le altre cinquantatrè spendile con la solita ripartizione per Stefanino. Sai tu un guai terribilissimo, che mentr'era sul lago, il signor Domenico
Carissimo – Mentre io rivisitava il Lario e i Lariani – per me
Mia Signora – S'ha un bel vantare l'umana prudenza; naturalmente, io ci ho poco creduto; e molti esperimenti m'hanno poscia insegnato a non crederci nulla. Un giorno, un'ora, un solo minuto sono arbitri delle nostre azioni; e di dieci cose ch'io voleva pur fare, non m'è per anche riescito di mandarne a fine veruna: non parlo della Ricciarda, e d'altre faccende politiche dipendenti dall'altrui autorità; benchè sieno finite in bene, io m'era già rassegnato se finivano male; e la mia forte rassegnazione m'avrebbe fatto insuperbire nobilmente in me stesso, e sorridere delle ingiuste persecuzioni. Ma io sono stato afflitto dalla Fortuna, bruttissima deità, calva, guercia e dispettosissima – afflitto nelle mie più care speranze; e le sciagure si concatenarono successivamente per la sola ragione ch'io sono partito da Firenze a B., la terza, e la più bella, e la più amabile, e la più infelice insieme delle mie Grazie: non la trovai; e da tre giorni era tornata a Milano. Frattanto il mio servo era restato in barca aspettando che il tempo si serenasse, per tornare a Como a ripigliare il calesse che non era mio; ed io giunsi, come un ufficiale ch'esce dallo spedale, sopra un tristo baroccio a Milano, tutto arso dalla polvere, dalla stanchezza e dal sole. Corsi alla posta cercando mie lettere; e mi fu risposto che credendomi tornato in Firenze, le avevano rimandate; e la colpa fu tutta d'un mio vecchio servo, il quale veniva tutte le mattine a darmi il buon giorno; ed essendo tornato più e più volte vanamente al mio alloggio, si cacciò in testa ch'io avessi ripassato il Po, e l'Apennino. Così, mia Signora, s'Ella, com'io spero, m'avesse scritto, io sono restato senza sue lettere; e solo mi rimane la speranza di riaverle quando Dio Signore vorrà. Ma il peggio si è ch'io non sapendo se mio fratello torna da Venezia, o m'aspetta, io mi sto qui sospeso fra l'andare e lo starmene; m'avrà certamente scritto, ma le sue lettere sono anch'esse a Firenze. Ed io mi struggo di rivederlo; tanto più ch'egli andrà senza dubbio all'esercito del Vice-Re; e chi sa quando potrei avere la consolazione di riabbracciarlo e parlargli. Gli scrissi ad ogni modo ch'io starò sino il dì 9 settembre di piè fermo a Milano, poich'egli deve pur giungervi ad unirsi al suo Generale ed a due reggimenti di cavalleria che partiranno fra pochi giorni. S'egli fino allora non fosse venuto, gli andrò incontro, guardando in tutte le carrozze che mi trapasseranno vicine lungo la via, e facendo inquisizioni in tutti gli alberghi da Milano a Venezia. – S' Ella dunque, Signora Contessa, non fosse persuasa che la Fortuna può tutto, questa lunga filastrocca gioverà forse a farle almeno dubitare che l'umana prudenza prevede, ma non provvede. E la Fortuna co' suoi contrattempi m'avrebbe danneggiato assaissimo, se il mio involontario silenzio facesse a Lei sospettare ch'io vivo smemorato ed ingrato. E per discolparmi, ho anteposto di parerle noioso, e le ho indiscretamente scritta questa leggenda. Io non perderò la memoria delle persone che le somigliano; – e le sono pur poche, pochissime! – Non perderò la gratitudine che mi obbliga ad esse, se non quando il mio cuore cesserà di sentire la vita, e i nobili affetti che me la rendono cara. Però sospiro di tornare presso a quel tavolino rotondo; e ci sarò prima che spiri settembre. Frattanto s'ella si degnasse di scrivermi, dirigga le lettere
Mia Signora – La di Lei lettera viaggiò raminga peggio d'un militare de' nostri giorni: – da Firenze a Milano – da Milano a Firenze – da Firenze a Milano – da Milano a Venezia – e fu miracolo ch'io l'abbia finalmente trovata. E mi sarebbe doluto davvero s'io l'avessi perduta, tant'è piena di gentilezza, e di degnazione, e di benevolenza e d'amore. – Io ardisco proferire e scrivere quest'ultimo vocabolo perchè il sentimento che esprime lo sento candidamente in me stesso, e lo alimento religiosamente, e vorrei che mi fosse ricambiato da quelle poche persone che volendomi bene mi fanno cara la vita, e men faticosi gli studi – perch'io in fine del conto non perdo gli occhi ed il tempo su i libri se non se per piacere a me stesso ed ai pochi ch'io amo. – Ho appena avuto tempo di desinare con mia Madre in campagna; l'ho trovata tutta sgomentata per la guerra che minaccia l'Italia, e la sua villetta sarebbe una delle prime ad essere oppressa da' vincitori e dai vinti. Ma qui s'odono meraviglie del Vice-Re; e quand'anche non avesse fatto grandi progressi, il suo valore e la dabbenaggine tedesca mi fanno temere men lontano il pericolo. Pare ad ogni modo che la guerra nell'Illirio dipenderà dagli avvenimenti in Boemia e in Breslavia. Odo che i confederati sieno stati rotti assai più di ciò che riferisce il Monitore; quand'io lasciai Milano (e fu ier l'altro sera) correvano due
J'ai reçu, mon cher Ugo, votre lettre du 4. Il y avoit un siècle que je n'avois reçu de vos nouvelles. J'étois bien persuadé que vous couriez d'un pays à l'autre. Des Bolonais m'ont dit que vous aviez été dans leur ville il y a 15 jours, entre autre M.de Conti qui à present est ici avec son
Vous avez raison, toute la prudence et la prévoyance de Socrate ne peut pas empêcher de souffrir certaines contrariétés. Je crois cependant qu'on peut empêcher les grands évènements quand'on les prévois d'avance. Il y en a d'autres aussi qu'on peut prévoir, comme qui
Je vois d'après votre lettre que vous avez manqué votre but dans toutes vos courses, et que vous avez trouvez la tempête où vous cherchiez le plaisir; c'etoit un autre espece de plaisir pour votre courage. Mr. Fabre, qui n'est pas encore guéri de sa goutte, vous remercie de votre souvenir. Il vient de finir de restorer un superbe tableau de Raphael de sa plus belle manière, et nouvellement découvert. Je suis bien curieuse de vous parler d'une comédie donnée 40 fois a Venise, et dont l'auteur a fait un tome de notes pour chaque acte. C'est assez plaisant! L'abbé de Caluso m'en parle dans sa dernière lettre.
Portez-vous bien, revenez vite me donner des nouvelles de votre
Arrivo in questo momento: ci starò sino al dì 19; scrivetemi dunque subito; non vi lasciate scappare la casa sul duomo di cui mi avete scritto. – Scrivetemi dunque dove dovrò smontare. Altrimenti andrò alle
Mia Signora – Eccomi solamente diviso da Firenze dal
Non so dirle di certo se la Ricciarda si reciterà; andrò fra un'ora in teatro alle prove; e se l'attore che fa da
S'io dovessi e potessi scrivervi tutte le idee che mi sono passate per la mente dalle ore 3 di venerdì scorso, sino a questo momento, io riempierei venti fogli; e vi lascerei nondimeno nella stessa confusione in cui mi trovo dentro di me. Gli occhi miei si sono fissati sempre e si fissano in quel pezzetto di carta scritta col lapis; o amica mia; voi non ci avete scritto che una sola parola –
Signora mia – Ricevo oggi la lettera 10 settembre. Le scrissi ier l'altro; e il dì 10 le scriveva da Venezia dove mi sono fermato poche ore. Le notizie ch'Ella mi scrive della prima Grazia, potrebbero forse affliggermi, se mi toccassero dentro al vivo; ma non offenderebbero in nulla la bella persona, liberissima in tutto, perchè non mi ha dato nè promesso mai nulla. Ebbi tutt'al più un fiorellino colto forse nel suo giardino, e regalatomi dalle mani maestre dell'arpa; me lo infilvai nell'occhiello del mio frack e m'è forse passato per la testa il capriccio di dichiararmi secretamente cavaliere della bella persona fondatrice dell'ordine del Fiorellino: ma il fiorellino frattanto appassiva; m'ingegnai di tenerlo vivo; avrei voluto spruzzarlo di qualche lagrime e rinfrescarlo, ma io lagrime non ne aveva; e le foglie diventarono così aride che il vento di Bello-Sguardo se le portò via a mezzo luglio. Rimane bensì un po' di fragranza di quel fioretto sul panno del frack ove fu appeso per qualche giorno; svanirà la fragranza, ma non mai la memoria – perchè io non mi dimentico di veruno benchè minimo accidente della mia vita – ma la memoria non sarà riscaldata dalla fiamma del cuore, nè incarnata dal pennello magico della fantasia. Che se la bella persona ha trovato cavaliere più fedele di me, non posso, senza rimorso di malignità, presupporre ch'egli sia più felice: nè io per altro lo invidierei; tanto più ch'egli per la sua fedeltà lo meriterebbe assai più di me, ed io posso forse essere fortunato per pochi giorni, ma oramai non potrei essere più felice se non se con una sola donna, che sola io sento di poter amare, e sono anzi forzato ad amarla per non so quale fatalità; perchè spesso e lungamente ripenso a questa mia disgraziata passione e mi convinco che non c'entra, nè l'amor proprio, nè la galanteria, nè la gelosia, nè la vanità, nè la sensualità, nè tanti altri ingredienti che formano quasi sempre la universale passione del bel mondo nobilitata del nome d'amore. Forse, s'io non l'avessi riveduta – e in quello stato! – forse avrei corsi de' nuovi pericoli; ma ora sto così male, che nessun'altra donna può farmi star peggio, ed è tal piaga che ricusa balsamo d'altra mano: nè so come io mi sia deliberato a partire; nè so se potrò stare, bench'io lo tenterò con ogni mia forza, star immobile per alcuni altri mesi a Firenze. – Non ho più tempo; il corriere parte; le prove della Ricciarda vanno alla peggio: ma sarà quel che sarà.
Carissimo – Poche ore innanzi ch'io uscissi di Milano, madama Gieglier mi mandò la tabacchiera per Didimo; e Didimo saggiò del vostro tabacco e ricordatosi del suo Frate, ne pigliò una presa, calcandosi l'indice e il pollice socchiusi sotto le narici, e allentandoli adagio adagio, e spalancando gli occhi, gridò:
Je viens, mon cher Ugo, de recevoir votre lettre du 12. Il y a peut-être de l'indiscrétion de vous en remercier par écrit, et de vous distraire de votre occupation théatrale. Je suis trèsempressée de savoir la réussite de la Ricciarda. Si elle est bien jouée elle devroit avoir du succès. Je conçois que votre coeur souffre pour votre ancienne amie. Il y a une gouvernante des Torrigiani qui étoit dans la maison Vassalli qui l'a connue, et m'en a parlé. Elle vous connoit aussi. Votre seconde Grâce. n'a pas pu résister à Penvie de voir Paris; ce n'est pas le moment le plus heureux pour y jouer son rôle. Je crois aussi que la première des Grâces a renoncé a Boulogne; il est possible que vous la retrouviez comme vous l'avez laissée. Car on s'avise souvent mal à propos de juger d'après les apparences qui sont souvent fausses. Je me réjoui de pouvoir écrire (?) franchement et sincèrement avec vous; il y a si peu de personnes qui savent nous entendre dans ce tems-ci. Je serai charmé de vous revoir et de vous assurer de vive voix de ma tendre amitié. En attendant recevez-en Passurance par écrit. Mr. Fabre me charge de vous remercier.
Il y a ici un Grec qui vous attend; c'est un artist qui vient de Rome, et qui a été fâché de ne pas vous trouver à Florence.
Adieu au plaisir de vous revoir.
Signor Ugo Pregiatissimo – La sera del 12 comparve improvviso nella mia stanza a me e alla Consorte mia il Capitan Giulio di Lei fratello. Egli era venuto a Como per godere del teatro insieme con una compagnia milanese. Il vederlo in quell'uniforme di cavalleria, il sol vederlo e ripiombarmi sul cuore la memoria tuttor acerbissima del perduto nostro Benedetto fu un colpo solo.... A me venne a mente la campagna Germanica ed Ungarica del 1809, nella quale il di lei Giulio passava le giornate assieme col mio povero figlio.... Oh! Dio! Adoro e piango.... Un simil colpo provai nello scorso agosto, quand'Ella mi comparve d'innanzi, e piangemmo insieme.
Purtroppo in questi giorni avranno da lacrimare tanti altri occhi, abbenchè non tutti i Genitori e le spose abbiano il mio cuore e quantunque ben pochi perdano tanta grazia e valore e speranza e talenti.... Oh misera età de' macelli e de' sofismi!
M'aspetto che più dolci lagrime faccia versare in codesto Teatro Bolognese la di Lei
Costì Ella non avrà tutti que' che s'impegnavano in Milano ad offuscare la celebrità del suo nome, quelli, che
Le mando due esemplari del Numero 32 del
Dopo vedravvi alquante righe chiestemi per lodare il canto e l'azione della Famiglia Mombelli, che attrae gran concorso al Teatro. Procurai che mi venisse a penna corrente non una semplice lode, ma volli dir qualche cosa intorno a Metastasio, e non so come m'avvenne a scrivere anche il gran nome d'Alfieri. Ella deve emularlo, e vivendo in Firenze e frequentando la contessa d'Albany, quanto non Le si crescerà desiderio di questa carriera tragica? Le auguro di nuovo e questo bene ed ogni altro!
Signora Contessa – La Tragedia fu pessimamente recitata; ed io lo sapeva innanzi la recita: e saetta antiveduta vien più lenta
, diceva Dante: ma lasciai correre una pessima recita per fare un esperimento qualunque su l'arte mia, e levare a'
Signor Tognetti pregiatissimo – Piacciale di spedire al signore
Così pure al signor cavaliere Vismara Prefetto del Mincio a Mantova.
Ma specialmente al signor
E finalmente un esemplare con questo
S'ella crede di spedirne una copia al
M'era dimenticato di pregarla che facesse spedire due copie, una al signore cavaliere Tamassia Prefetto del Lario, a Como, l'altra al signor barone
Nessuno di questi involti deve avere biglietto.
Le chiedo mille perdoni, le rendo infiniti ringraziamenti, e la prego di valersi di me, che non soglio essere cortigianesco promettitore.
Questa sera, donna gentile, e con mio sommo dispiacere non potrò venire a vedervi. Di dieci cose ch'io voleva fare, non ne ho fatta in tutto oggi una sola. Una benedetta partita puntigliosissima a scacchi mi fece perdere il tempo, e quasi anche il buon umore ch'io aveva portato di Lombardia. Alla partita è succeduto un invito grazioso, ed ho desinato col mio competitore; appena n'esco, e bisogna ch'io mi faccia da Pietro barbitonsore scorticare le guance, e rivestire, per presentarmi a Madame la Comtesse. Dunque per istasera addio, e buona sera alla Grifagna, e la buona notte alla Badessa, e una carezza alla Topina.
Madre mia – Ti scrissi già da Bologna; ed oggi ti annunzio che da tre giorni sono tornato alla mia quiete in Firenze, dove passerò i mesi più freddi, e poi sarà quello che il cielo vorrà. Ma le tue preghiere, e i tuoi meriti faranno che il cielo ascolti almen in parte i miei voti. M'è altamente doluto nel cuore a non poter venire a vederti, e baciarti, mia cara Madre, e abbracciare la mia cara Sorella, e vedere da vicino come vanno le cose nostre. Ma le forze non rispondono sempre, pur troppo!, al buon volere; e dopo tanta e sì dispendiosa dimora a Milano, e sì lungo viaggio, io appena mi sono trovato tanto da tornarmi in Toscana. Verrò dunque quanto più prestamente potrò; e forse a Natale, ma certamente a Carnevale quando si reciterà la mia Ricciarda a Venezia. Attenderò frattanto a lavorare, e ad avere cura della mia salute la quale s'è felicissimamente ristabilita. Per l'affare di
S'io t'avessi risposto subito, – e la tua lettera mi giunse ier l'altro mentr'io arrivava a Firenze – certo, s'io t'avessi risposto subito, io mi sarei dimenticato di ringraziarti affettuosamente, dolcissimamente della tua premura a rispondermi. Ma mentre io leggeva per le prime volte quella tua lettera, la terribile confusione affannosa che circonda l'anima mia, divenne più forte subitamente, e più lunga; vidi che il tuo stato è in tutto simile al mio; lessi quello ch'io già sapeva; e mi confermai nella mortale certezza che tu stessa inalzavi fra noi una barriera di divisione perpetua, e ch'io credeva necessaria, quand'anche io dovessi riescirci morendo; – è necessario,
O bella giovine, io t'amo teneramente – questo sentimento solo, – ma quando è solo mi conforta d'un diletto profondo indicibile, e d'una mestizia soave; – ma quando poscia a poco a poco ripenso alla storia passata, lunghissima storia di contrasti, d'afflizioni, di dissimulazione dell'affetto più dolce ch'io abbia più secretamente nutrito dentro di me – quando penso all'avvenire che mi sovrasta; quand'io veggo per quante miglia e per quanto tempo io vivo e vivrò lontano da te; e quando prevedo che un giorno forse ti pentirai d'avermi parlato con tanta nobile tenerezza, allora maledico me stesso, e la mia confessione funesta, e il viaggio fatale che mi ricondusse a Milano; non ti ho riveduta che per acquistarmi un rossore; tu non m'hai ascoltato che per sospirare, – per abbandonare chi t'abbandonava, e per dimenticarti un giorno di lui. Io era certo che tu non ti saresti dimenticata mai dell'amico tuo, dell'unico depositario de' tuoi sentimenti; ma ora, me misero, ora è più facile che tu tenti di dimenticarti dell'amante imprudente, e infelice; n'avrai pietà, mentr'egli non avrà che amore per te; tu vorresti poterti compiacere del disinteressato sentimento dell'amicizia; ma io avrò desiderii più smaniosi e più ardenti; ti cercherò da per tutto e temerò di trovarti; ti vedrò, e temerò d'ora innanzi di tradirti guardandoti; tacerò quando potrò essere solo con te; non ti rammenterò che ti fui caro una volta; soffocherò i miei gemiti; ma tu te ne accorgerai, tu avrai pietà, pietà dolorosa di me; tu piena di tenerezza (?) delicata (?) certamente sentirai un rimorso del mio misero stato; ma non oserai consolarmi, perchè ogni specie di consolazioni lusingherebbe forsennatamente il mio cuore – sciagurato, sciagurato, che ho fatto mai: io aveva la tua amicizia, ora l'ho perduta; quand'anche tu volessi la mia, temeresti di domandarmela perchè sai apertamente che non è più schietta e tranquilla; nè io vorrei più la tua, non mi basterebbe più se tu non mi amassi. – O amami; amami come puoi; amami quand'anche io fossi condannato a un esilio perpetuo lungi da te; – oh se fossi sicuro che tu non ti dimenticheresti di me, che mi ameresti quand'anche il mio cuore non mi battesse più dentro il petto, quand'anche gli occhi miei non potessero più aprirsi a vederti, e ad amarti (?), ad adorarti – sì ad adorarti, – non è espressione romanzesca per me – e ti se' avveduta sovente ch'io ti stava vicino in una tacita adorazione; e quanto tu mi parevi bellissima, tanto più io nascondeva il mio amore infelice; – sì, bella donna, sì, se io fossi certo che tu m'ameresti anche morto, oh come mi sarebbe dolce l'andare ad aspettarti chi sa dove! ma quando pure si perdesse ogni senso di vita in quell'ultima ora, oh come la morte mi sarebbe dolce nella certezza che tu serberesti il tuo cuore pieno di me. Che se tu pure senti la funesta e cara necessità d'essere amata, amata con tutte le forze dell'anima, con tutti i sacrifici, con tutta la nobiltà e la delicatezza possibile in un uomo,
Sono ormai così vecchio, Giovannino mio, ch'io mi trovo ridotto a seccare gli amici miei, consigliandoli: e potrei regalarvi un intero rosario d'avvertimenti paterni; ma mi contenterò di pochissimi; e voi li terreste per belli ed avuti quando anche io non ve li avessi mai dati: non posso tacerli, perchè mi furono suggeriti da' discorsi ch'ebbi la fortuna di tenere – e per lo più s'è parlato di voi – con vostra sorella. E m'è sembrato che la donna gentile fosse alle volte del mio parere; ond'io tengo i miei consigli per veri, e a voi certamente riesciranno più cari, e molto più se li udrete da lei che abbellisce le sue parole del più grazioso sorriso che la madre natura abbia mai conceduto alle labbra d'una donna gentile: ma voi non le dite nulla di questo sorriso; la signora s'adira delle sue lodi, ed io voglio star in pace con chi non si lascia mai vincere. – Or, Giovannino mio bello, io vi consiglio, io vi consiglio, – e forse parlando, come ho con voi fatto altre volte, al deserto, – vi consiglio
Addio di nuovo, mio caro Amico; vorrei pure abbracciarvi, e condurvi meco a rampicare su per questi bei colli:
ma se non venite, baciate spesso almeno per me la vostra amabile nipotina; e ringraziate vostra Sorella della graziosa accoglienza di cui le piacque onorarmi: non però ho perduta la soggezione ch'io aveva di Lei. Addio addio.
Sigismondo mio – Ho veduta la Trivulzi con sua sorella, e m'accorsi che tu dovevi lodarla. Ha un ingegno rapido, acuto; un parlare dilicatissimo, e punge; molta affabilità signorile; un sorriso quasi perpetuo e soave che ti sorride nell'anima; ma sopra tutto un'amabile ilarità nelle noie della sua salute, e nel lutto dell'anima sua: e quella ilarità mi pareva un velo color di rosa da cui trasparisse un pallidissimo volto. E mi sono fieramente ricordato della Fatale persona. – Della Crivelli, io era disinteressato e tacito cavaliere quando chiamavasi la Giulietta Serbelloni; la sua mestizia, o almeno ciò che nel suo volto a me pareva mestizia, mi faceva bramare che trovasse uno sposo: ma quando di giovinetta diventò donna, si parlò sì freddamente di lei, e mi parve sì contegnosa ch'io senza accorgermi ho lasciato cadere il nastro cilestro ch'io portava per lei: ora la ho riveduta, e tutta affabile e ingenua: e mi trovo fisionomo assai mal pratico; e ripiglierei forse quel nastro se sapessi dove trovarlo. Tu frattanto salutale, e ringraziale quanto più gentilmente saprai delle graziose accoglienze che hanno fatto ad un uomo il quale non aveva mai parlato con esse; di cui forse avevano sentito parlare assai male; e che certamente non avrà più occasioni di rivederle così da vicino. Ma tu farai bene, Sigismondo mio, farai bene a stare vicino alla madre di Vittorina; potrai forse pericolare; ma tu moriresti di noia se non avessi e non ti cercassi pericoli; ed è meglio trovarsi in burrasca nel lago splendido di Pusiano che nel pantanoso naviglio. – Ma di me, di me – s'io ti dicessi ch'io non so cosa sia ora di me, tu Sigismondo mio, rideresti: ridi dunque; così è. Nè il tuo riso nè la tua compassione potrebbero cangiare il mio stato: non dipende da me. E non andare fantasticando accidenti e persone che m'abbiano improvvisamente cangiato: le cose stanno come già stavano; ed io non accuso nessuno, nemmeno il clima, della mia malinconia, che dopo la noia, è la più vile infermità de' mortali; perchè è infermità inoperosa; ingrata alla natura; freddissima ne' desiderj; fantastica in tutto fuorchè ad illudersi delle promesse della speranza. Ed io ora sono sì mesto, anzi tristo, che non mai più tanto: Ego vir videns paupertatem meam in virga indignationis ejus. In tenebrosis collocavit me, quasi mortuos sempiternos. Misit in renibus meis felias pharetrae suae. Conturbata sunt viscera mea. Oblitus sum bonorum.
E potrei dirtelo a mente. Questo gran libro della Bibbia non mi somministra, pur troppo, molta persuasione intorno alle cose soprannaturali; si confà bensì le più volte allo stato naturale dei miei pensieri, e più che mai quando il presente non riempie più d'illusioni la mia fantasia. In sì fatta vita, t'immaginerai perchè io abbia tardato a scriverti, ed ora io ti scriva, sì pazzamente e con tanti illeggibili scarabocchi, e men lungamente del solito. Anche le cose dubbie d'Italia, qui dove giungono tarde e false notizie, mi vanno sollecitando a tornare nel Regno; non posso indurmi allo stato d'indifferente cosmopolita. – Or addio. Addio con tutta l'anima anche a tua Sorella; non le dire di queste mie malinconie; troverebbe alimento e giustificazioni alle sue. Addio; ricordati del tuo
Da tutte l'altre mie lettere, ricavate, mia cara amica, tutto quel che potete: io so a un di presso quello che vi ho scritto, ma come io l'abbia scritto non so: avrei potuto ricopiarle e liberarvi dal fastidio di tante ripetizioni, ed assumere uno stile più placido: ma quelle mie ardentissime fantasie, così come ve lo ho spedite, conservano fedelmente lo stato dell'anima mia più che se vi fosse stato descritto dal più eloquente ed acuto osservatore degli uomini; ed una delle mie tante obbligazioni ch'io giurai a me stesso di serbare inviolabilmente verso di voi, è questa: di svelarvi candidamente il mio cuore; foss'anche in istato febbrile; e quand'anche co' suoi delirj dovesse eccitare non solo la vostra pietà, ma fors'anche la vostra collera. Ma voi mi perdonerete, mia cara; col tempo, e solo col tempo voi potrete essere contenta di me. Bensì vi rinovo l'unica mia preghiera, di scrivermi la storia del vostro cuore a mio riguardo. N'ho bisogno, per sapere anche come comportarmi con voi per guarirvi. – Quanto a me, i miei sentimenti dipendevano forse dai vostri prima di quel venerdì; ma ora, qualunque contegno voi possiate prendere meco, qualunque idea voi possiate avere di me, il mio cuore non si può più cangiare; non dipende più da voi; ma dalla sua passione; o piuttosto da una fatale necessità che mi strascinerebbe per forza, s'io non volessi secondarla con tranquilla rassegnazione. Ho dunque risoluto d'
Ma io provvederei male alla vostra tranquillità s'io vi lasciassi in preda alle vostre meste immaginazioni: ed ecco il
Sorella mia cara – La tua lettera mi ha cavate le lagrime, e vedo che forse io con troppa vivezza mossi a te quei consigli e que' lamenti che ti sono sembrati acerbi rimproveri; onde te ne domando perdono; non già perch'io non creda d'averti detto il vero, bensì perchè ora m'accorgo d'avertelo detto risentitamente, ed in guisa che ti ha recata afflizione; e la tua afflizione, mia cara Rubina, si ripercuote amarissima sul mio cuore. Ma dalla tua lettera vedo che o io mi sono male spiegato, o tu non hai potuto intendermi. Non mi sono già adirato perchè tu non allontani il tuo figliuoletto dalla tua casa; sarebbe pazzia l'adirarmene teco, non solo perchè non è ancora in età da provvedere alla sua educazione, ma ben anche perchè il dartene i mezzi dipende da me. Mi sono bensì doluto
Signor mio – Didimo le rende cordialissime grazie dell'articoletto; e vorrebbe che di sì fatti lodatori ve ne fossero parecchi; ma oggimai la letteratura si vende al minuto, e i dotti nostri escono co' loro canestri dinanzi sopra il mercato, vituperando per venalità invidiosa la merce altrui, e gridando: comperate da me e da' miei parenti e consorti. E il chierico amico nostro l'è più grato d'assai della spartana difesa delle sue opinioni sul teatro di Como; ma perchè appunto quella difesa fu epigrammatica e altera, egli vorrebbe non aver avuto occasione di ringraziarnela; avrebbe pigliata rassegnatissimo sopra il suo capo la gragnuola delle lingue lariane, anzichè temere che potesse forse tempestare sopra di lei, mio signore ed amico. Ella deve oggimai riposare col sicuro conforto nel cuore d'avere onorata e soccorsa de' suoi scritti la patria: per quanto si spregino gl'insetti umani, o si chiuda l'orecchio al loro ronzio, non però, se ci sono vicinissimi attorno, potremo fare che non ci turbino o che, se non altro, non ci movano a schifo. Parmi che la dignità della vita consista anche nel non provocare a battaglia tal gente che, quando pur resti sconfitta, non lascia vittoria onorata. Ella mi dirà forse que' versi che sono di fra Jacopone, o di tal altro suo pari:
e se i versi son miseri, il rimprovero è giusto; risponderò dunque:
però chi ha riverenza per gli avi nostri, e cura amorosa de' posteri loderà almeno l'intento delle mie lunghe fatiche; e la loro lode m'è compenso del biasimo mosso da misere passioncelle che la loro stessa miseria consuma. Così per mandare a' nepoti quanto men contaminata si può la presente letteratura, mi sono, e forse mattamente, ingolfato nel mare magnum dell'impostura e della ciarlataneria contro a'maestri miei, mercatanti di libri, evirati(?) d'ingegno, e di cuore, e di fama. E se verrà un giorno l'Italia vera, io l'avrò giudice pia: ma fors'anche
Tuttavia chi si pigliasse a cuore solamente l'oggi, avrebbe vita e studi sciaguratissimi. L'uomo letterato, fino che vive, non ha se non tre confederati ne' quali possa sperare; e tutti tre sono molto indecisi nella loro fede, e ciechi nel loro giudizio: il governo che ti protegge; i dotti che ti lodano; e il popolo che t'applaude. Ma la protezione avvilisce; la lode è interessata perchè molti si credono dotti, e tutti vogliono esser ricambiati di maggior lode; e l'applauso popolare è un certo picchiar di palme, più liberale a chi alletta le pazze passioni del volgo che allo scrittore che tenta di nobilitarle e dirigerle. Evvi un ceto indipendentissimo; ma appunto l'indipendenza fa sì ch'egli si stia sempre neutrale; e libero e contento di giudicare secretamente, senza impacciarsi nelle altrui risse; e fa saggiamente; perchè il suo giudizio prevale quando il tempo e la verità spengono l'orgoglio de' protettori, la vanità de' dotti, e il susurrar della plebe. Queste cose io le scrivo, perchè appunto in quest'ultimi giorni la recita della
Or io, signor Conte, la ringrazio con tutta l'anima delle oneste accoglienze ch'ella (ne son certo) avrà fatte al mio Giulio. E mi dorrebbe ch'egli avesse con la sua presenza posto il dito sovra una piaga che non si chiuderà nel suo cuore, da che sento che non potrà più rimarginarsi nel mio che pure non è cuore paterno: – me ne dorrebbe, se mai sapessi che il trovare chi piange sinceramente con noi la persona cara e perduta non ci riescisse di qualche conforto: ed io e mio fratello lontani da Como o vicini avremo Benedetto per vivo sempre, e amico nostro, e consolatore, e compagno e partecipe de' nostri affetti; e quando poi, pur troppo, ci accorgeremo ch'egli ci manca, e che la sola illusione ci ha consolati, allora noi lo sospireremo con mestissimo desiderio. Ed io ripeterò a lei queste veraci espressioni del mio dolore, perchè mi crederò di alleggerire il suo forse:
Caro Molini – Mandatemi le
Avete voi ricevuta una cassa di libri diretta a me?
Spacciate presto il mio servo. Addio.
Michele mio, carissimo amico e più che fratello mio, di cui mi ricorderò finchè avrò cuore e memoria. – Vive qui meco da un anno, e mi aiuta ne' miei studi, ed è mio partecipe in tutto, un giovine nato al Zante di padre e madre zacintii, e si nomina Andrea Calbo. E tornandomi (il che sarà fra non molto) a Milano, lo terrò mio compagno, per non abbandonare questo ingegno sorgente e concittadino alla povertà maestra d'arti volgari; e tu sai che la povertà, e Omero lo disse primo e meglio degli altri,
Di me frattanto, Michele mio, non posso dirti se non che vivo come viveva, e come, s'io non mi dimentico di me stesso, vivrò sino al momento che andrò a riposare sotterra. Il nome di Patria non s'è spento nell'anima mia, e la dignità delle lettere mi sta a cuore assai più della fortuna e della tranquillità della vita. E n'avresti prova s'io potessi mandarti tutto quello che ho scritto; ma se sono difficili gl'incontri di spedir lettere, trovo impossibili i mezzi di farti sicuramente giungere involti di manoscritti. Ma verrà tempo forse che potrai vederli tutti, e tu stesso assisterai fors'anche alla stampa; e non è certo ch'io non debba mai ripassare l'Adriatico, e venire a cantare io medesimo al Zante que' versi che ho scritti, e che scrivo in sua lode. – Or addio, addio. Salutami Zambelli: io saluterò in nome tuo Attanasi Politi, verecondo e ingegnoso e amabile giovine, e degno d'esserti concittadino ed amico. Lessi ier l'altro un quinterno della sua traduzione in greco dell'
Questa volta davvero, mio caro Dionisio, viviamo impazienti di rivederti: ed è pur assai tempo che non sappiamo tue nuove; alcuna voce ne viene di tratto in tratto che tu stai bene, e che sei utile ed onorato nella tua patria; ma è voce incertissima, e non è confermata da te. Ora le cose pubbliche e le nostre private accrescono la sollecitudine in noi, e ci fanno desiderare che tu ritorni, per nostra consolazione e compagnia, e per mio aiuto nell'educazione di Stefano. Stefano comincia ad essere uomo, e mette barba; ed io, benchè abbia egli per me molto amore e cordiale rispetto, non potrò presto presto aiutarlo che de' miei soli consigli: l'età sua domanda
Queste cose ho volute dirvele per obbligo santo d'amicizia, e per sentirmi libero il cuore: del resto io non lascerò mai Stefanino, mai, abbandonato a sè solo: gli sarò padre, e fratello, ed amico, e più che amico finchè voi siate tornato, o abbiate diversamente disposto della sua sorte. Bensì vorrei che voi foste qui meco; e darei anche la metà del mio sangue per rivedervi: e non solo per vostro fratello, ma anche per me. Io, mio caro amico, benchè io goda di qualche fama, e di seicento zecchini all'anno, non però godo di quella certezza e sicurezza di vita che rende cara la fama e il danaro. La fama mi ha fatto conoscere e perseguitare; perch'io non vendo nè venderò mai la dignità delle lettere e dell'anima mia. – E queste mie pensioni sono incertissime; sì perchè possono essere tolte da chi me le ha date; e sì perchè dipendono da' cangiamenti politici che all'età nostra sono perpetui. Vorrei dunque che tu fossi qui anche per consigliarmi teco intorno al mio stato, e pigliare qualche partito onde renderlo più sicuro, e men soggetto alla fortuna ed agli uomini.
Ma di me per ora non preme che ti prenda grande pensiero. Mi preme bensì che tu al Zante parlando con gli amici nostri, e con quelli che vorrebbero pur vedere illuminata ed ornata di letteratura la loro città, tentassi di far soccorrere un nostro compatriota. Chiamasi
Abbraccia chi si ricorda di me, eprimo il mio Costantino. E tu credimi finchè avrò spirito di vita amico tuo caldo e leale.
Signor mio – Poi che fu impostata la mia precedente, ebbi il foglio: e lo riebbi ier l'altro con l'altro numero; e la ringrazierò ancora più s'ella m'associerà alla parte letteraria del Giornale, e me lo spedirà, tanto ch'io sappia cosa oggi faccia Bologna Et ne velitis dicere intra vos: Patrem habemus Abraham: omnis ergo arbor quae non facit fructum bonum, excidetur et in ignem mittetur.
= Ma di questi testi parlerà forse un giorno l'Amicissimo mio Didimo Chierico. – Nel
P. S. Col foglietto qui annesso, mandandolo al libraio Ramponi, Ella riceverà un volumetto: lo legga e lo serbi per mia memoria; l'ho pubblicato qui mesi addietro col nome di Didimo; e mi piacque di tradurlo perchè è un libricciuolo tutto nuovo e desunto da' ripostigli del cuore umano. Potrà a suo agio parlarne; trovasi nel Giornale Italiano, credo verso gli ultimi giorni d'agosto, un articolo; ma benchè lodi, non mi pare che abbia moltissimo garbo – queste cose stieno fra noi. – Vive iterum valeque.
Signor Ugo mio Pregiatissimo – Ieri mi giunse il caro suo foglio del 24 settembre e il dico caro perchè sempre grate mi tornarono le sue lettere, perchè poi quest'ultima è piena di sentimenti per me amorevoli, e pel dolor mio paterno, perchè tante mi eccita idee sulla letteratura, e i letterati, e i tempi nostri, e l'Italia attuale e la futura. Duolmi che noi non vedremo probabilmente ritornare il secolo di Leon X...! sebbene anche in quello ebbero luogo piaggerie e rivalità d'ingegno, in quello Franceschi ed Iberi e la tedesca rabbia insanguinarono la nostra terra, e diedero anche quegli anni al Filicaja il pensiero di veder questa nostra patria
Il bel sole e la verdura dei poggi e la quiete delle foreste, e il correre di chiare, fresche e dolci acque, mi dilettano ancora.... Or che sarà per me, che sì bello, sì caro trovo questo sole, che sarà quando il Fattor d'esso, e il mio m'illumini, e tutti i difetti miei adempia di sua grazia?... Dolce pensiero! fiat!
M'avveggo di parlar troppo di me. Ma se questa è una pecca degli albagiosi e degli sconsiderati, questo è il diritto dei miseri, e misero chi più di me, che la pupilla perdetti degli occhi miei, che su quel figlio fondava ogni sogno futuro? II di lui cuore il volto i talenti tutte insomma le più amate memorie mi fanno guerra. Ella pertanto e mi distragga, e m'inchiodi nei miei pensieri colle sue lettere.
Frattanto io Le dirò che i due esemplari del di Lei Sterne giunsero alla Vincenzina. Quella mia cara figlia me lo disse tosto, e da me ora interrogata mi narra d'averle scritto a Firenze, saranno sei giorni. Cerchi dunque Ella in posta. La Vincenzina diede tantosto all'altra mia figlia, la Vautré, una copia. Oggi la Vautré non pranza meco. Se non farò domani una sbrigliata a Verzago, interrogherolla io stesso, perchè è uno de' giorni fissi, ch'essa pure corona la mensa del Padre.
Alla Luigia, ed allo sposo Baldessarre Lambertenghi dissi le grazie sue. Quel Lambertenghi è davvero un bravo e pulitissimo giovane. Ieri sera corse a prendermi il
Ella seguiti la ben incominciata carriera. Parmi che se Foscolo non si ristà, avremo un altro Alfieri, non men robusto nello stile, ma più ancora poeta! Gran passioni e fuooo non Le mancano, e ne' dialoghi repentini scarseggiarono forse mai le di Lei labbra d'acconcie parole, o gli affetti di persuasione e d'immagini?
Esortola colle parole di Virgilio miste alle mie. Desidero vedere quella Ricciarda per quel Guido in cui Ella mi disse di aver voluto delineare qualche tratto del mio Benedetto. Desidero pure di veder qualche altra cosa sua. E come non s'animerà Ella sempre più sotto gli occhi della contessa d'Albany, in riva al bell'Arno, nel ritiro ameno di Bellosguardo, in mezzo a quell'aria respirata già da tanti grandi uomini, in mezzo a quegli aranci odorosi, in un clima clemente, e lungi dal ronzar di quelli insetti, che se non trafiggono, annoiano?
La Contessa mia Le ricambia i suoi saluti, ed io con il cuore, con quel però, che stanco mi resta e lacero, Le desidero ogni bene.
N'ho ricevute già quattro – e la quarta porta la data de' 28 settembre: questa è la undecima delle mie. – Ma ch'io arda mai le tue lettere? Le arderei nell'ultima estremità; ma così accese, le inghiottirei quand'anche dovessero abbrucciarmi le viscere. Non temere nessun le vedrà nessuno saprà mai dove sono, se non nel caso ch'io morissi improvvisamente: ma penserò anche a quel caso – Se tutta la mia vita fosse come oggi non potrei tollerarla lungamente. So cosa devo fare, ma non so il come – La Signora è arrivata ier sera – l'ho veduta nel suo palchetto: mi disse che mi trovava di lieta ciera, e d'umore mestissimo; aggiungendo graziosamente
Sigismondo mio – Ti ringrazio assai assai della tua lettera in risposta alla mia, e ringrazio assai più tua sorella che ha sollecitata la tua pigrizia a rispondermi; bensì t'assicuro – perch'io non soglio giurare – che il corriere s'è dimenticato il tuo foglio a Milano, o l'ha smarrito per via: scrivine dunque un altro, ed impostalo meglio; se pur ti preme ch'io sappia che tu vivi, e che mi ami. È vero che tu avrai altro da fare; ed è anche vero ch'io scrivo perchè non so dove voltarmi a cercar distrazione da' miei tristi pensieri: e per rallegrarli penso a te le più volte: penso che se tu non facessi un salto e una cantilena franciosamente quand'uno ti parla – e se io non mi lasciassi venir addosso lo spirito della taciturnità o della chiacchiera – penso che tu ed io si sarebbe de' meno inamabili sfaccendati d'Italia. Alla stretta de' conti – e lascia pur dire l'atrabiliare bellissima sirocchia dell'elegante Cicogna, cicogna gracchiante ella stessa, e divotissima innamorata della vedova Vittorina e d'Iddio – tu ed io siamo due generose creature, e non vogliamo dar noia al prossimo nè spiare le faccenduole del cuore altrui, nè le opinioni, nè le colpe ed i meriti, appunto perchè la umana felicità – quella poca che si può sperar su la terra – la riponiamo unicamente nel piacere a noi stessi, lasciando che gli altri piacciano a sè medesimi. Ma la gentile Fulvietta la quale – Dio gliel perdoni! – non vuol dispiacere a chi non merita molti rispetti, coglie il punto a pennello per angosciare gli amici suoi, e me più ch'altri che le voglio bene davvero, di quel bene certo e costante oggimai, perchè non ha più a che fare col desiderio de' baci. Or io vivo e non vivo: e nulla stringo e tutto il mondo abbraccio
, diceva il Petrarca: ed io sto qui – qui, e da per tutto – a impazzare peggio di lui; perch'egli, non foss'altro, spassionavasi sonettando e rimando; inoltre sonava il liuto e n'aveva uno bellissimo, come egli dice nel suo testamento: io invece non fo un verso per la rabbia, nè mi piace oramai fuorchè il suono dell'
col resto della canzone: ma tu, epicureo, lasci il Petrarca in mezzo alla polvere perchè non hai più necessità di gridare, come pur t'ho sentito una volta:
Sigismondo, siamo vecchi, pur troppo! – E a proposito di versi e di vecchi, salutami Alessandro – Schira – Carlo – Sala – Paina, e regala a lui questo distico in nome mio; a lui ex-poeta latino piacerà forse
Or addio; – bacia la mano a tua sorella; e dille ch'io non sapendo nulla del mio stato presente, non preparo progetti per l'avvenire: ma quanto a lei
Salutami anche la marchesa Beatrice; salutala com'io vorrei, e come tu sai meglio di me salutarla; e quando sarò a Milano, la manderò sempre a salutare da te: io non credeva ch'ella potesse avere mai tanta nè sì vivace amabilità. Ieri io, come console generale de' Milanesi, ho veduta madama Bellerio: che differenza! e sì che a dir vero la Bellerio è più bella: – ma! – io bacerei piuttosto una ciocca de' capelli biondi di quella
Carissimo Chiotti – Capiterà al Ministero una cassetta col soprascritto: r Zappi intendente di Finanza a Bologna
Da spedirsi r Conte Vaccari Ministro G. D.o 1 a Milano
Fate, mio caro Amico, di ricuperarla; la diligenza di questa settimana la porterà. Avvertitene S. E. – e sarebbe bene se la cassetta così chiusa, com'è, fosse mandata in casa di Madama Battaglia; contiene due cappellini, ed aprendola potrebbero forse scompaginarsi. – Abbracciate De Capitani e Banfi in nome mio, ve ne prego; anzi a De Capitani farete un lungo lamento personale: gli scrissi, e d'affare che mi premeva tuttochè non mi concernesse; e non mi ha peranche risposto; nè mi risponderà forse. – Che se voi potrete pigliare la penna per me, datemi notizie della Contessa Carolina a cui vi prego di presentare i miei ossequii: l'ho lasciata malata, e vorrei sapere ch'ella è guarita. Or addio, mio Chiotti carissimo. Addio. –
Carissimo – Avete voi ricevuti da Bologna i miei ringraziamenti e di Didimo per la tabacchiera e il tabacco? Vi pregavo d'amare il povero chierico e di non dimenticarvi di me. Datemi dunque segno di vita. Vorrei pur trovarmi con voi o con chi vi somiglia a ragionare sragionare ciarlare politicare fantasticare. Qui sto con pensieri chiusi e romito: e paio il sacerdote del Silenzio quand'apro bocca per necessità, e il vicario del Dio Sonno quand'ascolto i parlanti. Sono nel cuore d'Italia, e dove Italia è più bella, e dove l'idioma è più limpido; e tuttavia non sono cittadino, e mi veggo da me medesimo condannato a mantenere que' prudenti rispetti che i governi giustamente impongono a' forestieri in tempo di guerra. Pur questa guerra mi tocca oltre la pelle, e se le cose non saranno liete e pacifiche, io lascerò per un poco – o per quanto tempo il cielo vorrà – quest'aere vivacissimo, e quest'ozio tranquillo e operoso, e la dilettevole musica del volgo fiorentino amabilmente ciarliere, e verrò in Lombardia. Alla stretta de' conti, bisogna pur pericolare con la sua patria; e ricorrere all'ara della Dea Sventura unitamente a' propri concittadini. Così dunque farò fra non molto, se migliori novelle degli eserciti non mi riconfortano a starmi. Trattanto scrivetemi sempre qui; e se avete alcun articolo nel giornale di Torino sulla versione di Didimo, fate ch'io possa leggerlo. Addio addio carissimo.
Silvio carissimo – Lessi a' giorni passati la tua risposta, e la credo risposta, benchè tu non mi dia segno d'avere avuta la mia lettera. Io mi sto qui
Mi sforzerei tuttavia, e vedrei di spremere dal cervello tutto quel poco ch'egli può ancora darmi, se sacrificando alle Grazie potessi sperare
Ma le Grazie non ne possono; e credo esagerata la storia di Venere che co' suoi baci rammansava quel manigoldo di Marte. Nè io temo per me; – ma per quanti altri non dovrò piangere forse! E per te temo, mio caro Silvio: fa ch'io sappia alcuna cosa di certo, tanto ch'io possa dispormi a movere di qua le mie tende ed accamparmi con tutti voi. Scrivi enigmatico; narrami le guerre d'un amore di ragazzi, e quanto più saranno
Carissimo – Avete voi ricevuto lo
Signor mio –
Così incomincia una canzone, se ben mi ricordo, di messer Cino, poeta vezzoso e ch'io paragonerei a Catullo, dove questi non è freddo nè laido. E come Virgilio tolse i versi a quel di Verona, così il Petrarca ne ha pigliati parecchi a quel di Pistoia; e so d'averli notati in un mio volumetto di Cino rimastosi derelitto, con gli altri miei compagni d'amore e consolatori, a Milano. Ma io vorrei pure che si leggessero con religione, ma non s'imitassero con superstizione que' patriarchi dell'idioma. Didimo forse un giorno ne parlerà in certe omelie, ch'egli ha intermesse a cagione del nessuna terra m'è patria
; Socrate meglio: ogni terra m'è patria
; ma
di scrivere a lei di siffatte cose, e di spoliticare contro il mio solito. E vo spesso leggendo la Bibbia, e poeti, e canto versi da me, nè so fermare il capo in nulla di concludente.
Neque
È vero ch'io paio così il moscherino che ara col bue; e sorrido anche pensando che per troppo amore d'Italia, sono esoso agli uni, e sarei forse perseguitato dagli altri; DonChisciotte afflittissimo della mia politica Dulcinea. Ad ogni modo non mi pare nè sicuro di confinarmi qui oltre l'Appennino, nè onesto: pigliata una volta l'Italia di là, chi potrebbe più contendere questa [?] ed io andrei o in balìa de' vincitori, o esulando per le inospitali montagne liguri;
– dicea Dante che la fe' co' suoi piedi. E non sarebbe onesto per me; credo che s'abbia a cadere con la sua patria, e pericolare con tutti i concittadini. – E che sarebbe inoltre di me incerto delle sostanze, della pace, e della vita di tanti amici, e diviso, e forse per sempre, da mio fratello? – Però, se le cose non si ristanno verso il Friuli, io tornerò a Milano. – Vorrei scriverle dell'altro; ma sono stracco, ed è notte avanzata, e più consumato dal troppo fantasticare che dal desiderio di sonno. Or, il mio signor Conte, mi ami, e si ricordi di me: nè io posso dimenticarmi di lei, perchè nè dì nè notte viene per me, ch'io non nomini con lungo e secreto gemito il giovine ch'Ella, ed io, e l'Italia abbiamo perduto. Presenti i miei ossequi, poichè non posso le mie consolazioni, ed essa forse le sdegnerebbe, alla signora Contessa; e a tutte le sue figliuole; e m'abbia sempre e in tutte le fortune ed i luoghi per servidore ed amico.
Mia cara Amica – Stamattina alle
Sigismondo mio – Non t'affannare ch'io possa macerarmi d'»Per via petrosa e dritta discorrenti» –
I savi, i discreti, e gl'intelligenti dicono che questi non sono indizi d'amante felice, perchè la Signora è donna e madonna del suo bel talamo; nè d'amante altero, perchè egli non s'avvilirebbe a tante smorfie di collegiale; nè d'amante leale, perchè non farebbe mostrar a dito la sua Dulcinea. – Ma la platea non è di savi e d'intelligenti; e peggio le gallerie: però dicono – sappia Dio ciò che dicono! – non gl'intendo: ma so che quanto a me sono tenuto per un filosofaccio che piglia epicureamente le donne per quello che sono. Dio lo volesse; anzi Dio l'avesse voluto! perchè oggimai sono sì avvezzo alla don-Chisciottesca magnanimità nell'amore, che per quante voi donne me ne facciate, io non saprò diffidarne. Mi mancava anche questa bella riputazione di donnainolo grossamente carnale! – Del resto io credo queste tre cose; che Madama vada un po' civettando, senza volere, almeno per ora, lasciarsi pigliare; che
E son parecchi anni ch'io di tratto in tratto resto col corpo dove per occasione mi trovo; ma vado col pensiero, e col cuore, e con tutte le facoltà attive dell'anima – vado – non te lo posso dire per ora – nè forse mai. Sappi che sono quasi le due dopo mezzanotte, e il capo mi cade su questa carta prostrato dal sonno, e da un'emicrania acutissima che m'ha ghermiti i nervi della cuticagna, e son tutt'oggi ch'io me la godo. Onde io me ne andrò a letto a vedere se Dio vorrà ch'io non mi stia con gli occhi spalancati; e penserò a te e molto più alla Fulvietta a cui bacerai la mano. – Bench'io vorrei narrarti per le lunghe un'altra bizzarra faccenda; e m'era seduto qui presso la mia lucerna con questa intenzione. Ma
Or la buona notte davvero: – queste cose d'Italia mi fanno dolere il capo assai peggiormente: per Dio! scrivimi se ne sai; non voglio, nè posso starmene qui. Intendi? – Non sono
Mia cara Amica – Ier l'altro, come vi scrissi, m'accinsi ad andare a Giogoli; ma giunto al Poggio Imperiale, e chiedendone indizio, mi fu risposto che bisognavano tre ore lunghe ad andarvi, da che v'era uno saliscendi perpetuo; la sera adesso precipita, e sono tornato in città, perch'erano allora le quattro; e la Marchesa avrebbe detto ch'io voleva dormire se non con lei, almeno da lei. Ieri la giornata era assai bella, ma l'anima mia non è serena, nè amica degli ameni viaggetti; tanto più che prevede di dovere imprenderne uno lunghissimo, e disastroso forse, ed incerta del dove, del come, del quando troverà un po' di riposo. E questa notte fui destato da un fulmine che spaventò tutti i talami d'amore, e tutti i letti afflittissimi delle vecchie e delle fanciulle. Credo che l'atmosfera del cielo di Firenze si sia condensata sopra la città come una grotta di macigni durissimi, e che il fulmine dopo un lungo fremito come una fiera dentro quella prigione, l'abbia finalmente squarciata: non so dove sia caduto; ma io me lo sono sentito ardente, orribile, e lungo sopra il mio capo. La Gigia si sarebbe stamattina prostrata a' piedi del suo confessore: onde oggi sono fantastico più che mai, perchè il mio confessore è in campagna. Inoltre bisognerebbe a far quella visita a Giogoli pigliar la carrozza, ed io son fatto avaro dalle guerre presenti, e previdente quasi sino al timore, onde credo che l'anima mia cominci a Tu starai forse senza me gran tempo
come diceva Ajace a Tecmessa; ed io sto per impazzire di troppo Don-Chisciottesco amore di patria più del povero Ajace; e solo mi rincresce ch'io non potrò forse morire eroicamente com'esso. Aspetto domani il corriere con ansietà; e il domani della posta è pur lungo e affannoso per me! Ma non partirò se prima non ve ne avverto, e vi farò sapere il giorno preciso affinchè almeno, se fosse possibile, io non v'abbia veduta il dì 17 d'ottobre per l'ultima volta. Or addio, mia cara amica. Salutate la Caterina griffagna, e ditele che la Topina è tutta grassa, liscia, amorevole, corteggiata dal nostro spopolato universo, e contenta della certezza di rivedere le sue protettrici. Addio addio.
Il sottoscritto non ha per ora in casa veruna copia dell'Ortis; ma vedrà di procacciarsela per avere il piacere di mandarla alla signora Clementina. Fra due giorni si compiaccia di rimandare la stessa persona che portò il biglietto al mio alloggio, e le consegnerò l'esemplare. – Quanto alla tragedia essendo essa manoscritta, non potrò per ora lasciarmela uscir di casa, da che attendo a rivederla e correggerla. – Prego la signora Clementina di salutare in mio nome il signor Pagnini e tutta la sua famiglia, e di credermi devotissimo Servidore
Vi ho scritto due volte già per la posta, mia cara Amica, perchè ieri soltanto il signor Matassi, ed in ora ch'io usciva di casa mi ha recata la vostra de' 23: manderò dunque questa secondo gli ordini vostri alla vecchietta di casa, ma se tardasse più della posta, non me ne darete, spero, la colpa. – Se il cielo non avesse decretato di diluviare dì e notte, io pigliandomi a nolo un ronzino sarei forse andato dalla Marchesa, tanto per movere anche gli umori miei che il lungo stare e il troppo pensare hanno stagnati e impigriti nel mio tristo cervello: ma piove, piove senza misericordia, nè speranza d'un'ora serena; e pochi raggi di sole che m'allettarono ieri a far quattro passi, furono affogati da un torrente d'acque cadenti che fecero venir notte prima di sera. – Ma perchè si tratta di finire la benedetta faccenda del cencio turchesco, ho pregato il signor Matassi che venisse oggi o domani, ed io avrei cercato via da riaverlo e consegnarglielo, se non avessi invece avuti dalla Marchesa i danari. Ma il signor Matassi mi disse che non ripartirebbe per ora, e che al più presto sarebbe venuto a' 3 di novembre a eseguire la commissione. Gli terrò dunque lo schal o i denari pronti prima di quella giornata, e voi frattanto se avete tempo e buona voglia scrivetemi se potrei, senza offenderlo, fare che il sig. Matassi rilasci una ricevuta: non sono diffidente, se non nelle cose degli altri. – Le lettere di ieri mi portano men triste notizie del Regno; e le vittorie o incursioni degli Austriaci in Italia saranno sospese fino alla decisione della guerra in Germania. I Tedeschi che avevano occupato Trento, l'hanno sgomberato; e si sono avviati molte miglia più indietro sovra i confini della Baviera. Anche l'esercito austriaco dell'Illiria si spogliò di dodici battaglioni, e li mandò al re di Baviera – alleatosi evidentemente con l'Austria – il quale anzichè assalire l'Italia, s'incamminò verso il Palatinato ad unirsi a' confederati, ed accrescere le forze dalle quali dipende l'evento di questa lotta. Per ora dunque la Lombardia piglia fiato, ed io potrò starmi a Firenze e prepararmi alla partenza senza precipizio, – e fors'anche fermarmi qui se le cose tornassero prospere. Di queste notizie le gazzette non parlano; però leggete questa lettera come se non fosse gazzetta, e non lasciatela leggere ad altri. – Addio, mia cara amica; la Topina ingrassa, e diventa costumatissima; salutate la Grifagna e la Americana in suo nome: il signor Leoni è stato qui fino ad ora, ma il mio fantastico umore d'oggi non mi ha date tante parole da fargli lieta accoglienza. E non so come abbia potuto finir questa lettera: ho la testa dormente; gli occhi socchiusi; il cuore mestissimo; e il corpo affaticato della sua noia – però vado a sdraiarmi a letto; e all'ora di mezzogiorno vi mando la buona sera. – Addio addio, mia cara Quirina; venite presto – Addio.
Nè l'onore de' corrieri del Regno ci perde per le accuse all'indugio della tua lettera; nè le tue discolpe ti guadagnano un'oncia di ragione. Quella tua prima risposta è del r L. – mi diede l'avviso della battaglia – o
– E qui non c'è nulla di sensuale, perchè son versi del castissimo canonico e cavaliere messer Francesco Petrarca. Addio dunque, donna gentile, addio – Ma io! – sono privo dell'aiuto vostro, e d'Iddio, e di me stesso; – mi bolle da più e più dì nel cervello una solenne pazzia – e il peggio si è ch'io non voglio nè vorrò dirla mai ad anima nata: ne parlerò un giorno co' morti – Addio.
Carissimo – Quanto più io sospirava vostre risposte, tanto più andava esclamando:
ch'io so pur troppo di avervi insegnato ad essere ritroso a riscrivere. Or poichè avete il busto e il libretto, io m'acqueto. La cassetta dello schioppo, e i
Ma oggi io sto sul dir male del prossimo; – e dirò anche male di voi, che applicate contro il mio scultore quel verso d'Orazio, scritto a deridere appunto la pedantesca pazienza dell'imitatore de' ricci, il quale però presume di essere artefice, e non è che meschino meccanico. – E meccanico sono stato io pure (nè traducendo si può far altro) in quella versione di Yorick, dove, per l'obbligo di provvedere di frasi e d'idiotismi gentili il mio gracile testo, temo di essere incorso nell'affettazione cruschevole. Informatemi dell'effetto che quello stile ha fatto su le prime all'animo vostro; – su le prime – perchè allora per quanto si vagheggino l'eleganze di lingua, si sente pur sempre l'affettazione se v'è; bensì alla seconda lettura l'affettazione par garbo; e allora in grazia del merito cruschevole si perdona allo scrittore il gravissimo difetto di non esprimersi con ingenua schiettezza, di cui fra' latini è miracoloso esemplare appunto il vostro Cesare, e quei del trecento fra' nostri; – poi, non già il Boccaccio – bensì moltissimo il Berni. Che se alcuno scrivesse oggi come il Caro quella sua divina versione di Longo, credete voi che avrebbe i lodatori ch'egli ha? ed è perchè in esso come in antico scrittore e naturale a' suoi tempi accarezziamo a quelle sue ricercatissime grazie. Ma chi è mai degli illetterati che legge quel libro? e vuolsi pur comporre de' libri per chi non sa, ed allettarlo ad intenderli ed a rileggerli; e quando trova pedanterie e lascivie di lingua raffreddasi e pianta il libro, e non è indulgente come voi siete quando in una pagina v'accorgiate d'erudizione accademica, e di frasologia linda e forbita. Sì fatte frasi vanno messe quando la penna correndo le lascia inavvedutamente sgorgare; ma chi ci pensa a trovarle raffreddasi, e quel suo intoppo arresta sul più bello anche i lettori; perchè senza che gli autori s'avveggano le modificazioni delle loro virtù e vizi intellettuali si trasfondono ne' loro scritti.
Ora io ho il cervello ghiribizzoso, – e vorrebbe pur abbellire ogni verso che mi cada in prosa o in rima de' modi (vaghissimi in vero, ma vecchiuzzi o stranetti) di Guido Cavalcanti, a e di Messer Cino, e d'altri a loro anteriori, che lessi a questi giorni attentissimo, e postillai. Ma io voglio che queste reminiscenze di frasi si digeriscano nella mia testa, e svapori l'affettazione e la novità troppa, e il succo loro s'incorpori colla mia naturale maniera di sentire e di concepire; e quando scrivendo non mi parranno modi un po' strani, allora li lascerò correre, e senza pensarvi su, perch'io non saprò nè dove nè quando io li abbia accattati, e mi parranno tutti miei proprii e nativi. L'atticismo è un non so che simile al sorriso quasi invisibile degli occhi gai d'una donna gentile che alletta graziosamente, e non pare; e l'eleganze grammaticali sono invece smorfie e moine d'una attempatella fraschetta; e chi non è collegiale, o vecchio arrabbiato d'amore, o castrato impotente, la pianta.
Nè la lingua, per quanto sia nelle sue voci purissima e propria, può adattarsi a tutti i soggetti, quand'essa sente dello studiato: anzi io credo,
E tanto basti, Camillo mio, su la lingua; e non n'avrei fatto nulla se me ne aveste richiesto – vo' anch'io regalarvi per contraccambio un paio di versi d'Orazio – se me ne aveste richiesto
Ed io più che altri ci pecco, e chiacchiero solamente quando ne ho voglia, e quando altri forse non vorrebbe ascoltarmi: e se poi diventano uditori curiosi e benigni, sto muto, e tutti mi guardano stupiti,
– ingoiatevi anche quest'altro verso, a svezzarvi dal citarmi Orazio fuor di proposito.
Ma dopo tutto questo sdottrinamento sul bello scrivere, a me importa moltissimo di sapere se lo stile di Didimo nella versione vi ha fatto alla prima lettura sentire un pochino d'affettazione. – Mandate o recate l'annessa al signor Fabbrichesi, e voi avrete per 24 ore (non più) la
Ascoltate attentissimo la
Ma e dell'esistenza dell'Italia attuale, ossia di quella Italia, che vede Francia ora essere la Toscana, e Roma, e Piemonte e Genova e Parma e Piacenza?... Che dirle, sig. Ugo?... Veggo dalle Sue righe quest'essere il dubbio cruccioso del di Lei animo.
Tutto dipende dagli umani macelli in Germania, dove sembra, che ogni tedesco a misura che può alzar la testa, si sfoghi contro ciò che finora si appellò alleanza. Le truppe austriache, che presso l'Adriatico, e quelle che a Roveredo si trovano, non si avanzano come potrebbono di leggieri, e attendono dall'Elba e dal Meno le voci che le spingano oltre Adige e Mincio. Intanto fioccano le requisizioni di buoi e di frumenti e d'altro, onde mettere la piazza in grado di sostenere assedi e mantenere la vittovaglia dell'esercito del Vicerè.
Presumo, o capisco, che una Dinastia Regia, che proseguisse Italiana, forse a posteri nostri condurrebbe giorni migliori: ma il genio mio non vorrebbe l'Italia squarciata ad esser provincia dell'Impero Francese: io ho sempre debolezza pel Trono Papale. Quello ci dava una qualche influenza su tutta l'Europa. Protesse quello le Arti e le Lettere. Se il Petrarca fece una canzone per Cola da Rienzo, Petrarca fece ogni sforzo per ricondurre i Papi dal ritiro d'Avignone sul Tevere, e S. Caterina da Siena vi riuscì eloquente con Gregorio XI nel 1377. Clemente V ci aveva fatto settant'anni prima il male, e mal grande, col partirsi da Roma.
Che se le forze immense di Napoleone e gli accorgimenti, e il valor militare e l'ardire e le coperte vie da un lato, e se dall'altro la sempre malferma amicizia di parecchi alleati non impedissero che il Regno Italiano fosse occupato dalle truppe austriache, perchè mai vorrebbe Ella abbandonar la Toscana? So ch'Ella appartiene al Regno, come elettore tra dotti, e come pensionato. Ricordomi però di quel di Lei verso ne'
io son pure Elettore fra possidenti. Ecco quindi Lei e me particelle delIl dotto, il ricco, ed il patrizio Vulgo:
Io Le consiglierei la dimora in Toscana, perchè quel paese seppe sempre destreggiarsi meglio anche ne' maggiori pericoli, e perchè per la situazion sua trovasi lungi dall'impeto primo. Milano invece sarebbe il centro de' contendenti.
Come scrittore Ella sarà sempre un chiarissimo Italiano, e, sotto qualunque governo, ben può il
adottar Lei per uno de' più diletti figli suoi. Finalmente però quelle tenerezze, o quelle debolezze, che si sentono pel nido natale, non possono pel terren nostro accendere od infievolire il di Lei animo. Non sent'Ella quale Le spiri aura dall'Jonio?
Se un testo di Cicerone potesse acquietar tante contese, opportunissimo all'uopo ci si conservò da Nonio nella voce
Non credo che in Toscana diluviino ora le requisizioni di grani acquavite fieno, che scrosciano replicatamente su noi. Tutto almen volgasi al meglio!... almen godessi salute: ma questa s'affievolisce, e il mio braccio sinistro mi tormenta con un reuma crudele.
Goda Ella altrettanta salute quanto meno ne ho io.
Sono con tutto l'animo, il suo Obl.mo e aff.mo
Al sottoscritto rincresce di non poter pregare la signora M[archesa] ad accettare questa copia dell'Ortis; è l'unica che gli resti della prima edizione: avrà bensì l'onore di presentargliene un'altra, e spera ch'Ella si degnerà di darle ospitalità fra' suoi libri.
Perchè l'autore non crede nella modestia, e non ha diritti all'orgoglio, non domanderà compatimento per questo libretto alla signora M[archesa] nè presumerà d'altra parte che possa farle passare piacevolmente alcuni minuti d'ozio: ma l'autore avrebbe fatto bene a tenere secreto per sè questo libro, come monumento della sua gioventù; quando l'età si raffredda, si ama d'avere un testimonio domestico e tutto nostro che almeno assicuri a noi stessi d'avere una volta sentita pienamente la vita, e che ne' dolori delle passioni e ne' pentimenti e nelle pazzie, non s'aveva se non altro la somma sciagura di vivere freddamente svogliati e disingannati della
Buongiorno, mia cara Amica – Ci vedremo prima delle due, perchè sono arrivati degli altri Milanesi – Date al latore il libro dei
Avrei risposto assai prima d'oggi; ma la vostra ultima, senza data, benchè sia stata probabilmente scritta sabbato scorso, m'è giunta ieri assai tardi perchè la pioggia eterna impedisce il viaggio a' corrieri. – V'avrei dunque risposto subito per farmi intendere meglio, e per levarvi d'angoscia: o io ho la disgrazia di non sapermi spiegare, o voi con la vostra fantasia, miei cari, vi fingete per troppo amore e timore espressioni e pericoli di cui la mia lettera del 26 ottobre non doveva parlare, se ben mi ricordo. A chi legge la vostra risposta pare ch'io v'abbia detto che m'allontano dall'Italia, e che vado al Catai o al Mississipì. Ma io anzi vi ho scritto che per più avvicinarmi a voi, e per non vedermi diviso dalla mia famiglia in caso che si rompessero per la guerra le comunicazioni in Toscana, io pensava, come penso anche oggi, di andare a Milano. Vi diceva anche che l'onor mio mi necessiterebbe a lasciare la Toscana e a tornare nel Regno, quand'anche voi e mio fratello non vi foste; tanto più dunque essendovi voi. Le cose d'Italia possono forse andar male per un momento, ma non finir male. Voi dunque non siete a rischio di perdermi se invece di stare a dimora in Firenze io torno alla dimora mia di Milano come una volta. Che se la guerra diventasse più infelice per noi – il che non credo, stante che s'adunano già molte forze per opporle ai Tedeschi, e un maresciallo viene con trenta mille uomini dalla Spagna in Italia – ma pure, se le cose andassero male di là, io starei qui pessimamente senza amici, senza danari, senza corrispondenze, e senza avere vostre nuove nè di mio fratello; – a proposito; un mio amico che vide Giulio il dì 27 ottobre mi scrive ch'era a Lodi sano e che non aveva ordine di moversi. – Qui dunque starei male perchè mi troverei in un sacco; ma invece a Milano m'unirei in ogni avversità con tanti miei amici, e Ministri, e persone che si aiuterebbero scambievolmente, e che avrebbero mezzi e interesse di far pervenire lettere a Venezia. Perchè dunque vi spaventate? perchè mai vi affliggete vaneggiando paure e pericoli? Frattanto voi affliggete me pure; perchè per quanto le vostre pene derivino da cagioni vane, le pene che sentite sono ad ogni modo reali, ed io quindi le sento per voi. Per carità un'altra volta leggete meglio le mie lettere; – e in ogni occasione siate sempre certi che il mio pensiero primo e solo sarete sempre voi; e che cercherò tutte le vie di mantenere la mia vita solamente per voi; e che tutti gli espedienti che prendo e prenderò mirano a conservarmi per voi. – Madre mia, mandami la tua benedizione.
Scrivete sino a nuovo avviso a Firenze.
Pregiatissimo Amico. – Dimani mattina passerò da voi più presto che potrò. Mi rincrescerebbe infinitamente che voi partiste senza ch'io avessi il bene di abbracciarvi, tantopiù che nelle attuali convulsioni della nostra Italia, chi sa se più potrò rivedervi.
Vi riporto la vostra orazione per cui vi ringrazio. Mi avevi promesso in prestito le profezie di Didimo che avrei copiate, ma dopo il vostro ritorno appena ci siamo veduti. Vi lascio il tomo quarto del Dante, il quale sebbene da me dovutovi non era peraltro nel conto; e quanto a questo conto scusatemi se vi osservo che avete preso abbaglio ponendo lo Sterne a paoli tre. Io vi dissi che vi avrei fatto la stessa facilità che ai librai, ai quali lo passo col 25 per cento di sbasso sui cinque paoli del prezzo fissato, e più do la tredicesima copia gratis. Vedrete da ciò che il prezzo di 36 copie al netto del detto ribasso ammonta a paoli 135 e non a paoli 108 come voi dite; quindi la differenza importa paoli 27. – Ai quali aggiunsi i paoli 26 ½ che vi diedi identicamente in contanti ai primi di giugno; più i paoli 17 ¾ dei quali voi stesso vi confessate debitore, e i paoli 10 – che importa il tomo quarto del Dante che non è portato nel conto; il tutto forma una somma di paoli 81. – In tempi migliori non avrei voluto che si parlasse di conti fra noi; ma voi conoscete le circostanze mie e sapete che per la fatalità dei tempi la speculazione dello Sterne è stata per me assai onerosa.
Spero che penserete meglio, e vi risolverete a non partire ancora. Le nuovità non sono tanto allarmanti quanto voi vi figurate ed il Po non si passa certo in questa stagione. Se arrivano i rinforzi da Napoli l'Italia potrà ancor sostenersi. Se mai persistete a voler partire non vi scordate di me, e valetevi ov'io possa dell'opera mia. Credete ch'io pongo fra le poche felicità della mia vita quella d'aver fatta la vostra conoscenza e ottenuta la vostra amicizia. Spero di rivedervi.
Mia cara Amica – Qui unita avrete segnata da me la nota de' libri che vi prego di serbarmi, e qui sotto vi lascio copia della nota d'alcuni pochi effetti:
Quanto al Mulinacci avvertite che nell'armadio delle stanze di Stefano, s'è rotto un cristallo, e una catinella; ma che sì l'uno che l'altro furono pagati da Stefano al Mulinacci, di che il signor Andrea e Lorenzo faranno testimonianza. Però non gli va un soldo; bensì manca un orinale, e se gliene lasciò un altro; più brutto veramente; le va compensato ma è affare di poche crazie. Gli altri mobili sono tutti
Ho fatto portare nella mia stanza il vostro vaso da scaldar l'acqua; ricuperatelo.
Troverete su lo scrittoio un calamaio d'alabastro con due vasetti per le penne; fatene regalo alla Grifagna pel giorno di S.ta Caterina.
Vi raccomando
V'è il vostro Petrarca in due volumi
V'è anche tra libri qualche disegno – uno d'un
L'
Per carità conservate i miei libri, parte di me –
Finalmente vi raccomando un rotolo di manoscritti che serberete –
Addio, mia cara Amica; Addio
– Per il Mulinacci ha in mano il signor Andrea i danari del cristallo e della catinella e ve li darà.
Mia Signora – Ho ancora tutte le viscere piene della tristezza di sabbato sera; ed eran più giorni che la perplessità e l'impazienza e la certezza di dovermi dividere per lungo tempo da lei mi consumavano il cuore. Le notizie che ho udite in Bologna m'hanno rassicurato, non della salute, ma della morte men prossima. Le strade nondimeno dalla parte di Cremona sono infestate di
Je n'ai reçu que ce matin, mon cher Ugo, votre lettre du lundi. Je ne conçois rien à la poste de Boulogne. Je vous remercie de tout mon coeur de m'avoir donné de vos nouvelles. J'en attends avec plus d'impatience encore de Milan pour vous savoir échappé des main de Brigands qui me font une peur affreuse. Je me flatte que Mardi je vous saurai sain et sauf à coté de votre excellente amie, que je désirerais connaître puisqu'elle vous aime tant. Rendez-lui bien tout l'attachement qu'elle vous témoigne. C'est le bonheur suprême de ce monde d'être aimé, et de pouvoir compter sur un coeur honnête et une personne qu'on peut estimer, car il est si rare de pouvoir accorder son estime.
Je vous regrette d'autant plus que vous ayant connu je vous estime, et je puis dire sans crainte je vous aime: à mon âge l'amitié est un sentiment si pur qu'on ne doit pas rougir d'aimer ce qui mérite de l'être.
Vous m'avez gâté. Il sera difficile que je trouve de l'esprit à beaucoup d'autres personnes. J'ai été toute étonnée de trouver l'auteur des
Je n'ai vu personne de la societé brillante depuis votre départ. On m'a dit que le Major est allé à Pise, et que
Ce que vous me dites de l'envie qu'on a de voir votre
Nous avons du beau tems depuis deux jours et un grand froid.
Je suis enchantée le soir quand je puis rester seule, car la compagnie florentine m'ennuie. J'aime mille fois mieux lire quelque commèrage. Je vous regrette de tout mon coeur, et je maudis les circonstances qui vous ont fait partir.
Ayez soin de votre santé et souvenez-vous que vous avez une amie à Florence qui vous aime. Mr. Fabre a fini votre portrait; il vous fait ses compliments. Votre sculpteur a fait un sonnet pour lui qui n'a pas le sens commun. Avez-vous reçu avant de partir mon billet et l'Homère qui a appartenu à une personne que vous admirez?
Adieu, je me flatte de vous revoir avant de l'année prochain si on fait la paix. Donnez-moi de vos nouvelles. Je crains pour vous si on arme tout le monde jusqu'à 45 ans.
Mia Signora ed Amica – «Amica mia, e non della ventura» – E sono pur sempre pieno di Lei; e mi pare d'avere abbandonata patria, e Madre, ed amici, e quasi la persona più cara al mio cuore dal giorno ch'io ho lasciato Firenze. Tutto mi chiamava a Milano; ed ora pare che tutto mi rispinga in luogo di maggior quiete – di
Altezza Imperiale – La mia vita è poca, ed inutile forse; ma mi sarebbe grave e la crederei disonorata, se in questi giorni non la offerissi a V. A., e all'Italia. Supplico V. A. I. d'ordinare al suo Ministro della Guerra che si valga di me. Ho sempre serbato religiosamente il mio uniforme che fu altra volta onorato di due ferite, e la mia spada.
Bench'io non abbia mai fatto nulla da meritarmi la bontà di V. A. I., sono certo in me stesso d'essermi comportato sempre con tale costanza e lealtà di carattere, da non meritarmi oggi da V. A. un rifiuto. Che se V. A. non degnasse d'accogliere la mia offerta, le sciagure della mia patria m'opprimeranno forse, ma non m'indurranno mai a servire la causa di verun altro principe. –
Di Vostra Altezza Imperiale
Miei carissimi amici fratelli e figliuoli – L'arrivo mio in questa città fu il più tristo ch'io potessi temere. Oltre al pubblico e giusto sbigottimento per le cose pubbliche, [oltre] alla nuova servitù e alle guerre lunghe che strazieranno la patria mia, ho trovati i miei interessi in tal condizione che ci vorrà più d'un mese a strigarli; e se gli Austriaci si affrettano io di poveretto che sono diverrò forse indigente. Ma il colpo maggiore che ha lacerata ed abbatte anche oggi l'anima mia è il pericolo di Odoardo. – Il giorno dopo il mio arrivo, quel povero ragazzo ebbe, o mio caro Stefano, una specie di colpo apopletico per cui ha perduto la parola, e l'uso della mente e de' sensi; fu creduta da' medici una [infiam]mazione al cervello, e lo salassarono tre volte, benchè con poca o nessuna sp[eranza] di ridargli la vita. Oggi è il terzo giorno che Odoardo è in quello stato, e ch'io in mezzo a tante faccende passo molte ore del dì, e quasi tutte le notti al suo letto. Ed ho ripreso un po' d'animo stamattina: poc'anzi per la prima volta aprì gli occhi, ed io fui il solo di cui riconobbe la voce; questo miglioramento è venuto dall'essersi cangiato il sistema della cura, ed ai salassi e debilitanti hanno sostituiti gli stimoli. Ma que' sciagurati de' medici s'avvedono del loro fallo a spese della nostra vita: ed ho poca speranza che quel ragazzo si salvi. Immagina, caro Stefano, il mio stato! – Quante disavventure una dopo l'altra, una sopra l'altra! Ma non mi perderò di animo. –
Eccoti qui o Stefano tre lettere. L'una per il Vice-Prefetto di Pavia; l'altra per il professore Brugnatelli; sappi che anche questo Professore aveva un figliuoletto di nome Camillino che m'era carissimo, e che morì anch'esso di misera morte e quasi improvvisa. Coltiva quella famiglia che è buona e semplice ed affettuosa. Con la terza lettera riceverai dalla persona a cui è diretta numero 61 (sessanta uno) napoleoni d'argento; ne darai undici ad Atanasio che saranno in saldo delle dieci fiorentine monete prestatemi a Lodi; e gli altri cinquanta serviranno al tuo mantenimento; se potessi farteli bastare sino a Natale io ti sarei gratissimo di questa economia in questi terribili tempi; ad ogni modo te ne manderò presto degli altri tanto che tu abbia da vivere sino a tutto gennaro; ne poi il cielo provederà: ricordati di pagare ad Atanasio la tua parte del viaggio da Lodi a Pavia, e ciò che gli devi per questi quattro giorni: fa che Stefano Andrianopolitano sia economo e maestro di casa del tuo danaro e vivrai più agiato e più quieto. Intanto cerco mezzo di mandarti presto la tua roba; tu starai a disagio senz'essa; ma come fare a trovare mezzo sicuro? Vorrei portartela io; ma finchè Odoardo è morente non ardisco movermi. Ma ti scriverò se tu dovrai venire qui tu stesso per qualche giorno. – Addio carissimi.
Sono da quattro giorni a Milano; ma oggi solo parte il corriere. L'Angiolo è meco, e sta benissimo, bellissimo ed allegrissimo: le cose per ora sono indecise; ma Giulio ed io abbiamo deciso; staremo sempre insieme, –
Je n'ai pas encore, mon cher Ugo, reçu de vos nouvelles de Milan, ce qui m'inquiète fort. Je ne voudrois pas que les brigands vous eussent dévalisés. Je me flatte que demain j'aurai de vos lettres. Je vous prie dorénavant de me les adresser sous le couvert de Mr. Donato Orsi, Banquier, au cas que les curieux aient envie de les voir, et en vérité ils ont tort car nous ne nous meslons pas de leurs affaires.
Dimanche passé il y a en une alerte ici assez inutile, ne s'était-on pas avisé de faire dire de Boulogne que les Allemands y étoient entrés[?].
La belle de la Porte S.t Gallo est toujours malade; elle néglige le théâtre; ainsi c'est un signe certain de n'être pas dans son état ordinaire. Elle est allée passer un jour à la campagne, devinez avec qui? ne vous alarmez pas, avec M.de Bellfort. Avouez que le choix est drôle. Cette jeune femme n'est liée avec personne; elle n'aime pas son sexe, et elle n'a aucune amie, ce qui est un malheur dans sa position, et il lui arrive de rester seule sans societé.
On attend dans peu des Napolitains avec le Roi: ils doivent passer à Rome le 2. Nous avons vu de passage le D. Dotranto, qui va remplacer Miolis, qui ira à Mantoue. Il regrette sa belle ville Aldobrandini qu'il a acheté, aussi les dernières nouvelles lui ont elles quasi donné une attaque d'appoplexie.
A demain après l'arrivée de la poste.
On dit que les Autrichiens se son renforcés de 4000 hommes a Ferrare: Dieu nous donne la paix!
Mr. Fabre vous fait ses compliments. J'ai été voir hier votre portrait: tout le monde l'a reconnu, même les domestiques dont le suffrage a plus de valeur dans ces choses là que les personnes plus éclairées. Portez-vous bien, calmez votre imagination pour tout exceptez pour la poesie. N'oubliez pas une personne qui vous aime par inclination et vous estime par réflexion.
Mia Signora – E questa è la mia quarta delle lettere, ma neppur una delle sue fino ad ora per me: e sì che le ho impostate io medesimo; e vado e torno a' cancelli de' portalettere, e son fatto importuno, ma senza pro. Il pensiero ch'Ella sia molto malata, sino a non potermi scrivere un verso, m'angoscerebbe amarissimamente, se non sapessi che questa non può essere la ragione di tanto silenzio: il signor Fabre che l'aiuta a leggere i miei scarabocchi mi sarebbe egli stesso cortese d'alcuna risposta, e mi trarrebbe d'affanno. E rifuggo da questo sospetto della di Lei salute per non tormentarmi assai più. E mi tormento anche troppo; ed ho il cervello prosciugato, e il cuore tremante: me ne vergogno; ma s'Ella avrà letta la mia lunga lettera del 26 vedrà che s'io sono debole, non sono però irragionevole. Frattanto quest'essere senza sue lettere addensa le tenebre che stanno intorno alla mia incerta immaginazione; e s'io potessi dirle ogni cosa e starle vicino – e Dio voglia ch'io possa presto tornarvi! – mi compatirebbe della mia facilità al pianto; io ch'era sin ad ora difficilissimo a piangere. Ma sia così! Tuttavia se tutto dev'essere perduto, fin anche la forza del pensiero e del cuore in un uomo, non sarebbe meglio che la morte gli troncasse insieme i giorni e le forze affinchè nell'agonia non vedesse egli stesso la nudità e l'inerme miseria dell'anima sua? A tale stato quasi son io; e peno a scrivere una lettera; ho incominciata questa ier sera, e la termino ora mentre mi desto col desiderio di poter dormire dormire lungamente dormire. Ieri mi trovai a desinare presso ad uno de' nostri prefetti profughi il quale mi diceva che non ha fratelli, nè figli, nè moglie, nè padre, nè
Signor mio – La lettera sua de' 28 ottobre scrittami da Verzago mi capitò, non so come, ier l'altro a Milano; ed eccole in prova la soprascritta co' marchj postali; e sì che aveva tempo di trovarmi in Firenze dov'io mi trovava il dì 16 del passato. Le risponderò
Frattanto Signor Conte mio, ella faccia gradire i miei ossequi alla Sua Contessa, e mi ricordi a tutta la casa Giovio.
Ma può egli mai darsi ch'Ella non abbia ricevuta neppur una delle mie lettere? Questa è la quarta da che sono a Milano, e la quinta dopo la mia partenza perchè le scrissi pur da Bologna. Ma non ebbi dopo la mia partenza novella alcuna di lei: ch'Ella fosse malata, e non possa scrivere? ma v'è pur sempre il signor Fabre. Per carità mi liberi di tanta tortura, mi scriva o mi faccia scrivere. Potessi volare a Firenze! – Ma d'altra parte nelle mie lettere non v'era cosa che solleticasse la Polizia a rattenerle quand'anche le avesse intercette ed aperte! – Insomma se non avrò alcun segno di vita, io non ardirò scriverle. Mille saluti al signor Fabre. Si ricordi almeno di me, che sono e sarò suo servidore ed amico finchè avrò vita.
Caro Stefano – Dal signor Calepio avrete ricevuto un fardello di biancheria vostra e d'abiti, e se non lo consegnasse a voi, per non conoscervi, mi promise di ricapitarlo al caffettiere Demetrio. – Odoardo spedito e sfidato e seppellito da tre medici, risorse da morte, ed ora non può temere se non una lunga convalescenza: vi scrive ed eccovi la sua lettera: non tardate a rispondergli. – S'altro che vi bisogni, e specialmente libri, vorrete, giudico bene che voi facciate con l'Andrianopolitano una corsa a Milano; verrete un giorno, partirete l'altro se così vorrete: ora finalmente ho casa, e potrete abitar qui a vostro piacere: così eleggerete i libri che più vi gioveranno; vedrete Odoardo che vi aspetta a braccia aperte, ed io potrò abbracciarvi, mio caro amico: mi pare mill'anni ch'io non vi vedo. – Abito a San Bartolomeo, in Canonica, presso il ponte di porta nuova, accanto alla Stamperia reale n.o 748: voi vedete che con tanti indizi non è difficile a ritrovar la mia casa. – Ma se voi non potrete venir qui, io farò fra due o tre settimane una scappata a Pavia: bisogna ch'io vi veda, e vi parli, e che vi porti de' danari, e che vi comunichi a voce il mio
Mon cher Ugo. – Il y a demain 3 semaines que vous êtes parti; a et je n'ai pas encore eu un mot de vous de Milan. Je sais cependant par
La Cour revient demain ainsi que le Major. On dit que la belle va à Cortone à sa campagne. Je n'entends rien à ce ménage. Je ne sais si c'est vous ou lui qu'on aime. Nous attendons les Napolitains dans peu. On dit que le Roi en sera aussi. D'autres disent
Si vous avez été paresseux je ne vous le pardonnerai, vous savez que je suis rancunière, et autant que fidèle à jamais. Cesare Trenta accompagne seul et sans domestique d'aucun sexe M.me Jurdan à Paris. Ils vont lestement en
O amica mia, mia cara, mia vera amica perchè non sei qui? o perchè non sono io dove sei? e mi pentiva partendo, ma pur non poteva più lungamente restare. Le angosce dell'anima mia si sono cangiate; sono men affannose, ma sono più certe, e saranno più lunghe. Non so nulla per anche nè dell'Italia, nè di me. Non posso nemmeno sperare; nè ardisco mandar voti al cielo; e tutto è circondato di tenebre. L'unico mio desiderio, l'unico partito ch'io poteva pigliare era di tornarmi a Firenze con de' passaporti di cittadino possidente dell'Isole Jonie; nè era partito inonesto. Mi fu esibito di tornare nella milizia; ed io che ho fino ad ora goduto di titolo militare, e di pensione della Baronia, e de' diritti di Elettore del Regno non ho potuto – nè doveva – ora. che tutto è quasi perduto, dire di no: ed ho offerti i miei servigi alla patria e al governo. Eccomi rivestito della divisa; ecco la mia sacra indipendenza perduta; – ma per poco perduta. Sono con Fontanelli Ministro della guerra; uomo leale ed amico mio; o felicemente o sinistramente le cose si queteranno, e riavrò la mia libertà; fra pochi mesi i destini nostri saranno evidenti, e potrò pigliare una strada che mi ponga in quiete: e quando tutte mancassero, saprò trovare da me la via che mena alla pace perpetua ed inviolabile del sepolcro. –
Ho ricevuto la tua lettera in risposta a quella di Bologna. Ti ringrazio, mia cara Amica, e ti domando perdono di tante noie che ti pigli sì amorosamente per me. Se fino ad ora non ho potuto soddisfare a' miei debiti, ascrivilo allo stato d'infiammazione in cui vive questo paese. Non v'è sacrificio che non si faccia, e che non siamo pronti di fare sino all'estremo; ma il danaro che si dà al pubblico lascia misere le borse de' privati, e la mia singolarmente ora che le mie pensioni se ne son ite. Ma non per questo, se indugerò, mancherò dal soddisfare a ciò che ti devo, bensì, non potrò pagar mai mai gli obblighi di cuore; e solo crederei di pagarli se venissi a vivere sempre con te, e morire fra le tue braccia – Ier sera hanno recitata la tragedia di Leoni; poca gente, e nessun applauso; me ne duole per quel povero diavolo. Ho ritirata appena giunsi, la mia Ricciarda: non è paese nè tempo da tragedie. – La Topina sta bene, e sempre meco, e spesso guardandola penso a te, mia Quirina, ed ho le lagrime agli occhi – lagrime amare: finiranno un giorno in un modo o nell'altro. – Salutami la Caterina, e la Maria, e la Gigia – Addio addio mia dolcissima amica. Scrivimi per carità quanto puoi.
Dunque, signor Ugo mio, inforchiam dunque di bel nuovo gli arcioni, e con la lancia in resta si corre al fiero ludo di Marte Paladino Italo-Gallo? E che dirà l'Ombra di Vittorio Alfieri?... e come abbandonare l'Arno Firenze Bellosguardo la contessa d'Albany le tragedie e gli studi della Musa, che ama orecchio pacato e cor gentile?
Già qualche signore, che venne a visitarmi, m'avea detto che gli sembrava d'aver veduto nel teatro di Milano Ugo Foscolo, ed io temea forte per la penaltima sua lettera, che di fatti Ella avesse abbandonato questo suo nuovo soggiorno. Ah
Dirà taluno «così son le sue sorti a ciascun fisse» altri replicherà quel vecchio «
Rallegromi per altro ch'Ella mi scrive, come rientri fra militari col patto di non passare le Alpi, ed io quasi indovinerei, ch'Ella sia presso al Ministro della guerra. Allora sono minori i pericoli, e l'utilità maggiore. Desidero, che dalla nuova risoluzione non soffra la di Lei salute, e che ne tragga in vece per la vita sua un vantaggio.
Ha vedut'Ella l'elogio pel cav. Luigi Lamberti impresso nel F. 291 del
Mi spiace che vidi in quella prosa accennata la morte del Tipografo Bodoni. Fu quegli veramente eccellente nell'arte sua. Egli cortesissimo tre mesi sono mi trasmise in dono una sua stampa.
Signor Ugo, mi conservi la sua benevolenza, faccia i miei complimenti al sig. Ministro Conte Achille Fontanelli. Egli pure amò Benedetto, e ai 17 di questo si chiuderà l'anno del continuo mio martirio. Sono il suo aff.mo ed obl.mo
Mon cher Ugo, je profite d'une occasion pour vous dire que j' n'ai reçu de vous que votre lettre de Boulogne et celle du 3. J'ai d'abord répondu à celle de Boulogne, et hier à la dernière. Je ne l'ai pas cachetée pour voir si elle vous arriveroit. Je vous ai écrit aussi par Turin le 3, et je l'ai répété encore aujourd'hui. J'espère que par un endroit, ou par l'autre vous verrez qu'il n'y a pas eu de ma faute, si vous n'avez pas reçu mes longues épîtres très-innocentes. J'ai appris depuis votre départ que ce Mr. que vous avez vu avant de partir, et vous a si bien traité, quelques jours auparavant avoit demandé la permission à la t Galles. Vous ne la trouveriez plus jolie: elle ressemble à une déterrée de ces Saintes qu'on voit sur les autels.
Mr. Fabre vous fait ses compliments: il vous écriroit certainement si j'étois malade. Ne croyez pas que je puisse vous oublier; mon amitié pour vous est fondée sur vos belles qualités, et je vous aimerai jusqu'au tombeau. Je voudrois pouvoir vivre dans la même ville que vous, et que les heures que vous ne consacreriez pas à votre amie, vous me le donneriez. Ditesmoi, par Pizzamano qui doit aller à Milan et repasser pour ici, si vous êtes heureux et plus tranquille. Si le Mari ne vous tourmente pas, et si l'amie est moins sévère. Je désire que vous soyez aussi heureux que vous le méritez. Aimez bien cette personne qui mérite tout votre amour, et votre attachement. Ne soyez pas volage, ne lui causé pas de chagrins. Un jour vous serez heureux d'avoir une amie sûre, et qui partagera tous vos sentiments. Tant qu'on est jeune on veut papilloner, mais à un certain âge on aime à reposer son âme et son esprit dans le sein d'une amie sur laquelle on peut compter. C'est le seul bonheur réel de ce monde. On se lasse de toutes les femmes qu'on ne peut pas estimer; parce que les sens une fois satisfaits, il ne reste rien, il n'y a que les sentimens du coeur qui [soient] durables. Si les curieux ouvroient cette lettre ils seroient édifiés de la morale qu'elle contient. Au lieu de bavarder sur des sujets que nous ignorons, car souvent en parlant politique on parle en aveugle; on ignore les bases des événements. Nous parlons des sentimens que nous avons éprouvés.
Adieu, mon cher Ugo. Conservez-moi votre amitié, croyez que je la mérite pour l'attachement inviolable que je vous porte, connoissant les belles qualités de votre coeur et de votre âme. Pour cette épître j'espère qu'elle vous parviendra. On attend les Napolitains qui arrivent lentement. Il y a là dessous je ne sais quoi! Qu'il m'importe peu de savoir.
Tu vedi mia cara amica a che precipizio tu sei; e non poteva allontanarcene se non il primo partito di
Dal giorno 13, da quel giorno in cui m'hai stesa una mano gelata rispingendomi quasi, io mi sono avveduto che un perpetuo e profondo terrore assedia l'anima tua e la predomina tutta; e forse brami secretamente tu stessa ch'io non ti riveda mai più. – Di me tu sai tutto: conoscendo il mio cuore bollente ed altero e la mia funesta tenerezza per te, conoscerai anche che lo stesso terrore (ma ben più servile!) quand'io ti vedo – un ardore più disperato del tuo quand'io non ti vedo, lo stato di familiarità presso un uomo ch'io amo ed onoro, ma col quale io non vorrei, ed ora meno che mai, avere obbligazioni e legami nel mondo, tutto questo rende amarissime e vili le ore ad una ad una della mia vita. A questi s'aggiunge un altro martirio il più crudele di tutti, e che m'irrita ed avvilisce ancor più, perchè mi fa ingiusto ed ingrato verso di te; ed è il dubbio che tu non mi ami! – Ho anche perduta la mia nobile indipendenza; e presto non avendo più patria, s'io perdo anche te, non avrò più nulla a perdere su la terra.
Ma bisogna pur ch'io ti perda. Resterà orribile la mia vita; ma senza il rimorso d'averti turbata nel tuo santuario domestico ove tu devi preparare a te stessa una tranquilla felicità; ed io non avrò ad ogni minuto il timore d'esporti con la mia vita a' pericoli ed allo spavento che non hai potuto dissimularmi. Ti aveva anche promesso di violentare in me la Natura e l'Amore per rispettare la tua virtù; e d'avvertirtene quand'io non potessi più reggere a tanta violenza: mi sono ingannato su le mie forze, e sarò almeno leale: ti confesso dunque che la mia passione è più forsennata che santa, e che m'immergerei un coltello avvelenato nel cuore purchè potessi avere in quel momento un tuo bacio. Ma per salvarti da' terrori domestici, e per non offendere i tuoi principj, ho deciso di strapparmi dalle viscere anche la speranza di godere della tua vista; e ricorro gemendo al primo partito, all'unico salutare per te, di esiliarmi perpetuamente da te.
È vero pur troppo che la presente mia schiavitù mi obbligherà a vederti talvolta; un allontanamento assoluto da tutti i luoghi ch'io solea frequentare, e il mio disprezzo subitaneo per tutte le convenienze indurrebbe forse in sospetto. Il rimedio era men doloroso e più facile quand'io ti stava lontano: oggi dovrò tutti i giorni trovarmi nella medesima casa, e passare per le tue stanze, e fuggirle or lagrimando or fremendo: oggi non avrò più l'illusione che tu mi scriva di tanto in tanto per dirmi che tu mi ami; – ma ogni terra basta a morire; questa o qualunque altra tu abiterai non sarà mai terra dov'io debba più vivere. Spierò tutte le circostanze per fuggirti per sempre, e per temprare in te con l'assenza l'amore; e se mai le cose d'Italia rimanessero lungamente perplesse, troverò nella mia salute de' forti pretesti da imprigionarmi nelle mie stanze. E tu, oggi che puoi misurare l'abisso, e m'hai veduto consumare tutti i possibili sacrifici, non accuserai, spero, di freddezza di cuore il tuo misero amico che s'accinge anche a questo sacrificio, non l'ultimo forse, ma il più tremendo di tutti: tu m'hai scritto che era
Così avendo tutto perduto, ed errando in un esilio continuo lontano da te, dovrei cercar la mia vera pace, e lasciarti insieme la perpetua certezza ch'io non turberò più la tua. E in questi giorni mi sono già preparato; non senza dolore, te lo confesso: son uomo e figlio ed amante: ma mi son pur preparato ed ho regolate le cose mie come se dovessi fra poche ore morire. Ma come la mia vita oramai t'è inutile, così la mia morte ti sarebbe inopportuna; ed io non devo cercarla mai nel paese dove tu sei; la tua afflizione sarebbe maggiore, e potrebbe tradirti. Mi ritiene anche l'antica pietà per mia Madre che vecchia, senza figliuoli, con due nipotini orfani e poveri, lontana dal suo paese, con le sue rendite maneggiate da parenti venali e disgiunti da lei per più di mille miglia, in queste tenebrosissime circostanze, resterebbe, perdendomi, nella disperazione e morrebbe forse nell'indigenza: e quest'orrendo rimorso mi renderebbe superstizioso e tremante nell'agonia. Ma se la mia religiosa compassione fosse superata dall'immenso dolore a cui non so come un cuore umano possa resistere; se nella veemenza de' miei tristi delirj la ragione non potesse più opporsi, e a me non rimanesse altra forza fuorchè l'estrema di troncare i miei giorni, sono sicuro che dio, se tutto non perisce con noi, egli che vede i miei lunghi combattimenti e l'irresistibile necessità che mi ha precipitato infermo e cieco al sepolcro, dio mi sarà clemente ed avrà pietà dell'anima mia. E tu, mia cara amica, non incolparti mai, te ne prego, nè della tormentata mia vita, nè dell'infelice mio fine. Da te, donna divina e fatale per me, come ho tratte le angosce più acerbe, così anche ho avute le illusioni più dolci e più care de' giorni miei. Ti ringrazio anche della forza che tu mi hai saputo infondere con le tue lettere; e del disprezzo ch'io rileggendole sento sempre più per la vita. Quando mi giungevano io le accoglieva come prove care dell'amor tuo: oggi nel rivederle sovente, ritrovo in esse molte e sacre lezioni di Morte. Nella tua
Ma tu devi vivere felice per altri; e poichè voglio perderti io stesso, non pretendo di serbar più de' diritti sopra il tuo cuore: dubitandone per troppo amarti, io l'ho forse demeritato; e se lontano da te gli occhi miei seguiranno a desiderarti, non ascriverlo a merito mio, bensì ad una consunzione d'anima piagata che dopo tantí anni, e dopo sì fresca e sì acerba esulcerazione non può risanare mai più: l'amore vivrà fors'anche nelle mie ceneri; ma supplico il cielo che tu allora non possa mai giungere al luogo dove riposeranno per sempre. Vivrei e morrei infruttuosamente infelice se dovessi lasciarti una continua ed afflitta memoria di me: e maledirai la mia virtù, e la mia morte se non dovessero farti men misera. Solo ti raccomando, se mai l'ardente anima tua giovenile fosse necessitata ad amare, ti raccomando e ti scongiuro per lo sventurato amor mio, di ricordarti allora dell'uomo che ti amò senza palesartelo per più di sett'anni; che ti fu amico con tenera e religiosa pietà; che tu hai spesso chiamato fratello; che se non t'ha sempre aiutata come avrebbe voluto, t'ha pur sempre confortata nelle tue sciagure come ha potuto, e t'ha compianta nelle tue debolezze, e stimata; che non seppe d'essere , amato da te se non se per riamarti insopportabilmente, e vivere infelice per sempre e perderti volontariamente, eleggendo un'esistenza sciaguratamente deserta, ed aspettando ogni consolazione dalla Morte, per non esporti a pericoli. Forse paragonandomi agli altri, il tuo cuore non amerà che persone degne di te; ed io morrò stimandoti, unica speranza che ancora mi resta.
Or addio mia cara amica. Se puoi, rileggi questa lettera che io riesco a finir non so come dopo molte e molte ore d'angoscia, e dopo due lunghe notti d'incerti e disperati pensieri. Non sono più come prima: il mio cervello è estenuato, e il cuore consunto: non trovo parole nè calma. Felice me un mese addietro! mi destava all'alba lietissimo di poterti scrivere lungamente; ora felice me quando posso piangere. – Rileggi dunque questa mia lettera che probabilmente sarà l'ultima: voleva dartela molto più tardi; ma ho colto questo giorno in cui potrai tenerla liberamente: se temi d'essere sorpresa a risponderni, non t'arrischiare te ne scongiuro: ti se' anche troppo arrischiata per me.
Addio nuovamente. Non posso domandarti per ultimo dono d'amore se non che tu mi perdoni le inquietudini e le afflizioni che ti ho procurate. – S'io dovessi vivere beatissimo un anno, e che mi fosse dato il tuo ritratto a patti ch'io invece perirei sotto la tortura, me lo comprerei a questi patti, perchè sarei certo che spirerei contemplandoti, e che avrei la tua immagine compagna del mio cadavere – Ma sia così! Sia tutto perduto. Ma tu almeno donami se puoi una ciocca de' tuoi capelli; li unirò a quelli che m'hai mandati dicendomi che erano bagnati delle tue lagrime: ci aggiungerò una ciocca de' miei; nè uscirà lagrima dagli occhi miei che non cada sovra quel deposito: cercherò in esso l'amico e l'amante perduta; e resteranno se non altro congiunte le reliquie di tre persone nate una per l'altra, e che la fortuna e la morte hanno disunito per tutta l'eternità.
Addio per l'ultima volta. Cerca d'essere men infelice: abuseresti della natura e del cielo; abuseresti della mia sventura se tentassi d'essere misera. Tu sei compagna d'un uomo felice in tutto, e fino nella fortuna di possederti. – Addio.
Mio caro Andrea – Dalla Signora, voi se vi andrete talvolta, saprete di tanto in tanto mie nuove, almeno finchè le lettere potranno passare. Dal signor Pizzamano, che mi ha veduto, e che vi darà questa lettera saprete frattanto ch'io vivo assai poco lieto e in poca salute: ma fra non molto le cose pubbliche e mie saranno assolutamente decise. Guardo, come a mio primo porto, a Firenze, dove se (come spero) continuerete a dimorare, vi rivedrò, e donde piglierò la strada, alla prima occasione, del mare, cercando come il profugo Ulisse le Isole nostre; quivi accomoderò le mie faccenduole e quelle della mia famiglia la quale presto presto potrà far poco fondo sopra i pochi beni ed i capitali che possedeva meco in Italia. Nella materna Zacinto, avrò più calma, più libertà di penna, e mi gioverò della gioventù per finire la mia dozzina di tragedie quasi tutte già meditate. Poi, stampate che le avrò co' liberi torchi di que' paesi, e raccolto tanto quanto mi basti a vivere mezzanamente agiato, e pienamente indipendente in Italia, tornerò a morire a Firenze e a fabbricarmi un sepolcretto sui poggi di Bellosguardo. Ma forse la Fortuna che governa da cieca tutte le umane cose, preciderà anche questi discreti disegni. Or addio; leggete questa lettera alla Signora, a cui direte che ho scritto spesso; baciatemi Niccolini quando lo vedrete, e la Caterinina, e la Gigia. Al Signor Pizzamano vanno dati i libri e il baule di sua ragione rimasto a casa mia, e consegnato alla vostra fede – Or addio addio.
Mia cara Amica – Ti vado scrivendo, e t'andrò più sempre scrivendo; e per quanto io non abbia tue lettere, m'andrò finchè avrò vita e memoria ricordando teneramente di te e del tuo delicato e generosissimo amore, e non senza rimorso di non avertene rimeritata com'io doveva. Mia cara amica, ora che ti sono lontano, e vado affrettando con tutti i miei pensieri ed i miei desiderj il momento di rivederti, ora sono tuo più che mai. Le mie tristi immaginazioni possono bensì aggirare e coprire di tenebre l'anima mia, ma non mai svolgerla dagli affetti ch'ella ha bisogno di sentire perpetui e soavi e sacri, perchè non sa dove rivolgersi per trovare consolazione. Non mi dimenticare dunque, mia cara amica e non volermi punire: se non puoi scrivermi, avrai mie lettere almeno finchè potranno passare, ed io avrò almeno il conforto di pensare che tu le ricevi e le leggi. Se tu sapessi com'io sto male! e come io starò male! ma allora non te lo dirò; ma sono atterrito; me ne vergogno; tuttavia non posso liberarmi dal terrore oscurissimo che mi assedia tutti i giorni ognor più, e che mi ripercote appunto ne' momenti ch'io richiamo il mio coraggio a cacciarlo. Se non avessi mia Madre! – In tutti i casi estremi verrei a Firenze perch'io voglio e devo morire a Firenze. Ti dirò allora ogni cosa, e mi compiangerai con amarissime lagrime. Or addio, mia Quirina; salutami la Gigia, e baciami la Caterina. La tua Topina è l'unica creatura su la terra ov'io vivo con la quale io non cerchi di mascherare il mio afflittissimo volto. Or addio addio.
Mia Signora ed Amica – Ho ricevuto la sua lettera aperta con la lezione da far arrossire que' manigoldi se fossero oramai capaci più di rossore. N'ho ricevuta un'altra poche ore dopo, ed è la terza in tutto da che ho lasciata Firenze; e l'ho lasciata con un crepacuore che mi stringe le viscere tutti i giorni di più. Io aveva in lei, mia Signora, una amica e una madre, una persona insomma che non v'è nome che possa esprimere ma tale che bastava a consolarmi ne' miei dolori che sono indicibili, e interminabili forse. Quando il signor Fabre dipingeva il mio volto, non era volto d'animo quieto; eppure paragonato quel tempo al presente, io darei dieci anni della mia vita per ritornar come allora. Le scrissi assai del mio stato da che non La vedo; ma dalle sue lettere veggo che tre delle mie, ed una fra le altre lunghissima, si sono smarrite ne' labirinti delle strade infestate, o de' gabinetti sospettosissimi. Non v'era cosa che potesse compromettere la nostra pace, e si poteva leggerle in piazza; e non ci ho perduto che la fatica, che m'è dolcissima a ripigliarla scrivendo a Lei; e davvero ch'io ci trovo alcuna consolazione: ritesserò dunque la mia misera storia, e la ricapiterò a norma degli ordini suoi al signor Donato Orsi; faccia Dio che questa almeno le arrivi!
Io ho vergogna a dolermi; ma pur il dolersi è in me una necessità prepotente, ed un conforto che posso avere con pochi; però associo alle mie triste afflizioni chi ha la pietà d'ascoltarmi. Fino ad oggi io reputava i lamenti inutili affatto ed indizi evidenti d'animo infermo: ora bisogna ch'io confessi d'essere infermo, ed ho anch'io l'illusione delle persone estremamente – io direi di me
Poco dopo ch'io giunsi mi venne detto che s'era già scritto a Firenze ordinandomi ch'io ritornassi nel Regno come elettore; il qual ordine era già stato mandato anche agli altri affinchè in ogni caso non dimorassero mai in terra occupata dall'armi nemiche, e si riunissero intorno al governo. Infatti ebbi la lettera rispintami subito da Firenze: ma vi lessi insieme l'invito di riassumere la spada e il grado militare; il che mi fu qui insinuato amorevolmente anche a voce. Ella sa, mia Signora, ch'io non che una vita, ne sacrificherei mille, non dirò per la piena salute, ma ben anche per l'onore apparente della mia patria; ma che può mai fare il braccio d'un uomo infermo ed oscuro? e la poca mente ch'egli può avere non giova alle circostanze: inoltre non ci stava nè l'amor proprio a riassumere dopo tanti anni un grado che mi assoggettava a chi fu mio soggetto; nè l'interesse a rifornirmi di divise d'armi e cavalli con gli stipendi scarsissimi del mio grado, e in tempi anche più scarsi. Tuttavia, avendo io serbato il titolo, e goduto per parecchi anni della dotazione che è in pericolo d'essermi tolta da' cangiamenti istantanei, non m'è sembrato onesto nè consentaneo a' miei alti principj di ravvolgermi nella mia pacifica oscurità, ora che il rischio cresce ed il lucro è cessato. Ho dunque con la ragione che diceva di no, e col cuore che contrastava con essa, obbedito; ed ho esibito i miei pochi ed inutili servigi allo Stato. So d'avere scritto e riscritto a Monsieur Fabre ch'egli è veritiero profeta; e i guai si possono antivedere assai facilmente, pur troppo! Ed io li vedeva; ma l'
Due cose per altro fanno ch'io talvolta mi rappacifichi con questo mio stato di servitù. La prima si è, ch'io milito come aiutante del generale Fontanelli che mi fu amico, e mi sarà forse più amico quando – se mai ciò avvenisse – fosse anch'egli ravvolto nell'universale disavventura, la quale se non altro agguaglia in parte le disugguaglianze delle sorti, e rende più sociabili i cuori che malgrado la loro buona indole la troppa fortuna divide. Egli dunque come Ministro della guerra, m'aiuterà certamente un dì o l'altro, non a salire, bensì ad uscire nuovamente e tornare alla mia sacra e nobile indipendenza. – La mia seconda consolazione sta – ed è la più forte – nella mia ferma volontà di non avventurarmi agli eventi della guerra se non se finchè si combatterà su le terre italiane; d'allora in poi – se una ritirata avvenisse oltre l'Alpi – io mi crederò adebitato d'ogni obbligo, e sottentrerà l'obbligo più santo e più naturale di provvedere alle cose rovinanti della mia famiglia. Tutti a ogni modo sanno con quali sentimenti ho imprudentemente forse, ma lealissimamente considerate le cose pubbliche; ed ho fatta professione pubblica d'italiano sino all'altare ed al rogo. Certo ch'io non obbedirò mai lietamente a verun altro principe, nè piglierò mai l'armi contro questo per cui milito adesso: ma nè io come uomo onorato dovrò andare a mendicare il pane in terra straniera, nè S. M. crederà forse opportuno di aggravare l'Impero del mantenimento di tanti ufficiali inutili forse, e che i decreti del nemico richiamerebbero a' loro tetti sotto pena della confisca. Per quanto io abbia oggi il cuore febbricitante e tremante, in questo solo partito rimarrò saldo; e spero che non mi sarà disdetto il seguirlo da chi può comandarmi. Potrebbe bene la Fortuna interporsi; perchè io in quell'estremo caso (incertissimo forse, ma che bisogna pur prevedere) della ritirata, potrei facilmente trovarmi senza danaro; ho qui dopo il mio ritorno riscosso un migliaio di scudi, tutto quello ch'io avea preparato sin da Firenze; ma trovai mio fratello con alcuni debitucci che si sono pagati per non fuggire almeno da falliti; ho logorato molto danaro in equipaggi soldateschi – spartanamente a dir vero – ma beato chi può a questi giorni procacciarsi un cavallo; Stefanino, per l'impossibilità del passaggio a Venezia, m'è restato addosso; e per non associarlo alle mie incerte venture o disavventure, e per non averlo d'impedimento, l'ho confidato ad un professore in Pavia; ed ho, come ho potuto, anticipatamente pagato il suo mantenimento per un trimestre. Dal tesoro, per quel solito giro di cambiali su l'Isole, non c'è d'avere più un soldo; e mi lodo assai d'avere scritto che si sospendano i pagamenti per conto nostro, se pure saranno più in tempo. Delle mie pensioni ho perduta la speranza per ora, ed il desiderio per l'avvenire. Chi vorrebbe o potrebbe aiutarmi, non è richiesto da me; ognuno deve pensare a se stesso: nè so avventurarmi a rifiuti quando tutti quanti siamo oggimai senza credito; e sarebbe anche peggio ch'io fossi soccorso per mezzo degli altrui sacrifici. Ogni carteggio con casa mia è per ora assolutamente impraticabile. Così quando volessi da' piedi delle Alpi tornare in Italia, potrebbe darsi che l'onnipotente povertà mi legasse i piedi ed il cuore. La prego dunque, mia Signora, di scrivere all'abate di Caluso che se mai fosse
Eppur queste angustie sono ancor le minori; e ne riderei se il mio cuore pazzo, e la mia fantasia mestamente – ma non ingiustamente delirante – non cospargessero di sospetti, di perplessità, d'amarezza il mio stato presente e l'avvenire, e fin anche le reminiscenze, che m'erano pur una volta dolcissime, del passato. Ho perduto tutto, e credo che non mi resti più nulla da perdere sopra la terra. – Ho perduta (ed ho dovuto rinunziarla io medesimo) la mia povera amica. Vive; ma per sapere che, se non ci troveremo dopo il sepolcro, dovremo stare divisi per tutta l'eternità. La mia piaga era già divenuta ulcera antica sin dal mille ottocento nove a' 30 di Luglio. Sino d'allora la sua quiete domestica e la sua fama mi avevano precluse le porte della sua casa. Ma allora almeno io la lasciava in una casa protetta dalla Fortuna, e madre di figli felici. Da quel giorno, Milano, che a me non piacque [mai], nè simulai che mi piacesse, divenne paese avverso al mio cuore; ed andava errando di città in villa, e di villa in città, finchè trovai un po' di quiete in Toscana. Ella seppe nello scorso maggio di che fulmine fu improvvisamente abbattuta quella famiglia; la nobile forza che mostrò allora il cuore dell'amica mia giovò al suo nome, ma consumò l'estremo del suo vigore. Quand'io la rividi in agosto, un sentimento che non era nè amore, nè amicizia, nè gratitudine, nè pietà, un sentimento più profondo e più sciagurato di quanti abbia sentito in mia vita e ch'io non saprei nominare, e ch'era irritato ed accresciuto in me dal rimorso di non aver fatto nulla per quella donna, assediò tutti i miei pensieri, e li rese perplessi ed afflitti. Ma quant'io era allora felice! La libertà di vederla, e le vaghe speranze che illudevano la sua mente furono balsamo a lei: ed io, benchè previdente, partecipava della poca sua gioia. Tornai a Firenze, e so d'avere scritto a lei, mia Signora, che non reggerei di stare fuor di Milano per tutto il poco tempo che rimaneva alla fine dell'anno. Le cose d'Italia, e il mio vano DonChisciottismo mi richiamavano al Regno più presto; e s'aggiungevano anche i miei pochi interessi; ma non gli avrei, no certamente ascoltati, e la santa ed indipendente tranquillità avrebbero vinta la lite, ed io avrei aspettati gli eventi su l'Arno, vicino a Lei; nè credo che l'uomo onesto e pacifico stesse a rischio qualunque dovesse essere il vincitore. Ma lo confesso, ed Ella, mia Signora, e la mia povera amica soltanto sanno, che la pietà e l'amore di lei sola mi trassero forsennatamente nel Regno, e mi abbellivano le illusioni della redenzione della patria, e mi facevano nemico della mia pace. Appena giunsi fui ben accolto anche dal marito; ma tre giorni dopo il maggiore de' figliuoletti ebbe una specie d'apoplessia, prodotta da una febbre perniciosa, mal conosciuta da' medici che dissanguarono quell'innocente creatura a salassi, e lo consegnarono a' preti; se non che lo salvò la disperazione, e fu con contrario metodo trattato ad opio, a muschio, ed a china per sottrattivi, per cui quel ragazzo riebbe la parola dopo quattro giorni di letargo, e la vita; ed era convalescente. S'immagini Ella allora che notti amare, che lunghe veglie e quante lagrime disperate! Le narrai lungamente ogni cosa in altra mia lettera. Ma come fu guarito il ragazzo, la mia assiduità, e il vedere ch'io per ora stava risolutamente in Milano e presso il Ministro della guerra, inferocì l'antica gelosia del marito, che divenne muto, vigilante, ed in uno stato deplorabile; e l'esser egli infelicissimo, e imprigionato volontariamente in casa dalla sua passata calamità, accrebbe i rimorsi, i doveri e le angosce della moglie, e con le angosce un tremendo terrore perpetuo che s'è irradicabilmente innestato nelle mie viscere. Ho dunque dovuto rassegnarmi al partito di non rivederla mai più; di parlarne io stesso al marito, che mi confessò la sua fatal gelosia e parve acquetato dalla mia promessa di esiliarmi perpetuamente dalla casa per ora, e poscia, quando potrò, dalla città ch'egli abiterà. – La carta e l'ora mancano: le scriverò lunedì; – mi accerti d'avere ricevuta questa lettera.
Signor Compilatore del
Mia Signora ed Amica – Il mio naturale malanno di aver paura del freddo, e il malanno peggiore di questo paese d'essere sommerso d'una nebbia palpabile che m'assedia quasi nel mio scrittoio, m'hanno costretto a vivere sempre vicino al fuoco, ed il fuoco m'ha infiammate le palpebre peggio che mai; e non ho la salutare fontana che me li aveva risanati a Firenze, nè penso di farmene far una qui dove sto come su l'osteria, o sotto la tenda d'un Arabo: però io lunedì scorso non le ho potuto scrivere come le aveva promesso, ed al nuovo guaj s'e aggunto l'avere perduto anche questo conforto dello scrivere. Ad ogni modo d'allora in qua sono fatto più forte; e se i miei lamenti non si fossero versati in un petto indulgente, mi vergognerei d'averli scritti sì dolenti e sì lunghi. Ma la natura e la ragione erano allora agli estremi; le sorti non si sono mutate; ma il dolore era tale che o doveva uccidermi, o come tutte le umane cose, allentarsi. E il vero, unico, sovrumano conforto in ciò fu il sentire evidentemente nella mia coscienza ch'io sacrifico tutte le più care speranze della mia passione alla pace domestica, – violenta, pur troppo, e disperata – ma pace ad ogni modo, e scevra di pericoli e d'infamia, e di rimorsi – di quella sventurata ed amabile donna. Tuttavia questo non è paese dov'io possa vivere, nè dove io voglia morire; e sarò seppellito in Toscana. Avrò, spero, tanto da comperarmi la casetta di Bellosguardo, e fabbricarmi quivi presso un sepolcretto. Qui e quasi certa la pace; il signor Caracciolo Ministro napoletano in Baviera, ne scrisse qui al Ministro di Napoli che risiede presso il Vice-Re; ed io vidi la lettera; e lessi che furono accettati gli articoli proposti dai confederati, da poche varianti in fuori di poco rilievo, per le quali s'è nondimeno spedito un corriere a Londra. Ella aspetti presto un'altra mia lettera, e le recherà forse più certe novelle. All'Adige vivono amici e nemici con la stessa lunga tranquillità. Per l'Italia si spera bene; ed io spero di tornare vicino a Lei, mia Signora; noto a Lei sola ed a pochi altri; e restarmi d'ora in poi come lumacca sepolto nella mia chiocciola, senza mostrare le corna. Le buone feste frattanto.
Mia Signora – L'ultima sua da me ricevuta viaggiò per Torino, ed è in data de' 17; la penultima fu quella dissigillata di cui so d'averla ringraziata: ma di questo bel vezzo d'aprire le lettere potrò un dì narrarle e confermarle un aneddoto recentissimo accaduto a me stesso da cui apparirà quanto le menti ed i cuori di noi mortali sieno stati guasti da questi venticinque anni sciaguratissimi. Purchè le rendano ad ogni modo, e le schiudano e se rileggano che Dio Signore gli aiuti. – Sono oggimai disingannato
Enfin grâce à mon obstination, mon cher Ugo, j'ai reçu votre lettre du 18 qui m'a fait de la peine. Il me paroit (mais peut-on juger de loin?) que vu votre santé vous auriez pu conserver votre indépendance. Il faut, et j'aime à le croire pour l'opinion que j'ai formée de vous, que cela vous ait été impossible. Vous voilà dans la foule. – Je crois que si vous pouviez m'envoyez (de la Princesse de Castelfranco née Princesse de Stolberg à Chiaja. Il faut que dans ces lettres on ne parle que d'argent. Quant à ce métal qui pourroit vous être nécessaire, j'écris à l'abbé de C. qu'il doit vous donner, au cas que vous passiez par Turin ou que vous fussiez hors d'Italie, cinquante Louis. Je n'ose pas le prier de débourser davantage ignorant si dans ce moment que tout le monde
Nous avons 3000 Napolitains, qui vont partir pour Boulogne. Le Roi aura son quartier général à Ancône. On dit bien des choses qui pourroient vous satisfaire, et que je ne crois pas. On parle d'indépendance! Chacun dit ce que lui vient dans l'esprit sans raisonner.
Mr. Fabre, qui vous salue, et qui a été aussi étonné que mois, ainsi qu'il S. Giovanni, n'a pas reçu vos lettres. A présent que vous êtes dans la
J'ai ràçu votre lettre du 4 après celle du 18: je ferai payer à la mère de votre domestique les deux inonnayes. J'ai reçu votre lettre du 19 Novembre un mois après: en tout j'en ai 4, et j'en ai écris 5 ou 6, une entre autre par une personne qui passait par la Lombardie.
J'ai connu ici M.lle Milesi qui joint à une drôle de tête un grand amour d'indépendance personelle, et générale, une adoration pour le C. Alfieri.
De vos nouvelles surtout après quelque affaire pour savoir ce qui vous êtes arrivé. Depuis que vous avez endossé le sabre je crains pour vous. Comptez à jamais sur mon tendre attachement pour la vie comme je compte sur le vôtre.
Votre belle est toujours malingre: on ne veut pas laisser à Florence le Ma.... On dit bien des méchancheté sur sa maladie. J'espère que vous n'y êtes pour rien. Adieu, a vous revoir. Je vois votre éloig[n]ement encore plus grand. Au reste qui peut répondre de ce qui dépend de tant de têtes?
Rispondo al vostro brevissimo foglio del 24 – Anche quand'io mi stava in Toscana s'era detto qui in Lombardia ch'era morto; non è meraviglia che ora in Toscana si dica ch'io sono ridotto all'oglio santo e al viatico. Vero è ch'io non istò troppo bene, al dire de' medici; mi sento bene a ogni modo, e mi basta; scrivano ricette a lor posta; io mi terrò quest'incomodi e questi miei lievi pericoli di ricadere in sì trista stagione, e davvero il verno è nebbioso, freddo, e maligno, – ma comporterò in pace ogni cosa per non ingoiarmi i loro rimedi: sarà quel che Dio vorrà: per ora mi basti e vi basti che io non sono a letto, e che anzi esco assai spesso di casa. Ho indugiato a mandarvi l'ultima rata del vostro credito, e indugerò forse per due settimane ancora; ho voluto ed amato interpretare così le vostre intenzioni. Quel danaro potrebbe essermi d'ora in ora necessarissimo, non tanto perch'io ne' mesi freddi sono sempre malato, quanto perchè le feste del santo Natale e il buon capo d'anno che molti mi vengono a dare, mi hanno pur troppo dato il malanno e la mala pasqua mungendomi indiscretamente la borsa: nè so quali necessità mi potranno soprarrivare. Inoltre v'è chi ha bisogno di me, nè io posso sovvenirlo se non d'un po' di danaro; e non è poco che non mi sia negato di dargli questo sollievo. Addio per ora. Ti dirò assai cose nuove e bizzarre di Stefanino: ma ora non miregge il capo, da tre giorni sono sbalordito da una di quelle mie emicranie solite; – guarivano allora col sonno; ma ora appena posso dormire tre ore per notte. Addio addio; e il buon capo d'anno.
Signora Contessa – Da giovedì in qua sono sbalordito dal dolore di capo; non posso nè dormire la notte, nè posar gli occhi sui libri: il polso non mi regge alla penna, nè l'avrei pigliata se non fosse ch'io a questi giorni non devo tacere i buoni augurj, e lasciarla col timore ch'io possa forse essere morto e sepolto. Buon capo d'anno, signora Contessa; e sarà fortunato l'anno venturo per me s'io potrò passarmelo nella bella Firenze. Spesso con la fantasia mi trovo presente a' suoi festini, e vedo danzare due dozzine di Grazie sorgenti intorno a Lei: ma poi mi resto dolorosamente deluso. Ella domani avrà il piacere di far de' regali alle danzatrici; ma io non avrò il piacere di osservare la riconoscenza e la gioia sul volto di quelle giovinette. Mi par d'essere il vecchio Titone serrato a chiave dall'Aurora mentre usciva a far ballare intorno al suo carro di rose le fresche e vergini Ore della mattina. Il povero Titone, dice Omero, manda dalla sua prigione un suono lunghissimo lamentevole sospirando di partecipare delle feste a cui non può assistere più. Io veramente non mi sento quest'impotenza; ma non ho ali da poter volare per tante miglia, e se prima partendomi da Milano danneggiava i miei interessi, oggi forse danneggerei in parte il mio nome. Però mi sto; ma, spero, per non molto tempo.
Finalmente, mon cher Ugo, depuis que vous avez
J'ai eu le 29 ma petite fête des
Il me paroit que vous êtes encore tranquille; et je vous en félicite; je désirais que le tout finisse de cette manière. J'espère que votre
Quel caprice vous a pris de dénigrer la
Voilà un des vos amis qui est allé à la cour de Pluton: le ch. Lamberti. Il sera le poète du Dieu des Enfers.
Mr. Fabre vous fait ses compliments, il vous répondra et en attendant fera votre commission. Adieu, portez-vous bien, soignez-vous et continuez à m'aimer comme une amie, qui vous aime tendrement. La belle est toujours malingre.
O amica mia! dopo ieri tu non puoi diventare nè più virtuosa nè più bella per me, ed io non ti posso amare di più. Ho trovato coraggio nella tua tenerezza; e la tua virtù mi farà cari i dolori: non ho da desiderar più nulla finchè tu m'ami; non ho da temere più nulla se non d'esserti cagione d'afflizione: le lagrime che ti vidi spesso [ne]gli occhi mi sforzano al pianto.
O amica mia! Ho succhiata una tua lagrima: i miei labbri non sospirano più altri baci che i tuoi; nè ardirò domandarteli. Gli occhi miei ti vedranno sempre con quel soave sorriso sul labbro, e con quel pianto divino negli occhi: mi farai cari i dolori, e sacri, e dolcissima la virtù; tu me la infondi questa virtù; senza di te sarei nulla; tu mi dai il coraggio, e m'insegni il dovere sublime d'evitare che tu torni a lagrimare per me. Ti desidererò sempre, ma crederò d'aver tutto finchè avrò un tuo pensiero. – Vorrei solo poterti aprire l'animo mio; vorrei [nascon]derti (?) il martirio che m'assale malgrado mio all'idea che dovrò perderti. – Ma se non potrò dissimulare almeno (?) il mio dolore, – perdonami o donna celeste – son uomo; ma non affliggerti; vivi sicura che l'amor tuo mi [conserverà (?) forte ( ?)] e che la memoria (?) di ieri è compenso a tutte le angosce.
So che lo scrivere, dopo tanto che ti ho già scritto, è inutile forse omai; e quella parte del mio stato che tu non puoi sapere e ch'io provo dì e notte dentro di me, è una infermità di tal carattere ch'io non posso descriverla; la sento perchè non posso far altrimenti; ma temo di guardarla: o questa passione è più violenta di quante io n'abbia sentite e superiore alle mie forze; oppure le mie forze sono tanto consunte che non bastano a sopportarla. La mia ragione ha fatti i maggiori sforzi di cui era capace; nè io credeva che avrei saputo ragionar tanto: nè ho mai combattuto sì decisamente il mio cuore; non giova lasciare che la ragione e la virtù vincano talvolta (?), ma è convalescenza d'una febbre che torna a riardere con più forza, e che m'induce ad una deplorabile frenesia. E te ne sia prova ch'io non ho costanza dall'astenermi (
Pure se m'ami, avrai tu, donna cara e funesta, alcun sollievo ascoltandomi; avrai pietà di me, e potrai esercitare senza rimorso almen questo nobile sentimento; saprai in che stato io mi trovo, e se non puoi preservarmene, preservane almeno te stessa. Però raccolgo tutte le mie forze, e ti parlo, cara amica, così come posso per manifestarti (?) un cuore insanguinato e pieno d'angosce, e di tenebre, e tale forse che vedendolo ti pentirai d'averlo amato, e compiangendolo generosamente, vedrai insieme che se merita le tue lagrime, non potrà mai meritarsi il tuo amore.
Ma s'io t'ho amato, la colpa no non è mia; mia bensì è la colpa d'amarti sì fieramente, e di ardere perpetuamente in una consanzione che potrebbe comunicarsi anche a te. Dio mio! chi poteva mai credere che il cielo m'avesse condannato a sì disperata sciagura! E per che vie tristissime (?) ed invisibili (?) io mi sono ridotto a questo momento! T'ho veduta e t'ho amata, e ho tacciuto, e mi sono anche vinto. Son presto ott'anni, vedi che spazio di vita: m'hai data la tua amicizia, e il tuo secreto, e m'hai costretto a spiegarti (?), a tornarti ad amare, ed insieme a tacertelo per non abusare della tua fede.
Mio Dio! ma e che posso più dirti? – non ho più affetti, nè parole, nè lagrime; non ho più speranze, nè pietà di me stesso: per te ho fatto tutto quel ch'io poteva; – è vero, dovrei anche mostrarmi lieto e tranquillo: non ho più forze; no, dopo quella fatale promessa, ch'io ti manterrò a costo del sangue e dell'ignominia: – te la manterrò, e tu non sarai spergiura a' tuoi doveri; io non avrò dinanzi a te la macchia di seduttore: ma vuoi tu contendermi il silenzio, e il dolore? Mi credi tu così nemico di me ch'io voglia essere carnefice di me stesso? – Soffro, perchè non posso far altrimenti; ti fuggo per non agitarti con la mia vista: – ho distrutte io stesso le mie speranze, e non m'è restata che la disperazione; devo io mostrartela nel mio volto con tutti i suoi mortali caratteri? La celerei se potessi; ma son uomo – hai tu mai sentito lo stato d'un cuore che desidera tutto e che ha tutto perduto? Ah il cielo te ne preservi; vivi a' tuoi figli, a tuo marito ed alla tua virtù; la tua quiete soltanto può darmi conforto.