PARTE SECONDA
DELLE QUALITÀ PROPRIE, DELLE ATTRIBUZIONI E DOVERI
DI UN BIBLIOTECARIO NELLA PARTE SCIENTIFICA.
Qualità, studi ed ingegno che si ricercano in un bibliotecario
È indubitabile che i felici successi della bibliografia
ingrandiscono di utile in proporzione alle doti che qualificano la persona nelle cui mani è posta. Le funzioni
proprie del bibliotecario esigono talenti non comuni, e
le cognizioni integranti al proprio carattere devono essere tali e tante che corrispondano ai vantaggi, alla ampiezza della scienza che tratta. Pretendere che in lui siano riunite in bellissimo accordo le qualità tutte che resero famosi li Affò, Fontanini, Maffei, Magliabecchi, Morelli, Muratori, Paciaudi, Tiraboschi, Apostolo Zeno, ed
altri, sarebbe niente meno che supporre un essere o immaginario, o di assai malagevole acquisto. Querard lasciò scritto, che sebbene la scienza bibliografica escluda
i pregi sublimi della immaginativa, ricerca non dimanco
diverse qualità secondarie, difficili a collegarsi. Quindi
nel bibliotecario si rende importantissima la piena intelligenza delle lingue moderne ed antiche, fra queste
in ispecial modo della greca e latina, tra quelle della italiana, francese, tedesca ed inglese; siccome poi fa duopo che parli assennato, e dritto giudichi, così sappia egli
di logica e di sana critica. Apprenda altresì la filosofia,
la storia, la geografia, la diplomatica, sia informato pienamente del sistema operativo dell'arte tipografica. Le
arti, specialmente in bibliografia, si prestano senza dubbio scambievole sovvenimento; quindi perchè possa
giudicare rettamente della qualità e pregio delle miniature, delle immagini poste soventi volte a fregio dei libri
manoscritti e stampati, ci vuole un bibliotecario erudito
nei segreti del disegno, della pittura, della incisione in
rame e sul legno. Deve inoltre conoscere l'origine, il
procedimento dell'umano sapere, onde gli si affacciano alla memoria con certo ordine di successione tutte
le produzioni migliori de' più nobili ingegni nelle arti,
scienze e lettere di ogni età, di ogni secolo. Che se ad
uomo per onesta educazione formato importa conoscere
le opere utili, rare e curiose di ogni genere originali,
specialmente di sua nazione; tale conoscenza il bibliotecario non deve limitare alla materiale nomenclatura dei
titoli e degli autori, o diversamente sarà egli simile all'ignorante millantatore citato da Seneca, sempre inetto
al proprio ministero, poco utile ai progressi delle scienze. Laonde è necessario ch'egli sappia invece del contenuto delle opere: a questo fine le legge incessante,
studia i dettati de' bibliografi, e come siano tra loro alcuna volta discrepanti, considera se le opinioni contrarie dell'uno, dall'altro con sodezza di ragioni si confutino nobilmente, conosce gli errori, decide della loro
importanza, e si dispone così alla buona scelta di quei
libri, che essendo per menzione di loda nei giornali, o
per altre cause più accreditati, possano ammettersi siccome degna parte di sua biblioteca. Uomini di nome conosciuto, prestantissimi nelle lingue, nelle scienze e lettere sono talvolta eletti con accorto intendimento a reggere una biblioteca, a coadiuvarne il rettore: ma sia
pure che allo studio bibliografico non siano disposti per
naturale inclinazione, o che non abbiano tutti i requisiti necessarj in fatto di bibliografia, riescono di splendido ornamento, non così di grande utile alle biblioteche. Laonde Achard nel suo trattato di bibliografia elementare opinava essere saggio divisamento che fosse
instituita nelle Università una cattedra, obbligando a
studiare in bibliografia que' tutti che aspirassero ai posti primarj nelle biblioteche, ai quali non fossero ammessi senza ottenere un certificato di piena idoneità a
quegli incarichi, conseguenza del sostenuto esame. Conosceva quel bibliografo che le grandi cognizioni in
scienze estranee a quelle, che propriamente si addicono
al bibliotecario, non possono capacitarlo a disimpacciare
come si deve i doveri della propria dignitosa condizione; che un uomo dotato di sufficiente intelligenza, per
lungo esercizio e genio reso amante dell'ordine, perseverante al lavoro, in vista al vantaggio di una biblioteca,
è preferibile al fervido poeta, al dotto profondo.
Della scelta delle opere
Tra le instituzioni tutte la più proficua fuor di dubbio si è quella di una biblioteca. Un privato, per dovizioso che possa essere, non può bastare da se solo a
raccorre e riunire l'enorme ammasso de' libri indispensabili a tutti gli studj, e dove pure bastasse gli mancherebbe il tempo necessario a raccoglierli, il luogo acconcio a disporli simmetricamente. Per la qual cosa nobile
generosa determinazione deve tenersi quella di mettere
migliaja di volumi a partito di chiunque ama di leggerne un solo. Il direttore intelligente, amante appassionato
che egli è della biblioteca che governa, di quel tempio
augusto delle muse, di quel vasto teatro delle umane
cognizioni, di quella scuola tanto utile ai prosuntuosi saccenti, a tutti i libri di vero merito si dimostra indistintamente parziale, e mantiene le classi tutte in tal quale
ordine di perfezione. A grave danno del buon gusto in
bibliografia, a grande scapito delle scienze si è osservato
in diverse biblioteche private, ora la opulenza schiava
alla moda ammucchiare libri e libri da farne suntuosi
addobbi alle stanze, ora l'idolatria della oscura antichità
raccorre volumi polverosi e logori dal tempo, preponendo i dubbj ed informi frammenti della ebraica, araba,
celtica, e chinese letteratura alle opere preziose de' Greci,
de' Romani, e l'indolente pedanteria addormire sui pesantissimi volumi in foglio de' Santi Padri e de' loro gravi Commentatori, ed il leggiero capriccio preferire le edizioni più splendide per aggraziate forme, o per altri requisiti esteriori stranieri alle bellezze intrinsiche del testo. Un saggio bibliotecario non potrà mai abbracciare
alcuno di que' sistemi che, lunge dal dilatarli, tendono
invece a ristringere i limiti dello spirito. Tutte le opere
non somministrano, egli è vero, idee sublimi, utili, lusinghiere, non poche sono quelle che manifestano i tra-
viamenti dello spirito, che appalesano la dissolutezza
del cuore. Ciò non di manco giova osservare, che dalla
lettura giudiziosa di libri, siano pure perniciosi, si può
lucrare qualche profitto, che colta mente dilettasi di una
scelta metodica varietà.
Doveri di un bibliotecario nell'esercizio privato di una biblioteca
Conoscitore delle biblioteche che a' suoi giorni sono
reputate le principali in Europa tratta il bibliotecario
co' loro prefetti, dessi interroga, interrogato risponde
alle inchieste. Accoglie con segni manifesti di obbligante
ilarità la gioventù volonterosa di erudirsi, e siccome assistito da felice memoria, tanto necessaria ad un bibliotecario, rammenta a prima vista i nomi degli autori, i
titoli, le particolarità delle opere, talvolta il posto ch'esse
occupano ne' scafali, senza stare in bilico o squardenare a dritta e manca i cataloghi; così ai studiosi frequentatori di sua biblioteca si fa egli sicura guida nella scelta del migliore in questa o quella classe, li consiglia, li
ammonisce, li invoglia, li promuove allo studio. Ai professori delle varie cattedre dev'essere utile amico, consigliere fidato, che cooperi all'esito proficuo del pubblico
insegnamento. Nella disposizione degli assegnamenti annuali gli è duopo prestarsi amministratore esatto, economico, prudente, degno insomma della piena fidanza che
in lui pose il Governo.
Suoi doveri nella pratica scientifica
Altri, e non meno interessanti doveri sono proprj
del bibliotecario nella parte scientifica dell'arte. Procura egli di acquistare le opere mancanti, di perfezionare
le incomplete, occupandosi in quel mentre della più accurata e scrupolosa collazione, tanto difficile alcuna volta,
che vi ha mestieri di confrontare i libri di nuovo acquisto con altri riconosciuti perfetti, o di ricorrere alle
prove che opportunamente esibiscono i bibliografi. Prima che si determini alla compera di qualche opera, si
accerta di tutte le edizioni fatte, onde trascegliere quella
che per acconcie annotazioni, giunte, commenti, o per
integrità del testo possa reputarsi la migliore: la venusta eleganza de' caratteri, la qualità della carta, lo scompartimento del formato non sono requisiti da trascurarsi interamente nella scelta. E siccome è
indispensabile che una biblioteca abbondi di cataloghi antichi e
moderni, ragionati o critici, così il bibliotecario a quella
fonte potrà attingere ragguagli dei prezzi, del merito, di
molte altre particolarità delle opere da comperarsi. Sono
i consigli dei libraj dei conoscitori bene spesso fallaci,
perchè suggeriti dalla gelosia, o dall'interesse.
Delle difficoltà che s'incontrano nell'esame dei libri
Nella piena e sicura conoscenza dei libri essendo posto, come si è detto il carattere principale del bibliotecario, non è quindi sconvenevole cosa annoverare le
difficoltà che s'incontrano nell'esame di un'opera; tali
sono esse che rispetto alla loro qualità e copia riescono
difficili a superarsi. Cotesto esame comprende la parte
tecnica, che risguarda il retto giudizio sul carattere della
stampa, sul nome dello stampatore, e ciò che più monta,
per fissare l'epoca di una edizione. Nè va disgiunta la
parte letteraria, perchè assai gravi importantissime sono
le ricerche che abbisogna di fare in bibliografia. E per
dire della tecnica parte, si persuada il bibliotecario che
senza conoscere perfettamente l'arte della stampa, come prima diceva, mai potrà egli vincere gli ostacoli e
riuscire con lode nello scrutinio delle edizioni moderne,
massimamente poi delle antiche. Imperciocchè, scorso
già molto intervallo di tempo da quello della invenzione
della stampa, furono i tipi imperfetti ridotti eguali, egualità che da se medesima può far distinguere dove, e da
chi si stampasse una edizione anonima. Inoltre la qualità
della carta, il metodo operativo della stampa, l'ordine
preso nella divisione di un titolo, nella collocazione delle
segnature, vignette ed ornamenti, il modo di dare principio o termine ai capitoli di un'opera, sono tali
circostanze che conducono mano a mano alla conoscenza delle
edizioni moderne, nè quindi riesce malagevole il pronunciare un giudicio certo e ragionato di tali stampe.
Ricercasi per lo contrario nelle antiche edizioni, eseguite
sopra una carta sempre grossa ed affumata, qualche contrassegno di data, di nome, di luogo, ma ricercasi indarno; i caratteri poi ne' primi secoli della stampa variarono per mille guise nel luogo stesso, posciachè ogni tipografo che teneva fonderia, ritoccava e di nuovo incideva i proprj ponzoni onde renderli migliori, e nascondeva il suo nome, quello del luogo, e persino la data
stessa delle proprie edizioni, sino a che non avesse fissato domicilio, o non fosse venuto in fama. La rozza
inesperienza di qualche tipografo servì frequenti volte a
porre in dubbio la data delle edizioni, mentre taluna
che si stampava nel terminare del secolo XV o in quel
torno, si tenne siccome prodotto primo dell'arte, e si ebbe in gran pregio. Non minori dubbiezze furono introdotte dalla malizia o dalla trascurataggine di qualche
stampatore, che volle notare alcun libro di tale vetusta
data, che dappoi si riconobbe a tutte prove fallacissima.
Accadde eziandio che uomini volubili non meno che ignoranti, trasferendosi dall'Allemagna in Italia, dall'Italia in
Ispagna, lasciassero nelle Castella o Monasteri a dì nostri sconosciuti, ove stanziarono alcun tratto, informi
monumenti dell'arte. Le funeste conseguenze di così fatte speculazioni di traffico confondono, avviluppano fuor
di dubbio le idee del bibliografo ricercatore studioso di
date antiche. Che più? L'appellativo comune a varie
città, un'epoca eguale posta a ben diverse edizioni, i
titoli di varie opere sconciamente adulterati, qualche foglio ristampato intromesso al principio od al termine di
un libro, qualche cifra maliziosamente raschiata, tutte
queste unite circostanze riescono a moltiplicare alcune
edizioni; laonde rimarrà sempre nella incertezza quel
bibliotecario, che un lungo costante esercizio, la perspicacia dell'artista unita alla sagacità del letterato, non avvezzi a scioglierne l'intricato complesso. Ciò nulla ostante gli si rende indispensabile lo sviluppo di tante particolarità, che minute troppo, o troppo difficili ponno
sembrare per avventura; è noto che le arti, le scienze
tutte contengono più o manco di molesto o disastroso.
Della conoscenza delle opere
La parte scientifica dell'arte, che comprende la precisa conoscenza de' libri, più lusinghiera a vero dire, estesa e dilettosa, offre al bibliotecario assai vasto campo di
moltiplice erudizione. Abbondano per sì fatta guisa le
materie che abbisognano di sottile illustramento, sia che
ricercare si voglia la qualità, antichezza ed eccellenza
delle edizioni, così le date dei libri, le loro mutazioni ed
emende, od il merito intrinseco di cadaun'opera, i talenti
de' loro autori, ed altre molte particolarità essenziali, cui
reputo inutile ricordare a parte a parte, che come siano
trattate con chiarezza e precisione, con eleganza di stile,
si saprà sempre buon grado al bibliotecario, dovunque si
apprezzano i colti ingegni. Che se le ricerche critiche
sulla perfezione de' libri in quanto al testo, alla stampa,
e sulla rarezza di entrambi, formano la parte più estesa,
più difficile della bibliografia letteraria, inopportuno, credo, non possa essere il ricordare con quali mezzi, secondo l'insegnamento di parecchi autori, si abbia a
distinguere un libro stimato veramente pregevole per le
ridette qualità. Prima di ogni altra cosa vuolsi riguardare alla reputazione dell'autore, riferendola al tempo in
che scrisse, quindi alla copia delle edizioni, delle traduzioni in diverse lingue, alla serie dei commenti e compendj fatti, alle favorevoli sentenze o censure giudiziose,
e soprattutto sincere, col dovuto riguardo al merito particolare di chi le ha pronunciate. Tutti i libri che contengono la maggior parte almeno, o la più importante di
queste condizioni sono fuor di dubbio da tenersi come
libri di scelta. Il Denis nella sua Introduzione alla scienza de' libri, riconosce una edizione perfetta per due capi
diversi, interno l'uno, l'altro esteriore. Sono, dic'egli,
condizioni interessanti del primo una ingegnosa e dicevole divisione del testo in libri, capitoli e paragrafi: una
prefazione instruttiva conforme all'opera: la vita dell'autore scritta a dovere: un scelta copia di annotazioni
scientifiche, ma non sottilmente pedantesche, utili solo
a svolgere, a rischiarare il testo: perfine gli indici delle
materie disposti con accurata precisione al termine dell'opera. La venustà esterna, segue a dire l'autore, è posta nell'appariscente formato, nella qualità della carta
bianca, soda, eguale; in una stampa nitida, proporzionata, leggibile, niente affatto logora, che abbia la conveniente distanza di linee e parole, espressamente poi nella perfettissima correzione. Giova l'uso introdotto dei
lembi, ritratti, o fregi, semprechè valga ad accrescere il
pregio di un libro, non mai ad occultarne i defetti. Per
quanto si riferisce alla rarità, quel bravo Custode della
biblioteca imperiale di Vienna la divide in tre classi, cioè
quella dei libri rarj, l'altra dei libri ed edizioni rare, la
terza delle rare edizioni, di cadauna somministrando i
caratteri principali. Rari sono quei libri, così l'autore,
che per essere composti di molti volumi, ornati bene
spesso di incisioni preziose costano moltissimo, quindi si
comprano difficilmente: rari eziandio quei piccoli scritti
compresi in pochi fogli o quinternetti, de' quali non si
tosto uscita se ne perde la stampa, perchè limitata a breve numero di esemplari, quelli che contengono una materia maneggiata da pochi scrittori, o che pochi lettori
intendono, ricercano, e pregiano. Rari finalmente quei libri che si stamparono a poco per volta (frammettendovi
buona tratta di tempo) in diversi luoghi, riuscendo molto difficile il raccorre tutti i volumi che formano il complesso dell'opera. Sono rari in secondo luogo quei libri
ed edizioni che mai furono esposte in vendita al pubblico, così a dire delle bolle, delle lettere pastorali ec.: i
libri ed edizioni che ci pervennero da parti remote, e
delle quali non si conosce alcuna volta che il solo titolo;
quelli e quelle li di cui esemplari per la maggior parte
soggiacquero a gravi infortunj, o che dalla religione, dalla politica furono proscritte. E ben di ragione, perchè
trattavano materie licenziose, capaci a corrompere il costume, o scagliavano satire mordaci contro la riputazione di uomini venuti in gran fama. Le edizioni del secolo XV rare sono di fatto, ed aumentano di prezzo col volgere degli anni, perchè gli stampatori di que' tempi ristringevano il numero degli esemplari a quello delle ricerche, che essendo pochissime, nel decorso di tanto
tempo andarono perdute; molte si riconoscono soltanto
pei frammenti che ne furono trasmessi, o per testimonianza di autori contemporanei. Quelle dei classici, stampate per Manuzio, Stefani, Giunti, Grifio ed altri del secolo XVI, tanto più sono rare se a maggiore pienezza di
chi legge siano arricchite di annotazioni e commenti
dettati da penna che abbia rinomanza. Tali sono eziandio le edizioni originali che conservano tuttora la loro
integrità, quelle stampate con lettere straordinarie, per
ultimo li esemplari in pergamena o carta grandissima.
Dei manoscritti
Lo studio sui manoscritti (rarissimi tra le edizioni e
libri rari) i quali ci tramandarono la dottrina tutta quanta ella è della antichità, non è oggigiorno molto coltivato. Pochi sono quelli che sappiano precisare l'epoca de'
manoscritti, che conoscano la loro vera origine, le loro
vicende, le variazioni introdotte nei caratteri, nell'ortografia, i mezzi adoperati nella esecuzione materiale e nei
dipinti di questi volumi, che sono il più bello e prezioso
ornamento di una cospicua biblioteca. Ne viene da ciò
che al bibliotecario sia necessaria cosa lo studiare in paleografia, per venire al fatto di tutte le ricordate circostanze. Esaminando i manoscritti si deve badare: 1.° alla
loro antichità; 2.° ai diversi modi di scrittura nazionale
praticati nel lungo durare di molti secoli, dei quali importa moltissimo si conosca l'origine, il progresso, la decadenza, onde precisare la data de' più antichi, vale a
dire di que' che precedono il XIII secolo; 3.° alle lingue
antiche e moderne; 4.° al genere di materia che contiene la scrittura; 5.° ai liquori metallici ed altri che si
impiegarono per abbellirla; 6.° alle miniature, vignette,
arabeschi che la fregiano; 7.° alla coperta che essendo
di scelta materia, ornata di bassirilievi sovente antichi,
può divenire interessante alle riflessioni dell'antiquario
insieme, e dell'artista. Sebbene, nostra somma ventura,
siamo noi lietissimi di possedere alcune delle migliori
produzioni, che dettarono i sommi antichi di Grecia e di
Roma, ciò non di manco esige interesse per l'incremento delle lettere, che si adoperi ogni mezzo onde discoprire quella gran parte, che sottrasse l'insana barbarie, la
cieca ignoranza, o che giace sepolta negli avanzi delle
vetuste biblioteche, sotto le rovine di qualche città distrutta. Lo studioso infaticabile Custode, perchè dei manoscritti a sè medesimo ed altrui, come è suo dovere,
render possa ragione, approfitta di ogni incontro, che favorevole possa capitargli, vuoi per via di molto studio,
di ricerche accuratissime, vuoi in fatto di rigoroso scrutinio presso le migliori biblioteche, ed in quella cui presiede. I frammenti delle opere de' buoni autori fanno conoscere la parte maggiore che andò perduta, e a ricercarnela giovano alcuna volta al bibliotecario le indicazioni degli autori medesimi. Egli sa che nei secoli della
barbarie, nel fatale delirio dell'ignoranza, vennero in
luce parecchie opere, delle quali sia pure taluna di vano
o bizzarro argomento, pure rispetto alla qualità de' tipi,
al nome dell'autore, può acquistare il carattere di molta
importanza, di non comune rarezza. Il merito di un manoscritto distinguesi in letterario e materiale, posto il
primo nella importanza del soggetto, nella correzione del
testo, l'altro che consiste nella antichità e forma dei caratteri, nello stato di conservazione in che trovasi. È
noto che l'uso dell'inchiostro nero ricorda un'epoca
delle più lontane, che negli antichissimi tempi, a differenza dell'odierno, non conteneva alcun che di vitriuolo,
ma componevasi di nero fumo, di resina o pece, di nero
di avorio, di carbone ridotto in polvere; che il rosso impiegato nei manoscritti più antichi per formare le iniziali, le prime linee, i sommarj de' capitoli era di una
bellezza sorprendente; che l'inchiostro turchino non usavasi spesse volte, e più raramente il giallo, il verde: che
sebbene l'oro e l'argento si adoperasse per iscrivere le
iniziali o i manoscritti interamente, pure atteso il molto
di costo che importava quella fattura, tali manoscritti
sono rarissimi. La parte che riguarda la materiale esecuzione di essi al preside di una libreria è a dismisura
meno importante della bibliografica, che consiste nel conoscere gli indizj delle diverse epoche della antica scrittura. Tale conoscenza nei manoscritti greci, in riguardo
ai tratti di essa scrittura, è più malagevole da acquistarsi
che nei latini, posciachè in quelli (nulla giovando che vi
siano o no gli accenti) vi ha solo contrassegno caratteristico di lontana antichità quella venusta leggerezza di
scrittura che si trasforma in pesantezza grado a grado si
accosta ai tempi moderni. Non sempre la semplice ispezione alla forma de' caratteri è bastevole per decidere
senza tema di errore della età di un manoscritto, perchè
siccome a formare quelle scritture concorse il genio, l'attitudine, la diligenza di quel tale o tal altro scrittore di
varia nazione, i modelli ch'ebbe sott'occhio, la mercede
pattuita a que' lavori piuttostochè i dati positivi di regole determinate; così per l'unione di queste opposte
cause doveano riuscire diverse. I manoscritti Greci non
contano certo un'epoca anteriore al secolo VI e VII. Per
lo contrario i manoscritti Latini si distinguono dal genere diverso di scrittura, e prima dalle lettere majuscole e minuscole, quindi dalle varie forme che a certe epoche usarono le varie nazioni, onde ebbero origine le denominazioni di scriptura romana, longobardica, carolingica. Altro sistema si presenta nella gotica posta in
uso nel secolo XII, che è una scrittura di minuscole quadre ed ornate. Siccome poi cadauna di esse contiene
molte particolarità che stabiliscono certi dati cronologici,
così si può giudicare della antichità di un manoscritto
latino, di quella antichità che ne costituisce l'attributo
migliore, a preferenza della venusta esecuzione, e di cui
negli eruditissimi scritti di Trombelli e di Pettever si esibiscono i segni che lo caratterizzano per antico. Ricordano gli autori che i manoscritti più antichi sono quelli del
terzo secolo dell'Era volgare (che anzi non è affatto certo se ve ne abbiano di quel tempo), quelli eziandio che
mancano di tutti segni di punteggiatura; rammentano
che questi segni ponevansi all'apice della lettera non già
nella linea, quando prima s'incominciò ad usare del punto, che l'uso delle virgole appartiene al termine del secolo decimo, che nel quindicesimo soltanto furono sostituiti nelle stampe i segni d'interrogazione, di esclamazione, di parentesi a que' spazj che prima si lasciavano
onde facilitare l'intelligenza del leggitore, e che distinguevano le pause, ed il senso completo od incompiuto
del discorso. Avvertono gli autori stessi che la invenzione di separare le parole a mezzo di due lineette orizzontali da dritta a sinistra devesi al secolo XIII.
Antichissimi sono poi quelli che non hanno divisioni di capitoli o
paragrafi, e ne' quali le abbreviature facili a comprendersi di rado si riscontrano, poichè l'uso delle chiamate
fu posto in opera nel secolo XII; ed antichissimi quelli
che hanno difficile oltremodo e qualche volta impossibile
la lettura, mentre si direbbe che in luogo di parole mostrano una continuazione di lettere, le une alle altre affatto aderenti, senza alcuno intervallo che le divida o distingua. Tale confusa disposizione di parole contrassegna
particolarmente i manoscritti che per età precedono a
Carlo Magno, i diplomi a Pipino il Breve. Il metodo di
disgiungere le parole divenne più generale nel IX secolo, sebbene v'abbiano dei manoscritti de' secoli XIV e XV
ne' quali non si scorge separazione di sorta tra parola e
parola. Le abbreviature raramente usate nei manoscritti
anteriori al secolo VIII, quantunque fossero conosciute
dopo il VI secolo, si usarono molto nel cadere del X e
nel sorgere dell'XI secolo, ma nei manoscritti del secolo XII sino al XV l'uso di quelle fu spinto all'eccesso,
trovandosene a dismisura persino nelle opere in lingua
volgare. La numerazione delle pagine con cifre arabe
spetta ai secoli XII e XIII. I ripetuti segni di ricognizione sono di gran caso, per non essere indotti in errore
dalla indicazione del luogo, dell'epoca, del nome dello
scrittore che si legge al termine di molti manoscritti,
sendochè la data soventi volte si è quella della copia, o
si riferisce ad una parte soltanto del volume, od è supposta; quindi la sola concorrenza di questi segni autentica
l'antichità del manoscritto. Conosce l'avveduto Direttore
di una biblioteca quanto sia necessario che due
manoscritti di un'opera si riscontrino uno coll'altro, che
un'antico testo a penna si confronti collo stampato, gli
è noto che i Greci vanno preferiti ai manoscritti Latini,
quelli in pergamena agli altri sulla carta, che tanto maggiormente si pregia un manoscritto, quanto più si avvicina al tempo in che visse l'autore, perchè scevro da
quelle alterazioni nelle diverse ristampe introdotte dallo
scarso sapere o dalla negligenza dei tipografi, onde si
rendono oscuri bene spesso, talvolta dubbiosi alcuni
tratti del testo. Ah! ben venturoso potrà chiamarsi quel
bibliotecario che riesca a buon termine di sue fatiche,
facendo rivivere qualche prezioso avanzo dell'antica dottrina.
Dei Palinsesti o Codices rescripti.
Nel medio evo si raschiavano, si cancellavano gli scritti antichi sulla pergamena (assai cara a quei tempi) per
sostituirvi la scrittura dei Messali ed Antifone, laonde si
deplora al presente la perdita delle opere migliori dell'antichità classica. Tali manoscritti che palimpsesti, codices rescripti, rasi furono chiamati, sono rari ed importantissimi, quando sia che contengano un qualche brano
perduto od ignoto di sommo autore.
A questo luogo trovo acconcio discorrere della classificazione, catalogo e sistemazione non solo dei manoscritti, ma eziandio degli incunabuli ed autografi, sebbene tali partite spettanti alla bibliografia pratica, meglio
potessero allogarsi nella parte terza di questo mio saggio, nella quale tratterò di esse rispettivamente ai libri,
che in generale formano l'ammasso di una biblioteca. E
prima mi sia lecito dichiarare che per ottenere la conservazione dei manoscritti nel miglior modo possibile è
necessario ammettere un interessante riguardo, le più
utili e saggie previdenze.
Delle previdenze da osservarsi pei manoscritti
Il bibliotecario darà ordine al legatore che tra un foglio e l'altro ponga una carta di seta, per impedire che i
caratteri non iscolorino. Procuri che i manoscritti non
restino aperti oltre a quanto tempo si rende necessario
alle osservazioni degli amatori. La pergamena perde facilmente il lustro ed ingiallisce, increspandosi tanto all'atto del troppo calore, come a quello della soperchia
umidità.
Catalogo degli stessi
Nel descrivere la parte materiale dei manoscritti in
un catalogo devesi usare somma esattezza, essendo ciascheduno unico per sè medesimo, vale a dire unico ad
ogni copia di un'opera variante nelle sue speciali particolarità. Tale esattezza deve estendersi all'esame scrupoloso delle opere e dei frammenti diversi contenuti assai
di frequente in un solo volume manoscritto, onde scriverne i titoli a luogo rispettivo, co' richiami al numero
del volume stesso. Prima di ogni altra cosa è necessario
copiare il titolo per disteso, accennando se vi si trovi o
meno il nome dell'autore, quello dello scrittore o copista, e se tutto sia scritto da una sola mano, in quale
anno, in qual luogo. Quindi riferire delle parole di incominciamento o termine, delle note, pitture e fregi,
delle divisioni, paragrafi e capitoli, della materia che lo
compone, se in pergamena od altro genere. Finalmente
del sesto, del numero dei fogli, della legatura, non trascurando di esporre se del manoscritto v'abbia menzione in qualche opera. Il catalogo de' codici manoscritti
della biblioteca de' Medici compilato dal Bandini, quello
della biblioteca Nani dell'Ab. Morelli ed altri ponno servire a modello.
Classificazione dei manoscritti
La classificazione per questi preziosissimi scritti deve dipendere necessariamente dal numero più o meno
esteso che se ne possede. Possono questi aver luogo nel
catalogo generale, disponendoli a capo di ciascheduna divisione, se pochi sono, o se altrimenti tanti ne conta la
libreria, da formare per sè medesimi un tutto separato,
si classificano per epoche, o nelle lingue diverse, o secondo l'ordine di compartimento delle altre opere. Nella
biblioteca reale di Parigi, doviziosissima sopra ogni altra
di manoscritti, sono questi tutti classificati nelle lingue
diverse antiche e moderne, e ripartiti in sezioni, cadauna portante il nome di que' che li legarono, o vendettero alla reale corona.
Incunabuli
Un dotto bibliotecario deve conoscere, apprezzare la
somma importanza degli incunabuli, altrimenti chiamati
paleotipi, e così di que' libri che essendo stampati nell'intervallo di tempo posto tra la data dell'invenzione
dell'arte ed il passaggio dai manoscritti alla stampa, demarcano l'epoca di que' documenti autentici che servono
mirabilmente alla storia de' tipi, che offrono abbondevole materia alle ricerche dei bibliografi, e sono così interessanti allo studio de' classici antichi. Egli è bensì vero
che il Maittaire, Panzer ed altri dichiararono incunabuli
esse pure le stampe del 1520, 1523, 1536; pure a
stretto rigore del termine tali non possono chiamarsi,
mentre si discostano da oltre anni settanta dal ritrovamento dell'arte. Siccome poi tanto l'epoca coi particolari
di esecuzione, quanto la materia stessa degli incunabuli
possono renderli stimabili, così il Costantin li divide nelle seguenti classi:
- a) I Zilografi e le stampe con caratteri mobili contraddistinte di data certa, come quella del Salterio del
1457.
- b) Le prime stampe di qualche città.
- c) I libri composti con tipi particolari e in lingue
straniere.
- d) I prodotti di que' tipografi che limitarono le loro
edizioni a ristretto numero di copie, così quelle di Adamo Roth, di Arnaud ed altre.
- e) Quelle edizioni che esibiscono sicure prove dei
progressi dell'arte come il Nyderi Praeceptorium divinae legis, Coloniae per Johannem Koelhof de Lubick,
1472 in fogl., primo libro con segnature, il Sermo ad
populum praedicabilis, in 4.° Colonia, Ter Hoernen
1470, ch'è il primo con paginatura, e così degli altri
offerenti i primi esempj della forma in foglio o del
quarto piccolo; l'uso dei titoli e frontespizj ha principio
nel 1485. Intorno ai registri, alle segnature, premettendo alcun che dei richiami, delle cifre, terrò parola al termine di questa seconda parte.
- f) Quelle che presentano l'uso della calcografia impiegato per loro adornamento. Il primo libro che contenga incisioni in rame si è il Montesanto di Dio dell'Antonio de Siena, 1477 in foglio.
- g) Quei libri che sono distinti per esecuzione materiale affatto esclusiva, per esempio li stampati in pergamena con lettere d'oro ec.
- h) Gli incunabuli che racchiudono certe serie o
collezioni di opere, e sopra ogni altra quella di sei opere
greche stampate da Alopa in Firenze nel 1495-1496.
Indizj per conoscere le date
Vi hanno in fatto bibliografico diverse particolarità,
che quantunque possano sembrare di lieve momento e
pressochè inutili, ciò nulla ostante racchiudono qualche
grado d'importanza; tra queste tengono il primo luogo
le date delle edizioni.
Le edizioni senza data che costituiscono i primordiali
documenti dell'arte, contengono esse pure, a somiglianza
de' manoscritti, certi indizj che le caratterizzano, mercè
de' quali siamo condotti a conoscerla; i principali sono:
la deficienza di un foglio che comprenda il titolo o frontespizio, delle lettere capitali al principio dei capitoli o
dopo il punto, dei segni di virgole e punti virgole, dei
registri e delle chiamate, della numerica delle pagine,
finalmente dei nomi dello stampatore, della data dell'anno e luogo; che le divisioni in capitoli si incontrino raramente, ed abbondino invece le abbreviature; che in
luogo del nostro punto sulle lettere i ec. sia impiegato
il tratto obliquo od il punto quadrato.
Catalogo degli incunabuli
Nel catalogo dee tener luogo assolutamente la serie
circostanziata delle esposte particolarità, nè si trascuri di
rimarcare i difetti de' libri che soggiacquero all'infortunio, alle vicende di tanti secoli. È necessario primamente di esporre il nome dell'autore; il titolo dell'opera, il
nome dello stampatore, la data, il luogo, sono tutte circostanze che hanno duopo di speziale indicazione. Numerati quindi i fogli che precedono il testo dell'opera,
esponga chi la descrive, a qual uso siano destinati, nè
ommetta di accennare se la stampa sia disposta a lunghe
righe od in colonne, se abbia il carattere grosso o minuto, romano, gotico, semigotico od italiano, se vi siano divisioni o meno, e così dei richiami, delle cifre, delle segnature. Siccome poi devesi fare esatta annotazione del
numero dei fogli e delle figure che l'incunabulo contiene, così quello e questi è mestieri si riscontrino con diligenza, mestieri accennare degli indici, delle tavole, repertorj e registri che sono posti ordinariamente al termine, non di rado in principio dell'opera. Esempj perfetti di questo genere presentano li scritti dei Brunet,
Ebert, la Serne, Santander, Panzer ed altri; il Repertorium bibliographicum dell'Haym, stampato in Stuttgard
in due volumi in 8.° nel 1828-1838 è l'opera la più
completa che si abbia in tale materia.
Classificazione dei medesimi
La classificazione degli incunabuli dev'essere affatto
particolare, cioè relativa al doppio interesse che presentano, dipendente, come si è detto, dal merito letterario
e dalla materiale loro esecuzione. È ragionevole che la
classificazione sia compilata per ordine delle città o paesi
diversi, quindi del nome dei tipografi, e perfino di data,
non tralasciando di collocare in luogo opportuno del generale catalogo i titoli delle opere che contengono.
Autografi
Poche sono le biblioteche pubbliche che non posseggano un certo qual numero di Autografi e di stampe,
quali pure è necessario conservare diligentemente, ed
acconciamente disporre onde riescano utili. Se gli Autografi non sono documenti autentici che forniscano dati
storici o letterarj, si apprezzano nondimanco pella prerogativa loro propria di esibire i tratti di penna di una
mano celebre per titolo qualunque, e perchè possono,
quando che sia, offrire materia interessante allo studio
della storia.
Il metodo più semplice della loro classificazione, suscettivo a cambiamenti quanti se ne vogliano, si è quello di intromettere li frammenti tutti dello stesso autore
in un doppio foglio di carta, sul quale scrivasi il nome,
pronome, l'epoca del nascere, della morte, non che il ritratto di quegli, di cui sono li Autografi raccolti in quel
fascicolo. Se a coteste prime indicazioni succeda una serie di note biografiche storico-letterarie, scritte con esattezza la più dichiarata, la collezione accrescerà di merito e valore, esclusivamente dalla importanza de' ripetuti
frammenti, esibendo una raccolta di nozioni, formante
un'operetta originale diversa da qualunque altra in quel
genere. Il merito essenziale e particolare di un Autografo
consiste certamente nella propria perfettissima integrità,
laonde dal preside di una biblioteca sono da usarsi tutti
i mezzi, per allontanare ogni inconveniente che possa deturparlo. Nel catalogo di classificazione per tali preziosità,
non soggetto a determinate regole, si lascia la scelta del
metodo alla volontà, al buon gusto del compilatore. Il
catalogo pubblicato dal Michel della eccellente collezione
di Autografi e carte del Mommerquè è classificato in ordine alfabetico de' nomi, ed esclude qualunque suddivisione. Ben diverso è quello scritto dal Merlin per la vendita delle lettere autografe del gabinetto Riffet, talun altro si attenne alla serie di epoche, senza curarsi delle
altre particolarità. Confrontando i varj sistemi sembra
che la classificazione degli Autografi possa acconciamente disporsi prima in ordine ai paesi e nazioni, in seguito
con riferimento al rango, allo stato, alla celebrità de'
scrittori, riportando poi le suddivisioni in epoche succedentesi l'una all'altra.
Dei richiami
Si dicono richiami quelle indicazioni che i Latini
chiamarono Custodes o Reclamantes, le quali si pongono al termine di un foglio o di una pagina, quando orizzontalmente e sott'essa l'ultima linea, quando pure alla
metà di essa poste perpendicolari: questi richiami, non
meno delle segnature, facilitano la unione, la legatura dei
volumi. Taluni si dierono a credere che la edizione delle opere di Tacito eseguita coi torchi di Giovanni Spira
in Venezia senza data, ma che si ritiene per fermo essere del 1469, ed avente i richiami al termine di ciascun
quinternetto e di ogni foglio, fosse il primo esempio di
tali particolarità tipografiche, particolarità contenute per
avventura nel testo manoscritto che si volle stampare,
ma s'ingannarono apertamente. E di vero, se Giovanni
de Spira nella sottoscritta alle Epistole familiari di Cicerone stampate nel 1469, cotesta edizione noma quale
sua prima fatica.
Quum labor hic primus calami superaverit artem,
come poteva egli chiamare la ricordata del Tacito
Artis gloria prima suae?
Vindelino di Spira che nel 1470 diede termine alla stampa della Città di Dio di S. Agostino, incominciata dal fratello Giovanni, e che morendo dovette interrompere, egli
che dappoi intraprese e compì la edizione di quell'opera
con caratteri proprj, differenti interamente da quelli usati
dal fratello Giovanni, certo egli stampava l'altra delle
opere di Tacito. La sottoscrizione di lui a quella
mentovata del S. Agostino vale per sè medesima a torre di
mezzo ogni dubbio. Ricorda in essa quel tipografo come
il fratello nel decorso di un anno stampasse in Venezia
le opere di Plinio e Cicerone, non così quelle di Tacito,
che anzi i bibliografi riconoscono di Giovanni Spira solamente due edizioni delle Epistole familiari di Cicerone,
ed una delle Opere di Plinio tutte del 1469. Aldo Manuzio ha contribuito moltissimo colla propria opera a
propagare l'uso de' richiami ch'era in pieno vigore sul
finire del secolo XV. Si trovano essi nella edizione del
Salterio greco senza data, ma riferita al 1495, la prima da esso lui pubblicata: l'altra del Thesaurus Cornucopiae, prima per avventura che presenti il triplice accordo di tali particolarità, oltre i richiami contiene le cifre e le segnature. Sono queste, sono altre latine parec-
chie e non meno poche greche edizioni, nelle quali quel
tipografo usasse dei richiami, quantunque gli altri li ammettessero per pratica costante e comune, soltanto alla
metà del secolo XVI.
Delle cifre
Egli è da maravigliarsi come i tipografi del secolo XV
trascurassero affatto l'uso delle cifre, opportunissimo ad
agevolare le ricerche sui libri. Eppure nelle edizioni di
quel torno assai rade volte s'incontrano, e quasi sempre
in quelle del secolo seguente, quando la loro necessità
divenne positiva, assoluta, mercè la invenzione utilissima
di unire allo stampato l'indice alfabetico delle materie.
D'allora poi che a proteggere ed assicurare lo aggrandimento delle tipografie moveva la erudizione, viemeglio fu
sentita la importanza di questo metodo che agli autori
esibisce acconcio mezzo di allegare que' passi che per
l'autorità loro propria, o per altre non meno rimarchevoli cause sono a citarsi opportuni, ed ai leggitori di verificarli colla maggiore speditezza. Tanto più dobbiamo
noi maravigliarne sapendo per certo che le cifre erano
conosciute ne' tempi più remoti, siccome scorgesi da que'
manoscritti del secolo XV, di data tanto antica che precede quella della invenzione tipografica, e dalle tavole di
parecchie edizioni antiche, nelle quali ai numeri dei fogli colle cifre poste a mano, come supponevasi, corrispondono le analoghe citazioni, che sebbene in guisa affatto disacconcia, nullameno tenevano vece delle segnature, per quanto potessero valere alla unione dei quinternetti, al facile e pronto rinvenimento delle materie. Discordi sono i bibliografi nello stabilire l'epoca in che si
impiegarono la prima volta le cifre nella stampa. Confessa il Marolles che quantunque si fosse industriato per
ogni guisa di avanzate ricerche, non altro libro più antico con cifre avea potuto scoprire oltre a quello de Claris mulieribus di Giovanni Boccaccio, stampato ad Ulma
nel 1473 da Giovanni Zeiner di Reutlingen col sesto in
foglio. Il Meerman per lo contrario, posta fede all'asserzione di Chevillier, determina l'origine delle cifre nell'anno 1477, ammettendo che Ulrico Zering e suoi socj primi le usassero, ed il P. Laire conferma quella opinione.
Devesi ciò malgrado tenere per indubitato che precisamente nel 1471 uno dei più accreditati stampatori di
Colonia per nome Arnoldo Ter Hoernen le ammettesse
per la stampa di una presso che ignota, rarissima edizione, stampata a lunghe righe al numero di ventisette nelle
intere pagine, con sole cifre, cioè senza segnature,
richiami e sommarj. Le cifre arabe poste sono alla parte opposta de' fogli, nel mezzo del margine superiore, il libro
è stampato in carattere gotico quadrato, a somiglianza di
quello adoperato da Ulrico Zel di Hanau artista di fama,
che portò la stampa a Colonia: i fogli hanno la cifra dal
N.° 1 al 143, e la edizione comincia col titolo seguente
in lettere majuscole:
Liber de remediis utriu3 fortune prospere scili3 et
adverse per quedam A. Poetam prestantem neen
sacre Theologie professorem eximium noviter compilatus. Prefacio libri incipit.
La prefazione termina alla parte opposta del terzo foglio,
e vi sussegue il testo, finito il quale, ed a tergo dell'ultimo foglio con cifre leggesi la sottoscrizione collo scudo
dello stampatore, l'una e l'altro in carattere rosso.
Explicit liber de remedijs fortui
tiorum casuum nouiter opilatus
et impressus. Colonie per Arnol
dum ter hoernem finitus. Anno
domini M°CCCC.°lxxi.° die veneris
octava mensis februarij. Deo gras.
A questo passo viene molto acconcia una riflessione. Egli
è per lo vero desiderabile cosa che sino da quando ebbe
a propagarsi il gusto pel bello reale in bibliografia, divenuto già lodevole meta di studiose applicazioni, il Maittaire e gli altri tutti che dieronsi a raccorre notizie scientifiche intorno alle edizioni del secolo XV, o che intesero
alla compilazione de' cataloghi delle librerie nelle quali
si custodivano (amando forse di porre in mostra le sole
particolari qualità che alla vendita reputavano essere più
interessanti) non si contentassero di citare ne' titoli il
domicilio, il nome dello stampatore, la data, la forma, o
di indicare se la edizione fosse in carattere gotico, romano, a lunghe righe od in colonne, ammettendo invece
un'altra, non meno importante particolarità, posta nella
indicazione, se lo stampato fosse o no ricco di cifre, di
richiami, di segnature. La mancanza di questi, che sono
dati certi in argomento di grande peso ma implicato, impedisce che le nostre ricerche siano appoggiate fermamente ai tratti primordiali della storia tipografica, mentre i bibliografi che trattarono ex professo della conoscenza dei libri rari (tali sono le edizioni del secolo XV)
lasciarono ne' loro scritti assai materia che abbisogna di
maggiori dilucidazioni.
Dei registri
L'uso del registro venne introdotto per dinotare l'ordine, la disposizione delle righe e delle pagine, onde potessero le une alle altre regolarmente ordinarsi. Nella
maggior parte delle edizioni antiche, una breve tavola
posta al termine dell'opera contiene le prime parole dei
fogli di cadaun quinternetto, modo che gli stampatori
impiegarono prima di ogni altro, vale a dire fino dal
1469, onde mettere alle mani de' legatori un indirizzo
che loro agevolasse la unione dei libri, siccome provano
le due edizioni di quella data con registro, l'una delle
opere di Giulio Cesare, l'altra di quelle di Lucano, uscite in luce co' torchi di Conrado Sweynheym e Arnoldo
Pannartz in Roma, e non meno le altre di que' tipografi
dell'anno stesso. Ulrico Han stampatore in Roma, a questi coetaneo ed emulo, esso pure collocava la tavola de'
registri al termine delle edizioni, così in quella delle
Filippiche di Cicerone, e del Tito Livio senza data che nullameno si conobbe essere dal 1469 o 1470, ed in quelle che intorno a que' tempi furono pubblicate. Anche nelle successive del tipografo stesso trovasi il registro, così
in quella del Virgilio del 1473, della Margherita poetica di Alberto d'Eybel, e delle Instituzioni di Giustiniano, quella e questa stampate nel 1475. Sebbene, come dissi, la pratica dei registri tenda all'unico scopo di
epilogare in una tavola le prime parole della metà dei
fogli compresi in un quinternetto, ciò non di manco nella
forma sua propria questa pratica fu variabile. Una antichissima Bibbia in due volumi in foglio stampata in carattere gotico disposto a due colonne senza cifre, richiami e segnature, con quarantasette righe per cadauna pagina, sopra una carta avente la marca della lettera D attraversata da una riga perpendicolare, contiene un registro portante soltanto le prime parole di ciascun quinternetto, indicazione poco atta a disporre la serie di un libro; quello posto nel libro degli huomini famosi di Francesco Petrarca stampato a Polliano, piccolo luogo discosto da Verona quattro miglia, nel 1476 da Innocente Zibetti, riepilogando invece tutte le prime parole di tutti i
fogli riesce affatto inutile, essendo quella edizione altrove contrassegnata.
Furono le tavole dei registri diversamente nomate
Registrum chartarum, Registrum quinternorum foliorumque, tabula quinternorum etc.: bene spesso esse tavole mancano di ogni titolo di avviso. È da notarsi che
dove alcuni quinternetti sono distinti per ordine numerico progressivo primus, secundus, tertius etc., una gran
parte degli altri non ha tale requisito; di più che la
serie medesima delle segnature, che per frequente costume si pone al principio, soventi volte fu chiamata regi-
stro, la quale in tal caso collocavasi al termine di un libro; finalmente che alcuni tipografi ritennero l'uso delle
segnature valevole quanto quello del registro e in cambio
dello stesso, altri e dell'uno e delle altre in pari tempo
si valsero, questo a quelle accoppiando, col distinguere
poi ciascun quinternetto per lettera particolare. Tale distinzione, non certamente originata dal capriccio, dovea
contenere in sè stessa quell'utile che divenne chiaro ed
aperto coll'invecchiare delle edizioni. Era in costume di
lasciare vuoto il primo foglio, e su di esso in miniatura
o lo stemma o talun'altro ornamento ponevasi, secondo
ch'era richiesto dall'acquirente: ma questo foglio era
compreso frequenti volte nella serie delle segnature, a
tale che il secondo contenente il principio del testo era
segnato A2; laonde eravi duopo del registro che facesse
menzione del primo colle parole prima vacat o prima
alba, senza cui poteva trarsi in dubbio se il foglio mancante alcuna parte contenesse necessaria del testo, nè altrimenti poteva alcuno accertarsi della integrità del volume che a mezzo di riscontro esattissimo. Cadente il
secolo XV solevasi porre al termine dei volumi una semplice lista di segnature, specificando poscia il numero de'
fogli compresi in ciascun quinternetto, ch'era distinto da
lettera propria, col chiamarli per esempio ove fossero
tutti eguali omnes sunt quiterni o quinterni, o col riportare le lettere particolari degli eccettuati, designandone la forma, cioè dicendo qui sunt terni. Sembra che
Aldo Manuzio il primo adoperasse questo metodo nelle
edizioni greche del secolo XV, e che gli tenessero dietro
quasi tutti i tipografi sino al terminare del secolo successivo, vale a dire durante l'uso del registro sopra tutto in Italia, posciachè fuori d'Italia libri per tal modo
stampati, specialmente nel secolo XVI, rade volte si trovano.
Delle segnature
Si chiamano segnature quelle lettere alfabetiche, che
poste appiedi delle prime pagine di un foglio e sotto all'ultima linea, mostrano quale essere debba l'ordine progressivo dei quinternetti, dei fogli, delle pagine, offrendo così al compratore facile modo di scorgere con ispeditezza se l'opera sia o no perfetta, ed ai legatori sicuro indirizzo per disponerli in serie nei volumi. Allorchè nel libro sonovi più quinternetti che l'alfabeto non
conti lettere, lo si rinnovella per via delle minuscole,
poscia colle majuscole ancora, quante volte è necessario.
La disposizione dei fogli che comprende ogni quaderno
additasi con cifre numeriche aggiunte alla lettera iniziale, le quali servono ben anco a far conoscere il sesto
dell'opera. Spesse fiate li stampatori a luogo delle lettere
impiegarono le cifre, come fece Ulrico Gering nelle proprie edizioni del secolo XV; alcuna volta al principio di
un'opera fu posta una carta col marchio di una sola
stella od asterisco. Si uniscono i numeri romani alle segnature ben di frequente nelle prefazioni, lettere dedicatorie ed avvisi che precedono il testo dell'opera, il
quale incomincia colle segnature ordinarie in serie di cifre e lettere. Ben a ragione molti ne' loro scritti fecero
particolare menzione delle edizioni antiche del secolo XV
portanti le segnature, perchè ci lasciarono certi dati onde distinguere, e sovente stabilire per verosimile modo
di approssimanza l'età di que' vetusti documenti dell'arte che mancano di data. Le opinioni dei bibliografi intorno alla origine delle segnature sono diverse ed opposte tra loro. Lo stesso Marolles che ne scrisse diffusamente nell'opera Recherches sur l'origine et le premier usage des registres, des signatures etc., anch'esso si allontana dal vero, dovendosi tenere per fermo che Giovanni
Koelhoff di Lubeck stampatore a Colonia il primo le usasse nell'anno 1472. Il Meerman, che non rimaneva gran
fatto irressoluto o perplesso di accommodarsi a qual si
fosse partito che favoreggiasse il suo piano tipografico in
favore di Arlem, affaticò lungamente per attribuire alla
invenzione delle segnature un'epoca, ch'era ben lungi
dalla reale. Dovea egli per altro provare non solo essere
legittima e vera la falsa data del 1468 nella edizione
Expositio sancti Hìeronymi in Symbolum Apostolorum,
uscita dai torchi di Oxford col formato di piccolo quarto, ma dimostrare eziandio per via di fatto e di evidenza che l'operetta non potesse in quella città pubblicarsi
colle stampe altrimenti che nel 1468. Per la qual cosa
era mestieri che il favoloso racconto di R. Atkyns, vale
a dire che la tipografia recasse in Inghilterra un cotale
per nome Federico Corsellis stampatore nel sognato stabilimento di Arlem, avvalorasse quell'autore con argomenti infallibili attinti alle sorgenti del vero, ben diversi
da quelli della probabilità e del supposto; essendo egli
quel racconto una vana istorietta, cui diede origine un
errore tipografico colla ommissione di una X nella data
di sottoscrizione ove si legge M.CCCC.LXVIII a luogo
M.CCCC.LXXVIII, errore diversamente ripetuto nella edizione del Tondalus visione in 4.° pic.° stampato ad Anversa da Mattia Vander Goes. Conoscendo quel tipografo
essere fallace la data del 1461 nella edizione di Venezia
Decor puellarum di Nicola Jenson, quella non meno del
1462 nell'altra in Bologna col titolo Cosmografia di Tolomeo, prodotta da Domenico de Lapis, ed in parecchie
vetuste stampe, siccome confessa egli stesso, Plures ejusmodi falsas subscriptiones in libris veteribus detexerim; dovea inoltre conoscere che di tali errori in tipografia ben di frequente occorrono nelle edizioni del secolo XV, per concludere, come dissi, che le edizioni con
segnature citate dai bibliografi con data anteriore all'anno 1472 sono immaginarie, supposte, o dall'intrigo contraffatte, e per conseguente tutte fallaci. Nè tampoco furono dalla ingordigia e malignità degli antichi faccendieri
in tipografia manomesse alcune cifre; vi ebbero altresì
de' Calligrafi tanto esperti e sagaci, che alle edizioni sen-
za data posero a mano le intere sottoscrizioni, imitando
per sì fatta guisa la stampa, che l'occhio più veggente
n'era sulle prime ingannato. Di tali adulterazioni egli è
una prova il Liber Helwici de exemplis et similitudinibus rerum acquistato dal Meerman ad una vendita pubblica, e che per mentita sottoscrizione a mano di abile
calligrafo sembrava stampato nel monistero di Subiaco nel
1464. Quella edizione di Munster in Ergow che del famoso Mammotrectus pubblicava Elia di Helia canonico
di quella città datata del 1470 e distinta da segnature,
producono i bibliografi siccome prova incontrastabile
della loro invenzione in quell'epoca; pure il Marolles, malgrado che apparisca acconciamente espressa nella sottoscrizione quella data, dichiara non essere la stampa del
1470. Nella ricordata sottoscrizione, parimenti che nell'altra del Mammotrectus fatta da Choeffer a Magonza,
leggonsi le stesse parole arte imprimendi, seu caracterizandi absque calami exaracione; di più è chiaro dalle medesime che entrambe le stampe venissero in luce
nel 1470 Vigilia Martius. Laonde è facile conoscere
che Elia di Helia, a testo della propria, si valesse della
prima edizione del Mammotrectus pubblicata da Choeffer, e che dal complesso delle parole poste nella di lui
sottoscrizione volesse trascegliere ed ammettere le sole
che alla data di compimento viemeglio si riferivano, essendo fuori del probabile il supporre che l'uno a Magonza, in Ergow l'altro, nel punto medesimo dessero mano
all'opera, entrambi potessero trarnela a termine, precisamente nel giorno della vigilia di S. Martino. Altra prova
infallibile dedotta dall'uso stesso delle segnature ne convince pienamente della erroneità alla data del Mammotrectus di questo canonico artista. Nel 1472 e 1473
stampava egli due edizioni a Munster in Ergow senza
cifre, richiami e segnature, vale a dire tre anni dopo
che l'uso di esse era comunemente adottato nelle tipografie, col titolo Roderici Speculum vitae humanae. Ora
se la ripetuta edizione del Mammotrectus fosse stata
stampata da Elia di Helia nel 1470, come sta espresso
in sua data, ne seguirebbe che abbandonata egli avesse
la costumanza sì fattamente utile delle segnature nelle
posteriori edizioni, locchè sarebbe contro ogni
verosimile; quindi è a conchiudersi, malgrado qualunque opposto parere, che quella stampa fatta sul testo di Magonza della ripetuta data non pubblicasse Elia di Helia che
dopo il 1473. Resta ora a provarsi come Giovanni
Koelhof fosse il primo artista che nel 1472 si valesse
nella stampa di segnature. Il dottore Middleton nella sua
dissertazione (1)On the origin of printing in England. ò pretende che nel 1474 solamente si
usassero, adducendone a prova la edizione di quest'anno uscita dai torchi di Giovanni di Colonia e del socio
Giovanni Manthen di Gherretzem in Venezia, col titolo
Lectura Baldi super codicem, distinta della ragguardevole particolarità delle segnature, che cominciano alla
metà del testo; onde ebbe a dire "Which makes it probable, thut th first thought of them was suggested during the impression". In forza di tale argomento che
il Marolles conosce sufficientemente assodato nella ripetuta sua opera Recherches etc., dichiarasi seguace del
Middleton, se non che confessa apertamente di esser rimaso un cotal poco sorpreso ed irressoluto allorchè gli
venne fatto di scorgere le segnature nella edizione del
1474 Tractatus de restitutionibus usuris etc., prodotta da Giovanni Koelhof di Lubeck in Colonia. Dichiara
eziandio che la edizione di Koelhof con data identica a
quella di Giovanni di Colonia, ella è tale da poter disputare con questo ultimo artista della invenzione delle segnature, e che una edizione della stessa epoca, avente la
medesima particolarità, stampata in luogo discosto più di
due cento leghe da Venezia, trar potrebbe in dubbio se
questo segno tipografico fosse effettivamente prodotto
dalla immaginazione di Giovanni di Colonia, che in Venezia stampava; malgrado ciò, non lasciando sul fatto
sentore alcuno di dubbiezza, decide in favore di lui.
Non riesce per altro difficile il provare con ragioni convincentissime essere la cosa ben diversa, e quindi che non
lo stampatore di Colonia, come vuolci persuadere il Marolles, avesse occasione di vedere taluna delle edizioni
del tipografo di Venezia, prima che a stampare si accingesse il trattato de Restitutionibus, ma sibbene che quello di Venezia dall'altro residente a Colonia, Giovanni
Koelhof di Lubeck l'uso apprendesse di questo segno,
da lui che dopo il 1472 avealo introdotto nelle proprie
stampe. E per lo vero, non ha certo in sè stesso prova
di fatto l'argomento portato dal Middleton, nè poteva il
Marolles, distinto bibliografo, ignorare che l'ordine delle
segnature in parecchie edizioni del secolo XV incomincia
all'incirca della metà dell'opera. Un grosso libro in foglio stampato a Colonia da Giovanni Koelhof, col titolo:
Contracti Sermones, è diviso in tre parti, la prima con
segnature, la seconda che ne è mancante, la terza pur
essa con segnature, ma nel solo primo quinternetto; e
l'opera Alberti Magni Opus de mineralibus di mole non
lieve stampata da Maufer a Padova l'anno 1476, nella
quale tre soli quinternetti sono segnati colle lettere b, c,
d, mostrano ad evidenza la verità dell'esposto. Nè meno
trovo ammissibile il ragionamento del Marolles diretto a
proteggere la causa dello stampatore di Venezia; chiunque, dic'egli, voglia por mente alla circostanza che dopo
Magonza e Roma, Venezia è la prima città produttrice di
stampe, deve assolutamente convincersi che da Venezia,
anzi che da Colonia derivare deggiono le scoperte utili
al progresso delle arti. Ma come mai da un bibliografo
di tanta portata, quale il Marolles, poteva essere ignorato
che a Colonia nel 1467, due anni prima che in Venezia
vi fossero tipografie, stampava Ulrico Zell celebratissimo
l'operetta attribuita a S. Agostino de Singularitate clericorum? Come non poteva egli sapere che a Colonia appunto alcuni stampatori, resi profughi da Magonza per
la catastrofe del 1462, aveano deliberato portarsi, onde
stabilirvi tipografia, se nella Cronaca di Colonia stampata da Giovanni Koelhof nel 1499 leggesi in chiari termini: "Maguntia autem, dicta ars primo Coloniam delata est, postmodum Argentinam, deinceps Venetias.
Initium et progressus hujus artis narravit mihi honorabilis magister Ulricus Zell de Hanau, impressor Coloniae hoc ipso adhuc tempore a 1499, cujus beneficio
ars haec Coloniam delata est?" E chi non conosce tra
bibliografi la edizione di Hausbourg del celebre Gunth
Zainer di Reutlingen, col titolo Speculum passionis Christi, che colla data chiara e precisa III idus marcii 1468
mostra esser anteriore a qualunque altra stampa dei fratelli di Spira in Venezia? Per la qual cosa riesce provato
a sufficienza che il Marolles, colla propria fallace opinione, la causa di Colonia maggiormente favoreggia, che
quella di Venezia. Valevole per altro a torre di mezzo
ogni contrarietà nella contrastata preferenza della invenzione delle segnature si è la edizione di Giovanni Koelhof
che ha per titolo: Johannis Nyder Preceptorium divine
legis, Coloniae per Johannem Koelhof de Lubeck 1472,
in foglio, descritta minutamente in ogni particolarità riguardante alle ridette segnature, come alle colonne, al
margine, al sistema di scrittura, al titolo che ne forma
il prologo, ed alla sottoscrizione con data dell'anno, dall'erudito de la Serna Santander nella propria memoria (1) Sur l'origine et le premier usage des signatures et des chiffresetc. ,
affine di non lasciare alcun dubbio sopra tale monumento tipografico, che Koelhof di Lubeck, stampatore nella
città di Colonia, nel modo più certo e positivo stabilisce
inventore delle segnature.
PARTE TERZA
DEI DOVERI DEL BIBLIOTECARIO NELLA PRATICA
DELL'ARTE.
Posto il bibliotecario alla direzione di una libreria,
veste persona di custode che la veglia, di amico che la
guarentisce, di preside che la governa, di capo che attento provvede, perchè tutti li dipendenti adempiano con
esattezza le loro funzioni. Dessi assiste di mezzi di consiglio nei compiti di cataloghi o classificazioni, si assicura per sè medesimo di loro capacità, vegliandoli assiduamente e disaminandone gli elaborati, per venire al fatto
di conoscere se possano essere acconciamente destinati a
lavori di maggiore rilevanza. Compiuto che sia il catalogo, non soffre che il collocamento dei volumi, sebbene
appaja cosa da trascurarsi, sia maneggiato da inesperti o
trascurati, abbisognandovi molto di conoscenza pratica
per bene disporlo, e rendere facile, spedito, esatto il rinvenimento delle opere. A mantenere l'ordine e la conservazione, invigila perchè i libri distribuiti in lettura,
tosto che siano restituiti, si ripongano negli scaffali; questi non si vogliono chiusi da lastre o tavole, ma difesi da
semplice reticella di rame o di ferro: la ventilazione impedisce che i libri nell'interno imputridiscano, e li assicura dai danni degli insetti. Ordina che in sul mattino
nelle belle giornate di estate si aprano le ampie finestre
delle sale, che i libri si battano una volta almeno per
cadaun anno, onde rimuoverne la polve perniciosissima.
Il Prediger nelle sue Istruzioni ai legatori di libri insegna, che per difendere i libri dagli insulti dannosi dei
vermini si sostituisca nella legatura la pasta di amido
alla comune di fiore di farina; che apparecchiata una sostanza di allume polverizzato e pepe fino, se ne gitti poca
parte tra le coperte ed il libro, e sovressi i cancelli della
libreria; suggerisce siccome mezzo espediente all'effetto,
che nei mesi di marzo, luglio e settembre si stropiccino
i libri con uno straccio di panno inzuppato nell'allume
ridotto in polvere. L'umido è la peste dei libri. Laonde
il previdente custode di una biblioteca dispone, che nei
muri posti a tramontana si collochino le opere più comuni e di poco valore, secondo l'opportunissimo avviso
del Volpi. Non sono i libri mai abbastanza guarentiti
dalla umidità, nè a preservarli da un danno irreparabile è sufficiente precauzione quella di foderare li muri di
assito massiccio: per acconcio sentire del Della Santa, tale
formano essi un ricco impareggiabile tesoro, alla cui conservazione non vi ha spesa, diligenza, cura che basti.
Furono senza dubbio le biblioteche istituite precipuamente pella istruzione della gioventù; ma siccome sogliono essere alcuna volta gli studenti intolleranti dell'aspettare, o sì fattamente indiscreti, o sì poco onesti
da farsi lecito di bruttare con macchie i volumi, di levarne stampe o fogli scambiandoli con altri; egli è quindi mestieri si provveda a tali e tante sconvenevolezze, e
a tal fine, per ciò che io sento, si rende indispensabile
la stabile mansione di un inserviente nella sala di lettura. Si ottiene più sollecito e soddisfacente il pubblico
servigio, schivandosi di reiterare il trasporto dello opere, qualora il custode dell'indice sia di capacità tale, che
possa additare speditamente e con sicurezza il posto dei
libri. E siccome bisogna sapersi risolvere alla compera
delle opere mancanti, che sia conforme alla varietà di
studj, ai quali sono portati viemaggiormente gli studiosi,
così il bibliotecario avrà cura che il custode del catalogo
faccia annotazione volta per volta di quelle che più frequentemente sogliono richiedersi a lettura. Il custode
stesso destina egli a depositario de' libri di nuovo acquisto, di quelli in corso di associazione, dei primi perchè
li serbi nella propria stanza e li guardi sino a che abbiano posto nell'indice, degli altri per tenerne esatta
scrittura, onde abbiano poi acconcio collocamento compiuta che sia la stampa. Chi ha l'incarico del catalogo
tenga eziandio il registro delle opere che si danno ai
professori, i quali godono del vantaggio di tenerle in
propria casa per tempo determinato dai regolamenti,
così si evitano gli sbagli che, diversamente operando,
possono accadere nell'atto della consegna, come all'altro
della restituzione. Tali faccende raccolte in questo solo
impiegato viemeglio si disimpacciano, che ripartendole,
o fidandone porzione a qualche altro funzionario. Non
pertanto io voglio escludere, che un subalterno dipendentemente da' suoi ordini gli presti assistenza nelle occasioni di estraordinario concorso, locchè accade spessissimo nelle biblioteche delle Università, ed essendo per
caso assente o di soperchio occupato, tenga le veci di
lui. Questo subalterno che avesse propensione allo studio
bibliografico, tendenza alla fatica, potrebbe anzi divenire
un abile allievo, specialmente se dal proprio superiore
fosse secondato nei principj, protetto ed incoraggiato ne'
suoi progressi.
Questo subalterno sarebbe utile a togliere o scemare
le cure più nojose e materiali che i primi impiegati mostrano talora avere in conto di gravi oltre misura, perchè se ne spogliano assai di buon grado, forse non conoscendo o disgradando la somma loro importanza. Ove occorra il trasportamento di molti libri, che si commette
per ordinario a persone manuali ed idiote, senza la direzione di chicchessia, potrebbe essere loro guida per impedire il meschiamento dei formati, e sopra tutto lo smembrarsi di un'opera voluminosa da unirsi necessariamente
dappoi, dirigere il collocamento delle opere negli scaffali,
perchè sia mantenuto l'ordine nelle forme dei libri, e
nella numerica progressiva. Quanti ridicoli sconci si toglierebbero; che pur troppo accaddero in qualche biblioteca, e quanto opportuno cade a questo luogo il proporre ad esempio l'Ab. Morelli bibliotecario della Marciana
a tutti noto, che assistito dal vice bibliotecario Ab. Bettio
la trasportazione dei libri contenenti in quella intera biblioteca diresse personalmente. Per lo contrario nella occasione del trasferimento de' libri lasciati dal P. Carmeli dal Convento di S. Francesco alla biblioteca di Padova
furono ommesse le pratiche ordinarie utilissime di consegna e riconsegna, nè manco il trasporto, la distribuzione, il collocamento di quell'ammasso informe di opere, la maggior parte voluminose, venne da alcuno opportunemente diretto.
Organizzazione di una biblioteca, disposizione delle opere, dei volumi e dei formati.
Quella smania d'introdurre innovazioni, di promuovere cambiamenti senza che bisogno il richiegga, e dove
manchi la sicurezza di ottenere felici risultamenti, la
quale è sempre in tutto pericolosa, alle biblioteche riesce nocevole. Quindi un saggio custode prima di ammettere le une e gli altri disamina accuratamente i cataloghi
per concepire un'idea precisa dell'ordine, divisione e distribuzione degli scaffali, dei volumi, ed assicurarsi con
pienezza di causa della assoluta necessità di un sistema
migliore. Allora sicuro nella propria coscienza manderà
ad effetto l'ideato, malgrado che l'uso, la non curanza,
e sia pure la infingardaggine de' collaboratori studiassero impedirlo.
Una biblioteca ricca per molte migliaja di volumi
ammucchiate senz'ordine, non corrisponde gran fatto
allo scopo di sua destinazione, quale, ripetesi, è l'utile.
Essa può assomigliarsi al dovizioso sfondato, che disconoscendole, non può quindi fruire delle proprie ricchezze. L'utile consiste nel facile e spedito rinvenimento de'
libri: per ottenerlo conviene usare di metodi semplici,
ingegnosi e sviluppati, quindi di un catalogo che abbia
i requisiti necessarj, siccome avrò luogo di esporre, e
di una ordinata sistemazione. Riguardo alla seconda si
rende necessario prima di tutto che il bibliotecario, premettendo le più sensate riflessioni, disponga del modo di
intraprenderla e compierla acconciamente, vale a dire
con sistema conforme al genere delle opere che la biblioteca contiene, sistema che, fissato una volta, deve
escluder luogo a pentimenti nella continuazione. Sarà
utilissima cosa che il bibliotecario non tralasci di accennare in iscritto l'ordine che si propose e che fu osservato nella organizzazione, scritto da custodirsi negli Atti
della biblioteca, onde chi gli succede nel posto, od altro
impiegato che assuma le veci di lui, abbiano a chiarirsi
di qualche dubbio, e possano continuare secondo le norme e i principj dettati. La libreria pubblica, massime di
quelle che sono addette alle Università dello Stato, tranne il tempo delle vacanze, deve tenersi aperta continuamente a pubblico servigio de' studiosi, e siccome questa
non sarà mai organizzata, se i cataloghi non siano compiuti, ed i volumi ordinatamente disposti, così conviene
ricorrere ad espedienti di facile riuscita. Laonde nella
parte del catalogo che rimane a compiersi basterà trascrivere puramente i titoli e gli autori, per fare quindi
menzione delle note ed altri accessorj; le opere poi si
contrassegnino con numeri progressivi, ai quali dopo la
rivista generale altri si sostituiranno, e questi inalterabili. Credo inutile l'avvertire, che simile pratica deve
osservarsi per conto delle opere periodiche, o che trovansi in corso di associazione, di quelle che si ricevono
per tributo dagli editori e tipografi, e finalmente pei libri
di nuovo acquisto: i mezzi che s'impiegano per ordinare con ispeditezza una biblioteca sono facili e semplici,
qualora si sappia applicarne l'uso continuato alle diverse
circostanze. La necessità di desistere o retrocedere dal
proposto è tanto pregiudizievole ad uno stabilimento bibliografico, quanto il bisogno d'introdurre notabili cambiamenti nelle massime addottate pella costruzione di un
grandioso edifizio. Sappia quindi il dotto bibliotecario,
che deve disporre la libreria in modo da esibire allo
sguardo dell'osservatore ordinatamente tutte le proprie
ricchezze, quale sia il metodo più facile, spedito e meno dispendioso pella compilazione di un catalogo, quale
il migliore per ordinare i libri contenuti nella biblioteca che governa, quelli non meno che sono da acquistarsi.
Una cospicua biblioteca nella disposizione e distribuzione de' suoi libri può assomigliarsi ad un gabinetto di
storia naturale, che racchiudendo le produzioni indigene
de' climi ed elementi diversi, distingue gli ordini, le
classi, i generi, le specie e le famiglie. Fra la disposizione di una piccola e quella di una grande biblioteca vi
corre sensibile divario. Ponno bensì distribuirsi con simetria i volumi della prima, senza nuocere gran fatto all'ordine stabilito alla loro classificazione, od impedire
che si soddisfi sollecitamente alle ricerche che vengono
fatte; non così dicasi della seconda, perchè vi soprastanno difficoltà insormontabili, originate dall'ampiezza de'
locali, dalla copia grande e svariata de' libri da disporsi,
e di quelli di nuovo acquisto, de' quali abbisogna prevedere acconcio il collocamento. Anche in questa, come
in qualunque altra circostanza v'hanno alcune pratiche
che raramente si insegnano e bene spesso si spregiano,
tenendole a prima vista per insignificanti od inutili, le
quali per altro sono importantissime ad ispedire agevolmente i lavori.
Tre sono i casi nei quali si rende necessaria l'organizzazione di una libreria: o che abbiasi ad instituirla,
o che sia interamente disordinata, o che v'abbia mestieri
di operare mutazioni o miglioramenti in qualche parte
riconosciuta difettosa, mantenendo l'ordine stabilito.
L'assunto che si toglie chicchesia di ordinare bene l'ammasso di molte migliaja di volumi, non è certo così gigantesco, come potrebbe rassembrare a primo colpo
d'occhio. La vista di tanta confusione non dee disanimarlo, e molto meno impedire che non si metta sulle
prime a distribuire i libri secondo le loro forme, quindi
a calcolare lo spazio necessario a disporneli convenientemente. In seguito farà egli sopra schede di carta esatta
copia di cadauna opera, incominciando dal in foglio fino
alla più piccola forma, scrivendo il numero d'ordine
tanto sulle stesse che sopra una striscia di carta, la quale sarà introdotta nel primo volume di un'opera, numero
che seguirà progressivamente senza riguardo al titolo o
catalogo. Queste schede serviranno alla compilatura del
catalogo, ed insieme alla distribuzione de' volumi negli
scaffali. Qualora abbisogni introdurre un nuovo piano
organico in una biblioteca, o di aggregare altre librerie
alla stessa, senza che l'uso ne sia interrotto durante il
tempo necessario al lavoro, si trascrivono sulle schede i
titoli delle opere, conservando l'ordine ed il posto che
occupano ne' scaffali, e si distinguono con numero provvisorio nel modo già esposto: appresso si dividono in
classi secondo il piano ideato, e in relazione a quello si
prendono i libri di mano in mano, si abbandona quel
numero che provvisoriamente portavano, cancellandolo
eziandio dalle schede stesse, e dopo incollati nello schienale del libro i cartellini numerati conforme al nuovo catalogo, si ripongono al sito chiamato dal catalogo stesso.
Egli è bensì vero che in forza di cotesto ultimo lavoro
viene interrotto l'esercizio di una biblioteca; pure tale
interruzione non può durare gran tempo, sendochè i numeri provvisorj additano la via per trovare facilmente le
opere. Che più? la durata della interruzione scema a misura della quantità di persone che si occupano in questa
tanto utile e necessaria riforma, col dovuto riguardo alla
loro attitudine e solerzia.
Il primo dei tre casi ricordati di sopra, che cioè abbiasi ad instituire una biblioteca, racchiude assai di gradevole e soddisfacente. Chiunque sappia maneggiare la
pratica dell'arte può venire al termine di preparare una
bella ed acconcia distribuzione. Nel confuso ammasso de'
libri che gli sta davanti può egli formarsi quel piano
qualunque che meglio combini coi riguardi alla copia de'
volumi, al numero ed ampiezza de' locali, comechè non
vi abbiano ostacoli opponentisi all'armonia dell'assieme.
Poco importa che ne' scaffali un'opera occupi quel tale o
tal altro posto: quel posto è indicato dal catalogo, e ciò
basta perchè possa facilmente trovarsi: malgrado ciò
l'idea di una biblioteca nella propria pienezza fa presupporre il bisogno assoluto di seguire un piano più o
meno sistematico nella disposizione de' volumi. Trattandosi di una piccola libreria possono essi disporsi in forma regolare ed appariscente, collocando uniti, senza dipendenza dalle materie diverse, tutti quelli in foglio,
quelli in quarto ec., supplendo alle materie co' suoi numeri il catalogo; ma in una grande biblioteca riesce spiacevole all'occhio quel monotono andamento incompatibile
colla introduzione continua de' libri di nuovo acquisto.
Nelle doviziose biblioteche sogliono essere assai frequenti
le ricerche di opere del medesimo soggetto; quindi se i
libri fossero disposti per via di formati, sarebbe necessario lo scorrere da uno all'altro capo, di trasferirsi da
questo ad altro, per trovare le opere tutte che trattano
della stessa materia; laonde sorge il bisogno assoluto di
distribuirle invece per classi e divisioni. Chiederebbe una
cosa difficile del paro che inutile chiunque volesse disposti i volumi in relazione all'ordine sistematico del catalogo: i tentativi fatti per disporre una biblioteca a stretto rigore di un sistema bibliografico tornarono inutili, e
ne convince esperienza essere impossibile la buona riuscita di tale intrapresa. Nel cominciare del secolo XVIII
il Lambecio, custode della biblioteca di Vienna, ebbe a
riunire ne' scaffali i volumi tutti dello stesso formato,
disponendoli in ordine sistematico; per tale distribuzione che riusciva disaggradevole alla vista, dannosa al
mantenimento de' libri, chiedevasi molto di spazio, dovendo necessariamente i cancelli essere portati tutti a
tanto di altezza da poter contenere un grande in foglio.
Laonde Daniele Dizessel, che vi successe, non tardò guari
ad invertere quel difettoso sistema, distribuendo tutta
quanta la biblioteca per divisioni e classi in corrispondenza alle forme de' libri. Quei che volesse collocare le
opere per ordine alfabetico, incontrerebbe moltissime inconvenienze senza ottenerne vantaggio di sorta, quello
tranne di poter trovare bene spesso un libro, schivando
di ricorrere al catalogo. In molte biblioteche, specialmente di Germania, si volle assegnare a ciascun'opera
un posto invariabile, questa pratica sarebbe daddovero
utile e conveniente, se nello spostarsi di un solo volume,
come spesso rendesi necessario, non bisognasse alterare
la numerazione di molti. La classificazione de' titoli in
un catalogo, sistematico od alfabetico che sia, è certo indipendente dal vario sesto, dalle date, o da qualunque
altra particolarità bibliografica; ma i libri devono mostrarsi ne' cancelli distribuiti in ordine al loro sesto, alle
classi, divisioni e suddivisioni, secondo la disposizione
de' locali e la copia de' volumi. Ad ottenere che speditamente possano leggersi le indicazioni numeriche poste
nello schienale de' libri, giova moltissimo che all'estremità de' cancelli siano poste le opere in foglio, sovresse
quelle in quarto, diminuendo la forma de' libri a proporzione che aumenta l'altezza degli scaffali. Onde conoscere le classi, le divisioni che si vogliono distinguere
conforme al sesto, abbisognano certi dati che non si acquistano altrimenti che dalla pratica. È necessario sapere
per esempio che le Bibbie, i Ss. Padri, i Concilj e Scolastici occupano maggior sede ne' cancelli pei sesti in
foglio, che in quelli destinati agli in quarto ed in ottavo;
che per lo contrario allo opere di letteratura conviene
espressamente il posto degli in ottavo od in sedici,
quello degli in quarto ed in ottavo alla serie di storia naturale, de' viaggi, antichità od architettura, avuto sempre rispetto alle tavole talvolta smembrate dal testo,
alle quali vi ha mestieri del posto meglio adattato alla
loro forma. Talvolta il formato della carta o del margine de' libri, soperchiamente grande o piccolo, obbliga
a disporre de' libri col sesto in quarto accosto a quei
che lo hanno in ottavo od altrimenti; ma nel caso di tali
trasponimenti egli è indispensabile se ne faccia acconcia
menzione ne' cataloghi. Quell'uso di collocare delle tavole a certa altezza degli scaffali preparati a riceverle, e
precisamente sottessi i cancelli che custodiscono le opere aventi un sesto maggiore del in foglio si riconosce a
tutte prove convenientissimo, perchè non sì tosto levansi
da quel sito, che sono a portata i volumi di soddisfare
all'esame de' studiosi, ottenendosi risparmio di tempo
nel ripetuto loro trasporto. I libri non si dispongono negli
scaffali se prima non siano accuratamente collazionati,
posti a catalogo, e non abbiano il marchio di convenzione, ed il cartellino nello schienale portante le indicazioni
che si ricercano. I volumi tutti di un'opera succedano
l'uno all'altro, in ordine da destra a sinistra, per modo
che il primo si trovi sempre alla parte superiore. Ma
nell'ordine numerico de' libri insegna esperienza che
debbasi operare diversamente; quindi che si incominci
dal cancello inferiore del primo continuando fino all'ultimo superiore dello scaffale, progredendo coll'ordine
stesso nella disposizione dei volumi contenuti nel secondo, nel terzo ec.: egli è certo che tale sistema minora il tempo e la fatica che si spende nella ricerca delle
opere. I libri di nuovo acquisto, come prima arrivano,
siano registrati a catalogo ed ordinati negli scaffali; con
questo mezzo si opera la loro classificazione a mano a
mano, schivando di ammucchiarne in gran copia, per
impiegare in una sola volta tutto il tempo proporzionato
alle diverse pratiche di metodo che sono indispensabili.
Breve è l'intervallo che corre tra l'accumulazione e l'ingombro: si teme di intraprendere un lavoro che sembra
increscevole o grave, se ne differisce da un giorno all'altro l'incominciamento, frattanto cresce il numero, il
disordine è vicino. Conviene impedire di non trovarsi in
molti stretti per la deficienza di spazio nel collocamento
de' libri; qualunque abbia avuto a disporre ben poche
centinaja di volumi può essere al fatto di conoscere per
esperienza quanti inconvenienti succedano in forza di
tale mancanza, li quali aumentano a misura che una biblioteca è più estesa, e ne rendono l'uso incommodo,
difficile la regolare disposizione. Qualora non si abbia
posto sufficiente, è assai vantaggiosa cosa il saper trarre
buon partito dalla conformazione del locale: dalla sola
pratica si acquista quel colpo d'occhio che misura, dispone, organizza le distanze; ma disconviene lo scoraggiarsi per molti tentativi che abbisogni di fare prima di
raggiungere il termine proposto. Quante volte, con somma sorpresa, riesce di scorgere bene disposta una grande serie di volumi in un sito che prima non la poteva
capire in veruna guisa? Il vario sesto de' libri è quello
che determina la distanza de' cancelli negli scaffali; è necessario per altro che questa sopravanzi alcun poco l'altezza del sesto, non solamente in riguardo alla differenza
della carta, ma perchè i volumi entrino ed escano facilmente. Egli è per questo, e perchè si possa mettere a
profitto anche il più piccolo spazio della biblioteca, che
bisogna formarsi un'idea chiara e precisa di tutte le località che la compongono. V'hanno delle opere, oltre a
quelle col sesto maggiore del in foglio ordinario, le quali
richiedono un posto separato dalle altre, sendochè si
provvede in tal guisa alla loro conservazione migliore.
Tali sono le manoscritte, quelle stampate sulla pergamena con lettere d'oro e d'argento od aventi legatura ragguardevole, tali eziandio quelle che sono venute in pregio per via di essenziali attributi di venusta esecuzione
tipografica, o perchè contengono incisioni, dipinture di
grande costo, di molto rilievo, o racchiudono lettere,
note autografe, finalmente gli incunabuli, le edizioni rare e principes, quelle degli Aldi, degli Elzeviri, dei Giunti, del Comino ec.
Dei cataloghi
Argomento di somma importanza essendo fuor di
dubbio la compilazione di un catalogo, il bibliotecario
deve porre ogni cura, o che nel formarlo si occupi personalmente, oppure che ad altri ne commetta la distesa,
perchè fornito dei requisiti tutti di chiarezza, facilità, e
sopra tutto riesca esattissimo. Un catalogo è la guida sicura e fedele nell'esercizio di una biblioteca, il conservatore di tutte opere che la compongono, perchè di tutte
comprende l'elenco perfetto, di tutte determina il preciso luogo di collocamento. Egli è non meno da maravigliare che da rincrescere cosa lo scorgere, come nella
compilazione de' cataloghi della maggior parte delle biblioteche non siavi conservato in generale quell'ordine,
quella esattezza che pure sono indispensabili, riscontrandosi in quella vece alterazione o troncamento ne' titoli,
ommissioni di date, storpiature di nomi, e bene spesso
riportata un'opera con titoli assai diversi. In forza di tali
deficienze ed errori si ottengono fallaci informazioni, si
perde inutilmente il tempo, in una parola la biblioteca
disvia dallo scopo utilissimo di sua instituzione. Non è
quindi sì poco importante, come taluno per avventura
potrebbe immaginarsi, che il compilatore di un catalogo
nel quale si ricercano non solamente quelle necessarie
cognizioni bibliografiche e letterarie che si acquistano
collo studio, ma eziandio una particolare tendenza, una
abitudine pratica a simil fatta di lavori, si adoperi moltissimo per ottenere la maggiore esattezza. Per la qual
cosa non dee mai perdere di vista durante la compilazione, che il merito precipuo di un catalogo consiste nell'esibire uno stato descrittivo e preciso di tutte le opere,
offerendo in pari tempo acconcio mezzo da trovarle con
ispeditezza, da averne quale siasi contezza letteraria e bibliografica; tale descrizione sia portata allo scrupolo trattandosi di un libro raro e costoso. Fare un catalogo di
libri che riesca mondo da qualunque errore, egli è tanto
difficile quanto l'ottenere il perfetto in qualunque altra
opera dell'uomo, sendochè le difficoltà accrescono in proporzione alla quantità grande e svariata dei dati minuti
e particolari (tutti per altro essenziali) che conviene sviluppare, così della trascrizione de' titoli, dei nomi proprj, della loro ortografia, del sesto, della data, del nome
della città, dello stampatore ed altri. Quantunque i cataloghi non siano per sè medesimi in generale libri di
lettura continuata, ma di semplice esame e consulta, pure
ve ne hanno alcuni che per dovizia di note critiche e
letterarie appartengono alla classe della letteratura, della bibliografia. Norme diverse, utili, efficacissime nel sistema de' cataloghi dettarono molti bibliografi, e tra
questi più eruditi i Boulard, Costantin, Namours, Peignot, de' quali le opere possono consultare gli studiosi a
sommo vantaggio di scienza. Se eccettuare si vogliano
gli altri tutti, che il Denis nomina glottico-tipografico,
geografico, ecclesiastico, perchè tendenti a moltiplicare
le fatiche senza recare gran fatto di utile, avuto riguardo alla classificazione de' titoli, si distinguono due sorta
di cataloghi, l'uno sistematico, l'altro che dicesi alfabetico. Il primo disposto per ordine di materie, quindi ordinato ad un piano letterario e scientifico, il secondo
contenente l'inventario de' libri senza rapporto al loro
soggetto, ma in serie alfabetica de' nomi degli autori, o
dei titoli delle opere: entrambi addirizzano al facile e
sollecito rinvenimento di un libro, ma del primo è prerogativa esclusiva quella di rendere non meno facile e
pronto il ritrovamento delle opere tutte della stessa materia, prerogativa assai giovevole agli studj. Mediante il
catalogo alfabetico trovasi, come si è detto, tantosto un
libro, qualora il titolo se ne sappia o l'autore; nel caso
opposto è mestieri ricorrere al sistematico, dal che ne
viene la assoluta necessità dell'uno e dell'altro nel proficuo andamento di una biblioteca. Potrebbe convenire
al medesimo effetto un terzo sistema di cataloghi con
due registri, l'uno de' quali per ordine alfabetico indicante le singole materie, l'altro che le materie riferisca
ai loro autori, di questo il Denis offre un esempio nel
catalogo Lamoignon, composto dal Baillet, che gli Ispettori dell'Università di Gottinga fecero stampare in trentacinque volumi in foglio. Utilissimo specialmente nelle
biblioteche delle Università, io reputo poi essere un catalogo esso pure di doppio registro alfabetico, delle materie ed autori, ma tale che tutte comprenda le opere
dello stesso argomento, così di anatomia, di chimica, di
fisica, di oculistica, di agraria, di teologia ec. La compilatura di questo potrebbe farsi o nel tempo stesso che
si apparecchia, o tosto fornito l'indice di classificazione.
Restringendo per altro il disbrigo migliore di una biblioteca entro i confini posti dai due primi nominati, alfabetico cioè e sistematico, non potendosi agevolmente decidere quale dei due, rispetto al loro utile, sia da incominciarsi prima e quale dopo, crederei sano consiglio quello
di compilarli entrambi nel medesimo tempo, locchè si
ottiene facilmente copiando esattamente le schede, e distribuendo l'una in serie alfabetica, l'altra classificando
per ordine di materie, tanto più che dalla copia destinata
al primo si può escludere la menzione delle note o di
altre particolarità delle opere, che si riserva interamente
al secondo. Un catalogo scritto sopra schede da custodirsi e conservarsi gelosamente nella loro pienezza, e
perchè sopperisca al bisogno, e per altri motivi indipendenti da quello di classificazione speciale o generale delle opere, contiene il sommo vantaggio di essere suscettibile a tutte le correzioni e cambiamenti necessarj a
farsi, senza altro disturbo che di ricopiare occorrendo
il titolo erroneo, ed inserirlo nel posto che gli conviene,
partita meccanica da ripetersi le tante volte, quante occorrono a rendere il catalogo perfetto in modo, che possa trascriversi a libro. Considerando attentamente le inconvenienze di un catalogo scritto in ischede sciolte, le
altre di quello in volumi legati, quelle del primo prodotte dalla facilità che taluna non vada perduta o si
meschi o scorra fuori di luogo, del secondo causate dalla impossibilità di ammettere cangiamenti o riforme, senza il bisogno assoluto di cancellare e raschiare, è agevole il persuadersi essere preferibile il primo, supposto che
gli incaricati siano pratici nell'esercizio di scorrerlo, ed
usino l'attenzione bastevole a non promuovere alterazione o disordine nelle schede. Non è raro il caso che
un'opera composta di molti volumi, massime se sia nell'ordine delle periodiche, abbia un titolo generale a questa o quella fra le arti o scienze, mentre taluna delle
contenute materie scostandosi dalla generalità addiviene
particolare. Se il compilatore del catalogo non distinguesse con separate schede e titoli diversi tutte quante
esse sono quelle disgiunte materie, terrebbe luogo nell'indice una sola opera a luogo di molte, e ne avverrebbe necessariamente di rispondere falso sul conto di
quella che fosse per avventura richiesta. Parlando dei
Giornali, delle Collezioni, delle Serie di Atti accademici,
si rende indispensabile di spogliarli, come suol dirsi,
notando al posto rispettivo del catalogo coi titoli e nomi
degli autori non solo il luogo che occupano negli scaffali, ma eziandio i volumi che racchiudono que' diversi
trattati ed opuscoli; questo spoglio si rende importantissimo anche per le opere voluminose di un solo
autore, ma che trattano varj argomenti. Egli è daddovero
assai lungo e penoso cotesto incarico, non pertanto devesi ommettere. Quante volte uno scritto di merito reale è ignorato da molti, perchè nascoso in una copiosa
raccolta! Quante volte lessero uomini di lettere alcun
trattato di grave interesse, che inutilmente affaticarono
per ricercare, mentre perduta aveano col tempo ogni ricordanza del titolo o dell'autore? In Germania si tiene
assai gran conto delle tesi scientifiche de' studenti alle
Università; queste si uniscono in serie, di queste si
compilano speciali cataloghi, si custodiscono in separate
stanze. Nella biblioteca di Gottinga una spaziosa sala è
ripiena tutta quanta di tesi, di opuscoli accademici, di
memorie di dotte società. Il bibliotecario che ha il solo
incarico di presiedere a questo immenso deposito viene
consultato incessantemente dagli allievi e dai professori
di quella famigerata Università.
In generale giova avvertire, come durante la operazione dell'uno o dell'altro dei ripetuti cataloghi sia necessario di porre in disparte tutte le opere mancanti di
qualche volume od aventi qualche difetto, di volta in
volta che cadono sott'occhio, formandone un cataloghetto che abbia le analoghe indicazioni dei ridetti particolari e del sito provvisoriamente loro assegnato, per consultarlo ove abbisogni utilmente, e completare se riesca
possibile quelle opere, pendente l'elaborato del catalogo.
Della precisione richiesta dai titoli delle opere, e dati loro inerenti.
Nella seconda parte di questo Saggio si parlava a sufficienza, per quanto io sono di avviso, delle difficoltà
che presentano assai frequenti volte le edizioni dei primi tempi della stampa, e si proponevano i mezzi più
acconci a superarle. Che se pure nel catalogo delle altre
tutte più recenti non avvenga di incontrare que' medesimi ostacoli, non però meno devesi adoperare di esat-
tezza, mentre l'ommettere che si facesse il luogo della
stampa, il nome dello stampatore, la data od altro dato
qualunque, potrebbe dar luogo bene spesso a lunghe ed
infruttuose ricerche. Avviene eziandio che trattandosi di
un'opera composta di molti volumi, per conseguenza
stampata in varie epoche, si metta erroneamente a catalogo la data del primo o quella dell'ultimo; in quel caso
è mestieri indicare tutte le diverse date per ordine progressivo, od almeno quella del primo e dell'ultimo tomo
dell'opera, così i nomi delle due città nelle edizioni
stampate in due luoghi l'uno dall'altro diverso. Anche
nel precisare il numero dei tomi, nel distinguere il sesto,
devesi usare una dicevole precisione. Non da altri cataloghi, sibbene dal frontespizio de' libri sono da copiarsi
i titoli, ciascuno nella lingua sua propria; e per guarentire la esattezza della copia, devesi tenere memoria delle
ommissioni ed errori contenuti ne' titoli stessi, e (se uopo fosse) de' difetti e dello stato di conservazione di un
libro. Qualora esso sia di qualche valore, prescindendo
da manoscritti, incunabuli, palinsesti ed autografi, dei
quali si è altrove parlato, devesi accennare lo stato in
che trovasi, se in carta grande, se colorata, nè si dimentichi un cenno della qualità della legatura in pelle o marocchino, all'olandese, alla francese, finalmente se la edizione sia di pochi esemplari. Siccome poi in Inghilterra
ed in Francia da lungo tempo è introdotto l'uso di far
menzione ne' cataloghi dei principali legatori, così non
sarebbe disdicevole aggiungere anche il nome di quelli,
sebbene la parte estrinseca dei libri non iscemi punto od
accresca merito agli autori. Usavano parecchi antichi
scrittori, ed usano pochi moderni, di annunziare le loro
opere con titoli mistici o figurati, poco o niente corrispondenti alcuna volta alla materia che trattano. Onde
togliere le incertezze nella compilazione del catalogo sistematico, e prevenire al bisogno di ripetere l'esame
delle opere stesse, sarà opportunissimo, nel caso di qualunque dubbio, di venire in conoscenza del contenuto del
testo, affine di annotare in quello alfabetico con cifre o
parole convenute a quale appartenga delle classi o divisioni. Nella trascrizione de' titoli abbiasi cura speciale di
non alterare giammai l'ordine incominciato, scrivendo
sempre prima il nome dell'autore, poi il titolo dell'opera, i nomi de' commentatori, annotatori e traduttori, il
numero de' volumi, delle tavole se ve ne siano, il nome
della città e del tipografo, la data, la lettera che distingue lo scaffale in cui è collocato, il numero di convenzione progressivo. L'appellativo alfabetico, che distingue
l'uno de' cataloghi, avverte per sè medesimo di quanta
attenzione sia duopo usare nel trascrivere il nome degli
autori, che nel ridetto catalogo tiene luogo di parola di
ordine; attenzione e diligenza che nel sistematico riesce
non meno importante, se il trasponimento, la ommissione di una sola lettera vale a cangiare interamente un
nome, e mette per conseguente un'opera in un posto diverso dal proprio. Conviene eziandio persuadersi, che
dove manchi la indicazione esattissima de' prenomi è
impossibile di riconoscere gli omonimi, distinguendoli
da quelli che di omonimi hanno soltanto l'apparenza: tali
sono per esempio i Delacroix, de Lacroix e de la Croix,
Delatour-du Pin, e de la Tour-Dupin, ed altri tali.
L'uso introdotto dagli scrittori in ogni lingua, massime nelle moderne, di nascondere il proprio sotto nome
arcadico, capriccioso e finto evidentemente, onde si dissero pseudonimi, è quasi sempre riprovevole, siccome
ne addita Boulard, talvolta criminale, perchè diretto
a pubblicare satire ingiuriose. Quello poi degli anonimi che fosse per timore, per modestia o per altra qualunque ragione ommisero di contrassegnare di alcun nome le loro opere, egli è antichissimo, e dopo la caduta
dell'impero assai frequente. Il Lancetti nella sua opera
della Pseudonomia dimostra con diffusa erudizione in
qual modo quest'uso avesse origine ed incremento fra
noi e presso le altre nazioni. Vi hanno moltissime opere
di scarsa o di gran mole, nelle quali ricercasi indarno da
capo a fondo del testo il nome de' loro autori. Un diligente compilatore di cataloghi, anzichè sbigottire, deve
usare ogni mezzo sia pure di esame attentissimo alle
note dell'opera, al principio o termine di una dedica,
talora alla prefazione od al termine di un volume, rade
volte ai privilegi concessi dai monarchi, ai versi diretti
all'autore da' suoi amici e mecenati, agli acrostici o stemmi; od altrimenti per opera di continuata lettura delle
opere periodiche, onde squarciare il velo e palesare i
veri nomi degli autori al mondo letterario, registrandoli
ne' cataloghi. A tal fine abbisognano, secondo gli avvertimenti di Boulard, estese ricerche, moltiplice erudizione, sagace accorgimento, grande sofferenza. Un travaglio
tanto pesante e difficile; così il citato autore, contiene
assai vantaggio per chi considera che ogni scoperta in
tal genere è un passo di più che si fa sul sentiero della
scienza, un titolo che acquista lo scopritore alla riconoscenza dei dotti. La riputazione dei traduttori, dice il
Barbier, è sufficiente bene spesso a destare un vivo interesse per le opere tradotte; perciò sul loro conto e per
riguardo ai commentatori, riusciranno utilissime le ricerche medesime, che si confanno agli autori anonimi e
pseudonimi. Sono le opere del Barbier, degli italiani Lancetti e Melzi, frutti di anni molti durati a studiosa fatica, assai vantaggiose a chiunque brama informarsi del
modo onde si pongono in chiaro quei veri nomi. La
somma diligenza che ricercasi nel discoprire il nome
reale di un anonimo antico può risparmiarsi sul fatto
dei moderni trapassati, schivando così la difficoltà che
vi è annessa, siccome giova astenersene in quanto agli
autori viventi. Contiene questa materia tanto di dilicato
e scabroso da non trattarsi sbadatamente, anzi da usarne i maggiori riguardi, tranne il solo caso che del merito dell'opera avessero i dotti giudicato favorevolmente.
In quella guisa che in un catalogo abbisogna far menzione del numero dei volumi di cadaun'opera, conviene
ancora distinguere i tomi dai volumi; sembrerà forse soperchio avvertire che il termine volume ha attenenza
alla legatura, quello di tomo alla divisione di un'opera
in molte parti; laonde un'opera può comprendere tanto
dodici tomi in sei volumi, come sei tomi in volumi dodici. La enumerazione delle vignette, o carte in nero o
colorate, è indispensabile per accertarsi se un esemplare
sia o meno mancante; il nome del tipografo vale in certi
casi a far conoscere le diverse edizioni della stessa opera che hanno un pregio diverso determinato dalla circostanza di novità o da qualche altra. Sebbene per inveterata pratica sogliansi citare i soli nomi di que' che
stamparono prima del 1500, o fra questi de' migliori,
così degli Aldi, Bodoni, Elzeviri, Giunta, Plantini, Stefani ec.; pure è assai convenevole cosa che de' moderni
tipografi tenga luogo ne' cataloghi la indicazione, spesso
bastevole a far distinguere l'una dall'altra edizione, sopra tutto de' classici antichi e moderni, di cui si ripeterono tante fiate le ristampe. Quantunque non possa rimproverarsi quel compilatore di un catalogo che i titoli
de' libri per quanto lunghi essi siano ricopiasse interamente, massime dei rari o dei manoscritti, perchè sono
gli espositori della materia, nella stessa guisa che in una
nomenclatura di botanica o di storia naturale non dee
sembrare mai troppo il minuzzare che si fa dei particolari descrittivi la forma, il carattere delle piante, degli
insetti ec.; pure una prolissità che fastidia, una brevità
che genera oscurezza denno parimenti schivarsi. Laonde
si adoperi egli a racchiudere entro certi limiti di ragione que' titoli che peccano di soperchia lunghezza, e a rischiarare gli altri, che essendo troppo ristretti si rendono oscuri, ommettendo poi qualunque fastoso e vano apparato di qualità ed onorificenze che in certi scritti illustra gli autori, sempre che tali qualificative non siano
indispensabili per distinguere gli omonimi; una sola parola aggiunta fra parentesi è sufficiente molte volte a togliere da un titolo qualunque oscurità. Sogliono le
biblioteche contenere, specialmente in fatto di letteratura
classica, molte edizioni della stessa opera; in quel caso
devesi trascrivere il titolo della prima con tutte le essenziali particolarità che la distinguono, e delle successive egualmente i titoli non disgiunti da que' soli dati
che caratterizzano e distinguono l'una dall'altra.
Del sesto dei libri e dei modi per distinguerli
Molti sono, e di assai grave rilievo, gli errori che si
osservano ne' cataloghi, dipendenti dall'appropriare fallacemente ai libri una forma diversa da quella che hanno realmente; perlocchè non resta dubbioso a decidersi
se lo studiare sul loro sesto, che a prima giunta può ritenersi siccome cosa la più facile a conoscersi e la meno
interessante, riesca bene spesso malagevole, sempre necessaria, abbisognandovi perciò di quella esatta precisione che si adopera nel ricercare e stabilire le date dei libri. Se i cataloghi racchiudono, come si è detto, l'idea
precisa del libro distinta in ogni sua parte, egli è dovere che quella del formato non debba eccettuarsi, come
che sia dessa immediata conseguenza non di rado del
pregio minore o maggiore dell'opera, dessa onde attingono i bibliografi certe nozioni sul preciso valore delle
edizioni; conoscenza che in particolar modo ai bibliotecarj, ai libraj si rende necessaria. Lo studio delle forme
acquista un grado di importanza maggiore in proporzione alle difficoltà che presenta nelle edizioni del secolo
XV, nelle altre stampate sul principiare del XVI: nè solamente in quelle che si stamparono senza registri, o
sono manchevoli del foglio che li conteneva; ma sibbene
in altre parecchie in carta più piccola dell'ordinario, o
che tosate frequenti volte nel margine la forma del
foglio in quella del quarto, o del quarto nell'altra dell'ottavo cambiando, bene spesso ingannarono; laonde sursero lunghe contese che quasi sempre riuscirono vuote
di effetto. Il Gamba nella sua serie de' testi di lingua
italiani ebbe cura di rettificare e correggere la indicazione del sesto a varie opere, che illustri bibliografi aveano fallacemente descritto. Quindi io sono di avviso che
il dettato di pochi cenni sui mezzi da impiegarsi per distinguere di colpo le forme dei libri; e che all'uopo vie
meglio rispondono, non possa tornare inutile, specialmente a que' che dallo spaccio dei libri hanno sorgente di
onesto profitto.
Il formato dei libri antichi, che si adattava bene
spesso alla superficie diversa della materia su cui scrivevasi, non forma scopo alle mie ricerche, ma soltanto
di que' che uscirono alla luce dopo la invenzione della
carta e della stampa. S'inganna taluno fra i bibliografi
scrivendo che le forme minori sino a quella dell'ottavo
non fossero in uso prima del 1480, mentre provano il
contrario la edizione membranacea del Diurnale, ovvero Liber precum stampata in Venezia nel 1478 col sesto in ventiquattresimo, quella del Psalterium Davidis
di Giovanni Westfalia all'incirca del 1480 in ottavo ed
altre parecchie. È noto che sotto il titolo di forma s'intende il quantitativo delle pagine disposte in cadaun foglio; da questo si discerne quella dell'ottavo dall'altra
del dodicesimo: noto altresì dipendere essa forma dalla
diversa piegatura del foglio, denotando se in quattro
parti sia volta il quarto, se in otto l'ottavo ec. Siccome
poi trattandosi di piccole forme può sorgere alcun
dubbio; così a distinguerle è duopo valersi delle lineette, vale
a dire di quei raggi trasparenti, chiamati vergature chiare, posti attraverso a tutta lunghezza della carta alla distanza di 12 a 15 linee, o di 27 a 33 secondo l'ampiezza del foglio, che intersecano ad angolo retto altre
linee pienamente accosto, però meno trasparenti, quali
si dicono vergature strette; essendo appunto dalla loro
direzione esse forme tracciate, nel modo stesso che nelle
edizioni in carta velina non distinta da tali segni, sicura
guida a discoprirne la forma sono i richiami e le segnature. Altro sicuro mezzo per discernere la forma del
quarto e dell'ottavo consiste nel badare al marchio che
contrassegna la carta, avendo il libro la forma del foglio
se desso marchio trovasi nel mezzo, se al termine del
quarto, o se posto al vertice quella dell'ottavo. La maggior parte delle forme si riconosce al primo vederle per
via delle segnature collocate appiedi del foglio, e pella
larghezza delle pagine; ciò nullameno ne accade sovente
inganno, non essendo la grandezza della carta, ma il numero delle pagine che contiene ogni foglio, ripetesi, la
sola particolarità che costituisce la forma del volume.
Ogni libro è stampato in carta grande ordinaria o piccola, e da tali opposti scompartimenti ne viene che si
dia la forma del dodicesimo falsamente a due edizioni
racchiuse nello stesso scaffale, o coll'altra del piccolo
quarto si meschi e confonda quella dell'ottavo grande.
Per questo motivo, e per essere stampate sopra una carta detta Corona, si indicarono molto spesso alcune edizioni degli Elzeviri, ed altre antiche pubblicate in Olanda col formato del diciottesimo, aventi quello del
dodicesimo: lo stesso dicasi de' libri in ottavo sulla carta medesima erroneamente qualificati col sesto del dodicesimo.
Tali inavvertenze non riescono, egli è vero, ad alterare
gran fatto la disposizione dei libri ne' scaffali, ma nullameno producono notabili sbagli, mentre il cenno che si
fa nei cataloghi delle forme, per esempio del piccolo ottavo cangiato nel dodicesimo od altrimenti, egli è tale un
errore in bibliografia che trasforma la stampa. Le edizioni che inducono ad errare più facilmente tanto l'imperito che il pratico sono quelle dei secoli XV e XVI;
cresce a dismisura la facilità di errori in quelle mancanti
di registro. Giova pertanto un breve cenno di cadauna
forma in particolare, dell'uso delle segnature che sono
facili e sicuri indizj a distinguerla, e di quelli che si adoperano nei libri mancanti di segnature, ommesse dai tipografi nelle stampe moderne.
Vi hanno quindici sorta di sesto: la conoscenza dei
sesti piccolissimi si è quella che presenta maggiori difficoltà; mestieri è quindi badare attentamente alle segnature poste a piè di pagina a destra del lettore, essendo
certo che quante lettere o numeri distinguono le stesse,
tanti sono essi i fogli che il libro contiene. Del sesto in
decimo nessuna libreria pubblica o privata offeriva esempio, nè mai di esso trovasi citazione in alcun catalogo
prima del 1797. In quella data appunto, ed avente quella precisa forma, io ebbi a riconoscere stampato per Giacomo Storti in Venezia il Dizionario da tasca italiano
e tedesco, e nel 1800 il Dialoghista italiano e tedesco
del Borroni co' torchi stessi.
La forma del foglio contiene quattro pagine e due
carte, all'estremo margine del primo è segnato colla lettera A, e progressivamente a quello di ogni foglio colle
B. C. ec. Alle volte si trovano due o tre fogli uno interno all'altro, che si distinguono colla segnatura in A nel
primo, A2 nel secondo ec.; per sì fatto modo a comodo
del legatore l'ebbe a disporre il tipografo, non però
meno la forma dicesi del foglio.
L'in quarto è composto di quattro carte e di otto
pagine contrassegnate colla lettera A. A2, e contiene non
di rado esso pure due o tre fogli posti come si è detto
e colla medesima indicazione.
L'in ottavo conta otto carte e sedici pagine colle segnature A. A2. A3. A4. Alle volte dividesi questa
forma in due mezzi fogli susseguenti: l'uso di tale divisione a' dì nostri è quasi comune.
L'in decimo contiene dieci carte e venti pagine colla segnatura A. A2. A3. A4. A5.
L'in dodicesimo ha dodici carte e ventiquattro pagine colla segnatura al primo foglio A. A2. A3. A4. A5.
A6. e colla lettera B e progressive negli altri. Questa
forma è divisa talvolta in due mezzi fogli, i quali non
che siano l'uno all'altro annessi, sono invece disgiunti e
marcati con differenti segnature, cioè di A. A2. A3. pel
primo, pel secondo B. B2. B3.; e di essi il primo segnato A. ec. arriva alla pagina numero dodici, distinzione che risguarda altresì le altre piccole forme, come in
progresso sarà indicato.
L'in sedicesimo conta sedici carte e trentadue pagine, ed è distinto al termine di ogni carta con lettere A.
A2. A3. A4. A5. A6. A7. A8. e similmente in quello di
tutti gli altri fogli. Anche questa forma bene spesso è divisa in due mezzi fogli, che col numero progressivo delle pagine l'una all'altra susseguente, formano il numero preciso delle trentadue pagine chieste dal foglio. I
due mezzi fogli sono dall'intiero diversamente segnati,
per esempio A. A2. A3. A4. e così dei susseguenti, li
quattro invece hanno la segnatura A. A2. B. B2. C. C2.
D. D2.; tale rischiarimento è indispensabile in riguardo
a questo sesto.
L'in diciottesimo consiste di trentasei pagine e diciotto carte colla segnatura a piè di pagina A. A2. A3.
A4. A5. A6. A7. A8. A9., non altrimenti che tutti gli
altri fogli che compongono il volume: che sebbene in
due fogli separati od in tre seguenti talora è disposto,
tutta volta corrispondono essi nel numero alle trentasei
pagine che si contano in questa forma.
L'in ventiquattresimo è composto di ventiquattro
carte e quarantotto pagine che si dividono in due ed in
quattro parti di foglio. La segnatura della prima divisione formasi colle lettere A. A2. A3. A4. A5. A6., l'altra
è segnata A. A2. A3.; alle volte questa forma troverassi
distinta col B, b, o 2 alla pag. 25, C, c, o 3 alla pag.
49, così dicasi degli altri piccioli sesti.
L'in trentaduesimo è conformato alla guisa stessa
degli altri sesti, e vi si contano trentadue carte e sessantaquattro pagine. Si dividono queste picciole forme,
siccome ho detto, in otto pagine separate, segnata la prima A. A2. A3. A4., B. B2. B3. B4., e così successivamente, perchè il foglio non riesca ripieno di soperchio,
ed ottenga una forma più elegante. In forza di tale
separazione la segnatura de' fogli è posta in modo che una
pagina tenga dappresso all'altra tanto per l'ordine delle
stesse che pella numerazione delle carte.
L'in trentaseiesimo chiede lo stesso ordine, nè v'ha
duopo di altro modo diverso a distinguerlo, potendosi
distribuire in tre ed in sei parti di foglio colla segnatura pella prima divisione in A. A2. A3., pella seconda
colla B. B2. B3., colla terza in C. C2. C3. Nei fogli di
queste picciole forme trovasi col numero delle pagine la indicazione delle varie parti nelle quali deggiono
suddividersi, quante cioè ne abbisognano alle forme
stesse.
L'in quarantottesimo componesi di quarantotto carte e novantasei pagine, dividentesi in sei parti di foglio
colla segnatura in A. A2. A3. A4. A5. A6. e seguenti.
Questa forma ammette eziandio l'uso del mezzo e del
quarto di foglio.
L'in sessantaquattresimo. Questo sesto per quanto è
a mia cognizione consta di mezzo foglio, e perciò non
già diviso in carte sessantaquattro e pagine cento ventotto, ma invece in trentadue carte e sessantaquattro pagine; e si accenna più per rispetto all'uso nelle tipografie, che per cognizione ai bibliografi e ai librai, essendo
la stessa del trentaduesimo. Lo stesso ripetasi del sesto in
settantaduesimo, ed in novantaseiesimo entrambi usitati
dai tipografi.
L'in centoventiottesimo pella ragione esposta si compone del mezzo foglio e di otto parti separate di esso che
si succedono per ordine costante, o si riguardi alla piegatura, o si badi alla noverazione delle pagine.
Avvertasi che pella sola stampa del Giornaletto del bel sesso
fu ammessa la pratica di questo sesto.
Delle note
La qualità la dovizia delle note, rimandi, ed utili
contezze in fatto di bibliografia e letteratura formano il
merito essenziale di un catalogo, palesano chiaramente
i talenti del compilatore. Sono inapprezzabili i servigj
che tali notizie prestano agli uomini di lettere; esse tolgono ogni dubbietà dai titoli delle opere, rivelano gli
Anonimi e Pseudonimi, esibiscono dati ignoti, non di
manco importantissimi a conoscersi. Sempre che siano
in perfetta accordanza coll'opera che si prende a descrivere, possono queste note avere per soggetto la critica
letteraria, il diverso sistema tipografico, la biografia, la
storia. Siano per altro scritte con chiarezza, concisione,
esattezza, si mostrino estranee a quella eleganza che forma il principale attributo degli altri componimenti, e sopra tutto escludano ogni ripetizione nojosa od inutile.
Devesi usare ogni riguardo per isfuggire quella agrezza
di espressioni che incontrasi tanto nella maggior parte
delle note bibliografiche, come nella proposta delle rettifiche alle più lievi inavvertenze dell'Ab. Rive, bibliografo per lo vero di grande erudizione, a non dire di
talun altro de' moderni che camminano sulla pesta di
lui. Chiunque qualificasse le ommissioni le sviste gli errori, in una scienza agli sbagli tanto soggetta, colle voci
oltraggiose di assurdo, di sciocchezza, di ignoranza, si
mostrerebbe di animo poco ben fatto, inchinevole a nuocere, ad offendere.
Dei rimandi
Nei rimandi, che sono tanto acconciamente utili, conviene adoperarsi con ogni studio; egli è certamente
miglior cosa il tralasciare di porgere una notizia, che porgerla inesatta. Conviene persuadersi che tali sorta di citazioni non raggiungono alcuno scopo, qualora si scostino
dal migliore, dall'utile. Dovendo le note servire esclusivamente all'uso di una biblioteca, essere fatte a bello studio di agevolare e diminuire le indagini, possono contenere alcune ripetizioni o notizie attinte ad altra sorgente;
mentre quelle che si aggiungono ad un catalogo destinato a stamparsi deggiono esibire il risultamento di cognizioni reali, che non si trovano nelle altre bibliografie, e che siano pesate alla bilancia di sana critica letteraria.
Della scritturazione di un Catalogo
Egli è facile a comprendere che dalla bella scrittura di un catalogo si ottiene l'effetto di renderlo più
comodo e proficuo. Quella chiarezza, quella uniforme
regolarità nel disporre le linee, quella avvertenza di
scrivere in carattere diverso e più rilevato il nome dell'autore o la parola d'ordine, cose tutte che bene spesso si negligentano, offrono all'occhio tantosto quanto ricercasi.
Delle abbreviature
Sono adottati da tutti i bibliografi certi segni, certe
abbreviature ne' cataloghi, che servono ad alleviare il
tempo, la fatica, e, ciò che assai monta, a togliere le ripetizioni. Sono esse di vario genere, siccome tutte comprendono le particolarità necessarie a citarsi, così della
data di luogo, di sesto, di legatura delle opere; ciascuno può impratichirsene colla lettura de' scritti bibliografici.
Del numerizzare
La numerazione di una biblioteca che proceda con
serie esattamente progressiva è sufficiente per sè
medesima ad organizzarla, potendo chiunque sappia di semplice lettura mantenere in ordine i volumi ne' scaffali, o
se capo volto ristabilirlo; si aggiunga che il preciso numerizzare facilita grandemente il lavoro dei riscontri che
d'ordinario sono da praticarsi. A scanso di ommissioni o
duplicati, egli è quindi necessario badare attentamente a
quest'opera materiale di numerica, che deve precedere
quella di classificazione de' titoli per identificarla nelle
singole schede. In una biblioteca, per quanto possa essere ristretta, disconviene una serie tutta quanta continuata di numeri che seco porta sommo imbarazzo nel
collocamento, e rende impossibile l'aggiunta di un solo
volume. Perlocchè insegna la pratica essere sovra ogni altro migliore espediente quello di assegnare a cadauna
classe o divisione una lettera, un marchio qualunque che
la distingua, ad ogni sesto un numero particolare: con
questo metodo si schivano le notate difficoltà, si provvede allo spedito rinvenimento di ogni più picciolo volume.
Siccome poi sarebbe sconvenevole il moltiplicarsi delle
serie, così per distinguere le divisioni e suddivisioni basti aggiungere alla lettera principale, che come si è detto
distingue la classe, un'altra lettera o numero per le prime, un segno qualunque ma convenuto pelle seconde.
Sarà utile che al di dentro della coperta si rechino in
iscritto le indicazioni medesime che sono al di fuori del
volume, onde rimetterle tosto che il cartellino posto sul
dorso di un volume, distaccandosi, andasse smarrito.
Della classificazione alfabetica
Ognuno sa che la classificazione dietro al primo sostantivo, che forma in quel caso la parola di ordine senza alcun riguardo all'addiettivo od all'articolo che vi
precede, si è quella pelle opere anonime. Devesi tenere per
anonima qualunque opera che non abbia l'appellativo
del nome dell'autore: malgrado ciò se questo fosse generalmente conosciuto o nominato in qualche parte del
testo, allora si mette a catalogo il titolo dell'opera a di
lui nome, per altro con richiamo al primo sostantivo:
per modo opposto nei pseudonimi e monogrammi il richiamo si fa al nome vero, formando il titolo col supposto. Egli è assolutamente il sostantivo, non già il primo
termine quale siasi de' titoli, che stabilisce la parola d'ordine nella classificazione di un catalogo. Qualunque scrivesse sopra le schede nuova geografia o piccolo manuale,
a luogo di manuale piccolo o geografia nuova, si esporrebbe a rendere, dopo molta perdita di tempo, inutili le ricerche di chi non conosce appuntino, o non ricorda bene il titolo di un'opera che brama di consultare. Negli
scritti di due o più autori si ammette per titolo il nome
del primo, sempre per altro quello di famiglia, escludendo ogni pronome: le indicazioni pegli altri si fanno coi
soliti richiami.
Della classificazione sistematica
Egli è certo che alla classificazione alfabetica dimostrante lo stato dirigente l'esercizio di una libreria, la
quale riesce facilissima a compilarsi, perchè non sommessa a ragionamento, nè soggetta a variazioni od incertezze, dee tener dietro la sistematica. Un uomo che
ami le scienze, se ricco, non lascia certo di riunire quanti
gli riesce acconcio trovarne, que' libri che trattano una
materia corrispondente al genere di studio che predilige, o se povero, di studiarli indefessamente frequentando le pubbliche librerie. Egli è per questo apertamente
chiara la grave importanza de' cataloghi sistematici, sicure guide e consiglieri fedeli ai studiosi, e più che non
si pensi difficili a compilarsi, dovendosi raggiungere uno
scopo principale, quello di assegnare a cadauna opera il
posto preciso e convenevole nelle moltiplici divisioni di
un giudizioso sistema bibliografico. Tale interessantissimo compartimento non dipende da certe norme, da precetti o regole determinate, potendosi ordinare una biblioteca nel modo più confacevole alla qualità e copia delle
opere che contiene, sempre che vi concorra l'ingegno
del bibliotecario, una sana critica perfezionata dallo studio, e quel sagace discernimento che si ottiene da scrutinio infaticabile sulle opere de' grandi maestri. Al generale ripartimento nelle classi principali in ordine alle
scienze denno tenere dietro quelle suddivisioni che si
confacciano ai diversi rami delle scienze medesime. Per
la qual cosa è mestieri che il bibliotecario abbia una conoscenza non fievole o superficiale, ma fondata, precisa
ed intrinseca di tutte le materie. La scelta di un piano
che riesca egualmente comodo ed utile alle classi diverse di lettori, alle idee loro particolari, esige molta cautela e circospezione. Grande divario vi ha tra un piano
bibliografico ordinato ai principj di filosofia e quello suggerito dalle istruzioni pratiche. Nel primo si analizzano
di soperchio le umane cognizioni; il secondo presenta un
quadro delle cognizioni stesse riunite giusta i rapporti
ch'esse hanno nella vita e nella loro applicazione. Egli è
certo che un sistema semplice e ragionato nello sviluppo
delle classi principali, e per conseguente delle divisioni
e suddivisioni necessarie, si addatterà meglio alle idee di
chi espone le proprie domande: ma conviene andare molto cauti per non trascorrere alle complicate sottigliezze
della metafisica. Nel mondo letterario abbondano per lo
vero tali o simili piani di classificazioni, che furono un
altro tempo con rispetto ammessi da que' che della bibliografia si fecero uno studio particolare, ma che deggionsi togliere intieramente, od almeno modificare nel
secolo del progresso, delle cognizioni. La scelta del migliore sistema dee quindi dipendere dalla estensione dei
mezzi di una biblioteca, e non meno dal genio scientifico e letterario del classificatore. Il piano che P. J. Garnier ha tracciato nell'ordinare la biblioteca di Clarmont
diviso in cinque classi principali, teologia, giurisprudenza, scienza ed arti, belle-lettere, storia, in Francia è in
gran voga, posciachè il librajo Marten dal 1705 al 1760
assoggettando la compilazione di tutti i suoi cataloghi a
tale sistema ha contribuito a diffonderlo. Non perciò meno devesi avere per difettoso un piano classificativo, che
alla teologia assegna inalterabilmente il primo posto, e
le matematiche, la medicina, l'astronomia distingue in
classi secondarie. Lo stesso dicasi della geografia, dei
viaggi che appartengono alla classe di storia, e che più
acconciamente dovrebbero aver posto nell'altra delle
scienze. Della stessa classe è divisione l'arte tipografica
che spetta assolutamente alla meccanica, senza ricordare
molti altri errori, che per essere di grande rilevanza si
appalesano per sè stessi. Riflettendo che le classificazioni
deggiono essere utili meno agli eruditi che a quelli che
non lo sono, ma che bramano d'instruirsi, potrà chiunque essere convinto che nel formarle convenga attenersi
ai modi pratici in preferenza ai teorici; quindi da escludersi un piano tutto filosofico con denominazioni metafisiche, perchè essendo oscuro o poco intelligibile, si renderebbe inutile al maggior numero de' concorrenti. Si
trovano esempj di classificazioni distribuite nel modo seguente: 1.° origine delle umane cognizioni, 2.° oggetti
delle umane cognizioni, 3.° considerazioni generali sulla
condizione, 4.° vantaggi ed inconvenienti delle scienze
ed arti, 5.° metodologia universale, esame degli spiriti,
scienza del dubbio ec., 6.° mezzi di comunicare, di propagare e di conservare le umane cognizioni, 7.° miscellanee. Ora quale idea mai acconcia e precisa offrono
queste divisioni principali nelle classi de' libri? Molti
sono e diversi, più o meno esatti ed erronei, utili o manco, i piani di classificazione che immaginarono i bibliografi; quindi increscevole potrei forse parere annoverando quelli proposti dal de la Croix, Fontanini, Leibnicio,
Debure, altri distinguenti cinque classi, la teologia, la
giurisprudenza, la filosofia, la storia, la polimatia; altri
otto, ed altri più o meno classi e parti. È impossibile
l'ideare un piano a tutti soddisfacente, perchè di tutti
converrebbe adattarsi alle opinioni politiche e religiose,
alle diverse attitudini, a quell'ordine di studj maggiormente apprezzato. Un mezzo facile e sicuro per ischivare lunghe ricerche nei casi di dubbio, o per que' che sono poco addestrati nell'esame de' cataloghi, si riconosce
esser quello di instituire una tavola alfabetica di tutte le
classi e divisioni, che additi prontamente se la geografia ad esempio debba ricercarsi nella classe di storia o
delle scienze: similmente delle altre materie. L'ordine da
tenersi nella distribuzione delle schede co' titoli secondo
il genere delle opere sarà alfabetico o cronologico: per
tal modo le biografie seguiranno l'alfabetico de' nomi,
così le opere de' classici che potranno eziandio disporsi
per data delle edizioni. Compiuto che sia il catalogo sistematico si divideranno i biglietti prima in classi principali, quindi cadauna classe in divisioni, poscia in suddivisioni, operando così sino al termine, come nel catalogo alfabetico, ammesse le debite modificazioni.
Delle stampe
Si conoscono molte opere che trattano di tali prodotti dell'arte tanto in via di teorica che di pratica. Vi
hanno in esse alcune regole per la classificazione e distribuzione di quelle stampe, che riconosciute per buone
furono accettate generalmente: dessa si estende a formare dodici classi.
- 1. Scultura, architettura, genio, incisione.
- 2. Pietà, morale, emblemi e divise sacre.
- 3. Favola, antichi greci e romani ec.
- 4. Genealogia, cronologia, araldica, medaglie, numismatica.
- 5. Feste pubbliche, ingressi di città, cavalcate, tornei e carroselli.
- 6. Geometria, macchine, matematiche, arte militare, marina, arti e mestieri.
- 7. Romanzi, facezie, buffonerie, caricature.
- 8. Storia naturale, anatomia.
- 9. Carte geografiche e storiche.
- 10. Monumenti antichi, moderni, tipografia.
- 11. Ritratti.
- 12. Mode, costumi ed usi.
Ogni classe è divisa per iscuole, ed ogni scuola per
opere di maestri.
Dell'asterisco
L'asterisco o stella è un segno di chiamata, che adoperato alcune volte in una pagina vale ad indicare il
luogo cui corrisponde una nota posta al margine inferiore della pagina, al termine di un capitolo o di un libro. Nei libri che hanno attenenza al canto esso addita
le pause; talora impiegasi per rimettere il lettore a qualche capitolo; alcuna volta è usato a luogo di segnatura
nei primi fogli di un'opera, così nell'avvertimento al
lettore e nella prefazione, e con segno di tre asterischi
riporta il nome di taluno indicato dalla sola prima lettera. Gli asterischi che si conoscevano al tempo di Aristofane, di Origene, di S. Girolamo, di S. Gregorio nei
manoscritti greci e latini erano rappresentati da una
piccola stella o da un X con quattro punti intermedj;
talvolta erano segni di ommissione o di restrizione di
alcuna parte del testo; ora indizj di un senso non terminato o di frasi divise; di rado ponevansi ad indice delle massime o sentenze le più ricercate di un'opera, od
indicavano una aggiunta al testo. Per siffatta guisa vennero usati da Giovanni di Westfalia nel Breviarium
Dom. Joa. Fabri super codicem, onde sceverare il testo
del codice da quello del commentario.