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(dal Giornale del Lario del 28 agosto 1813, n° 30).
In chi vede innalzato quasi improvvisamente un ampio edifizio sopra le fondamenta
delle torri cadenti di un antico castello, sorge naturalmente il pensiero di esaltare la liberalità dei
cittadini, l'ingegno dell'architetto e la celerità dell'esecuzione. E voi, pregiatissimo amico e maestro
mio, leggendo meco la gazzetta del Lario dell'ultimo di luglio, avete indovinato che l'estensore
dell'articolo sul nuovo teatro di Como scriveva sopraffatto di meraviglia in guisa, che, intendendo di
trasfondere in noi ecclesiastici campagnuoli i suoi medesimi sentimenti, diede non tanto un
ragguaglio, quanto un elogio dell'edifizio. Ma fatalmente gli elogi sono poco letti e meno creduti, e
provocano il risentimento de' critici, i quali, non contentandosi del solo
Frattanto, mentre i lodatori osservano col telescopio volendo ingrandire l'oggetto, e i
critici abusano del microscopio per notomizzare, o, com'essi dicono, analizzare i difetti, io mi sto
qui osservando a occhio nudo; e se travedo la verità, sono, se non altro, certissimo di non
dissimularvi i veri miei sentimenti, e di non armarmi di principj
L'edificio è isolato. La facciata principale guarda a settentrione; le due laterali e lunghissime, a levante e a ponente; l'altra verso mezzogiorno ha innanzi a sè una specie di anfiteatro.
Questo edificio tutto in un tratto, sì per la sua mole, sì per le colonne della facciata settentrionale e meridionale, si giudica eretto ad utilità del comune; ma a qual uso precisamente, non credo che altri possa indovinarlo sì di leggeri; ove per altro non vi si pongano iscrizioni, bassorilievi ed emblemi, che riescano ad indicare che questo edificio fu eretto per gli spettacoli pubblici.
Questo capitale difetto deriva dallo scopo di erigere, annesso al teatro, un palazzo, dove, oltre gli spettacoli, i cittadini possano avere molte sale eleganti ad uso di feste da ballo; e gli attori, ballerini e cantanti trovino alloggio nella stagione degli spettacoli. Vero è che nel frontone del peristilio si presume d'alludere agli spettacoli, facendovi dipingere a modo di bassorilievo una povera lira; lira dissonantissima con quelle grandi colonne corintie che sostengono quel frontone, e con le massiccie cornici che lo adornano.
Questi ed altri difetti sono eglino tutti dell'architetto? Ottenni il suo disegno, e
paragonandolo colla fabbrica, vidi che la maggior parte delle colpe si dovrà ascrivere non tanto agli
uomini, quanto
Nel disegno della facciata principale le finestre, che oggi si vedono con soli stipiti di calce, erano ornate di cornici e cappello di sasso, il che corrispondeva alla magnifica eleganza del peristilio, composto di sei colonne corintie con capitelli di un marmo poco frequente, e che si scava alle rive del lago di Orta; marmo imitante il bronzo, e di cui non so perchè si faccia sì poco uso dagli architetti. Ed anche ne' capitelli l'esecuzione guastò il disegno; dacchè il sasso, pel tocco recente dello scalpello, avea in parte smarrita la tinta di bronzo che il tempo e la plaga settentrionale, verso la quale il peristilio è rivolto, avrebbero tornato ad imbrunire. L'impazienza degli esecutori li persuase ad impiastrare i capitelli di una vernice che tira al nero; ma, non che imiti il bronzo, disdice anzi al lavoro, celando il marmo, e destando l'idea d'un artifizio intempestivo e meschino. A questi errori di cui l'architetto non può in alcun modo incolparsi, vuolsi aggiungere uno tutto suo; ed è che le tre porte della facciata principale le quali corrispondono agli intercolonnii e mettono al teatro, non hanno larghezza proporzionata all'altezza; la qual forma angusta e volgare par che accusi il peristilio di troppa magnificenza.
Nelle facciate laterali, all'architetto, invece de' soliti finestrini, che in tutti quasi i teatri fanno parere il caseggiato grettissimo e dissonante dall'uso e dalla sontuosità interna dell'edifizio, piacque di continuare l'ordine delle finestre della facciata principale; ma si fecero due correzioni al disegno, in danno dell'architetto. Si continuò a far sottentrare alle cornici ed a' cappelli delle finestre i soliti stipiti di calce; nè si posero due terrazzi sporgenti in fuori delineati nel disegno, per assegnare il punto medio di quella lunga facciata e interrompere la serie noiosa di tante finestre, per le quali da ciascheduna delle facciate laterali di può supporre che l'edificio non sia altrimenti un teatro, bensì un casamento ad uso di seminario: inoltre i terrazzi avrebbero illuminato maggiormente i due corridoi, giovando insieme a chiunque in tempo di spettacoli estivi volesse, senza uscir di teatro, ridursi all'aria aperta.
A me pare nondimeno che, quand'anche si fossero costruiti i terrazzi, la loro utilità non avrebbe compensato il difetto che sarebbe risultato da due terrazzi sporgenti, senza che vi fosse sottoposta una porta con colonne, o con arco che li sostenesse. Tuttavia se non toglievano affatto, avrebbero almeno scemata la deformità di tante finestre disadorne e scorrenti sopra una lunga parete.
Ma la colpa comune al disegno e all'esecuzione di quell'edificio sta nell'avere sovrapposto al primo piano un piano secondo bassissimo, con finestrini spessi e quadrati a forma de' mezzanini delle case fabbricate per darsi a pigione. Lo scopo di dar albergo agli attori costrinse a questo partito. Ma non si poteva egli forse ne' pian terreni, ed anche nel primo piano di quel vastissimo caseggiato, appartare parecchie stanze a quell'uso? Tanto più che la miseria di que' mezzanini risulta più vergognosa dal paragone della prossima architettura della cattedrale, che con la ricchezza de' marmi e con l'ardita austerità della costruzione par che avvilisca tacitamente l'ambizione di questo nuovo edificio.
La facciata meridionale, che, come si è detto, guarda ad una specie di anfiteatro, è in tutto e per tutto diversa da quella ideata dall'architetto. Vedesi nel disegno una loggia sostenuta da quattro colonne d'ordine dorico: ma nell'esecuzione l'ordine è mutato in ionico; e quindi non solo riesce poco conforme al carattere di un anfiteatro, ma gl'intercolonnii appaiono più larghi e sproporzionati sì pel diametro minore della colonna ionica, e sì perchè si è voluto metter in opera quattro colonne già destinate ad altr'uso, e mancanti dell'altezza conveniente all'ampiezza dell'arena. Queste colonne intruse e la loggia omessa producono due gravissimi inconvenienti. Primamente si è dovuto innalzare, in compenso della loggia, un muro assai pesante, che nuoce non solo alla convenienza ed all'eleganza, ma ben anche alla stabilità della fabbrica; e dove oggi si vedono gl'intercolonnii con architravi, si dovrà reggere il muro con intercolonnii arcuati. In secondo luogo, se si fossero poste le colonne doriche dell'altezza richiesta dall'architetto, si sarebbe non solamente provveduto alla solidità, ma si vedrebbe ampliata la grandezza delle porte, necessaria appunto a quel luogo che serve di sfondo al teatro, e donde si avrebbe agevolmente potuto dar maggiore altezza al palco scenico; altezza utilissima specialmente agli spettacoli de' nostri giorni, e che si desidera in quasi tutti i teatri.
Quanto all'interno, io non posso non lodare la ripartizione delle scale e la magnificenza colla quale son corredate; ma credo che non si possa bastantemente lodare l'architetto della proporzione della curva del teatro, per la quale non vi è palchetto da cui non si possa vedere tutta la scena. Inoltre egli si è emancipato dall'abuso perpetuo de' palchetti in proscenio; i quali, frammettendosi come una nuova fabbrica tra la scena e l'orchestra, rompono l'illusione, e lasciano sovente vedere una finta principessa che recita da innamorata accanto una dama che nel palchetto del proscenio fa veramente all'amore col suo cicisbeo.
Da quel poco che ho inteso nelle prime prove, pare che il vaso riescirà armonico; e forse anche un po' troppo, chè la ripercussione della voce e dei suoni potrebbe talvolta nuocere all'armonia. Taluno anche crede che l'apertura della scena sia troppo larga, e che le voci dei cantanti si disperderanno nel palco scenico innanzi che si diffondano sulla platea; su di che l'esperimento sarà giudice inappellabile.
Insomma la prima lode spetta alla liberalità de' cittadini, la seconda all'architetto, l'ultima all'esecutore. La colpa degl'inconvenienti, alcuni de' quali non sono irreparabili, ascrivasi tutta alla fortuna, dipinta calva, guercia e dispettosissima.
Ma ad onta della fortuna, il teatro di Como farà testimonianza che i concittadini di Plinio non si contentano delle reliquie de' monumenti. Dall'età dell'illustre Benedetto Giovio, sino a Giuseppe Rovelli e Giambattista Giovio vivente, molti scrittori illustrarono con facondia pari alla lor diligenza le storie della loro patria. E forse quegli scritti, benchè taluno potrebbe chiamarli municipali, incoraggiarono i Comaschi a emulare gli antenati, e ad ornare la loro città. Perchè a conti fatti, la gloria degli avi risulta in vergogna de' posteri, ove questi affettino d'esalare l'amor patrio solamente in parole.